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Sussurri Page 16

by Dean Koontz


  "Non è difficile."

  "Per me sì. Non ci riesco."

  "Sono sicuro che potresti riuscirci."

  "Tu ci sai fare con la gente," spiegò Frank. "Io no."

  "Puoi sempre imparare."

  "Figurati. Va bene così com'è. Siamo la classica coppia: poliziotto-cattivo e poliziotto-buono. Con noi è ovvio che funzioni così."

  "Tu non sei un poliziotto cattivo."

  Frank non rispose. Quando si fermarono a un semaforo rosso proseguì: "E c'è un'altra cosa che vorrei dirti, anche se probabilmente non ti piacerà."

  "Sentiamo," lo esortò Tony.

  "Si tratta della donna di ieri sera."

  "Hilary Thomas?"

  "Sì. Ti piace, non è vero?"

  "Be'... certo. Mi sembra piuttosto carina."

  "Non è questo che intendo dire. Insomma, ti piaceva, le sbavavi dietro."

  "Oh, no. È una bella ragazza, ma io non..."

  "Non fare il santerellino con me. Ho notato il modo in cui la guardavi."

  Il semaforo diventò verde.

  Proseguirono in silenzio per un isolato.

  Alla fine Tony disse: "Hai ragione, ma non mi faccio certo incantare dalla prima ragazza carina che vedo. E tu lo sai."

  "A volte penso che tu sia un eunuco."

  "Hilary Thomas è... diversa. E non mi riferisco soltanto all'aspetto fisico. E molto bella, certo, ma non è solo quello. Mi piace il modo in cui si muove, il modo in cui si comporta. Mi piace stare ad ascoltarla. E non parlo del tono di voce. C'è qualcos'altro. Mi piace il suo modo di esprimersi e il suo modo di pensare."

  "Mi piace come donna," proseguì Frank, "ma il suo modo di pensare mi lascia indifferente."

  "Non stava mentendo," proseguì Tony.

  "Hai sentito che cosa ha detto lo sceriffo..."

  "Forse si è confusa su quanto le è realmente accaduto, ma non si è inventata quella storia di sana pianta. Probabil­mente ha visto qualcuno che somigliava a Frye e quindi..."

  Frank lo interruppe. "Quello che sto per dirti non ti pia­cerà di certo."

  "Ti ascolto."

  "Anche se ti ha fatto ribollire il sangue, non avevi il di­ritto di comportarti in quel modo."

  Tony lo guardò, confuso. "Che cos'ho fatto?"

  "In teoria dovresti appoggiare il tuo compagno in una si­tuazione del genere."

  "Non capisco."

  Frank aveva il viso paonazzo. Non si voltò verso Tony e continuò a fissare la strada. "Mentre la stavo interrogando, ti sei schierato dalla sua parte, contro di me."

  "Frank, io non volevo..."

  "Hai cercato di impedire che le fossero rivolte alcune domande che sapevo essere importanti."

  "Secondo me eri troppo duro con lei."

  "E allora avresti dovuto esprimere le tue opinioni in modo molto più velato. Con gli occhi. Con un gesto, un battito di ciglia. Di solito fai così. Ma per lei ti sei scagliato contro di me come un cavaliere della Tavola Rotonda."

  "Era appena uscita da un episodio molto doloroso e..."

  "Stronzate," lo interruppe Frank. "Non c'è stato alcun episodio doloroso. Si è inventata tutto!"

  "Continuo a non esserne convinto."

  "Perché pensi con le palle invece che con la testa."

  "Frank, non è vero. E non è giusto."

  "Se pensavi che mi stessi comportando in modo troppo brusco, perché non mi hai preso da parte e non mi hai chiesto che cosa avevo in mente?"

  "Ma te l'ho chiesto, Cristo!" sbottò Tony, non riuscendo a contenere la rabbia. "Te l'ho chiesto appena hai ricevuto la chiamata dalla Centrale, quando lei era ancora fuori a parlare con i giornalisti. Volevo sapere che cosa stava suc­cedendo, ma tu non hai voluto dirmelo."

  "Non credo che mi avresti ascoltato," rispose Frank. "Ormai eri partito per lei come un ragazzino alla sua prima cotta."

  "Sono stronzate e lo sai benissimo. Sono un poliziotto esattamente come te e non lascio che i sentimenti personali influenzino il mio lavoro. Ma sai una cosa? Secondo me è quello che stai facendo tu."

  "Facendo che cosa?"

  "Credo che ogni tanto i tuoi sentimenti personali in­fluenzino il tuo lavoro," spiegò Tony.

  "Di che diamine stai parlando?"

  "Hai l'abitudine di tenermi nascoste le informazioni quando scopri qualcosa di utile," disse Tony. "E ora che ci penso... lo fai solo quando c'è di mezzo una donna, quando hai per le mani un indizio che può essere usato per farle del male, qualcosa in grado di farla scoppiare a piangere. Eviti di parlarmene e poi glielo spiattelli di colpo in faccia, nel peggiore dei modi."

  "Ottengo sempre quello che voglio."

  "Ma normalmente esistono metodi più semplici e più gentili."

  "I tuoi metodi, immagino."

  "Due minuti fa hai ammesso che il mio sistema fun­ziona."

  Frank non disse nulla. Continuò a fissare le macchine che aveva davanti.

  "Vedi, Frank, qualsiasi cosa ti abbia fatto tua moglie con il divorzio, per quanto ti abbia fatto soffrire, non c'è mo­tivo per odiare tutte le donne che incontri."

  "Io non le odio."

  "Forse non a livello conscio, ma inconsciamente..."

  "Non tirare in ballo di nuovo quelle cazzate di Freud."

  "Okay. Va bene," mormorò Tony. "Ma sto rispondendo alla tua accusa con un'altra accusa. Hai detto che ieri sono stato poco professionale. E io ripeto che anche tu sei stato poco professionale. Siamo pari."

  Frank svoltò a destra su La Brea Avenue.

  Si fermarono a un altro semaforo.

  Diventò verde e proseguirono lentamente attraverso il traffico sempre più intenso.

  Nessuno dei due parlò per un paio di minuti.

  Finalmente Tony disse: "Nonostante i tuoi difetti, sei un poliziotto dannatamente in gamba."

  Frank lo guardò stupito.

  "Parlo sul serio," aggiunse Tony. "Fra noi esistono al­cune divergenze. Spesso ci prendiamo per il verso sba­gliato. Forse non riusciremo a lavorare insieme. Forse do­vremo chiedere di venire assegnati a compagni diversi. Ma è solo perché siamo fondamentalmente differenti. Anche se con la gente sei tre volte più brusco di quello che dovresti essere, sei comunque bravo nel tuo lavoro."

  Frank si schiarì la voce. "Be'... anche tu."

  "Grazie."

  "Anche se a volte sei un po' troppo... dolce."

  "E tu a volte sei un gran figlio di puttana."

  "Vuoi chiedere di cambiare compagno?"

  "Non lo so ancora."

  "Neanch'io."

  "Ma se non riusciamo ad andare d'accordo, può essere pericoloso continuare a lavorare insieme. Se fra due com­pagni l'atmosfera è tesa, si rischia di rimanere uccisi."

  "Lo so," ammise Frank. "Lo so bene. Il mondo è pieno di stronzi, drogati e pazzoidi armati. Devi lavorare con il tuo compagno come se facesse parte di te, come se fosse il tuo braccio. Se non lo fai, rischi di essere spazzato via."

  "Per questo dovremmo pensare seriamente se siamo adatti l'uno all'altro."

  "Già," mormorò Frank.

  Tony iniziò a controllare i numeri segnati sugli edifici. "Dovremmo quasi esserci."

  "Il posto dev'essere quello," esclamò Frank.

  L'indirizzo di Juan Mazquezza indicato sulla busta paga della Vee Vee Gee corrispondeva a un complesso condomi­niale di sedici palazzine in un isolato occupato da diversi esercizi commerciali, pompe di benzina, un piccolo motel, un negozio di pneumatici e uno di generi alimentari aperto ventiquattr'ore su ventiquattro. Da lontano, i condomini sembravano nuovi e lussuosi, ma osservandoli più da vicino saltavano all'occhio segni di decadimento e di trascura­tezza. I muri esterni avevano bisogno di una nuova mano di intonaco. Anche le scale di legno, le ringhiere e le porte dovevano essere ridipinte. Il cartello posto all'entrata, indi­cante Appartamenti Las Palmeras, era stato mezzo distrutto da un'automobile, ma non era mai stato sostituito. Il com­plesso Las Palmeras faceva una bella impressione da lon­tano, perché era immerso nel verde che nascondeva le fac­ciate rovinate degli edifici. Ma persino i giardini, se osser­vati da vicino, tradiv
ano quell'aria di abbandono che carat­terizzava Las Palmeras; l'erba non veniva tagliata da tempo, gli alberi erano spogli e i cespugli avevano bisogno di una bella potata.

  Las Palmeras era chiaramente un luogo di passaggio e le poche auto parcheggiate confermavano quell'impressione. Fra queste, due luccicanti macchine nuove facevano bella mostra di sé. Sicuramente appartenevano a ragazzi che le consideravano un autentico status symbol. Una Ford vec­chia e arrugginita, con le gomme sgonfie, era stata abban­donata e risultava ormai inutilizzabile. Accanto a questa, era parcheggiata una Mercedes scintillante che portava però i segni del tempo: sul parafango posteriore spiccava un'ammaccatura ormai arrugginita. In tempi migliori, il proprietario si era potuto permettere un'auto da venticinquemila dollari, ma ora sembrava non avesse nemmeno i duecento dollari necessari per pagare il carrozziere. Las Palmeras era un luogo per gente di passaggio. Per alcuni era solo una tappa nella scalata alla ricchezza e al successo. Per altri era l'ultimo gradino prima di cadere nella rovina più totale.

  Mentre Frank parcheggiava vicino all'abitazione dell'amministratore, Tony si rese conto che Las Palmeras era una metafora di Los Angeles. Quella Città degli Angeli era forse la zona più ricca di opportunità che fosse mai esistita. Il giro di denaro era incredibile ed esistevano migliaia di modi per farsi un considerevole gruzzolo. Los Angeles pro­duceva così tante storie di successo da poter riempire tutte le pagine di un quotidiano. Ma la stupefacente affluenza di persone portava anche un'incredibile varietà di strumenti per l'autodistruzione facilmente reperibili. Qualsiasi genere di droga poteva essere trovato e acquistato più facilmente e velocemente a Los Angeles che a Boston, New York, Chicago o Detroit. Erba, hashish, eroina, cocaina, eccitanti, tranquillanti, lsd, pcp... La città era un supermercato di droghe. Anche il sesso era decisamente troppo libero. A Los Angeles i principi vittoriani e i tabù erano crollali più velocemente che in ogni altra parte del paese, considerato anche che il paese era il centro della musica rock e il sesso era parte integrante di quel mondo. Ma molti altri fattori avevano contribuito a scatenare la libido del californiano medio. Persino il clima ci aveva messo lo zampino: le calde giornate di afa, la luce accecante, i venti del deserto e del­l'oceano avevano un forte potere erotico. Il temperamento latino degli immigrati messicani aveva lasciato un segno sulla popolazione californiana. Ma forse, più di tutto, in California ci si sentiva al polo estremo del mondo, occiden­tale, sulla soglia di un mondo sconosciuto, di fronte a un abisso di mistero. Raramente ci si rendeva conto di tale confine culturale, a livello cosciente, ma l'inconscio era da tempo imbevuto di quella consapevolezza, di quella sensa­zione esilarante e a volte persino spaventosa. In qualche modo la combinazione di quegli elementi vinceva le inibi­zioni ed eccitava le gonadi. Naturalmente, una visione del sesso senza sensi di colpa era più che salutare, ma in alcuni ambienti di Los Angeles, dove persino gli appetiti carnali più bizzarri venivano facilmente soddisfatti, si correva il ri­schio di diventare sesso-dipendenti. Tony l'aveva visto con i propri occhi. Esistevano persone, tipi particolari, che decidevano di gettare via ogni cosa, denaro, rispetto per se stessi e reputazione per abbandonarsi ai piaceri della carne e ai brevi attimi di eccitazione godereccia. A chi non riu­sciva a umiliarsi e rovinarsi con il sesso e la droga, Los An­geles offriva una varietà incredibile di religioni e di movimenti politici votati alla violenza. E, naturalmente, Las Vegas era a solo un'ora di distanza a bordo di regolari voli a tariffa economica, o addirittura gratuiti per chi riusciva a farsi passare per un ricco giocatore incallito. Tutti quegli strumenti di autodistruzione erano stati prodotti da quell'incredibile afflusso di persone. Con la sua ricchezza e la sua allegra celebrazione della libertà, Los Angeles offriva sia la mela dorata sia quella avvelenata: era un luogo di passaggio per l'ascesa alle stelle o la discesa agli inferi. Du­rante la loro scalata, alcune persone si fermavano in luoghi come Las Palmeras, afferravano la mela, si trasferivano a Bel Air, Beverly Hills, Malibù o in qualche altra località sulla costa occidentale e vivevano felici e contenti. Altri as­saggiavano il frutto avvelenato durante la parabola discen­dente e si fermavano a Las Palmeras senza sapere come e perché ci fossero finiti.

  L'amministratrice di quella palazzina, per esempio, sem­brava non capire che cosa l'avesse condotta in quel posto. Si chiamava Lana Haverby. Era una donna sulla quaran­tina, con i capelli biondi, la pelle abbronzata e indossava un paio di short e un top. Era molto sicura della propria sensualità. Camminava, si fermava e si sedeva come se fosse costantemente in posa. Le gambe non erano male, ma tutto il resto era ben lungi dall'essere attraente. Sembrava non rendersi conto di quanto fosse grossa: i fianchi e il sedere erano decisamente troppo abbondanti per quegli abiti succinti. Il seno era così prosperoso da risultare grottesco più che attraente. La maglietta aderente metteva in risalto quelle due montagne e sottolineava i grandi capezzoli tur­gidi, ma sicuramente non dava al seno la forma e il soste­gno di cui avrebbe avuto bisogno. Quando non cambiava posizione, quando non cercava di valutare l'effetto che il suo corpo esercitava su Frank e Tony, sembrava confusa, distratta. Lo sguardo vagava da un punto all'altro. Aveva la tendenza a non finire le frasi. E continuava a guardarsi at­torno nel salotto buio per osservare quei mobili malandati con espressione meravigliata, come se non avesse idea di come fosse capitata in quel luogo e da quanto tempo ci abi­tasse. Alzava la testa come se si aspettasse una spiegazione da voci misteriose.

  Lana Haverby si sedette su una sedia e i due poliziotti sul divano. La donna osservò la foto di Bobby Valdez.

  "Sì," disse. "Era un tesoro."

  "Abita qui?" domandò Frank.

  "Abitava... sì. Appartamento nove... se non sbaglio. Ma non ci sta più."

  "Se n'è andato?"

  "Già."

  "Quando?"

  "Quest'estate. Mi sembra che fosse..."

  "Quando?" incalzò Tony.

  "Il primo di agosto," affermò Lana.

  Accavallò le gambe nude, raddrizzò le spalle per spin­gere in fuori il seno il più possibile.

  "Per quanto tempo è rimasto qui?" chiese Frank.

  "Mi sembra tre mesi."

  "Viveva solo?"

  "Vuole sapere se aveva la ragazza?"

  "Una ragazza, un ragazzo, chiunque," sbottò Frank.

  "Era solo," rispose Lana. "Ed era un tesoro, sapete?"

  "Ha lasciato l'indirizzo?"

  "No. Ma vorrei lo avesse fatto."

  "Perché? Se l'è svignata senza pagare l'affitto?"

  "No. Niente del genere. È solo che mi piacerebbe sapere dove..."

  Abbassò la testa, ascoltando di nuovo quei sussurri.

  "Dove che cosa?" chiese Tony.

  La donna sbattè le palpebre. "Oh... vorrei proprio sa­pere dove abita per andare a trovarlo. Insomma, quel tipo mi prendeva. Mi eccitava. Mi faceva ribollire il sangue. Ho cercato di portarmelo a letto ma, vedete, era, be', un po' ti­mido."

  Non aveva chiesto perché stavano cercando Bobby Val­dez, alias Juan Mazquezza. Tony si domandò che cosa avrebbe detto se avesse saputo che il suo tesoruccio timido era in realtà uno stupratore violento e aggressivo.

  "Riceveva qualche visita regolare?"

  "Juan? No, che io sappia."

  Rimase seduta con le gambe aperte e osservò la reazione di Tony.

  "Le ha detto dove lavorava?" proseguì Frank.

  "Quando è arrivato, lavorava in una lavanderia. Poi deve aver cambiato posto."

  "Le ha spiegato dove?"

  "No. Comunque stava facendo i soldi."

  "Aveva una macchina?" chiese Frank.

  "All'inizio no. Ma poi si è preso una Jaguar. Era bellis­sima."

  "E molto costosa," aggiunse Frank.

  "Sì. L'ha pagata un bel mucchio di dollari e tutta in bigliettoni."

  "E dove ha preso tutti quei soldi?"

  "Ve l'ho già detto. Guadagnava molto bene con il suo nuovo lavoro."

  "E proprio sicura di non sapere che cosa facesse?"

  "Assolutamente. Non ne ha mai parlato. Ma sapete una cosa? Appena ho visto la Jaguar ho capit
o... che non si sa­rebbe fermato qui a lungo," spiegò. "Sapevo che se ne sa­rebbe andato di lì a poco."

  Le rivolsero qualche altra domanda, ma Lana Haverby non aveva nulla di interessante da raccontare. Non aveva un grande spirito di osservazione e il ritratto che forniva di Juan Mazquezza era pieno di buchi, come se le tarme le avessero rosicchiato parte dei ricordi.

  Quando Tony e Frank si alzarono per andarsene, lei corse alla porta. I seni gelatinosi sobbalzarono e si agita­rono in quello che la donna considerava evidentemente un atteggiamento provocante. Camminò sculettando in punta di piedi, secondo un copione che risultava grottesco per chiunque avesse più di vent'anni: quella donna ne aveva almeno quaranta ed era incapace di scoprire e accettare la bellezza tipica della sua età. Cercava di farsi passare per una ragazzina ed era decisamente patetica. Si appoggiò alla porta aperta, con una gamba leggermente piegata come aveva visto fare dalle modelle delle riviste per soli uomini o forse su un calendario di dolciumi: era ovvio che si aspet­tasse un complimento.

  Frank si girò di lato per uscire, evitando per un pelo di sfiorarle il seno. Raggiunse velocemente la macchina senza voltarsi.

  Tony sorrise e disse: "Grazie per la collaborazione, si­gnorina."

  Lei alzò lo sguardo e lo fissò come non aveva fatto con nient'altro nell'ultimo quarto d'ora. Negli occhi le apparve un lampo di vitalità, un misto di intelligenza, orgoglio e forse una punta di rispetto per se stessa: qualcosa di decisa­mente migliore di quanto avesse lasciato intendere fino a quel momento. "Vede, presto anch'io me ne andrò di qua, proprio come ha fatto Juan. Non ho sempre abitato a Las Palmeras. Sono stata anche in ambienti ricchi."

  Tony non aveva voglia di ascoltare quello che aveva da dirgli, ma si sentì intrappolato e ipnotizzato, come l'uomo bloccato per la strada dal Vecchio Marinaio.

  "Come quando avevo ventitré anni," spiegò, "lavoravo come cameriera ma mi sono presto stancata. Vede, è stato quando i Beatles hanno iniziato, circa diciassette anni fa, e poi è esploso tutto quell'affare della musica rock. Capisce? A quei tempi una bella ragazza poteva conoscere i pezzi grossi, fare delle conoscenze interessanti e andarsene in giro con i complessi, viaggiando per tutto il paese. Oh, ca­spita, amico, quelli sì che erano bei tempi! Sembrava che fosse possibile avere o fare tutto. E quei gruppi avevano davvero tutto e lo distribuivano in giro. Io ero una di loro. Davvero. Sa, sono andata a letto con personaggi molto fa­mosi. Gente molto quotata. E anch'io ero famosa. Tutti mi apprezzavano."

 

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