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Orco Rosso - A Dark Novel

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by Alessandro H. Den


  Non ho potuto rifiutarmi ma ho comunque espresso i miei forti dubbi in materia. Ho quindi promesso loro che sarei andato a incontrare i capi di quella comunità e avrei chiesto loro spiegazioni. Se li avessi ritenuti colpevoli o ne avessi sospettato quantomeno la colpevolezza, ho dato la parola che mi sarei adoperato per farli spostare.

  18 novembre

  Sono stato svegliato in piena notte, buttato giù dal letto dall’insistente vociare in strada sotto le mie finestre. Sono sceso, in veste da camera, mentre Netitia aveva iniziato a correre per i corridoi in preda a un’agitazione mai vista prima. Sono sceso, davanti a me ho trovato il macellaio, sudato e sconvolto. L’ho fatto entrare e l’ho messo davanti al camino che Netitia, ripresasi dallo spavento, si era prodigata a ravvivare.

  Balbettava e rispondeva alle mie domande in maniera elusiva, coprendosi gli occhi con le mani. Aveva visto qualcosa di orribile aggirarsi davanti a casa sua e nelle strade del villaggio, qualcosa che faticava a spiegare e che descriveva come qualcosa di enorme e rosso. Niente di simile era mai stato visto prima di allora e l’uomo giurava sul proprio onore che non avesse toccato vino in tutto il giorno. Giurava sulla sua testa, su quella della moglie, dei figli ed era in procinto di afferrare la piccola croce che si trova sopra il mio scrittoio. L’ho fatto sedere, gli ho offerto un bicchiere di cognac per tranquillizzarlo ma lui lo ha rifiutato con un gesto secco. Era stato a denunciare l’accaduto alla piccola guarnigione ma gli uomini di guardia l’avevano deriso.

  «Da stanotte» ha detto con la voce tremante «niente potrà tranquillizzarmi. Non fino a che quell’essere, quell’orco rosso, vagherà libero in questo villaggio».

  Ho rimandato a casa il macellaio, offrendogli poche e scarne rassicurazioni. Indubbiamente l’uomo era sempre stato degno di fiducia e non poteva il suo intento essere quello di prendersi gioco di me. Ormai smarrito il sonno, mi sono ritrovato a vagare per il villaggio. Tutto era calmo, immobile, addormentato e di quello che il macellaio aveva definito come orco rosso non v’era traccia.

  26 novembre

  La comunità è stata funestata da una nuova tragedia. Stanotte, dal vicino accampamento dei girovaghi, si sono alzate urla di terrore così alte da raggiungere il villaggio. Le persone sono scese nelle loro vesti da notte in strada ma non hanno avuto il coraggio di avvicinarsi. Il fuoco ha poi iniziato a mangiare la carovana e le urla sono cessate, una dopo l’altra. Questa mattina io, alcune guardie e il parroco ci siamo recati all’accampamento per constatare l’accaduto, pensando che la luce del giorno potesse rassicurarci in qualche modo. In realtà, i raggi impietosi di un sole velato hanno rivelato quelli che erano i resti carbonizzati di una vera e propria carneficina. Solo un bambino, coperto di stracci e rimasto probabilmente nascosto, si è avvicinato verso di noi urlando, dicendo, con poche parole elementari, di aver visto un uomo spaventoso, enorme e rosso. Quando abbiamo chiesto se fosse stato lui il responsabile, il bambino, scoppiato in lacrime, ha detto di sì. Uno dopo l’altro, bambini e bambine di ogni età sono emersi da ciò che restava dei loro genitori e dei loro cari. Erano rimasti lì, al freddo, tutta la notte, a vegliare quei corpi senza vita. L’uomo rosso, l’orco rosso, come anche loro avevano preso a chiamarlo, li aveva risparmiati.

  30 novembre

  Stamani la vedova K**** è stata trovata morta, nel suo letto. I figli, dopo il ritrovamento del corpo della donna, sono corsi dal parroco a chiedere il suo intervento. Il prete ha quindi inviato il diacono che ha richiesto la mia immediata presenza.

  «Credo che i figli abbiano qualcosa da riferirle» mi ha detto non appena sono comparso sulla soglia della dimora.

  Ho incrociato lo sguardo affranto dei due ragazzi, quindi mi sono seduto vicino a loro e gli ho chiesto se avessero bisogno di parlare con qualcuno. Scuotevano le teste, sconsolati e non sembravano inclini a raccontare ciò a cui il parroco si riferiva. Così l’uomo, vedendomi in difficoltà, ha deciso di avvicinarsi e con parole rassicuranti ha convinto i due a parlare.

  Il più grande dei due, senza lasciare la presa dalla mano del fratello minore ha così iniziato a raccontare ciò che poco prima, nel segreto della confessione, aveva raccontato al parroco.

  «Stanotte ci siamo svegliati di soprassalto quando abbiamo sentito la porta di casa sbattere. Poco dopo abbiamo sentito la voce di nostra madre e un rumore di passi strascicati oltre la soglia. Non era la prima volta che lei…lei usciva o faceva qualcosa di strano».

  «Cosa intendi figliolo?»

  ««Da qualche giorno era agitata, credo sia da quando si è sparsa la voce di quel mostro, anche se…».

  «Anche se cosa?»

  Il ragazzino era riluttante a parlare ma la presa del fratellino si era fatta più forte e quel gesto sembrava avergli dato la forza di continuare.

  «Prima che potessimo fare qualunque cosa ha chiuso la porta da fuori e ci ha rivolto parole rassicuranti. Poi ha iniziato a parlare con un tono di voce che non udivamo da quando…da quando è morto nostro padre».

  «Poi l’abbiamo sentita urlare» ha detto il piccolo dopo aver alzato la testa «ma subito dopo c’è stato silenzio».

  «Sarà un triste Natale, per voi» ho detto quindi con una certa banalià.

  I due orfani hanno annuito. «Nostro padre ogni anno ci costruiva regali favolosi. Era molto bravo, sa? Sapeva costruire di tutto e con qualunque cosa».

  4 dicembre

  Gli avvistamenti dell’orco rosso crescono ogni mattina: dopo la morte della vedova K**** il terrore si è impadronito del paese e qualcuno si è detto pronto a trasferirsi in una dei paesi vicini. L’incredibile gravità degli eventi mi ha portato a trascurare alcune missive indirizzatemi dal Dottore e che ho trascurato di aprire. In esse, con untono di preoccupazione crescente, intuibile anche dal progressivo degenerare della grafia, mi chiedeva di recarmi a fargli visita. Quest’oggi ho deciso di andare al vecchio maniero e ho trovato il mio ospite incredibilmente emaciato, poco curato e con gli occhi magnetici incavati nel volto angosciato. La mia prima preoccupazione, nel vederlo in quello stato, è che avesse anche lui incontrato l’orco rosso.

  L’uomo mi ha guardato con occhi lucidi e acquosi, è caduto in ginocchio e si è portato le mani al viso, scoppiando in un pianto incontrollato.

  Jervis, nel sentire quella reazione, è emerso dal corridoio e si è gettato sul padrone. L’ha alzato di peso, con una forza che non credevo fosse capace e l’ha percosso senza rispetto per i suoi nobili natali.

  «Non azzardarti a dire una parola» gli ha intimato tra i denti marci.

  Pietrificato, ho mosso alcuni passi indietro mentre il dottore dapprima abbassava lo sguardo e poi lo dirigeva verso di me, in un silenzioso grido di aiuto. Ho quindi vinto contegno che fino a quel momento mi ha contraddistinto e mi sono avventato sul vecchio, liberando il dottore dalla presa e spingendolo contro la parete di pietra. Il vecchio mi ha guardato con occhi stralunati e ha scoperto la bocca marcia per rivolgermi bestemmie e parole blasfeme. Dopodichè ha imboccato le scale ed è scomparso, lasciando il dottore a terra, piegato in un pianto divenuto sommesso.

  «È colpa mia. È tutta colpa mia» ripeteva.

  «Di cosa sta parlando?»

  «L’orco. Quello che lei chiama Orco rosso. È opera mia».

  Quelle parole e il significato di quella rivelazione mi investirono come un torrente in piena.

  «Ogni mio sospetto, ogni mio dubbio allora…».

  «Sì, erano fondati».

  Ho afferrato il dottore per il bavero della camicia e l’ho sollevato: per la prima volta, nei miei occhi, è comparso uno sguardo minaccioso.

  «Lei è un mostro, al pari della bestia che si aggira là fuori. Perché?»

  «Lasci che mi spieghi, la prego. Sono tornato qui animato dai migliori intenti. Purtroppo, sulla mia strada quella notte maledetta ho incontrato il fabbro. È stato un incidente, l’uomo era morto e non c’era niente che potessi fare. Aiutato da Edmund siamo riusciti, con molta fatica, a liberarci del corpo, facendo sì che sembrasse una disgrazia».

  «Così ha deciso di rifondere la vedova, non è vero? È per questo che ha t
anto insistito. Si sentiva responsabile».

  «All’inizio sì. Poi, dopo aver incontrato Jervis, ho capito che avrei potuto fare molto di più, se solo avessi voluto. Ma per fare ciò avevo bisogno di recuperare la conoscenza che i miei avi avevano accumulato e della quale il mio vecchio servo era il depositario, capisce?»

  «Quale conoscenza? Di cosa parla?»

  «Possibile che non abbia capito? Riportare in vita i morti! Jervis ha insistito perché il primo esperimento fosse fatto sul corpo del fabbro poiché il suo corpo era fresco e forte».

  «Il primo esperimento?»

  Il dottore è stato colto dal panico.

  «Sì…Jervis. Era lui che guidava i miei passi: io mi abbeveravo della sua conoscenza dei morti e del loro mondo, animato dalla sincera speranza di poter far del bene ai vivi».

  «Invece?»

  «La prego, mio buon amico. Venga con me, mi segua» disse liberandosi della presa e indicandomi il corridoio alle mie spalle.

  Estrasse quindi la chiave da sotto la camicia e la inserì nella toppa di quell’ultima porta defilata. All’interno di una stanza riempita di bizzarri macchinari c’erano due vasche piene di acqua rossa, sopra alle quali erano adagiati altrettanti corpi imbalsamati, forse in attesa di essere immersi.

  «Questi…questi sono i miei genitori. Le loro spoglie mortali. Jervis voleva che, dopo il primo esperimento mi concentrassi su di loro, capisce. Voleva che riportassi in vita i suoi padroni affinchè tutto potesse tornare come prima. Ho accettato, questo prima dell’incidente».

  «Quale incidente, di cosa parla?»

  «La notte di ognissanti, quando il cielo si è riempito di folgori, ho rianimato il corpo del fabbro: il suo cervello ha ricominciato a generare impulsi, il suo cuore a battere, i suoi polmoni a pompare aria e i suoi muscoli a fremere. Grazie ai segreti del blasfemo Necronomicon sono riuscito a compiere l’oscuro miracolo di riportarlo qua ma…qualcosa deve essere andato male nel procedimento, il bagno di porpora nel quale avevo immerso il suo corpo ha intaccato i tessuti. Molte delle sue attività cerebrali erano compromesse, capisce? Egli…ecco, dopo aver ripreso conoscenza, aver capito di esere tornato dal lugubre mondo dei morti menomato e orrendo, il mostro, l’orco rosso, è scappato».

  Ho imprecato e mi perdoni il cielo se l’ho fatto. Il dottore, con gli occhi pieni di lacrime, mi ha afferrato per un lembo della giacca e mi ha pregato di non lasciarlo solo.

  «Mi aiuti. Mi aiuti a fermarlo amico mio. Io l’ho creato e sarò dannato se non lo fermerò». Scrivo queste righe mentre, insieme al dottore, ci stiamo preparando per cercare l’orco. Ho accettato, andrò con lui. Dice di sapere dove si nasconde. Ho procurato le armi e, dopo anni, mi sono unito in preghiera insieme a lui. Ho lasciato una lettera per Netitia da consegnare al parrocco nel caso che io non faccia ritorno. Se falliamo devono sapere che almeno abbiamo provato. Che il cielo ci assista.

  10 dicembre

  Il medico mi ha proibito per giorni di alzarmi da letto. Solo oggi, dopo che il dosaggio dei tranquillanti è stato diminuito, sono in grado di ripercorrere con la poca lucidità mentale che mi è rimasta, gli avvenimenti della notte del 5 dicembre. Il dottore era convinto che il mostro avesse preso dimora al cimitero del villaggio, proprio nel mausoleo della sua famiglia. Abbiamo varcato i cancelli con i cuori trepidanti di terrore ma sicuri di agire nel giusto. Per un attimo, mi era parso che una mano, dall’alto, fosse scesa su di noi per guidare e proteggere i nostri passi. Il cimitero era immerso nel silenzio che solo la morte è capace di donare a coloro che la cercano. La terra, immobile, accoglieva i nostri passi, magro pasto rispetto ai nostri corpi. Siamo giunti nella parte più antica del camposanto, e abbiamo intravisto una luce attraverso gli alberi secolari. Senza che potessimo muovere un passo, Jervis ci ha sorpresi, un colpo è partito dalla rivoltella del dottore e l’eco dello sparo si è sparso tutto attorno. Jervis era stato colpito ma non per questo era meno forte e motivato. In due riuscivamo a stento ad eguagliare la stretta delle sue braccia rachitiche. Poi, sulla soglia del sepolcro, è comparso l’orco. Rosso, proprio come era stato descritto, e dai lineamenti deformi e gonfi. Avevo già visto quel volto. Il dottore non mentiva, era il fabbro. Sono caduto a terra, ho afferrato una pietra e l’ho calata con forza sulla testa del vecchio servo che, nel frattempo, aveva stretto le mani contro la gola del dottore. Jervis è crollato come un vecchio straccio e io, con mani tremanti e il respiro impazzito, ho diretto la rivoltella contro l’orco rimasto impassibile sulla soglia. Il dottore, a fianco a me, ha mosso alcuni passi verso la porta. L’orco era fermo, immobile, con le spalle possenti incasellate negli angoli neri bizzarramente squadrati del mausoleo. L’orco si è scansato, in un silenzioso gesto di invito e, prima che potessi dire una parola, il dottore era sparito dentro la tomba. Con passi incerti mi sono avvicinato a mia volta. Il dottore era fermo, in piedi e teneva qualcosa tra le mani. Ho coperto gli occhi con la mano, la luce che proveniva dall’interno era troppo forte e io troppo stravolto.

  «Sono giocattoli. Giocattoli» mormorava il dottore con voce incredula. L’ho avvicinato e ho visto ciò che teneva tra le mani. Era una palla, fatta di pelo di animale. Davanti c’erano giochi di ogni genere, macabramente assemblati dalle mani grosse e possenti dell’orco: bambole fatte di carne, animali imbalsamati, ossa, teste, denti e occhi senza palpebre, tutti uniti e concentrati in quella che aveva l’aria di apparire come una vetrina del più terribile degli empori. Quella vista era sufficiente per far perdere il lume della ragione a chiunque non avesse i nervi abbastanza saldi. O la cui mente non fosse già abbastanza compromessa. Il dottore era pietrificato e l’orco gli rivolgeva al contrario uno sguardo compassionevole.

  «Lo faccia» gli ho detto. Ho creduto di sussurrarlo, invece devo averlo urlato. È stato allora che l’orco mi ha guardato e nei suoi occhi ho riconosciuto, per un attimo, lo sguardo dell’uomo che era stato.

  La mano del dottore tremava mentre si alzava e prendeva la mira. Venne un rumore da fuori, il dottore abbassò repentinamente l’arma. Un boato si era levato dal camposanto e tra gli alberi secolari erano comparsi lumini e scintille. Il dottore uscì insieme a me, rimanemmo per alcuni istanti febbrili in attesa poi comparve il parroco e dietro di lui tutto il paese. Torce, forconi e rivoltelle: ognuno di loro sembrava determinato a porre fine all’esistenza del mostro quella notte. Il prete brandiva la bibbia in una mano e nell’altra quella che riconobbi come la missiva che avevo affidato a Netitia. Il prete, come se si fosse trovato sul suo pulpito, ordinò al dottore di indicare loro il nascondiglio del mostro affinchè il mondo fosse purificato da tanta empietà. L’orco rosso è comparso allora sulla soglia, molti hanno urlato, altri sono scappati. Il dottore urlò a sua volta.

  «Vi prego! Non fatelo! Lui…lui non voleva farvi del male…lui voleva costruire…costruire dei giocattoli!»

  Non ci fu risposta. Nessuna che orecchio umano fu in grado di capire. Dalla folla si alzò un ruggito, colpi di fucile e rivoltella esplosero nella notte. Il dottore cadde a terra esanime e l’orco, dopo essersi percosso il petto, sparì nella notte. Da muto osservatore, mi accorsi solo allora che tutto era durato non più che una manciata di secondi. Il corpo del dottore era disteso a terra ai miei piedi e aveva sul volto un’espressione distrutta. Alcuni uomini mi hanno allora oltrepassato brandendo le loro torce e in un sol gesto il fuoco ha avvolto gli interni del mausoleo nero alle mie spalle. Una risata si levò dal campo santo. Tra gli alberi illuminati dalle fiamme si levò una sagoma scarna. Jervis, Jervis era vivo.

  «Tornerà. Tornerà a Natale, come successo quarant’anni fa. E voi non potrete fare niente, stavolta. Tornerà e porterà con sé i suoi doni per tutti voi». Il vecchio servo rise un’ultima volta, dopodichè il corpo si piegò su se stesso e di lui non rimase che un mucchio d’ossa consunte. Quella è stata l’ultima cosa che ricordo lucidamente. Il resto dei ricordi frammentari si perde nella febbre della follia e nei resoconti successivi che mi sono stati riportati fedelmente. Sono stato momentaneamente sollevato dal compito di borgomastro, forse ci sarà un’inchiesta ufficiale e accuse potrebbero essere formulat
e sul mio conto in base alle mie azioni. Questo diario è l’unica cosa che possa, per quanto le parole ben poco siano in grado di descrivere gli assurdi eventi, scagionare me e il mio operato.

  24 dicembre

  Lo sento. È nell’aria, nella neve che turbina, nel fuoco che scoppietta allegro nel focolare. È quasi mezzanotte, Natale è ormai tra noi e le ombre lunghe disegnate dalla luna suggeriscono fantasie grottesche. Piena di orrore è la mia mente e presto lo saranno anche i miei occhi. Nessuna preghiera, nessun miracolo giunge a rischiarare il mio cuore. L’antica magione è stata data alle fiamme e con essa I corpi e il libro blasfemo. Il mausoleo nero con gli angoli bizzarramente squadrati è stato distrutto e rimosso pezzo per pezzo. La terra sconsacrata di nuovo benedetta. Non basterà, niente potrà ormai fermarlo. Non stanotte che ha promesso di tornare.

  Eccolo. L’orco rosso sta arrivando. Vedo la sua sagoma disegnata nella via maestra. Dalle sue spalle pende un sacco, pieno dei suoi macabri regali. La rivoltella brilla al mio fianco. L’orco non mi avrà. Non diventerò uno dei suoi doni. Non dopo che ho fatto quanto umanamente possibile per fermarlo. Giocattoli, erano solo giocattoli per lui.

  L’Autore

  Nato e cresciuto a Firenze inizia a scrivere alle elementari anche se alcuni tentativi di scarabocchi sono documentati fin dall’asilo. Famoso per aver lasciato segni pittorici del suo passaggio ovunque (fogli, banchi, persone), crescendo si appassiona a troppe cose per sceglierne solo una quindi si iscrive e si laurea presso la Facoltà di Design dove può esprimere e sperimentare il suo essere poliedrico. Inizia a scrivere il primo libro della Saga a sedici anni ma inizia a crederci solo dopo averlo cestinato e ricominciato dall’inizio per la quinta volta. Attualmente frequenta il terzo anno di laurea magistrale in Architettura e sta lavorando al quarto romanzo della Saga Le Pietre di Talarana.

 

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