by Dante
39
per che l’occhio da presso nol sostenne, →
ma chinail giuso; e quei sen venne a riva
con un vasello snelletto e leggero,
42
tanto che l’acqua nulla ne ’nghiottiva. →
Da poppa stava il celestial nocchiero,
tal che faria beato pur descripto; →
45
e più di cento spirti entro sediero. →
“In exitu Isräel de Aegypto” →
cantavan tutti insieme ad una voce
48
con quanto di quel salmo è poscia scripto.
Poi fece il segno lor di santa croce; →
ond’ ei si gittar tutti in su la piaggia:
51
ed el sen gì, come venne, veloce.
La turba che rimase lì, selvaggia →
parea del loco, rimirando intorno
54
come colui che nove cose assaggia.
Da tutte parti saettava il giorno →
lo sol, ch’avea con le saette conte
57
di mezzo ’l ciel cacciato Capricorno,
quando la nova gente alzò la fronte
ver’ noi, dicendo a noi: “Se voi sapete,
60
mostratene la via di gire al monte.” →
E Virgilio rispuose: “Voi credete
forse che siamo esperti d’esto loco;
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ma noi siam peregrin come voi siete. →
Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco,
per altra via, che fu sì aspra e forte, →
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che lo salire omai ne parrà gioco.” →
L’anime, che si fuor di me accorte,
per lo spirare, ch’i’ era ancor vivo,
69
maravigliando diventaro smorte. →
E come a messagger che porta ulivo →
tragge la gente per udir novelle,
72
e di calcar nessun si mostra schivo,
così al viso mio s’affisar quelle
anime fortunate tutte quante,
75
quasi oblïando d’ire a farsi belle.
Io vidi una di lor trarresi avante →
per abbracciarmi, con sì grande affetto,
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che mosse me a far lo somigliante.
Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto! →
tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
81
e tante mi tornai con esse al petto.
Di maraviglia, credo, mi dipinsi;
per che l’ombra sorrise e si ritrasse, →
84
e io, seguendo lei, oltre mi pinsi.
Soavemente disse ch’io posasse; →
allor conobbi chi era, e pregai
87
che, per parlarmi, un poco s’arrestasse.
Rispuosemi: “Così com’ io t’amai
nel mortal corpo, così t’amo sciolta:
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però m’arresto; ma tu perché vai?”
“Casella mio, per tornar altra volta →
là dov’ io son, fo io questo vïaggio,”
93
diss’ io; “ma a te com’ è tanta ora tolta?” →
Ed elli a me: “Nessun m’è fatto oltraggio, →
se quei che leva quando e cui li piace,
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più volte m’ha negato esto passaggio;
ché di giusto voler lo suo si face:
veramente da tre mesi elli ha tolto
99
chi ha voluto intrar, con tutta pace.
Ond’ io, ch’era ora a la marina vòlto
dove l’acqua di Tevero s’insala,
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benignamente fu’ da lui ricolto.
A quella foce ha elli or dritta l’ala,
però che sempre quivi si ricoglie
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qual verso Acheronte non si cala.”
E io: “Se nuova legge non ti toglie →
memoria o uso a l’amoroso canto
108
che mi solea quetar tutte mie doglie,
di ciò ti piaccia consolare alquanto
l’anima mia, che, con la sua persona
111
venendo qui, è affannata tanto!” →
“Amor che ne la mente mi ragiona” →
cominciò elli allor sì dolcemente, →
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che la dolcezza ancor dentro mi suona.
Lo mio maestro e io e quella gente
ch’eran con lui parevan sì contenti,
117
come a nessun toccasse altro la mente.
Noi eravam tutti fissi e attenti →
a le sue note; ed ecco il veglio onesto
120
gridando: “Che è ciò, spiriti lenti?
qual negligenza, quale stare è questo?
Correte al monte a spogliarvi lo scoglio
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ch’esser non lascia a voi Dio manifesto.” →
Come quando, cogliendo biado o loglio, →
li colombi adunati a la pastura,
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queti, sanza mostrar l’usato orgoglio,
se cosa appare ond’ elli abbian paura,
subitamente lasciano star l’esca,
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perch’ assaliti son da maggior cura;
così vid’ io quella masnada fresca
lasciar lo canto, e fuggir ver’ la costa,
com’ om che va, né sa dove rïesca;
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né la nostra partita fu men tosta. →
PURGATORIO III
Avvegna che la subitana fuga →
dispergesse color per la campagna,
3
rivolti al monte ove ragion ne fruga,
I’ mi ristrinsi a la fida compagna:
e come sare’ io sanza lui corso?
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chi m’avria tratto su per la montagna?
El mi parea da sé stesso rimorso: →
o dignitosa coscïenza e netta,
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come t’è picciol fallo amaro morso!
Quando li piedi suoi lasciar la fretta, →
che l’onestade ad ogn’ atto dismaga,
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la mente mia, che prima era ristretta, →
lo ’ntento rallargò, sì come vaga,
e diedi ’l viso mio incontr’ al poggio
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che ’nverso ’l ciel più alto si dislaga. →
Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio, →
rotto m’era dinanzi a la figura,
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ch’avëa in me de’ suoi raggi l’appoggio.
Io mi volsi dallato con paura →
d’essere abbandonato, quand’ io vidi
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solo dinanzi a me la terra oscura;
e ’l mio conforto: “Perché pur diffidi?” →
a dir mi cominciò tutto rivolto;
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“non credi tu me teco e ch’io ti guidi?
Vespero è già colà dov’ è sepolto →
lo corpo dentro al quale io facea ombra;
27
Napoli l’ha, e da Brandizio è tolto. →
Ora, se innanzi a me nulla s’aombra, →
non ti maravigliar più che d’i cieli
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che l’uno a l’altro raggio non ingombra.
A sofferir tormenti, caldi e geli →
simili corpi la Virtù dispone
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che, come fa, non vuol ch’a noi si sveli.
Matto è chi spera che nostra ragione →
possa trascorrer la infinita via
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che tiene una sustanza in tre persone.
State contenti, umana gente, al quia; →
ché, se potuto aveste veder tutto, →
39
mestier non era parturir Maria;
e disïar vedeste sanza frutto →
tai che sarebbe lor dis
io quetato,
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ch’etternalmente è dato lor per lutto:
io dico d’Aristotile e di Plato
e di molt’ altri”; e qui chinò la fronte,
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e più non disse, e rimase turbato.
Noi divenimmo intanto a piè del monte; →
quivi trovammo la roccia sì erta,
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che ’ndarno vi sarien le gambe pronte.
Tra Lerice e Turbìa la più diserta, →
la più rotta ruina è una scala,
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verso di quella, agevole e aperta.
“Or chi sa da qual man la costa cala,” →
disse ’l maestro mio fermando ’l passo,
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“sì che possa salir chi va sanz’ ala?”
E mentre ch’e’ tenendo ’l viso basso
essaminava del cammin la mente,
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e io mirava suso intorno al sasso,
da man sinistra m’apparì una gente →
d’anime, che movieno i piè ver’ noi,
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e non pareva, sì venïan lente.
“Leva,” diss’ io, “maestro, li occhi tuoi: →
ecco di qua chi ne darà consiglio,
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se tu da te medesmo aver nol puoi.”
Guardò allora, e con libero piglio
rispuose: “Andiamo in là, ch’ei vegnon piano;
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e tu ferma la spene, dolce figlio.”
Ancora era quel popol di lontano,
i’ dico dopo i nostri mille passi,
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quanto un buon gittator trarria con mano,
quando si strinser tutti ai duri massi
de l’alta ripa, e stetter fermi e stretti
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com’ a guardar, chi va dubbiando, stassi. →
“O ben finiti, o già spiriti eletti,” →
Virgilio incominciò, “per quella pace
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ch’i’ credo che per voi tutti s’aspetti,
ditene dove la montagna giace,
sì che possibil sia l’andare in suso;
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ché perder tempo a chi più sa più spiace.”
Come le pecorelle escon del chiuso →
a una, a due, a tre, e l’altre stanno
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timidette atterrando l’occhio e ’l muso;
e ciò che fa la prima, e l’altre fanno,
addossandosi a lei, s’ella s’arresta,
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semplici e quete, e lo ’mperché non sanno;
sì vid’ io muovere a venir la testa
di quella mandra fortunata allotta,
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pudica in faccia e ne l’andare onesta.
Come color dinanzi vider rotta
la luce in terra dal mio destro canto,
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sì che l’ombra era da me a la grotta,
restaro, e trasser sé in dietro alquanto,
e tutti li altri che venieno appresso,
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non sappiendo ’l perché, fenno altrettanto. →
“Sanza vostra domanda io vi confesso →
che questo è corpo uman che voi vedete;
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per che ’l lume del sole in terra è fesso.
Non vi maravigliate, ma credete
che non sanza virtù che da ciel vegna
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cerchi di soverchiar questa parete.”
Così ’l maestro; e quella gente degna
“Tornate,” disse, “intrate innanzi dunque,” →
102
coi dossi de la man faccendo insegna.
E un di loro incominciò: “Chiunque →
tu se’, così andando, volgi ’l viso:
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pon mente se di là mi vedesti unque.”
Io mi volsi ver’ lui e guardail fiso:
biondo era e bello e di gentile aspetto, →
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ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso.
Quand’ io mi fui umilmente disdetto
d’averlo visto mai, el disse: “Or vedi”;
111
e mostrommi una piaga a sommo ’l petto. →
Poi sorridendo disse: “Io son Manfredi, →
nepote di Costanza imperadrice; →
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ond’ io ti priego che, quando tu riedi,
vadi a mia bella figlia, genetrice
de l’onor di Cicilia e d’Aragona,
117
e dichi ’l vero a lei, s’altro si dice. →
Poscia ch’io ebbi rotta la persona
di due punte mortali, io mi rendei,
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piangendo, a quei che volontier perdona.
Orribil furon li peccati miei; →
ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
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che prende ciò che si rivolge a lei.
Se ’l pastor di Cosenza, che a la caccia →
di me fu messo per Clemente allora,
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avesse in Dio ben letta questa faccia,
l’ossa del corpo mio sarieno ancora
in co del ponte presso a Benevento,
129
sotto la guardia de la grave mora.
Or le bagna la pioggia e move il vento →
di fuor dal regno, quasi lungo ’l Verde, →
132
dov’ e’ le trasmutò a lume spento.
Per lor maladizion sì non si perde,
che non possa tornar, l’etterno amore,
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mentre che la speranza ha fior del verde.
Vero è che quale in contumacia more
di Santa Chiesa, ancor ch’al fin si penta,
138
star li convien da questa ripa in fore,
per ognun tempo ch’elli è stato, trenta, →
in sua presunzïon, se tal decreto
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più corto per buon prieghi non diventa.
Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto,
revelando a la mia buona Costanza →
come m’hai visto, e anco esto divieto;
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ché qui per quei di là molto s’avanza.”
PURGATORIO IV
Quando per dilettanze o ver per doglie, →
che alcuna virtù nostra comprenda,
3
l’anima bene ad essa si raccoglie,
par ch’a nulla potenza più intenda;
e questo è contra quello error che crede
6
ch’un’anima sovr’ altra in noi s’accenda.
E però, quando s’ode cosa o vede
che tegna forte a sé l’anima volta,
9
vassene ’l tempo e l’uom non se n’avvede;
ch’altra potenza è quella che l’ascolta,
e altra è quella c’ha l’anima intera:
12
questa è quasi legata e quella è sciolta.
Di ciò ebb’ io esperïenza vera,
udendo quello spirto e ammirando;
15
ché ben cinquanta gradi salito era
lo sole, e io non m’era accorto, quando →
venimmo ove quell’ anime ad una
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gridaro a noi: “Qui è vostro dimando.”
Maggiore aperta molte volte impruna →
con una forcatella di sue spine
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l’uom de la villa quando l’uva imbruna,
che non era la calla onde salìne
lo duca mio, e io appresso, soli,
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come da noi la schiera si partìne.
Vassi in Sanleo e discendesi in Noli,
montasi su in Bismantova e ’n Cacume →
27
con esso i piè; ma qui convien ch’om voli;
dico con l’ale snelle e con le piume
del gran disio, di retro a quel condotto
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che speranza mi dava e facea lume.
Noi salavam per entro ’l sasso rotto,
e d’ogne lato ne stringea lo stremo,
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e piedi e man volea il suol di sotto.
Poi che noi fummo in su l’orlo suppremo
de l’alta ripa, a la scoperta piaggia,
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“Maestro mio,” diss’ io, “che via faremo?”
Ed elli a me: “Nessun tuo passo caggia; →
pur su al monte dietro a me acquista,
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fin che n’appaia alcuna scorta saggia.”
Lo sommo er’ alto che vincea la vista,
e la costa superba più assai →
42
che da mezzo quadrante a centro lista.
Io era lasso, quando cominciai:
“O dolce padre, volgiti, e rimira
45
com’ io rimango sol, se non restai.”
“Figliuol mio,” disse, “infin quivi ti tira,”
additandomi un balzo poco in sùe
48
che da quel lato il poggio tutto gira.
Sì mi spronaron le parole sue,
ch’i’ mi sforzai carpando appresso lui, →
51
tanto che ’l cinghio sotto i piè mi fue.
A seder ci ponemmo ivi ambedui →
vòlti a levante ond’ eravam saliti,
54
che suole a riguardar giovare altrui.
Li occhi prima drizzai ai bassi liti; →
poscia li alzai al sole, e ammirava
57
che da sinistra n’eravam feriti.
Ben s’avvide il poeta ch’ïo stava →
stupido tutto al carro de la luce,