Sussurri

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Sussurri Page 40

by Dean Koontz

"Per parafrasare Shakespeare: 'In cielo ci sono molte cose che non capiamo e non potremo mai capire.'"

  Oltre la grande finestra dell'ufficio il banco di nubi si ad­densò all'interno della vallata, il sole sprofondò a ponente dietro le Mayacamas e il crepuscolo autunnale calò prema­turamente su St. Helena.

  Mentre osservava la luce del giorno che scoloriva, Joshua chiese: "Perché Mr Frye teneva tanto al diario di Marsden?"

  "Era convinto di vivere un'esperienza simile a quella di Marsden," rispose Hawthorne.

  "Secondo lei, Bruno pensava che un morto volesse impa­dronirsi del suo corpo?"

  "No," precisò Hawthorne. "Non si identificava con Mars­den, ma con le sue vittime. Mr Frye credeva che la madre, credo si chiamasse Katherine, fosse tornata dal regno dei morti nel corpo di qualcun altro e stesse complottando per ucciderlo. Sperava che il diario potesse fornirgli indicazioni utili sul modo migliore per trattare quella donna."

  Era come se nelle vene di Joshua fosse stata iniettata del­l'acqua ghiacciata. "Bruno non ha mai accennato a nulla di simile."

  "Oh, era molto riservato," spiegò Hawthorne. "Proba­bilmente sono l'unica persona alla quale l'abbia rivelato. Si fidava di me perché condividevo il suo stesso interesse per l'occulto. Comunque, me ne ha parlato solo una volta. Cre­deva fermamente che fosse tornata dall'inferno e aveva il terrore di diventare una sua vittima. A ogni modo, si pentì di avermi raccontato tutto."

  Joshua si rizzò sulla sedia stupito e raggelato. "Mr Haw­thorne, la scorsa settimana Mr Frye ha cercato di uccidere una donna a Los Angeles."

  "Sì, lo so."

  "Voleva ucciderla perché pensava che in realtà fosse sua madre nascosta in un altro corpo."

  "Davvero? E molto interessante."

  "Santo cielo! Lei sapeva che cosa gli passava per la testa. Perché non ha fatto qualcosa?"

  Hawthorne rimase freddo e impassibile. "Che cosa vo­leva che facessi?"

  "Avrebbe potuto informare la polizia! L'avrebbero inter­rogato e forse si sarebbero accorti che aveva bisogno di cure mediche."

  "Mr Frye non aveva commesso alcun crimine," disse Hawthorne. "E, oltre a ciò, lei parte dal presupposto che fosse pazzo, ma io no."

  "Sta scherzando," esclamò Joshua incredulo.

  "Neanche per sogno. Forse la madre di Frye è davve­ro tornata dalla tomba per riprenderlo. Forse c'è riusci­ta."

  "Per l'amor del cielo, quella donna a Los Angeles non era sua madre!"

  "Forse. O forse no."

  Sebbene fosse seduto sulla sua comoda poltrona, appog­giata saldamente sul pavimento, Joshua ebbe l'impressione di perdere l'equilibrio. Aveva pensato che Hawthorne fosse un libraio dotato di una certa cultura e di un certo ca­rattere, che si era dedicato a quell'insolito commercio so­prattutto in considerazione dei larghi profitti che poteva offrire. Iniziò a pensare che forse quell'immagine era totalmente distorta. Forse Latham Hawthorne era strano come gli oggetti che vendeva.

  "Mr Hawthorne, lei è ovviamente un uomo d'affari effi­ciente e di successo. Mi pare abbia ricevuto un'ottima edu­cazione e mi sembra decisamente più in gamba della mag­gior parte delle persone che conosco. A questo punto, mi risulta difficile accettare che un uomo come lei possa credere a stupidaggini quali le sedute spiritiche, il misticismo e i morti viventi."

  "Non escludo niente a priori. Anzi, direi che la mia di­sponibilità a credere sia meno sorprendente del suo osti­nato rifiuto. Non capisco come una persona intelligente possa negare l'esistenza di altri mondi oltre il nostro, altre realtà oltre quella in cui viviamo."

  "Oh, sono convinto che il mondo sia pieno di mistero e che noi percepiamo solo in parte la realtà," affermò Joshua. "Su questo non ci sono dubbi. Ma credo anche che, con il passare del tempo, le nostre percezioni si faranno sempre più precise; i misteri verranno spiegati dagli scienziati, da uomini razionali che lavorano nei laboratori e non certo da fanatici superstiziosi che bruciano l'incenso e bla­terano cose senza senso."

  "Non ho fede negli scienziati," sbottò Hawthorne. "Sono un seguace del satanismo. Ho trovato le mie risposte in questa disciplina."

  "Il culto del demonio?" chiese Joshua. Quell'uomo non finiva di stupirlo.

  "La sua è una definizione un po' brutale. Credo nell'Al­tro Dio, nel Signore delle Tenebre. La sua ora è venuta, Mr Rhinehart." Hawthorne parlava con calma, come se stesse semplicemente discutendo del tempo. "Aspetto con impazienza il giorno in cui Lui scaccerà Cristo e gli dei mi­nori per salire sul trono della Terra. Quello sarà un giorno memorabile. I seguaci delle altre religioni saranno massa­crati o ridotti in schiavitù. I loro preti saranno decapitati e dati in pasto ai cani. Le suore verranno violentate per la strada. Chiese, moschee, sinagoghe e templi saranno utiliz­zati per celebrare le messe nere e ogni uomo della terra lo adorerà; sugli altari verranno sacrificati i bambini e Bel­zebù regnerà in eterno. Accadrà presto, Mr Rhinehart. Ci sono già segni e presagi. Molto presto. E io attendo con impazienza."

  Joshua rimase senza parole. Nonostante la sua follia, Hawthorne sembrava un uomo razionale e ragionevole. Non parlava in modo esaltato e non urlava. Nella sua voce non c'era la benché minima traccia di isteria. La calma este­riore e l'apparente gentilezza dell'occultista avevano scon­volto Joshua molto più di quanto avrebbe potuto fare se avesse sbraitato con la bava alla bocca. Era come incon­trare uno sconosciuto a una festa: si scambiano quattro chiacchiere, lo si conosce un po' meglio e poi ci si rende conto improvvisamente che indossa una maschera di gomma, un volto contraffatto che nasconde il ghigno cat­tivo e crudele della Morte stessa. Come un costume di Halloween, ma al contrario. Il demonio travestito da persona normale. L'incubo di Poe fatto realtà.

  Joshua rabbrividì.

  Hawthorne proseguì: "Non potremmo organizzare un incontro? Non vedo l'ora di esaminare la collezione di libri che Mr Frye ha comperato da me. Potrei venire da lei in qualsiasi momento. Che giorno le andrebbe bene?"

  Joshua non era entusiasta all'idea di avere a che fare con quell'uomo. Decise di rimandare l'incontro con l'occultista fino a quando gli altri estimatori avessero esaminato i libri. Forse uno di loro si sarebbe reso conto del valore di quella collezione e avrebbe fatto un'offerta equa; in tal caso non sarebbe stato necessario negoziare con Latham Haw­thorne.

  "Le farò sapere," rispose Joshua. "Prima devo occuparmi di una miriade di cose. Si tratta di un'eredità molto com­plessa. Ci vorranno settimane per riuscire a sistemare tutto."

  "Aspetterò una sua chiamata."

  "Ancora un paio di cose prima che riappenda," disse Jo­shua.

  "Sì?"

  "Mr Frye le ha spiegato perché nutriva questa ossessione nei confronti della madre?"

  "Non so che cosa gli abbia fatto," rispose Hawthorne, "ma la odiava con tutto il cuore. Non ho mai visto un odio tanto feroce e profondo."

  "Li conoscevo entrambi," spiegò Joshua, "ma non mi sono mai accorto di una cosa simile. Ho sempre pensato che adorasse sua madre."

  "Allora doveva trattarsi di un odio segreto che ha nu­trito per molto, molto tempo," continuò Hawthorne.

  "Che cosa può avergli fatto?"

  "Come le ho già detto, non me ne ha mai parlato. Ma c'era sotto qualcosa, qualcosa di così terribile che nem­meno lui riusciva a parlarne. Voleva chiedermi due cose. Qual era la seconda?"

  "Bruno ha mai accennato a un sosia?"

  "Un sosia?"

  "Qualcuno che potesse spacciarsi per lui."

  "Considerando la sua corporatura e la particolare voce, non sarebbe stato facile trovarne uno!"

  "Pare ci sia riuscito. Vorrei scoprire a che cosa gli ser­viva."

  "Perché non lo chiede a questo sosia? Sicuramente saprà perché è stato assunto."

  "Ho qualche problema nel rintracciarlo."

  "Capisco," disse Hawthorne. "Be', Mr Frye non me ne ha mai parlato. Ma stavo pensando..."

  "Sì?"

  "C'è un motivo per cui poteva aver bisogno di un sosia."

  "E sarebbe?"

  "Per confondere la madre quando fosse ritornata dall'in­ferno per cercarlo."


  "Ma certo," convenne Joshua in tono sarcastico. "Sono stato stupido a non pensarci."

  "Lei non capisce," ribattè Hawthorne. "So che è scettico. Non sto dicendo che è tornata sul serio. Non ho abba­stanza dati per giungere a una simile conclusione. Ma Mr Frye era assolutamente convinto che fosse tornata. Può aver pensato che un sosia fosse in grado di offrirgli una certa protezione."

  Joshua dovette ammettere che l'idea di Hawthorne era abbastanza sensata. "Sta forse cercando di dirmi che per ri­solvere questa faccenda dovrei mettermi nei panni di Frye, cercando di pensare come lui, come un pazzo schizofre­nico?"

  "Se era un pazzo schizofrenico," lo corresse Hawthorne. "Come le ho già detto, non escludo niente a priori."

  "E io escludo quasi tutto," esclamò Joshua. "Bene... la ringrazio per avermi dedicato un po' del suo tempo, Mr Hawthorne."

  "Si figuri. Aspetto una sua chiamata."

  Fai pure con comodo, pensò Joshua.

  Riappese il ricevitore, si alzò in piedi, si diresse verso l'e­norme finestra e osservò la vallata. Le colline erano sepolte sotto uno spesso strato di nuvole minacciose, mentre calava l'oscurità. Il giorno si stava trasformando in notte troppo velocemente e quando il vento gelido fece vibrare il vetro della finestra, Joshua pensò che anche l'autunno stesse ce­dendo il passo all'inverno con una rapidità eccessiva. Sem­brava una fredda e cupa serata di gennaio, ma era solo l'ini­zio di ottobre.

  Le parole di Latham Hawthorne brulicavano nella testa di Joshua come tanti insetti intrappolati nella tela di un ra­gno: La sua ora è venuta, Mr Rhinehart... Ci sono già segni e presagi. Molto presto.

  Nel corso degli ultimi quindici anni, il mondo sembrava essere precipitato senza il benché minimo controllo. In giro c'erano molte persone strane. Come Hawthorne. An­che peggio. Molto peggio. Molti di questi erano leader po­litici dal momento che spesso quegli sciacalli sceglievano di esercitare il proprio potere sugli altri. In ogni nazione, go­vernavano i pazzi ingegneri genialoidi, sogghignando in continuazione mentre spingevano l'intero sistema verso la distruzione.

  La terra sta forse vivendo le sue ultime ore? si chiese Jo­shua. La profezia di Armageddon si sta avverando?

  Stronzate, esclamò risoluto. Stai semplicemente trasfe­rendo i tuoi presagi di mortalità alla tua concezione del mondo, vecchio mio. Hai perso Cora, sei completamente solo e improvvisamente ti accorgi che il tempo fugge e la vecchiaia avanza. E ora ti fai prendere da questa incredi­bile, grandiosa ed egoistica nozione per cui il mondo è de­stinato a scomparire con te. Ma l'unico giorno del giudizio davvero imminente è quello legato alla tua persona. Il mondo andrà avanti anche quando tu te ne sarai andato. Resisterà per molto, moltissimo tempo, sbottò, cercando di autoconvincersi.

  Ma non ne era sicuro. L'aria sembrava piena di correnti infauste.

  Qualcuno bussò alla porta. Era Karen Farr, la sua segre­taria.

  "Non pensavo fosse ancora qui," esclamò Joshua. Diede un'occhiata all'orologio. "Avrebbe dovuto andarsene un'ora fa."

  "A pranzo mi sono fermata un po' di più. Devo finire un paio di cose."

  "Il lavoro è una parte essenziale della vita, mia cara, ma non è tutto. Vada a casa. Potrà continuare domani."

  "Ne avrò solo per dieci minuti," lo informò. "Proprio adesso sono arrivate due persone che desiderano vederla."

  "Non ho alcun appuntamento."

  "Vengono direttamente da Los Angeles. L'uomo si chiama Anthony Clemenza e la donna Hilary Thomas. E lei che..."

  "So chi è," la interruppe Joshua. "La prego, li faccia pas­sare."

  Si alzò dalla scrivania e andò incontro ai due visitatori. Dopo le consuete presentazioni, Joshua li invitò a sedersi, offrì loro da bere e si accomodò su una sedia di fronte al di­vano.

  Tony Clemenza fece subito un'ottima impressione a Jo­shua. Sembrava competente e sicuro di sé.

  Hilary Thomas irradiava le stesse qualità di Clemenza ed era inoltre incredibilmente carina.

  Per un attimo, sembrava che nessuno sapesse che cosa dire. Si guardarono l'un l'altro in silenzio sorseggiando il whisky.

  Joshua fu il primo a rompere il silenzio. "Non ho mai creduto a fenomeni quali la chiaroveggenza ma, santo cielo, credo di aver avuto una premonizione. Non avete fatto tutta questa strada per raccontarmi ciò che è accaduto mercoledì e giovedì, vero? Dev'essere successo qualcos'altro."

  "Sono accadute molte cose," rispose Tony. "Ma non c'è niente che abbia un minimo di logica."

  "È lo sceriffo Laurenski che ci manda da lei," proseguì Hilary. "Speriamo possa rispondere ad alcuni interroga­tivi."

  "Io stesso sono alla ricerca di risposte," mormorò Jo­shua.

  Hilary piegò la testa e osservò Joshua con aria curiosa. "Anch'io credo di aver avuto una premonizione. È acca­duto qualcosa anche qui, vero?"

  Joshua bevve un sorso di whisky. "Se fossi superstizioso, probabilmente vi direi che... qui fuori, da qualche parte... c'è un morto che si aggira fra i vivi."

  Oltre le finestre, la luce del giorno si smorzò definitiva­mente e la notte s'impadronì della vallata. Un vento freddo cercava di farsi largo fra gli stipiti di legno fischiando e sibi­lando. Ma l'ufficio sembrava riscaldato dalla consapevo­lezza condivisa da Joshua, Tony e Hilary dell'incredibile mistero dell'apparente resurrezione di Bruno Frye.

  Quella mattina Bruno Frye dormì fino alle undici nel retro del Dodge posteggiato accanto a un supermercato. Si sve­gliò in preda a un incubo pieno di sussurri feroci e minac­ciosi per quanto incomprensibili. Si mise a sedere nel fur­gone scarsamente illuminato, tenendosi stretto stretto; si sentiva disperatamente solo e abbandonato e si trovò a piangere e tremare come un bimbetto indifeso.

  Sono morto, pensò. Morto. Quella puttana mi ha ucciso. Morto. Quella fottuta puttana mi ha conficcato un coltello nelle budella.

  Mentre le lacrime cessavano gradualmente, rimase tur­bato da uno strano pensiero: ma se sono morto... come fac­cio a essere seduto qui? Come faccio a essere morto e vivo allo stesso tempo?

  Si tastò la pancia con entrambe le mani. Non c'erano fe­rite d'arma da taglio né cicatrici.

  Improvvisamente, tutto fu chiaro. La mente fu sgombra, la nebbia si dissipò e per un attimo tutto brillò di luci sfac­cettate. Iniziò a chiedersi se Katherine era davvero tornata dall'inferno. Forse Hilary Thomas era solo Hilary Thomas e non Katherine Anne Frye? Era pazzo a cercare di ucciderla? E tutte le altre donne che aveva ucciso nel corso de­gli ultimi cinque anni: erano stati davvero corpi nei quali Katherine si era nascosta? O non erano forse persone nor­mali, donne innocenti che non meritavano di morire?

  Bruno si sedette sul pavimento, attonito, sopraffatto da questa nuova possibilità.

  E i sussurri che invadevano il suo sonno ogni notte, quei terribili sussurri che lo angosciavano...

  Improvvisamente si rese conto che se solo si fosse con­centrato, se solo avesse scavato attentamente nei ricordi dell'infanzia, avrebbe scoperto che cos'erano quei sussurri e che cosa rappresentavano. Ripensò alle due pesanti porte in legno fissate nella terra. Ripensò a Katherine che apriva quelle porte e lo spingeva verso il buio. Ripensò alle porte chiuse a chiave alle sue spalle, ripensò ai gradini che con­ducevano da basso, verso il cuore della terra...

  No!

  Si strinse le mani sulle orecchie, come se potesse elimi­nare i ricordi spiacevoli insieme con i rumori molesti.

  Era madido di sudore. E tremava, tremava senza sosta.

  "No," gemette. "No, no, no!"

  Era una vita che cercava di scoprire chi sussurrava nei suoi incubi. Aveva sempre desiderato capire il messaggio contenuto in quei sussurri per essere in grado di bandirli dai suoi sogni. Ma ora che stava per scoprirlo, decise di rifiutare quell'agghiacciante verità che si sarebbe rivelata an­cora più orribile, devastante e terrificante del mistero.

  Il furgone fu invaso di nuovo dai sussurri, dalle voci sibi­lanti e dai gemiti che lo perseguitavano da sempre. Urlò per il terrore e si dondolò avanti e indietro sul pavimento.

  Qualcosa gli stava strisciando addosso. Cercava di arra
m­picarsi sulle braccia, sul petto e sulla schiena. Cercava di ar­rivare fino alla faccia. Cercava di insinuarsi fra le labbra e i denti. Cercava di infilarsi su per il naso.

  Gridando e contorcendosi, Bruno si sforzò di allonta­nare quella cosa strisciante, dandosi delle sberle e riem­piendosi di unghiate.

  Le sue allucinazioni si nutrivano dell'oscurità e c'era troppa luce nel furgone perché potessero conservare la loro consistenza grottesca. Vide che non c'era nulla che gli strisciava addosso e a poco a poco il terrore lo abbandonò, lasciandolo completamente svuotato.

  Per parecchi minuti, rimase seduto con la schiena contro la parete del furgone, asciugandosi la faccia sudata con un fazzoletto e ascoltando il suo respiro affannoso.

  Alla fine decise che era giunta l'ora di ricominciare a cer­care quella puttana. Era là fuori, nascosta da qualche parte in quella grande città, e lo stava aspettando. Doveva tro­varla e ucciderla prima che lei escogitasse un modo per eli­minarlo.

  Il breve attimo di lucidità, l'istante di saggezza, era scomparso con la stessa rapidità con la quale era nato. Aveva dimenticato le domande e i dubbi. Ancora una volta, aveva la certezza che Katherine fosse tornata dal re­gno dei morti e che dovesse essere fermata.

  Più tardi, dopo aver mangiato un boccone, si diresse verso Westwood e parcheggiò nei pressi dell'abitazione di Hilary Thomas. Si nascose nel retro del furgone e prese a osservare la casa da un minuscolo oblò ricavato sul fianco del Dodge.

  Sul vialetto d'ingresso era fermo un furgoncino bianco con una scritta in caratteri blu e dorati.

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  In casa, tre ragazze con il grembiule bianco si erano messe all'opera. Dovettero compiere parecchi viaggi per trasportare all'interno secchi, stracci, scope e aspirapolveri e per buttare i sacchi di plastica pieni di frammenti di mo­bili che Frye aveva distrutto durante la violenta incursione avvenuta poco prima dell'alba, il giorno precedente.

  Frye rimase con l'occhio incollato all'oblò per tutto il pomeriggio, ma non notò tracce di Hilary Thomas e si con­vinse che la donna non era in casa. Pensò che non sarebbe tornata finché non avesse avuto la certezza di essere al si­curo, finché non avesse appurato che lui era morto.

 

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