Sussurri

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Sussurri Page 55

by Dean Koontz


  Hilary proseguì: "Crede che il fatto di collezionare cose belle fosse una reazione agli orrori della sua vita prima della morte del padre?"

  "Sì," disse Joshua. "Leo l'aveva distrutta. Aveva scon­volto la sua anima e appiattito il suo spirito privandola del rispetto per se stessa. Deve essersi odiata profondamente per avergli permesso tutto questo: forse non aveva altra scelta, ma non si è mai opposta. E magari... sentendosi così vile e inutile, ha pensato di rendere più bella la sua anima circondandosi di oggetti preziosi."

  Rimase per un attimo in silenzio, osservando quel sa­lotto troppo pieno di mobili.

  "È molto triste," mormorò Tony.

  Joshua si riprese dopo quell'attimo di fantasie. "An­diamo ad aprire le persiane e facciamo entrare un po' di luce."

  "Non sopporto questa puzza," bofonchiò Hilary, copren­dosi il naso con una mano. "Ma se apriamo le finestre la pioggia rovinerà tutto."

  "Potremmo socchiuderle appena," suggerì Joshua. "E qualche goccia d'acqua non potrà peggiorare la situazione in mezzo a tutta questa muffa."

  "Strano che non siano cresciuti i funghi sul tappeto," commentò Tony.

  Iniziarono ad aprire le finestre togliendo i ganci interni delle persiane e fecero entrare la luce grigiastra e l'aria pro­fumata di pioggia. Quando la maggior parte delle finestre del pianterreno furono aperte, Joshua propose: "Hilary, qui da basso sono rimaste soltanto la cucina e la sala da pranzo. Perché non se ne occupa lei mentre io e Tony an­diamo di sopra?"

  "Va bene," rispose. "Fra un minuto salgo ad aiutarvi."

  Hilary puntò il fascio di luce verso la sala da pranzo completamente buia mentre i due uomini presero a salire le scale.

  Appena arrivarono sul pianerottolo del piano superiore, Tony sbottò: "Accidenti! Qui puzza ancora di più."

  Un potente tuono fece vibrare la vecchia casa. Le fine­stre tremarono e le porte sbatterono nei telai.

  "Lei si occupi delle stanze sulla destra," disse Joshua. "Io andrò a sinistra."

  Tony aprì la prima porta e si ritrovò nella stanza da cu­cito. In un angolo c'era una vecchia macchina per cucire a pedale mentre un'altra più moderna era appoggiata su un tavolino. Entrambe erano ricoperte dalle ragnatele. C'e­rano anche un tavolo da lavoro e due manichini.

  Si avvicinò alla finestra, appoggiò la torcia a terra e cercò di togliere i ganci. Erano completamente arrugginiti. Armeggiò faticosamente mentre la pioggia continuava a battere rumorosamente contro le persiane.

  Joshua diresse la luce della torcia nella prima stanza sulla sinistra e vide un letto, una credenza e una cassettiera. Sulla parete opposta si aprivano due finestre.

  Varcò la soglia, avanzò di due passi e avvertì un movi­mento alle spalle; fece per voltarsi ma improvvisamente sentì un brivido gelido lungo la schiena che si trasformò in una scossa rovente, una fitta lancinante, un dolore sordo attraverso il corpo: capì che l'avevano pugnalato. Sentì il coltello che veniva estratto. Si voltò. La torcia illuminò Bruno Frye. Il viso dell'uomo era allucinato, demoniaco. Riabbassò il coltello e Joshua fu percorso da un altro fre­mito gelido. Questa volta la lama gli lacerò la spalla destra da una parte all'altra e Bruno dovette agitare e rigirare l'arma con violenza e ripetutamente per riuscire a estrarla. Joshua alzò il braccio sinistro per proteggersi. La lama si conficcò nell'avambraccio. Le gambe cedettero e lui cadde a terra. Andò a urtare il letto e scivolò sul pavimento in mezzo al suo stesso sangue; Bruno si girò e corse fuori della stanza, scomparendo nell'oscurità, lontano dalla luce della torcia. Joshua si rese conto che non aveva neppure urlato, non aveva avvisato Tony. Cercò di gridare con tutte le sue forze, ma la ferita doveva essere più seria di quanto pen­sasse: quando aprì la bocca, avvertì una fìtta dolorosa al petto e riuscì solo a emettere un debole, impercettibile si­bilo.

  Sbuffando, Tony si sforzò di aprire il gancio della finestra e alla fine riuscì a far saltare la piastrina di metallo arruggi­nita. Aprì i vetri e il rumore della pioggia parve amplifi­cato. Qualche gocciolina d'acqua si infilò attraverso le strette fessure delle imposte e Tony si ritrovò con la faccia bagnata.

  Anche i ganci interni erano corrosi, ma Tony riuscì a sbloccarli per spalancare le imposte; poi si sporse fuori per fissarle in modo che il vento non le facesse sbattere.

  Era bagnato e aveva freddo. Non vedeva l'ora di met­tersi a setacciare la casa, nella speranza di potersi riscaldare un po'.

  Mentre un altro tuono risuonava come una cannonata nella valle e sopra la casa, Tony uscì dalla stanza da cucito per trovarsi davanti al coltello di Bruno Frye.

  In cucina, Hilary aprì le persiane della finestra che si affac­ciava sul portico posteriore. Le bloccò e si fermò un attimo a osservare l'erba bagnata e i rami degli alberi scossi dal vento. In fondo al prato, a una ventina di metri, c'erano delle porte che si aprivano nella terra.

  Rimase talmente sorpresa che per un attimo pensò di averle soltanto immaginate. Strizzò gli occhi per mettere a fuoco la scena attraverso la pioggia, ma le porte non si dissolsero, come si sarebbe aspettata.

  In fondo al prato, il terreno si ergeva per formare una parete rocciosa e le porte erano scavate nel fianco della montagna. Erano rinforzate da una struttura in legno e da pietre cementate.

  Hilary si allontanò dalla finestra e corse attraverso la cu­cina sudicia: non vedeva l'ora di raccontare a Joshua e Tony quello che aveva scoperto.

  Tony sapeva come difendersi da un uomo armato di col­tello. Era stato addestrato all'autodifesa e si era già trovato in situazioni analoghe. Ma questa volta fu colto di sorpresa da quell'attacco assolutamente inaspettato.

  Con lo sguardo torvo e il viso deturpato da un ghigno or­rendo, Frye gli brandì il coltello davanti al viso. Tony riuscì a schivare parzialmente il colpo, ma la lama lo ferì alla testa, di lato, lacerando la carne che prese a sanguinare.

  Il dolore era lancinante.

  Tony lasciò cadere la torcia che rotolò via permettendo alle ombre di calare indisturbate.

  Frye era veloce, maledettamente veloce. Colpì nuova­mente Tony che cercò di assumere una posizione di difesa. Stavolta il coltello affondò più deciso nella spalla sinistra e attraversò la giacca e il maglione per proseguire nei mu­scoli e nelle cartilagini, fra le ossa; in un attimo, Tony si ri­trovò in ginocchio, con il braccio totalmente privo di forza.

  Senza neppure rendersene conto, Tony riuscì ad alzare la mano destra dal pavimento e colpì Frye nei testicoli. L'uomo rimase senza fiato e annaspò all'indietro, estraendo il coltello dalla spalla di Tony.

  Ignara di quanto stava accadendo di sopra, Hilary urlò dal fondo delle scale: "Tony! Joshua! Venite a vedere che cosa ho trovato!"

  All'udire la voce di Hilary, Frye si voltò di scatto. Si di­resse verso la scala, senza badare all'uomo ferito ma ancora vivo disteso a terra.

  Tony si alzò, ma avvertì un'esplosione al braccio, come se avesse preso fuoco. Sentì la testa che girava. Lo stomaco si rivoltò. Dovette appoggiarsi contro la parete.

  Riuscì soltanto a metterla in guardia: "Hilary, scappa! Scappa! Sta arrivando Frye!"

  Hilary stava per chiamare di nuovo quando udì l'avverti­mento di Tony. Per un attimo, non credette alle proprie orecchie, ma poi sopra la sua testa risuonarono passi pe­santi e minacciosi. Hilary non riuscì a distinguere nessuno ma non aveva dubbi: era Bruno Frye.

  La voce rauca e gracchiante di Frye rimbombò nella stanza: "Puttana! Puttana! Puttana! Puttana!"

  Sbigottita, ma non paralizzata dalla paura, Hilary si al­lontanò dalle scale e si mise a correre appena lo vide sul pianerottolo. Si rese conto troppo tardi che avrebbe do­vuto precipitarsi all'esterno, verso la funivia; si catapultò invece in direzione della cucina, da cui non sarebbe potuta fuggire. Spalancò la porta della cucina nel momento stesso in cui Frye saltò gli ultimi gradini e atterrò alle sue spalle.

  Hilary pensò di cercare un coltello nei cassetti della cu­cina.

  Non poteva. Non c'era tempo.

  Corse alla porta che conduceva sul retro, l'aprì e si lan­ciò fuori mentre Frye faceva il suo ingr
esso.

  Poteva contare solo sulla torcia che aveva in mano, ma non era certo un'arma degna di quell'avversario.

  Attraversò il portico e scese i gradini. Fu investita dalla pioggia e dal vento.

  Lui non era molto lontano e continuava a ripetere: "Put­tana! Puttana! Puttana!"

  Non ce l'avrebbe mai fatta a compiere il giro della casa per raggiungere la funivia prima che lui l'afferrasse. Era troppo vicino e stava guadagnando terreno.

  L'erba bagnata era scivolosa.

  Aveva paura di cadere.

  Di morire.

  Tony?

  Si precipitò verso l'unico posto che sembrava poterle of­frire un riparo: le porte nella terra.

  Un lampo squarciò il cielo seguito dal boato di un tuono.

  Frye non urlava più. Hilary udì il grugnito profondo di un animale in calore.

  Molto vicino.

  Ora era lei a gridare.

  Raggiunse le porte sul fianco della collina e vide che erano chiuse in due punti. Tolse il catenaccio superiore, poi si piegò e fece lo stesso con quello inferiore, aspettan­dosi da un momento all'altro di sentire una lama in mezzo alla schiena, ma non accadde nulla. Spalancò le porte oltre le quali si aprirono le tenebre.

  Si voltò.

  La pioggia le rigò il viso.

  Frye si era fermato. Era a circa sei metri di distanza.

  Hilary rimase immobile, voltando le spalle a quella vora­gine scura, e si chiese che cosa potesse esserci oltre quella rampa di scale.

  "Puttana," sibilò Frye.

  Ma il suo viso esprimeva più paura che rabbia.

  "Metti giù il coltello," disse, senza sapere se le avrebbe obbedito. Probabilmente non l'avrebbe fatto, ma non aveva nulla da perdere. "Obbedisci alla tua mamma, Bruno. Metti giù il coltello."

  Fece un passo verso di lei.

  Hilary non si mosse. Sentiva il cuore che le scoppiava.

  Frye si avvicinò.

  Tremando, Hilary indietreggiò sul primo gradino, oltre quelle porte.

  Mentre Tony raggiungeva faticosamente le scale, appog­giandosi con una mano alla parete, udì un rumore dietro le spalle. Si voltò.

  Joshua si era trascinato fuori della stanza. Era coperto di sangue e il viso era pallido come la massa di capelli. Sem­brava che gli occhi non riuscissero a mettere a fuoco.

  "Come va?" chiese Tony.

  Joshua si inumidì le labbra. "Me la caverò," mormorò in uno strano soffio sibilante. "Hilary. Per l'amor del cielo... Hilary!"

  Tony si staccò dalla parete e procedette oscillando giù per le scale. Si diresse immediatamente verso la cucina dopo aver udito Frye che gridava sul retro della casa.

  In cucina, Tony aprì un cassetto, poi un altro, alla ri­cerca di un'arma.

  "Coraggio, dannazione! Merda!"

  Nel terzo cassetto trovò i coltelli. Scelse il più grande. Era leggermente arrugginito ma ancora sufficientemente affilato.

  Il dolore al braccio sinistro era insopportabile. Avrebbe voluto sorreggerlo con l'altra mano, ma ne aveva bisogno per lottare contro Frye.

  Strinse i denti per scacciare la fitta al braccio, si armò di coraggio e si lanciò all'esterno, barcollando come un ubriaco. Vide immediatamente Frye. L'uomo era in piedi davanti alle due porte spalancate. Due porte nella terra.

  Hilary era scomparsa.

  Hilary indietreggiò sul sesto gradino. Era l'ultimo.

  Bruno Frye era rimasto in cima alle scale e guardava in basso, timoroso di avventurarsi laggiù. La chiamava put­tana ma subito dopo piagnucolava come un bambino. Era chiaramente combattuto fra due bisogni: il desiderio di uc­ciderla e quello di fuggire da quell'orrendo posto.

  Sussurri.

  Improvvisamente Hilary udì quei sussurri e si sentì ge­lare il sangue nelle vene. Era un sibilo indistinto, un mormorio appena accennato che si faceva sempre più forte.

  Poi avvertì qualcosa che le strisciava sulla gamba.

  Lanciò un grido e salì un gradino, avvicinandosi a Frye. Si abbassò, si strofinò la gamba e allontanò qualcosa.

  Rabbrividendo, accese la torcia, si voltò e diresse il fa­scio di luce nel locale sottostante.

  Scarafaggi. Centinaia, migliaia di enormi scarafaggi ave­vano invaso la stanza: ce n'erano per terra, sulle pareti e sul soffitto. Non erano scarafaggi normali, ma bestie gigante­sche, lunghe più di cinque centimetri, con le zampette in agitazione e le lunghe antenne in fermento. Il corpo verda­stro e lucido sembrava umido e appiccicoso, come gocce di muco scuro.

  I sussurri erano il rumore prodotto dall'incessante movi­mento di quelle zampette e di quelle antenne che si sfrega­vano le une contro le altre: migliaia di zampe e di antenne che strisciavano, si agitavano e si strofinavano.

  Hilary si mise a urlare. Avrebbe voluto risalire quei gra­dini e fuggire da quella stanza, ma Bruno era di sopra, e la stava aspettando.

  Gli scarafaggi si allontanavano dalla luce della torcia. Evidentemente erano insetti abituati al buio. Hilary pregò che le pile della torcia non si esaurissero.

  I sussurri crebbero d'intensità.

  La stanza fu invasa da un'altra ondata di scarafaggi, pro­venienti da una crepa nel pavimento. Uscivano a decine, a centinaia. Nel locale relativamente angusto, c'erano già al­meno duemila bestiacce disgustose. Erano una sopra l'al­tra, concentrate nella zona dove non arrivava il fascio di luce, ma si facevano sempre più audaci con il passare dei minuti.

  Sapeva che probabilmente un entomologo non li avrebbe chiamati scarafaggi. Erano scarabei, scarabei che vivevano nelle viscere della terra. Uno scienziato li avrebbe definiti con un bel nome latino, altisonante e dignitoso. Ma per lei erano solo scarafaggi.

  Alzò lo sguardò verso Bruno.

  "Puttana," ringhiò.

  Leo Frye aveva fatto costruire una cantina per conser­vare i cibi, cosa abbastanza comune nel 1918. Ma inavverti­tamente l'aveva scavata proprio su una spaccatura della terra. Hilary capì che doveva aver cercato più volte di ripa­rare il pavimento, ma questo continuava ad aprirsi, ogni volta che la terra tremava. E in una zona sismica la terra tremava spesso.

  Gli scarafaggi salivano dall'inferno.

  Continuavano a fuoriuscire da quel buco: una massa bru­licante, agitata e viscida.

  Non facevano che ammucchiarsi uno sull'altro, co­prendo le pareti e il soffitto e muovendosi ininterrotta­mente, come un esercito impazzito. Il gelido sussurro si era trasformato in un debole ruggito.

  Katherine era solita chiudere Bruno in quella stanza per punirlo. Al buio. Per ore e ore di seguito.

  Improvvisamente, gli scarafaggi si avvicinarono a Hilary. La pressione di quella massa brulicante aveva spinto quegli esseri disgustosi verso di lei, come un'immensa onda verda­stra che si frangeva contro la riva. Nonostante la luce della torcia, avanzavano compatti verso di lei, sibilando.

  Hilary lanciò un grido e prese a salire i gradini, prefe­rendo il coltello di Bruno a quell'orda di insetti nauseanti.

  Con una smorfia, Bruno grugnì: "Visto com'è bello, put­tana?" e sbattè la porta.

  Il prato non era più lungo di una ventina di metri, ma a Tony pareva che non avesse mai fine. Scivolò e cadde nel­l'erba bagnata picchiando la spalla ferita. Per un attimo ebbe la vista annebbiata, poi vide tutto nero e dovette stringere i denti per resistere alla tentazione di rimanere sdraiato.

  Vide Frye che chiudeva a chiave le porte. Hilary doveva essere dall'altra parte.

  Tony percorse gli ultimi dieci metri con la terribile cer­tezza che Frye si sarebbe girato e l'avrebbe visto. Ma lui continuava a voltargli le spalle. Stava ascoltando Hilary. E Hilary stava urlando. Tony gli si avventò contro e gli piantò il coltello in mezzo alle scapole.

  Frye gridò per il dolore e si voltò.

  Tony inciampò all'indietro, sperando di aver inflitto una ferita mortale. Sapeva che non avrebbe potuto vincere in un combattimento a corpo a corpo con Frye, soprattutto potendo disporre solo di un braccio.

  Frye allungò una mano frenetica dietro la schiena, cer­cando di afferrare il coltello. Avrebbe voluto estrarlo, ma non ri
uscì nemmeno a sfiorarlo.

  All'angolo della bocca comparve un rivolo di sangue.

  Tony fece un passo indietro. Poi un altro.

  Frye barcollò verso di lui.

  Hilary raggiunse l'ultimo gradino e prese a tempestare di pugni la porta chiusa. Poi si mise a urlare.

  Alle sue spalle i sussurri nella stanza buia si facevano sempre più forti, soffocando i battiti del suo stesso cuore.

  Gettò una timida occhiata dietro di sé, rivolgendo la luce direttamente sui gradini. Alla sola vista di quella massa ronzante di insetti, fu assalita da un senso di repul­sione. Nel locale sottostante gli scarafaggi arrivavano all'al­tezza della vita. Quella moltitudine strisciante si spostava e sibilava in modo talmente compatto da assomigliare a un unico organismo, una mostruosa creatura con un numero infinito di zampe, antenne e bocche fameliche.

  Si rese conto che stava ancora gridando. Sempre più forte. Non aveva quasi più voce. Ma non riusciva a smet­tere.

  Qualche insetto aveva osato avventurarsi sui gradini no­nostante la luce. Hilary ne schiacciò un paio che avevano raggiunto il suo piede. Ma ne seguivano altri.

  Si girò di nuovo verso le porte, continuando a strillare. Picchiò contro la porta chiusa con quanta forza aveva in corpo.

  Poi la torcia si spense. Senza accorgersene l'aveva usata per picchiare contro la porta, in un isterico tentativo di uscire. Il vetro si era rotto e la luce si era spenta.

  Per un attimo, sembrò che i sussurri diminuissero d'in­tensità, ma poi ripresero, ancora più forti e decisi.

  Hilary si appoggiò con la schiena alla porta.

  Ripensò al nastro registrato che aveva udito nello studio del dottor Nicholas Rudge. Rivide i due gemelli, due bam­bini chiusi lì dentro, con le mani strette sul naso e sulla bocca, mentre cercavano di allontanare gli scarafaggi. Ave­vano urlato per ore e ore, per giorni e giorni, e alla fine si erano ritrovati con quella voce rauca e gracchiante.

  Atterrita, fissò l'oscurità sotto i suoi piedi, in attesa che quell'oceano di scarafaggi si chiudesse sopra di lei.

 

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