Sussurri

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Sussurri Page 6

by Dean Koontz


  Agli occhi di Anthony Clemenza, era sufficiente osser­vare i clienti del Paradise per farsene un'idea. Le donne più belle e gli uomini più affascinanti sedevano impettiti sugli sgabelli del bar o a microscopici tavolini, con le gambe accavallate in modo perfettamente geometrico, i go­miti appena piegati, in posa per mostrare i tratti regolari del viso e il corpo muscoloso; davano l'impressione di ele­ganti strutture angolari mentre si studiavano e si corteggia­vano l'un l'altro. Le persone meno attraenti della crème de la crème, ma comunque innegabilmente piacenti, avevano la tendenza a sedersi in posizione meno regale, cercando di mascherare con un'aria rilassata la mancanza di forma fì­sica. Il loro atteggiamento parlava chiaro: Qui sono perfet­tamente a mio agio, mi sento tranquillo, non mi faccio im­pressionare da quelle stupende ragazze impettite o da quei ragazzotti muscolosi, ho fiducia in me stesso e nella mia persona. Gli appartenenti a quel gruppo si muovevano, cercando di apparire aggraziati e disinvolti, usando le mor­bide rotondità del corpo per nascondere eventuali imperfe­zioni fisiche. Nel bar c'era poi un terzo gruppo, il più nu­meroso, composto da persone assolutamente normali, né belle né brutte, che si accalcavano con aria ansiosa negli angoli o sfrecciavano da un tavolo all'altro scambiandosi sorrisi a trentadue denti o battutine nervose, preoccupate solo di trovare qualcuno che le accettasse per quello che erano.

  Che tristezza si respira qui dentro, pensò Tony Cle­menza. Oscure zone di desideri non appagati. Una scac­chiera di solitudini. Una quieta disperazione in un turbinio di colori.

  Ma lui e Frank Howard non erano certo andati lì per studiare le impressioni legate al tramonto e ai frequentatori del bar. Erano alla ricerca di una traccia che li portasse a Bobby "Angel" Valdez.

  In aprile, Bobby Valdez era uscito di prigione dopo aver scontato sette anni e pochi mesi di una condanna a quin­dici anni per violenza e omicidio. La sua liberazione si era rivelata un grave errore.

  Otto anni prima Bobby aveva violentato tre donne a Los Angeles, ma probabilmente era responsabile di sedici casi di stupro. La polizia aveva raccolto le prove su tre casi, ma c'erano forti sospetti anche per quanto riguardava gli altri. Una notte, Bobby aveva avvicinato una donna in un po­steggio, l'aveva obbligata a salire in macchina sotto la mi­naccia di una pistola, l'aveva condotta in una strada polve­rosa sulle colline di Hollywood, le aveva strappato i vestiti di dosso, l'aveva violentata ripetutamente, poi l'aveva spinta giù dalla macchina e si era allontanato. Ma aveva posteggiato sul ciglio della strada che si apriva direttamente su un precipizio. La donna, scaraventata nuda fuori della macchina, aveva perso l'equilibrio ed era caduta lungo la scarpata. Era finita su una palizzata semidistrutta. Una pa­lizzata in legno completamente scheggiata, con del filo spi­nato arrugginito. Le spine del filo le avevano lacerato il corpo e uno spuntone di legno scolorito e frastagliato del diametro di dieci centimetri le aveva trafitto la pancia, im­palandola. Mentre sottostava ai desideri di Bobby all'in­terno della macchina, era riuscita ad afferrare una minu­scola ricevuta di un acquisto pagato con la carta di credito e, rendendosi conto della sua importanza, lo aveva tenuto stretto mentre precipitava verso la staccionata, incontro alla morte. Inoltre, la polizia aveva appreso che la vittima indossava solo un particolare tipo di mutandine, un regalo del suo ragazzo. All'interno di ogni paio, la ragazza aveva ricamato la scritta: proprietà di harry. Un paio di quelle mutandine sudicie e strappate erano state ritrovate nella collezione di biancheria rinvenuta nell'appartamento di Bobby. Quel particolare e il foglietto di carta che la vittima stringeva in mano avevano portato all'arresto di Valdez.

  Sfortunatamente per gli abitanti della California, le cir­costanze sembrarono agire in favore di Bobby. Gli agenti avevano commesso un insignificante errore di procedura al momento dell'arresto, proprio il genere di cose che nor­malmente portano i giudici a pronunciare un'appassionata arringa sui diritti costituzionali. A quell'epoca il procura­tore, un certo Kooperhausen, era occupato a difendersi dall'accusa di corruzione politica. Consapevole del fatto che un atteggiamento scorretto al momento dell'arresto avrebbe potuto mettere in pericolo l'intero sistema giudi­ziario, e preoccupato di salvarsi il culo evitando uno scandalo, il procuratore accettò la proposta dell'avvocato difen­sore e giudicò Bobby colpevole di tre casi di stupro e di un omicidio, lasciando cadere tutti gli altri capi d'accusa. Molti detective della squadra omicidi, fra cui Tony Cle­menza, ritenevano che Kooperhausen avrebbe dovuto fare il possibile e condannarlo per omicidio di secondo grado, rapimento, violenza e sodomia. Le prove erano schiac­cianti. Tutto sembrava essere contro Bobby, ma il destino l'aveva inaspettatamente aiutato.

  Bobby era tornato un uomo libero.

  Ma non per molto, pensò Tony.

  In maggio, un mese dopo essere stato rilasciato, Bobby "Angel" Valdez non si era presentato all'incontro con l'a­gente di polizia. Aveva abbandonato il vecchio apparta­mento senza compilare i documenti necessari e senza pre­sentarli alle autorità. Era svanito nel nulla.

  In giugno, aveva ricominciato a violentare. Detto, fatto. Così come si riprende a fumare dopo essere riusciti a smet­tere per alcuni anni. Come rinasce l'interesse per un vec­chio hobby. Aveva molestato due donne in giugno. Due in luglio. Tre in agosto. Altre due nei primi dieci giorni di settembre. Dopo ottantotto mesi passati dietro le sbarre, Bobby desiderava ardentemente la carne di una donna: era un bisogno insaziabile.

  La polizia era convinta che quei nove crimini e forse an­che molti altri mai denunciati fossero opera dello stesso in­dividuo, ed erano altrettanto sicuri che il responsabile fosse Bobby Valdez. Innanzitutto, tutte le donne erano state av­vicinate nello stesso modo. L'uomo faceva la sua comparsa mentre le vittime scendevano dalla macchina da sole, di notte, in un posteggio. Dopo aver puntato la pistola alla schiena oppure sulla pancia, lui esclamava: "Sono un sim­paticone. Vieni a festeggiare con me e non ti farò del male, ma, se rifiuti, ti farò saltare le cervella. Se starai al gioco, non avrai nulla da temere. Sono un gran simpaticone." Ri­peteva praticamente la stessa cosa ogni volta e le vittime ri­cordavano bene quelle frasi un po' strane, pronunciate con la voce acuta e quasi femminea di Bobby. Era lo stesso tipo di approccio che Bobby aveva usato più di otto anni prima, quando aveva iniziato la sua carriera di violentatore.

  Inoltre, le nove vittime avevano fornito descrizioni in­credibilmente simili dell'uomo che le aveva violentate. Snello. Meno di 1.75. Circa settanta chili. Carnagione scura. Fossetta sul mento. Occhi e capelli scuri. Vocetta stridula. Alcuni dei suoi amici lo chiamavano "Angel" a causa del tono di voce e del bel visino da bimbo. Bobby aveva trent'anni ma ne dimostrava sedici. Le nove vittime avevano visto in faccia il loro aggressore e avevano riferito che assomigliava a un bambino ma si comportava come un maniaco intelligente e crudele.

  Il capo barman del Paradise ordinò ai suoi due aiutanti di continuare senza di lui ed esaminò le tre foto segnaleti­che di Bobby Valdez che Frank Howard aveva appoggiato sul bancone. Si chiamava Otto. Era un bell'uomo, abbron­zato e con la barba. Indossava un paio di pantaloni bianchi e una camicia azzurra con i primi tre bottoni slacciati. Il to­race scuro era coperto di peli biondi. Attorno al collo por­tava una catena d'oro con un dente di pescecane. Alzò lo sguardo verso Frank e corrugò la fronte. "Non sapevo che la polizia di Los Angeles avesse giurisdizione a Santa Mo­nica."

  "Abbiamo ottenuto l'autorizzazione dal dipartimento di polizia di Santa Monica," spiegò Tony.

  "Eh?"

  "La polizia di Santa Monica sta collaborando con noi in questo caso," proseguì Frank impaziente. "Allora, ha mai visto questo tipo?"

  "Sì, certo. È stato qui un paio di volte," rispose Otto.

  "Quando?" chiese Frank.

  "Oh... un mese fa. Forse di più."

  "Non si è visto negli ultimi tempi?"

  L'orchestra ritornò dopo una pausa di venti minuti e ini­ziò a suonare una canzone di Billy Joel.

  Otto alzò la voce per farsi sentire. "Non lo vedo da al­meno un mese. Il motivo per cui me lo ricordo è che non pensavo avesse l'età per bere alcolici. Gli ho chiesto di mostrarmi un doc
umento di identità e lui è andato su tutte le furie. Ha fatto una scenata."

  "Che genere di scenata?" domandò Frank.

  "Ha chiesto di vedere il direttore."

  "È tutto?" incalzò Tony.

  "Mi ha insultato pesantemente." Otto aveva uno sguardo inferocito. "E nessuno può permettersi di insultarmi così."

  Tony si mise una mano attorno all'orecchio per riuscire a decifrare le parole del barista nonostante la musica. Gli piacevano molto le canzoni di Billy Joel, ma non quando venivano suonate da un'orchestrina convinta che l'entusia­smo e gli amplificatori potessero supplire a uno scarso ta­lento musicale.

  "Quindi l'ha insultata," disse Frank. "E poi?"

  "Poi si è scusato."

  "Tutto qui? Chiede di vedere il direttore, la insulta e su­bito dopo si scusa?"

  "Sì."

  "Perché?"

  "Gliel'ho detto io," spiegò Otto.

  Frank si allungò sul bancone mentre la musica si trasfor­mava in un frastuono assordante. "Si è scusato semplice­mente perché gliel'ha chiesto lei?"

  "Be'... all'inizio voleva fare a botte."

  "E vi siete picchiati?" chiese Tony.

  "No. Anche se arrivasse qui il peggiore figlio di puttana rompiballe di questo mondo, non mi abbasserei certo a toc­carlo per dargli una regolata."

  "Deve avere un carisma molto speciale," sbottò Frank.

  Il gruppo concluse il coro e il frastuono raggiunse un li­vello di decibel da far scoppiare le orecchie. Il cantante si esibì in una pessima imitazione di Billy Joel in un brano che ricordava il fragore di un temporale.

  Accanto a Tony era seduta una stupenda biondina con gli occhi verdi. Aveva ascoltato l'intera conversazione. A un certo punto disse: "Coraggio, Otto. Fagli vedere il tuo trucchetto."

  "È un mago?" chiese Tony a Otto. "Che cosa è in grado di fare? Forse fa scomparire i clienti troppo turbolenti?"

  "Si limita a spaventarli," proseguì la biondina. "È molto semplice. Coraggio, Otto. Fagli vedere."

  Otto si strinse nelle spalle, si chinò sotto il bancone e prese un boccale di birra. Lo alzò perché i presenti potes­sero osservarlo, come se non ne avessero mai visto uno prima di allora. Poi lo addentò. Afferrò con i denti il bordo e ne staccò un pezzo, si girò e sputò il frammento tagliènte nel cestino dell'immondizia.

  L'orchestra esplose con l'ultimo coro della canzone e re­galò al pubblico un attimo di silenzio misericordioso. Nel­l'improvvisa pace fra l'ultima nota e lo scroscio di applausi, Tony udì il boccale di birra che scricchiolava mentre Otto addentava un altro boccone.

  "Cristo," sbottò Frank.

  La biondina si mise a ridacchiare.

  Otto continuò a masticare il vetro e a sputarne i fram­menti fino a quando il bicchiere fu ridotto al solo fondo, decisamente troppo duro per la dentatura e le mandibole di un uomo. Gettò quello che rimaneva del boccale nel ce­stino e sorrise. "Di solito mi metto a masticare il vetro pro­prio di fronte al tipo che sta causando qualche problema. Poi lo fìsso con aria minacciosa e gli suggerisco di darsi una calmata. E per finire, minaccio di staccargli quel fottutissimo naso con un morso."

  Frank Howard lo guardò, stupito. "E l'ha mai fatto?"

  "Che cosa? Morsicare il naso di qualcuno? No. Ma basta minacciarli per farli rigare diritto."

  "Capitano molto spesso tipi del genere?" domandò Frank.

  "No. Questo è un posto di classe. Può succedere una volta alla settimana, ma non di più."

  "Come ha fatto a imparare?" proseguì Tony.

  "A masticare il vetro? C'è un trucchetto. Non è molto difficile."

  L'orchestra attaccò con Still the Same di Bob Seeger come se fosse stata una banda di giovani delinquenti che ir­rompono in una bella casa con l'intenzione di distruggere tutto.

  "Non si è mai tagliato?" urlò Tony a Otto.

  "Ogni tanto. Ma non capita spesso. E non mi sono mai tagliato la lingua. L'abilità sta proprio in questo," spiegò Otto. "E io non me la sono mai tagliata."

  "Comunque si è ferito."

  "Certo. Qualche volta alle labbra. Ma raramente."

  "E comunque serve solo a rendere il trucco più efficace," continuò la biondina. "Dovreste vederlo quando si taglia! Otto rimane in piedi davanti al tizio che sta facendo casino e finge di non accorgersi che si è tagliato. E lascia scorrere il sangue." Gli occhi verdi della ragazza brillavano di gioia e Tony notò una scintilla di passione animale che lo fece sussultare sullo sgabello. "Rimane immobile con il sangue che gli cola sulla barba e nel frattempo ordina a quel tizio di piantarla di fare casino. Non avete idea della velocità con cui si calmano."

  "Ci credo," mormorò Tony. Si sentiva rivoltare lo sto­maco.

  Frank Howard scosse la testa e disse: "Bene..."

  "Già," fece eco Tony, senza riuscire ad aggiungere altro.

  Frank proseguì: "Okay... torniamo a Bobby Valdez" e in­dicò le foto segnaletiche appoggiate sul bancone.

  "Oh. Be', come vi ho già detto, è almeno un mese che non lo vedo."

  "Quella sera, dopo che si è arrabbiato con lei e dopo che gli ha dato una regolata con il trucchetto del boccale, è ri­masto qui a bere qualcosa?"

  "Gli ho servito un paio di drink."

  "Quindi le ha mostrato un documento d'identità?"

  "Sì."

  "Che cos'era? La patente?"

  "Esatto. Aveva trent'anni, santo cielo. Sembrava ancora un ragazzino delle medie, al massimo della prima supe­riore, invece aveva trent'anni."

  Frank chiese: "Si ricorda che nome era segnato sulla pa­tente?"

  Otto giocherellò con il dente di pescecane appeso al collo. "Il nome? Ma sapete già come si chiama."

  "Sto cercando di scoprire," spiegò Frank, "se le ha mo­strato una patente falsa."

  "Ma c'era la sua foto," aggiunse Otto.

  "Questo non significa che fosse autentica."

  "Ma non è possibile cambiare le foto sulle patenti della California. Ho sentito dire che il documento si autodi­strugge o roba del genere se qualcuno cerca di falsificarlo."

  "Forse l'intero documento era contraffatto."

  "Credenziali contraffatte," ripetè Otto, visibilmente inte­ressato. "Credenziali contraffatte..." Chiaramente, aveva vi­sto almeno duecento vecchi film di spionaggio alla televi­sione. "Ma di che cosa si tratta? È una specie di spia?"

  "Qui c'è qualcosa che non va," si lamentò Frank in tono impaziente.

  "Eh?"

  "Dovremmo essere noi a fare le domande," precisò Frank. "Si limiti a rispondere. Ha capito?"

  Il barista apparteneva al genere di persone che reagi­scono d'istinto e negativamente a un poliziotto energico. Si scurì in volto e negli occhi apparve uno sguardo assente.

  Rendendosi conto che stavano per perdere Otto quando probabilmente aveva ancora qualcosa di importante da dire, Tony appoggiò una mano sulla spalla di Frank e gliela strinse delicatamente. "Non vorrai che ricominci a man­giucchiarsi il bicchiere, vero?"

  "A me piacerebbe vederlo di nuovo," bofonchiò la bion­dina, ridacchiando.

  "Preferisci fare a modo tuo?" chiese Frank a Tony.

  "Certo."

  "Prego."

  Tony sorrise a Otto. "Senta, siamo tutti e tre molto curiosi. E non casca di certo il mondo se soddisfiamo la sua curiosità, a condizione che lei faccia lo stesso con noi."

  Otto sembrò risollevato. "E quello che dico anch'io."

  "Okay," disse Tony.

  "Okay. Che cos'ha fatto questo Bobby Valdez per dargli la caccia in questo modo?"

  "Ha violato le norme della libertà vigilata," spiegò Tony.

  "E accusato di aggressione," aggiunse Frank con rilut­tanza.

  "E di violenza," concluse Tony.

  "Ehi," sbottò Otto. "Voi due non avevate detto di essere della squadra Omicidi?"

  L'orchestra terminò Still the Same con un frastuono si­mile al deragliamento di un treno merci. Poi ci furono po­chi minuti di pace durante i quali il cantante conversò an­noiato con i clienti avvolti in nuvole di fumo che, Tony ne era sicuro, provenivano in
parte dalle sigarette e in parte dai timpani andati arrosto. I musicisti fingevano di accor­dare gli strumenti.

  "Quando Bobby Valdez si imbatte in una donna poco di­sposta a collaborare," spiegò Tony, "la colpisce con la pi­stola per renderla più partecipe. Cinque giorni fa, si è avvi­cinato alla vittima numero dieci ma la donna ha resistito. Bobby l'ha colpita sulla testa così forte e così tante volte che la poveretta è morta in ospedale dodici ore più tardi. Ed è per questo che se ne sta occupando la squadra Omi­cidi."

  "Quello che non capisco," si intromise la biondina, "è perché un uomo debba prendersi una donna con la forza quando ce ne sono così tante in giro disposte a darla via." Strizzò l'occhio a Tony che finse di non notarla.

  "Prima di morire," continuò Frank, "la donna ci ha for­nito una descrizione che calza a pennello per Bobby. Quindi se sa qualcosa su quel piccolo verme bastardo è me­glio che ce lo dica."

  Otto non aveva visto soltanto film di spionaggio. Si era sorbito anche la sua bella dose di telefilm polizieschi. Pre­cisò: "Quindi lo cercate per un caso di omicidio."

  "Omicidio, esatto," disse Tony.

  "Come avete fatto ad arrivare a me?"

  "Ha avvicinato sette di quelle dieci donne nei parcheggi di bar per single..."

  "Comunque non nel nostro posteggio," lo interruppe Otto cercando di difendersi. "È illuminato molto bene."

  "È vero," ammise Tony. "Ma stiamo setacciando tutti i bar per single della città. Parliamo con i baristi e con i clienti abituali, mostriamo le foto segnaletiche e cerchiamo di scoprire qualcosa su Bobby Valdez. Un paio di persone in un bar di Century City pensavano di averlo visto qui, ma non ne erano sicuri."

  "In effetti è stato qui," precisò Otto.

  Ora che Otto aveva abbassato la cresta, Frank cominciò a rivolgergli qualche domanda. "Quindi ha fatto un po' di casino, lei si è esibito nel suo trucchetto del boccale e alla fine lui le ha mostrato un documento di identità."

 

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