Paradiso (The Divine Comedy series Book 3)

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Paradiso (The Divine Comedy series Book 3) Page 38

by Dante


  ond’ io sovente arrosso e disfavillo.

  In vesta di pastor lupi rapaci →

  si veggion di qua sù per tutti i paschi:

  57

  o difesa di Dio, perché pur giaci?

  Del sangue nostro Caorsini e Guaschi →

  s’apparecchian di bere: o buon principio,

  60

  a che vil fine convien che tu caschi!

  Ma l’alta provedenza, che con Scipio →

  difese a Roma la gloria del mondo,

  63

  soccorrà tosto, sì com’ io concipio;

  e tu, figliuol, che per lo mortal pondo →

  ancor giù tornerai, apri la bocca,

  66

  e non asconder quel ch’io non ascondo.”

  Sì come di vapor gelati fiocca →

  in giuso l’aere nostro, quando ’l corno

  69

  de la capra del ciel col sol si tocca,

  in sù vid’ io così l’etera addorno →

  farsi e fioccar di vapor trïunfanti →

  72

  che fatto avien con noi quivi soggiorno.

  Lo viso mio seguiva i suoi sembianti, →

  e seguì fin che ’l mezzo, per lo molto,

  75

  li tolse il trapassar del più avanti.

  Onde la donna, che mi vide assolto →

  de l’attendere in sù, mi disse: “Adima

  78

  il viso e guarda come tu se’ vòlto.”

  Da l’ora ch’ïo avea guardato prima → →

  i’ vidi mosso me per tutto l’arco

  81

  che fa dal mezzo al fine il primo clima;

  sì ch’io vedea di là da Gade il varco →

  folle d’Ulisse, e di qua presso il lito →

  84

  nel qual si fece Europa dolce carco.

  E più mi fora discoverto il sito →

  di questa aiuola; ma ’l sol procedea →

  87

  sotto i mie’ piedi un segno e più partito.

  La mente innamorata, che donnea →

  con la mia donna sempre, di ridure

  90

  ad essa li occhi più che mai ardea;

  e se natura o arte fé pasture

  da pigliare occhi, per aver la mente,

  93

  in carne umana o ne le sue pitture,

  tutte adunate, parrebber nïente

  ver’ lo piacer divin che mi refulse,

  96

  quando mi volsi al suo viso ridente.

  E la virtù che lo sguardo m’indulse,

  del bel nido di Leda mi divelse →

  99

  e nel ciel velocissimo m’impulse.

  Le parti sue vivissime ed eccelse → →

  si uniforme son, ch’i’ non so dire

  102

  qual Bëatrice per loco mi scelse.

  Ma ella, che vedëa ’l mio disire, →

  incominciò, ridendo tanto lieta,

  105

  che Dio parea nel suo volto gioire:

  “La natura del mondo, che quïeta →

  il mezzo e tutto l’altro intorno move, →

  108

  quinci comincia come da sua meta;

  e questo cielo non ha altro dove →

  che la mente divina, in che s’accende

  111

  l’amor che ’l volge e la virtù ch’ei piove.

  Luce e amor d’un cerchio lui comprende,

  sì come questo li altri; e quel precinto

  114

  colui che ’l cinge solamente intende.

  Non è suo moto per altro distinto, →

  ma li altri son mensurati da questo,

  117

  sì come diece da mezzo e da quinto;

  e come il tempo tegna in cotal testo

  le sue radici e ne li altri le fronde,

  120

  omai a te può esser manifesto.

  Oh cupidigia, che i mortali affonde →

  sì sotto te, che nessuno ha podere

  123

  di trarre li occhi fuor de le tue onde!

  Ben fiorisce ne li uomini il volere;

  ma la pioggia continüa converte

  126

  in bozzacchioni le sosine vere. →

  Fede e innocenza son reperte →

  solo ne’ parvoletti; poi ciascuna

  129

  pria fugge che le guance sian coperte.

  Tale, balbuzïendo ancor, digiuna, → →

  che poi divora, con la lingua sciolta,

  132

  qualunque cibo per qualunque luna;

  e tal, balbuzïendo, ama e ascolta

  la madre sua, che, con loquela intera,

  135

  disïa poi di vederla sepolta.

  Così si fa la pelle bianca nera →

  nel primo aspetto de la bella figlia

  138

  di quel ch’apporta mane e lascia sera.

  Tu, perché non ti facci maraviglia, →

  pensa che ’n terra non è chi governi;

  141

  onde sì svïa l’umana famiglia.

  Ma prima che gennaio tutto si sverni → →

  per la centesma ch’è là giù negletta,

  144

  raggeran sì questi cerchi superni, →

  che la fortuna che tanto s’aspetta, →

  le poppe volgerà u’ son le prore, →

  sì che la classe correrà diretta;

  148

  e vero frutto verrà dopo ’l fiore.” →

  PARADISO XXVIII

  Poscia che ’ncontro a la vita presente →

  d’i miseri mortali aperse ’l vero →

  3

  quella che ’mparadisa la mia mente, →

  come in lo specchio fiamma di doppiero → →

  vede colui che se n’alluma retro,

  6

  prima che l’abbia in vista o in pensiero,

  e sé rivolge per veder se ’l vetro

  li dice il vero, e vede ch’el s’accorda →

  9

  con esso come nota con suo metro;

  così la mia memoria si ricorda →

  ch’io feci riguardando ne’ belli occhi

  12

  onde a pigliarmi fece Amor la corda. →

  E com’ io mi rivolsi e furon tocchi →

  li miei da ciò che pare in quel volume, →

  15

  quandunque nel suo giro ben s’adocchi, →

  un punto vidi che raggiava lume →

  acuto sì, che ’l viso ch’elli affoca

  18

  chiuder conviensi per lo forte acume;

  e quale stella par quinci più poca,

  parrebbe luna, locata con esso

  21

  come stella con stella si collòca.

  Forse cotanto quanto pare appresso → →

  alo cigner la luce che ’l dipigne

  24

  quando ’l vapor che ’l porta più è spesso,

  distante intorno al punto un cerchio d’igne →

  si girava sì ratto, ch’avria vinto

  27

  quel moto che più tosto il mondo cigne; →

  e questo era d’un altro circumcinto, →

  e quel dal terzo, e ’l terzo poi dal quarto,

  30

  dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.

  Sopra seguiva il settimo sì sparto →

  già di larghezza, che ’l messo di Iuno

  33

  intero a contenerlo sarebbe arto.

  Così l’ottavo e ’l nono; e ciascheduno →

  più tardo si movea, secondo ch’era

  36

  in numero distante più da l’uno;

  e quello avea la fiamma più sincera →

  cui men distava la favilla pura,

  39

  credo, però che più di lei s’invera.

  La donna mia, che mi vedëa in cura

  forte sospeso, disse: “Da quel pu
nto → →

  42

  depende il cielo e tutta la natura.

  Mira quel cerchio che più li è congiunto; →

  e sappi che ’l suo muovere è sì tosto

  45

  per l’affocato amore ond’ elli è punto.”

  E io a lei: “Se ’l mondo fosse posto →

  con l’ordine ch’io veggio in quelle rote,

  48

  sazio m’avrebbe ciò che m’è proposto;

  ma nel mondo sensibile si puote

  veder le volte tanto più divine,

  51

  quant’ elle son dal centro più remote.

  Onde, se ’l mio disir dee aver fine →

  in questo miro e angelico templo

  54

  che solo amore e luce ha per confine,

  udir convienmi ancor come l’essemplo →

  e l’essemplare non vanno d’un modo,

  57

  ché io per me indarno a ciò contemplo.”

  “Se li tuoi diti non sono a tal nodo →

  sufficïenti, non è maraviglia:

  60

  tanto, per non tentare, è fatto sodo!”

  Così la donna mia; poi disse: “Piglia

  quel ch’io ti dicerò, se vuo’ saziarti;

  63

  e intorno da esso t’assottiglia.

  Li cerchi corporai sono ampi e arti →

  secondo il più e ’l men de la virtute

  66

  che si distende per tutte lor parti.

  Maggior bontà vuol far maggior salute;

  maggior salute maggior corpo cape,

  69

  s’elli ha le parti igualmente compiute.

  Dunque costui che tutto quanto rape

  l’altro universo seco, corrisponde

  72

  al cerchio che più ama e che più sape: →

  per che, se tu a la virtù circonde

  la tua misura, non a la parvenza

  75

  de le sustanze che t’appaion tonde,

  tu vederai mirabil consequenza

  di maggio a più e di minore a meno,

  78

  in ciascun cielo, a süa intelligenza.”

  Come rimane splendido e sereno →

  l’emisperio de l’aere, quando soffia

  81

  Borea da quella guancia ond’ è più leno,

  per che si purga e risolve la roffia

  che pria turbava, sì che ’l ciel ne ride

  84

  con le bellezze d’ogne sua paroffia;

  così fec’ïo, poi che mi provide

  la donna mia del suo risponder chiaro,

  87

  e come stella in cielo il ver si vide. →

  E poi che le parole sue restaro, →

  non altrimenti ferro disfavilla

  90

  che bolle, come i cerchi sfavillaro.

  L’incendio suo seguiva ogne scintilla; →

  ed eran tante, che ’l numero loro

  93

  più che ’l doppiar de li scacchi s’inmilla.

  Io sentiva osannar di coro in coro →

  al punto fisso che li tiene a li ubi, →

  96

  e terrà sempre, ne’ quai sempre fuoro.

  E quella che vedëa i pensier dubi →

  ne la mia mente, disse: “I cerchi primi →

  99

  t’hanno mostrato Serafi e Cherubi.

  Così veloci seguono i suoi vimi,

  per somigliarsi al punto quanto ponno;

  102

  e posson quanto a veder son soblimi.

  Quelli altri amori che ’ntorno li vonno, → →

  si chiaman Troni del divino aspetto, →

  105

  per che ’l primo ternaro terminonno; →

  e dei saper che tutti hanno diletto →

  quanto la sua veduta si profonda

  108

  nel vero in che si queta ogne intelletto.

  Quinci si può veder come si fonda →

  l’esser beato ne l’atto che vede,

  111

  non in quel ch’ama, che poscia seconda;

  e del vedere è misura mercede, →

  che grazia partorisce e buona voglia:

  114

  così di grado in grado si procede.

  L’altro ternaro, che così germoglia → →

  in questa primavera sempiterna →

  117

  che notturno Arïete non dispoglia,

  perpetüalemente ‘Osanna’ sberna → →

  con tre melode, che suonano in tree

  120

  ordini di letizia onde s’interna.

  In essa gerarcia son l’altre dee: →

  prima Dominazioni, e poi Virtudi;

  123

  l’ordine terzo di Podestadi èe.

  Poscia ne’ due penultimi tripudi →

  Principati e Arcangeli si girano;

  126

  l’ultimo è d’Angelici ludi.

  Questi ordini di sù tutti s’ammirano, →

  e di giù vincon sì, che verso Dio →

  129

  tutti tirati sono e tutti tirano.

  E Dïonisio con tanto disio →

  a contemplar questi ordini si mise, →

  132

  che li nomò e distinse com’ io.

  Ma Gregorio da lui poi si divise; →

  onde, sì tosto come li occhi aperse

  135

  in questo ciel, di sé medesmo rise. →

  E se tanto secreto ver proferse →

  mortale in terra, non voglio ch’ammiri:

  ché chi ’l vide qua sù gliel discoperse

  139

  con altro assai del ver di questi giri.”

  PARADISO XXIX

  Quando ambedue li figli di Latona, → → →

  coperti del Montone e de la Libra,

  3

  fanno de l’orizzonte insieme zona,

  quant’ è dal punto che ’l cenìt inlibra →

  infin che l’uno e l’altro da quel cinto,

  6

  cambiando l’emisperio, si dilibra,

  tanto, col volto di riso dipinto, →

  si tacque Bëatrice, riguardando

  9

  fiso nel punto che m’avëa vinto. →

  Poi cominciò: “Io dico, e non dimando, →

  quel che tu vuoli udir, perch’ io l’ho visto

  12

  là ’ve s’appunta ogne ubi e ogne quando.

  Non per aver a sé di bene acquisto, →

  ch’esser non può, ma perché suo splendore

  15

  potesse, risplendendo, dir ‘Subsisto,’ →

  in sua etternità di tempo fore,

  fuor d’ogne altro comprender, come i piacque, →

  18

  s’aperse in nuovi amor l’etterno amore.

  Né prima quasi torpente si giacque; →

  ché né prima né poscia procedette

  21

  lo discorrer di Dio sovra quest’ acque.

  Forma e materia, congiunte e purette, → →

  usciro ad esser che non avia fallo,

  24

  come d’arco tricordo tre saette.

  E come in vetro, in ambra o in cristallo →

  raggio resplende sì, che dal venire →

  27

  a l’esser tutto non è intervallo,

  così ’l triforme effetto del suo sire

  ne l’esser suo raggiò insieme tutto

  30

  sanza distinzïone in essordire.

  Concreato fu ordine e costrutto → →

  a le sustanze; e quelle furon cima

  33

  nel mondo in che puro atto fu produtto;

  pura potenza tenne la parte ima;

  nel mezzo strinse potenza con atto

  36

  tal vime, che già mai non si divima.

  Ieronimo vi scrisse lungo tratto →

  di secoli de li angeli
creati

  39

  anzi che l’altro mondo fosse fatto;

  ma questo vero è scritto in molti lati

  da li scrittor de lo Spirito Santo,

  42

  e tu te n’avvedrai se bene agguati;

  e anche la ragione il vede alquanto, →

  che non concederebbe che ’ motori

  45

  sanza sua perfezion fosser cotanto.

  Or sai tu dove e quando questi amori → →

  furon creati e come: sì che spenti

  48

  nel tuo disïo già son tre ardori.

  Né giugneriesi, numerando, al venti →

  sì tosto, come de li angeli parte →

  51

  turbò il suggetto d’i vostri alimenti. →

  L’altra rimase, e cominciò quest’ arte →

  che tu discerni, con tanto diletto,

  54

  che mai da circüir non si diparte.

  Principio del cader fu il maladetto

  superbir di colui che tu vedesti

  57

  da tutti i pesi del mondo costretto.

  Quelli che vedi qui furon modesti →

  a riconoscer sé da la bontate

  60

  che li avea fatti a tanto intender presti:

  per che le viste lor furo essaltate →

  con grazia illuminante e con lor merto,

  63

  sì c’hanno ferma e piena volontate;

  e non voglio che dubbi, ma sia certo, →

  che ricever la grazia è meritorio →

  66

  secondo che l’affetto l’è aperto.

  Omai dintorno a questo consistorio

  puoi contemplare assai, se le parole

 

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