Così parla Vafrino, e non trattiensi;
Ma cangia in lungo manto il suo farsetto:
E mostra fa del nudo collo: e prende
472 D’intorno al capo attorcigliate bende.
LX.
La faretra s’adatta, e l’arco Siro:
E barbarico sembra ogni suo gesto.
Stupiron quei che favellar l’udiro,
476 Ed in diverse lingue esser sì presto,
Ch’Egizio in Menfi, o pur Fenice in Tiro
L’avria creduto e quel popolo e questo.
Egli sen va sovra un destrier ch’appena
480 Segna nel corso la più molle arena.
LXI.
Ma i Franchi, pria che ‘l terzo dì sia giunto,
Appianaron le vie scoscese e rotte:
E finir gl’instromenti anco in quel punto,
484 Chè non fur le fatiche unqua interrotte;
Anzi all’opre de’ giorni avean congiunto,
Togliendola al riposo, anco la notte.
Nè cosa è più che ritardar gli possa
488 Dal far l’estremo omai d’ogni lor possa.
LXII.
Del dì, cui dell’assalto il dì successe,
Gran parte orando il pio Buglion dispensa:
E impon che ogn’altro i falli suoi confesse,
492 E pasca il pan dell’alme alla gran mensa.
Machine ed arme poscia ivi più spesse
Dimostra, ove adoprarle egli men pensa.
E ‘l deluso Pagan si riconforta,
496 Ch’oppor le vede alla munita porta.
LXIII.
Col bujo della notte è poi la vasta
Agil machina sua colà traslata,
Ove è men curvo il muro, e men contrasta,
500 Ch’angulosa non fa parte, e piegata.
E d’in sul colle alla Città sovrasta
Raimondo ancor con la sua torre armata.
La sua Camillo a quel lato avvicina,
504 Che dal Borea all’Occaso alquanto inchina.
LXIV.
Ma come furo in Oriente apparsi
I mattutini messaggier del Sole,
S’avvidero i Pagani (e ben turbarsi)
508 Che la torre non è dove esser suole:
E mirar quinci e quindi anco innalzarsi,
Non più veduta, una ed un’altra mole.
E in numero infinito anco son viste
512 Catapulte, monton, gatti, e baliste.
LXV.
Non è la turba di Soria già lenta
A trasportarne là molte difese,
Ove il Buglion le machine appresenta
516 Da quella parte, ove primier l’attese.
Ma il Capitan, ch’a tergo aver rammenta
L’oste d’Egitto, ha quelle vie già prese.
E Guelfo, e i due Roberti a se chiamati:
520 State, dice, a cavallo in sella armati.
LXVI.
E procurate voi che mentre ascendo
Colà dove quel muro appar men forte,
Schiera non sia che subita venendo
524 S’atterghi agli occupati, e guerra porte.
Tacque; e già da tre lati assalto orrendo
Movon le tre sì valorose scorte.
E da tre lati ha il Re sue genti opposte:
528 Chè riprese quel dì l’arme deposte.
LXVII.
Egli medesmo al corpo omai tremante
Per gli anni, e grave del suo proprio pondo,
L’arme che disusò gran tempo innante,
532 Circonda, e se ne va contra Raimondo.
Solimano a Goffredo, e ‘l fero Argante
Al buon Camillo oppon, che di Boemondo
Seco ha il nipote: e lui fortuna or guida,
536 Perchè ‘l nemico a se dovuto uccida.
LXVIII.
Incominciaro a saettar gli arcieri,
Infette di veleno, arme mortali:
Ed adombrato il Ciel par che s’anneri
540 Sotto un immenso nuvolo di strali.
Ma con forza maggior colpi più feri
Ne venian dalle machine murali.
Indi gran palle uscian marmoree e gravi,
544 E con punta d’acciar ferrate travi.
LXIX.
Par fulmine ogni sasso, e così trita
L’armatura e le membra a chi n’è colto,
Che gli toglie non pur l’alma e la vita,
548 Ma la forma del corpo anco e del volto.
Non si ferma la lancia alla ferita:
Dopo il colpo del corso avanza molto:
Entra da un lato, e fuor per l’altro passa
552 Fuggendo, e nel fuggir la morte lassa.
LXX.
Ma non togliea però dalla difesa
Tanto furor le Saracine genti.
Contra quelle percosse avean già tesa
556 Pieghevol tela, e cose altre cedenti.
L’impeto, che in lor cade, ivi contesa
Non trova, e vien che vi si fiacchi e lenti:
Essi, ove miran più la calca esposta,
560 Fan con l’arme volanti aspra risposta.
LXXI.
Con tutto ciò d’andarne oltre non cessa
L’assalitor, che tripartito move.
E chi va sotto gatti, ove la spessa
564 Gragnuola di saette indarno piove:
E chi le torri all’alto muro appressa,
Che loro a suo poter da se rimove;
Tenta ogni torre omai lanciare il ponte,
568 Cozza il monton con la ferrata fronte.
LXXII.
Rinaldo intanto irresoluto bada,
Chè quel rischio di lui degno non era.
E stima onor plebeo, quando egli vada
572 Per le comuni vie col volgo in schiera.
E volge intorno gli occhj, e quella strada
Sol gli piace tentar ch’altri dispera.
Là dove il muro più munito ed alto
576 In pace stassi, ei vuol portar l’assalto.
LXXIII.
E volgendosi a quegli, i quai già furo
Guidati da Dudon guerrier famosi:
O vergogna, dicea, che là quel muro
580 Fra cotante arme in pace or si riposi.
Ogni rischio al valor sempre è sicuro:
Tutte le vie son piane agli animosi.
Moviam la guerra, e contra ai colpi crudi
584 Facciam densa testuggine di scudi.
LXXIV.
Giunsersi tutti seco a questo detto:
Tutti gli scudi alzar sovra la testa:
E gli uniron così, che ferreo tetto
588 Facean contra l’orribile tempesta.
Sotto il coperchio il fero stuol ristretto
Va di gran corso, e nulla il corso arresta:
Chè la soda testuggine sostiene
592 Ciò che di ruinoso in giù ne viene.
LXXV.
Son già sotto le mura; allor Rinaldo
Scala drizzò di cento gradi e cento:
E lei con braccio maneggiò sì saldo,
596 Ch’agile è men picciola canna al vento.
Or lancia o trave, or gran colonna o spaldo
D’alto discende: ei non va su più lento;
Ma intrepido ed invitto ad ogni scossa,
600 Sprezzeria, se cadesse, Olimpo ed Ossa.
LXXVI.
Una selva di strali e di ruine
Sostien sul dosso, e sullo scudo un monte.
Scuote una man le mura a se vicine,
604 L’altra, sospesa, in guardia è della fronte.
L’esempio all’opre ardite e peregrine
Spinge i compagni: ei non è sol che monte:
Chè molti appoggian seco eccelse scale,
608 Ma ‘l valore e la sorte è disuguale.
LXXVII.
More alcuno, altri cade; egli sublime
Poggia, e questi conforta, e quei minaccia.
Tanto è già in su, che le merlate cime
612 Puote afferrar con le distese braccia.
/>
Gran gente allor vi trae, l’urta, il reprime,
Cerca precipitarlo, e pur nol caccia.
(Mirabil vista!) a un grande e fermo stuolo
616 Resister può, sospeso in aria, un solo.
LXXVIII.
E resiste, e s’avanza, e si rinforza:
E come palma suol, cui pondo aggreva,
Suo valor combattuto ha maggior forza,
620 E nella oppression più si solleva.
E vince alfin tutti i nemici, e sforza
L’aste e gl’intoppi che d’incontro aveva:
E sale il muro, e ‘l signoreggia, e ‘l rende
624 Sgombro e sicuro a chi diretro ascende.
LXXIX.
Ed egli stesso all’ultimo germano
Del pio Buglion, ch’è di cadere in forse,
Stesa la vincitrice amica mano,
628 Di salirne secondo aita porse.
Frattanto erano altrove al Capitano
Varie fortune e perigliose occorse:
Ch’ivi non pur fra gli uomini si pugna;
632 Ma le machine insieme anco fan pugna.
LXXX.
Sul muro aveano i Siri un tronco alzato
Ch’antenna un tempo esser solea di nave:
E sovra lui col capo aspro e ferrato,
636 Per traverso, sospesa è grossa trave:
È indietro quel da canapi tirato,
Poi torna innanzi impetuoso e grave:
Talor rientra nel suo guscio, ed ora
640 La testuggin rimanda il collo fuora.
LXXXI.
Urtò la trave immensa, e così dure
Nella torre addoppiò le sue percosse;
Che le ben teste in lei salde giunture
644 Lentando aperse, e la rispinse, e scosse.
La torre a quel bisogno armi sicure
Avea già in punto, e due gran falci mosse,
Che, avventate con arte incontra al legno,
648 Quelle funi troncar ch’eran sostegno.
LXXXII.
Qual gran sasso talor, che o la vecchiezza
Solve d’un monte, o svelle ira de’ venti,
Ruinoso dirupa: e porta, e spezza
652 Le selve, e con le case anco gli armenti;
Tal giù traea dalla sublime altezza
L’orribil trave e merli, ed arme, e genti.
Diè la torre, a quel moto, uno e duo’ crolli:
656 Tremar le mura, e rimbombaro i colli.
LXXXIII.
Passa il Buglion vittorioso avanti,
E già le mura d’occupar si crede;
Ma fiamme allora fetide e fumanti
660 Lanciarsi incontra immantinente ei vede.
Nè dal sulfureo sen fochi mai tanti
Il cavernoso Mongibel fuor diede:
Nè mai cotanti, negli estivi ardori,
664 Piove l’Indico Ciel caldi vapori.
LXXXIV.
Quì vasi, e cerchj, ed aste ardenti sono:
Qual fiamma nera, e qual sanguigna splende.
L’odore appuzza, assorda il rombo e ‘l tuono,
668 Accieca il fumo, il foco arde e s’apprende.
L’umido cuojo alfin saria mal buono
Schermo alla torre: appena or la difende.
Già suda, e si rincrespa, e se più tarda
672 Il soccorso del Ciel, convien pur ch’arda.
LXXXV.
Il magnanimo Duce innanzi a tutti
Stassi, e non muta nè color nè loco:
E quei conforta che su’ cuoj asciutti
676 Versan l’onde apprestate incontra al foco.
In tale stato eran costor ridutti:
E già dell’acque rimanea lor poco.
Quando ecco un vento, ch’improvviso spira,
680 Contra gli autori suoi l’incendio gira.
LXXXVI.
Vien contro al foco il turbo, e indietro volto
Il foco, ove i Pagan le tele alzaro,
Quella molle materia in se raccolto
684 L’ha immantinente, e n’arde ogni riparo.
O glorioso Capitano, o molto
Dal gran Dio custodito, al gran Dio caro!
A te guerreggia il Cielo: ed ubbidienti
688 Vengon chiamati, a suon di trombe, i venti.
LXXXVII.
Ma l’empio Ismen, che le sulfuree faci
Vide da Borea incontra se converse,
Ritentar volle l’arti sue fallaci
692 Per sforzar la natura, e l’aure avverse:
E fra due maghe, che di lui seguaci
Si fer, sul muro agli occhj altrui s’offerse:
E torvo, e nero, e squallido, e barbuto
696 Fra due Furie parea Caronte, o Pluto.
LXXXVIII.
Già il mormorar s’udia delle parole
Di cui teme Cocíto, e Flegetonte:
Già si vedea l’aria turbare, e ‘l Sole
700 Cinger d’oscuri nuvoli la fronte;
Quando avventato fu dall’alta mole
Un gran sasso, che fu parte d’un monte:
E tra lor colse sì, ch’una percossa
704 Sparse di tutti insieme il sangue e l’ossa.
LXXXIX.
In pezzi minutissimi e sanguigni
Si disperser così le inique teste;
Che di sotto ai pesanti aspri macigni
708 Soglion poco le biade uscir più peste.
Lasciar, gemendo, i tre spirti maligni
L’aria serena, e ‘l bel raggio celeste:
E sen fuggir tra l’ombre empie infernali.
712 Apprendete pietà quinci, o mortali.
XC.
In questo mezzo alla Città la torre,
Cui dall’incendio il turbine assicura,
S’avvicina così, che può ben porre
716 E fermare il suo ponte in su le mura;
Ma Solimano intrepido v’accorre,
E ‘l passo angusto di tagliar procura:
E doppia i colpi, e ben l’avria reciso;
720 Ma un’altra torre apparse all’improvviso.
XCI.
La gran mole crescente oltra i confini
De’ più alti edifizj in aria passa.
Attoniti a quel mostro i Saracini
724 Restar, vedendo la Città più bassa.
Ma il fero Turco, ancor che’n lui ruini
Di pietre un nembo, il loco suo non lassa:
Nè di tagliare il ponte anco diffida,
728 E gli altri che temean rincora, e sgrida.
XCII.
S’offerse agli occhj di Goffredo allora,
Invisibile altrui, l’Angel Michele
Cinto d’armi celesti: e vinto fora
732 Il Sol da lui, cui nulla nube vele.
Ecco, disse, Goffredo, è giunta l’ora
Ch’esca Sion di servitù crudele.
Non chinar, non chinar gli occhj smarriti:
736 Mira con quante forze il Ciel t’aiti.
XCIII.
Drizza pur gli occhj a riguardar l’immenso
Esercito immortal ch’è in aria accolto:
Ch’io dinanzi torrotti il nuvol denso
740 Di vostra umanità, ch’intorno avvolto
Adombrando t’appanna il mortal senso,
Sì che vedrai gl’ignudi spirti in volto:
E sostener per breve spazio i rai
744 Delle angeliche forme anco potrai.
XCIV.
Mira di quei che fur campion di Cristo,
L’anime fatte in Cielo or cittadine,
Che pugnan teco, e di sì alto acquisto
748 Si trovan teco al glorioso fine.
Là ‘ve ondeggiar la polve, e ‘l fumo misto
Vedi, e di rotte moli alte ruine;
Tra quella folta nebbia Ugon combatte,
752 E delle torri i fondamenti abbatte.
XCV.
Ecco poi là Dudon che l’alta porta
Aquilonar con ferro e fiamma assale:
Ministra l’arme ai combattenti, e
sorta
756 Ch’altri su monti, e drizza, e tien le scale.
Quel ch’è sul colle, e ‘l sacro abito porta,
E la corona ai crin sacerdotale,
È il pastore Ademaro, alma felice:
760 Vedi ch’ancor vi segna, e benedice.
XCVI.
Leva più in su le ardite luci, e tutta
La grande oste del Ciel congiunta guata.
Egli alzò il guardo: e vide in un ridutta
764 Milizia innumerabile, ed alata.
Tre folte squadre, ed ogni squadra instrutta
In tre ordini gira, e si dilata;
Ma si dilata più quanto più in fuori
768 I cerchj son: son gl’intimi i minori.
XCVII.
Quì chinò vinti i lumi, e gli alzò poi:
Nè lo spettacol grande ei più rivide.
Ma riguardando d’ogni parte i suoi,
772 Scorge che a tutti la vittoria arride.
Molti dietro a Rinaldo illustri eroi
Saliano: ei già salito i Siri uccide.
Il Capitan, che più indugiar si sdegna,
776 Toglie di mano al fido alfier l’insegna.
XCVIII.
E passa primo il ponte, ed impedita
Gli è a mezzo il corso dal Soldan la via.
Un picciol varco è campo ad infinita
780 Virtù, che in pochi colpi ivi apparia.
Grida il fier Solimano: all’altrui vita
Dono e consacro io quì la vita mia.
Tagliate, amici, alle mie spalle or questo
784 Ponte: chè quì non facil preda i’ resto.
XCIX.
Ma venirne Rinaldo, in volto orrendo,
E fuggirne ciascun vedea lontano.
Or che farò? se quì la vita spendo,
788 La spando, disse, e la disperdo invano.
E in se nove difese anco volgendo,
Cedea libero il passo al Capitano,
Che minacciando il segue, e della santa
792 Croce il vessillo in su le mura pianta.
C.
La vincitrice insegna in mille giri
Alteramente si rivolge intorno:
E par che in lei più riverente spiri
796 L’aura, e che splenda in lei più chiaro il giorno:
Ch’ogni dardo, ogni stral che in lei si tiri,
O la declini, o faccia indi ritorno:
Par che Sion, par che l’opposto monte
800 Lieto l’adori, e inchini a lei la fronte.
CI.
Allor tutte le squadre il grido alzaro
Della vittoria altissimo e festante:
E risonarne i monti, e replicaro
804 Gli ultimi accenti: e quasi in quello istante
Ruppe e vinse Tancredi ogni riparo
Che gli aveva all’incontro opposto Argante:
E, lanciando il suo ponte, anch’ei veloce
808 Passò nel muro, e v’innalzò la Croce.
CII.
Ma verso il Mezzogiorno, ove il canuto
Raimondo pugna, e ‘l Palestin Tiranno,
I guerrier di Guascogna anco potuto
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