Sussurri

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Sussurri Page 27

by Dean Koontz


  "In nome del cielo, che cosa sta succedendo?" mormorò Frank.

  Sulla parete del bagno qualcuno aveva scritto due volte con le feci una parola in spagnolo:

  Cocodrilos

  Cocodrilos

  Tony e Frank ritornarono rapidamente al centro della stanza da letto, inciampando nelle camicie lacerate e nei vestiti fatti a pezzi. Dovettero raggiungere l'anticamera per sfuggire al fetore che ormai aveva invaso anche la stanza.

  "Chiunque sia stato, deve odiare davvero Bobby," disse Frank.

  "Allora non credi più che sia stato Bobby."

  "E perché avrebbe dovuto? Non avrebbe senso. Cristo, è semplicemente pazzesco. Mi è venuta la pelle d'oca."

  "E spaventoso," convenne Tony.

  Aveva i muscoli dello stomaco ancora contratti per la tensione e il cuore batteva furiosamente anche se un po' meno di quando si era introdotto nell'appartamento. Rima­sero entrambi in silenzio per un attimo, in attesa di udire i passi dei fantasmi.

  Tony notò un piccolo ragno scuro che si arrampicava lungo il muro del corridoio.

  Alla fine Frank ripose la pistola, prese un fazzoletto e si asciugò la faccia imperlata di sudore.

  Tony rimise la rivoltella nella fondina e disse: "Non pos­siamo andarcene mettendo solo i sigilli. Voglio dire, ormai siamo in ballo. Ci sono troppi particolari che esigono una spiegazione."

  "D'accordo," approvò Frank. "Dobbiamo chiedere aiuto, ottenere un mandato e perquisire la casa da cima a fondo."

  "Cassetto per cassetto."

  "Che cosa pensi di trovare?"

  "Dio solo lo sa."

  "Ho visto un telefono in cucina," disse Frank.

  Frank proseguì attraverso il soggiorno, girò l'angolo ed entrò in cucina. Prima ancora che Tony arrivasse alla sala da pranzo, Frank gridò: "Oh, Cristo!" e cercò di fare un passo indietro.

  "Che cosa c'è?"

  Le parole di Tony furono interrotte da un violento scop­pio. Frank lanciò un urlo e cadde di lato, aggrappandosi al bancone per cercare di rimanere in piedi.

  Nell'appartamento risuonò un altro scoppio, che rim­balzò da una parete all'altra: Tony si rese conto che era un colpo di arma da fuoco.

  Ma la cucina era deserta!

  Tony afferrò la pistola ma ebbe l'impressione di muo­versi al rallentatore mentre il mondo proseguiva la sua corsa a velocità supersonica.

  Il secondo proiettile colpì Frank alla spalla facendolo gi­rare su se stesso. Cadde pesantemente fra le pozzanghere di sherry, gli spaghetti, i cornflakes e i vetri.

  Mentre Frank si accasciava, Tony ebbe modo di scorgere finalmente Bobby Valdez. Stava scivolando fuori dell'armadietto posto sotto il lavandino, un nascondiglio che non avevano nemmeno preso in considerazione perché sem­brava decisamente troppo piccolo per poter celare un uomo. Bobby si dimenava e strisciava come un serpente nella tana. Le gambe erano ancora sotto il lavandino, ma lui si era spinto fuori con un braccio e reggeva una calibro 32 nell'altra mano. Era nudo. Sembrava stesse male. Gli occhi erano enormi, spiritati e infossati nelle occhiaie scure e gonfie. Il volto era incredibilmente pallido e le labbra esangui. Tony prese nota di tutti quei dettagli in una fra­zione di secondo, con i sensi acuiti da una scarica di adre­nalina.

  Frank era appena caduto e Tony stava per impugnare la pistola quando Bobby fece fuoco per la terza volta. Il proiettile si conficcò nella parete e Tony fu investito da un'esplosione di pezzi di intonaco.

  Istintivamente si buttò a terra, girandosi di scatto, e la spalla sbattè con forza contro il pavimento. Gemendo per il dolore, rotolò lontano dalla zona di tiro. Si nascose die­tro una sedia del soggiorno e finalmente riuscì ad afferrare la pistola.

  Erano passati solo sei o sette secondi da quando Bobby aveva fatto fuoco per la prima volta.

  Qualcuno stava balbettando: "Gesù, Gesù, Gesù, Gesù," con voce tremante e acuta.

  Improvvisamente, Tony si rese conto che quella voce era la sua. Si morsicò le labbra e cercò di reprimere l'attacco di isterismo.

  Si rese conto di che cosa c'era che non quadrava, capì che cos'avevano tralasciato. Bobby Valdez vendeva polvere d'angelo e questo avrebbe dovuto suggerire qualcosa ri­guardo alle condizioni dell'appartamento. Avrebbero do­vuto sapere che spesso gli spacciatori erano così stupidi da usare ciò che vendevano. La polvere d'angelo era un tran­quillante per animali che produceva effetti difficilmente prevedibili nei tori e nei cavalli. Negli esseri umani poteva produrre tranquilli stati di trance, strane allucinazioni o in­credibili attacchi di rabbia e violenza inaudita. Come aveva detto Eugene Tucker, la polvere d'angelo era un autentico veleno: divorava letteralmente le cellule del cervello e di­struggeva la mente. Imbottito di polvere d'angelo e carico di energia perversa, Bobby aveva distrutto la cucina e ri­dotto in quello stato pietoso il resto della casa. Inseguito da feroci quanto immaginali coccodrilli e cercando dispera­tamente di sfuggire alle loro fauci, si era nascosto sotto il lavandino chiudendo lo sportello. Tony non aveva pensato di guardare in quell'armadietto perché non si era reso conto di avere a che fare con un pazzo furioso. Avevano controllato l'appartamento con attenzione, pronti alle eventuali mosse di uno stupratore mentalmente disturbato e di un violento assassino, ma non si aspettavano certo l'at­teggiamento irrazionale di un pazzo sotto l'effetto della droga. Gli assurdi atti di vandalismo in cucina e in camera, le scritte apparentemente senza senso sulle pareti e la di­sgustosa scena del bagno erano segni tipici della particolare follia indotta dalla polvere d'angelo. Tony non aveva mai lavorato alla Narcotici, ma si rendeva conto che avrebbe dovuto riconoscere comunque quegli indizi. Se li avesse in­terpretati nel modo corretto, probabilmente avrebbe con­trollato sotto il lavandino e in qualsiasi altro posto suffi­cientemente grande per nascondere un uomo, per quanto scomodo. Succedeva spesso che una persona sotto l'effetto di quella droga si abbandonasse completamente alla pro­pria paranoia e cercasse di sfuggire a un mondo ostile rifu­giandosi in luoghi angusti, bui e simili al grembo materno. Ma sia lui sia Frank avevano male interpretato quegli indizi e ora erano nei guai fino al collo.

  Frank era stato colpito due volte. Era gravemente ferito. Forse stava morendo. Forse era già morto.

  No!

  Tony cercò di allontanare quel pensiero dalla mente e di trovare il modo migliore per annientare Bobby.

  In cucina Bobby iniziò a gridare con voce terrorizzata: "Hay muchos cocodrilos!"

  Tony tradusse mentalmente: Ci sono molti coccodrilli!

  "Cocodrilos! Cocodrilos! Cocodrilos! Ah! Ah! Aaaah!"

  L'urlo di terrore si trasformò rapidamente in un rantolo agonizzante.

  Sembra che lo stiano mangiando vivo, pensò Tony rab­brividendo.

  Continuando a gridare, Bobby si precipitò fuori della cu­cina. Sparò un colpo sul pavimento, con l'intenzione di uc­cidere uno dei coccodrilli.

  Tony si nascose dietro la sedia. Aveva paura ad alzarsi e prendere la mira: temeva che Bobby lo facesse fuori prima ancora che potesse premere il grilletto.

  Agitandosi in modo convulso, nel tentativo di sfuggire alle fauci dei coccodrilli, Bobby fece fuoco altre due volte.

  Finora ha sparato sei colpi, pensò Tony. Tre in cucina e tre qui. Quanti potrà averne in tutto? Otto? Forse dieci?

  Bobby premette il grilletto altre tre volte. Una delle pal­lottole rimbalzò contro qualcosa.

  Aveva sparato nove colpi. Gliene restava uno.

  "Cocodrilos!"

  Il decimo colpo esplose fragorosamente e di nuovo il proiettile rimbalzò con un sibilo acuto.

  Tony uscì dal nascondiglio. Bobby era a meno di tre me­tri. Tony strinse la pistola con entrambe le mani e la puntò contro il torace nudo dell'uomo. "Va bene, Bobby. Stai calmo. È tutto finito."

  Bobby parve sorpreso di vederlo. Era talmente perso nelle proprie allucinazioni da non ricordare di aver intravi­sto Tony in cucina pochi istanti prima.

  "Coccodrilli," balbettò Bobby.

  "Non ci sono coccodrilli," lo tranquillizzò Tony.

  "Sono enormi."

  "No. Non ci sono coccodrilli."
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  Bobby lanciò un grido, spiccò un salto e fece una piroetta cercando di sparare a qualcosa che si muoveva sul pavimento, ma la pistola era scarica.

  "Bobby," mormorò Tony.

  Piagnucolando, Bobby si voltò e lo fissò diritto negli oc­chi.

  "Bobby, voglio che tu ti distenda a faccia in giù sul pavi­mento."

  "Così mi prenderanno," farfugliò Bobby. Aveva gli occhi fuori delle orbite. Stava tremando violentemente. "Mi mangeranno."

  "Ascoltami, Bobby. Ascoltami attentamente. Non ci sono coccodrilli. È solo un'allucinazione. È tutto dentro la tua testa. Mi hai capito?"

  "Sono usciti dal water," proseguì Bobby. "E anche dallo scarico della doccia. E dal lavandino. Oh, Cristo, sono enormi. Sono davvero giganteschi. E stanno cercando di strapparmi il pisello." La paura si stava trasformando in rabbia; la faccia divenne paonazza e le labbra si strinsero in una smorfia cattiva. "Ma non glielo permetterò. Non riusci­ranno a mangiarmi il pisello. Prima li ammazzerò tutti!"

  Tony si rendeva conto di non poter fare molto per Bobby e la sua frustrazione era accentuata dalla consapevo­lezza che forse Frank stava perdendo molto sangue e aveva urgente bisogno di cure mediche. Decise di assecondare le macabre fantasie di Bobby per poterle controllare. "Ascol­tami," mormorò in tono rassicurante, "tutti i coccodrilli sono ritornati giù negli scarichi. Non li hai visti? Non hai sentito che scivolavano lungo le tubature, fuori di questa casa? Hanno capito che siamo venuti ad aiutarti e che quindi erano in minoranza. Se ne sono andati tutti."

  Bobby lo fissò con occhi vitrei che non avevano più nulla di umano.

  "Se ne sono andati tutti," ripetè Tony.

  "Via?"

  "Non possono più farti del male."

  "Bugiardo."

  "No. Sto dicendo la verità. Tutti i coccodrilli se ne sono andati e..."

  Bobby gli scagliò addosso la pistola.

  Tony si abbassò rapidamente.

  "Fottuto poliziotto! Figlio di puttana!"

  "Stai calmo, Bobby."

  Bobby fece un passo verso di lui.

  Tony si ritrasse.

  Bobby non si preoccupò di aggirare la sedia. Si limitò a farla cadere con rabbia, anche se era piuttosto pesante.

  Tony sapeva che un uomo sotto l'effetto della polvere d'angelo era spesso dotato di una forza sovrumana. A volte, quattro o cinque poliziotti nerboruti facevano fatica a bloccare un unico individuo. Esistevano varie teorie me­diche sulle cause che potevano determinare questo incredi­bile aumento di forza fisica, ma non erano certo di aiuto per il povero agente che si trovava a dover affrontare un pazzoide squilibrato con la forza di cinque o sei uomini. Tony era convinto che alla fine avrebbe dovuto usare la pi­stola per fermare Bobby, anche se per natura era contrario a tali metodi.

  "Ti ammazzerò," grugnì Bobby. Aveva le mani strette ad artiglio. La faccia era paonazza e dagli angoli della bocca fuoriusciva della bava.

  Tony mise il grande tavolo ottagonale fra loro. "Fermati immediatamente, maledizione!"

  Non voleva essere costretto a uccidere Bobby Valdez. Durante tutti gli anni trascorsi con la polizia, aveva sparato solo a tre uomini e si era sempre trattato di legittima difesa. Nessuno dei tre era comunque morto.

  Bobby fece per aggirare il tavolo.

  Tony si allontanò.

  "Ora sono io il coccodrillo," sbraitò Bobby.

  "Non voglio farti del male."

  Bobby si fermò, afferrò il tavolo e lo scagliò lontano; Tony andò a sbattere contro la parete e Bobby corse verso di lui, strillando parole incomprensibili. Tony premette il grilletto e il proiettile colpì Bobby alla spalla sinistra, fa­cendolo ruotare e cadere sulle ginocchia. Incredibilmente, Bobby si rialzò con il braccio sinistro penzolante che san­guinava e si mise a ululare per la collera più che per il do­lore. Si precipitò accanto al camino, prese una pinza di ot­tone e la scaraventò contro Tony che dovette abbassarsi per schivarla. Bobby gli si avventò contro con un attizza­toio di ferro e lo abbassò con forza sulla coscia di Tony che si lasciò sfuggire un gemito. Fortunatamente il colpo non ruppe alcun osso, ma fu sufficiente a far crollare a terra Tony proprio mentre Bobby stava per sferrargli la mazzata decisiva sulla testa. A quel punto Tony fece fuoco a di­stanza ravvicinata e Bobby fu catapultato di lato e, con un ultimo grido acuto, fracassò una sedia e rovinò a terra, con il sangue che zampillava come una macabra fontana. Si agitò, si contorse, gorgogliò aggrappandosi al tappeto, si morsicò il braccio ferito, ebbe un sussulto e alla fine rimase perfettamente immobile.

  Ansimando e imprecando, Tony ripose la pistola e si tra­scinò fino al telefono che aveva notato su un tavolino. Compose lo zero e spiegò all'operatore chi era, dove si tro­vava e che cosa voleva. "Innanzitutto un'ambulanza e poi la polizia," ordinò.

  "Sissignore," rispose l'operatore.

  Riappese e avanzò zoppicando verso la cucina.

  Frank Howard era ancora disteso sul pavimento, in mezzo all'immondizia. Era riuscito solo a girarsi sulla schiena.

  Tony si inginocchiò accanto a lui.

  Frank aprì gli occhi. "Sei ferito?" domandò in un soffio.

  "No."

  "L'hai preso?"

  "Sì."

  "È morto?"

  "Sì."

  "Bene."

  Frank aveva un aspetto terribile. Il viso era pallido come un cencio e madido di sudore. La parte bianca degli occhi aveva assunto un colorito giallastro che Tony non aveva mai visto prima di allora e l'occhio destro era iniettato di sangue. Le labbra erano leggermente violacee. La spalla destra e la manica della camicia erano inzuppate di sangue. La mano sinistra era stretta sulla ferita allo stomaco che aveva perso molto sangue e la camicia e i pantaloni erano bagnati e appiccicosi.

  "Come va?" chiese Tony.

  "All'inizio, faceva un male cane. Non ho potuto fare a meno di gridare. Poi ha iniziato a migliorare. Adesso sento solo un gran caldo."

  Tony si era talmente concentrato su Bobby Valdez che non aveva nemmeno udito le urla di Frank.

  "Credi che un laccio emostatico potrebbe servire a qual­cosa?"

  "No. La ferita è troppo in alto, nella spalla. Non c'è spa­zio per mettere il laccio."

  "Stanno arrivando i soccorsi," lo tranquillizzò Tony. "Li ho chiamati."

  Si udivano le sirene in lontananza. Non potevano già essere l'ambulanza e la macchina della polizia che ave­va richiesto. Probabilmente li aveva già chiamati qualcun altro.

  "Ci saranno un paio di agenti," disse Tony. "Di sicuro avranno in macchina una cassetta per il pronto soccorso."

  "Non lasciarmi."

  "Ma se hanno la cassetta del pronto soccorso..."

  "Non credo sia sufficiente. Non lasciarmi," lo implorò Frank.

  "D'accordo."

  "Ti prego."

  "Va bene, Frank."

  Stavano tremando entrambi.

  "Non voglio rimanere solo," mormorò Frank.

  "Rimarrò qui."

  "Ho cercato di sedermi," proseguì Frank.

  "Cerca di stare calmo."

  "Non ci sono riuscito."

  "Presto starai bene di nuovo."

  "Forse sono paralizzato."

  "Hai subito un bello choc, tutto qua. E hai perso molto sangue. E ovvio che ti senta debole."

  Le sirene si spensero davanti al complesso residenziale.

  "L'ambulanza non può essere lontana," lo rincuorò Tony.

  Frank chiuse gli occhi, sussultò e gemette.

  "Ti rimetterai presto, amico."

  Frank aprì gli occhi. "Tony, devi venire in ospedale con me."

  "Va bene."

  "E starai nell'ambulanza con me."

  "Non so se mi lasceranno."

  "Devi farlo."

  "D'accordo. Certo."

  "Non voglio rimanere solo."

  "Okay," mormorò Tony. "Li costringerò a farmi salire su quella dannata ambulanza anche a costo di minacciarli con la pistola."

  Frank cercò di abbozzare un sorriso, ma sul viso si di­pinse una maschera di dolore. "Tony?"

  "Che cosa c'è, Frank?"


  "Ti dispiace... stringermi la mano?"

  Tony afferrò la mano destra del compagno. Il proiettile gli era penetrato nella spalla e Tony pensava che Frank non sarebbe riuscito a muovere l'estremità, ma le dita ge­lide si strinsero attorno alla sua mano con una forza incre­dibile.

  "Sai una cosa?" chiese Frank.

  "Che cosa?"

  "Dovresti fare come dice lui."

  "Lui chi?"

  "Eugene Tucker. Dovresti buttarti. Provare. Fare dav­vero quello che vuoi con la tua vita."

  "Non preoccuparti per me. Devi risparmiare le forze per ristabilirti presto."

  Frank sembrava agitato. Scosse la testa. "No, no, no. Devi ascoltarmi. È importante... quello che sto per dirti... è maledettamente importante."

  "Va bene," sussurrò Tony. "Rilassati. Non sforzarti troppo."

  Frank tossì e sulle labbra bluastre apparvero poche gocce di sangue.

  Il cuore di Tony batteva all'impazzata. Dov'era quella maledetta ambulanza? Perché quei bastardi ci stavano met­tendo così tanto?

  La voce di Frank si era fatta fioca e l'uomo dovette fer­marsi ripetutamente per prendere fiato. "Se vuoi essere un pittore... devi buttarti. Sei ancora giovane... puoi farcela."

  "Frank, per favore, per l'amor del cielo, risparmia le forze."

  "Ascoltami! Non perdere più... tempo. La vita è maledet­tamente corta... per sprecarne anche solo un attimo."

  "Smettila di parlare così. Ho un sacco di anni davanti a me, e anche tu."

  "Passano così in fretta... così fottutamente in fretta. Vo­lano in un soffio."

  Frank respirava affannosamente. Strinse con maggior forza la mano di Tony.

  "Frank? Che cos'hai?"

  Frank non disse nulla. Fu scosso da un brivido. Poi ini­ziò a piangere.

  "Lascia che vada a prendere la cassetta del pronto soc­corso."

  "Non lasciarmi. Ho paura."

  "Ci vorrà solo un minuto."

  "Non lasciarmi." Aveva le guance rigate di lacrime.

  "D'accordo. Rimarrò qui. Arriveranno fra pochi minuti."

  "Oh, Cristo," balbettò Frank.

  "Ma se il dolore sta peggiorando..."

  "Non mi fa... molto male."

 

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