Nessun Dove

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Nessun Dove Page 2

by Neil Gaiman


  Per di più, c'era il rapporto Wandsworth, i cui tempi di conse­gna erano scaduti e che aveva assorbito praticamente tutti i suoi pensieri. Richard controllò un'altra sfilza di numeri; poi si accorse che pagina 17 era sparita e si mise all'opera per stamparne una copia; ed ecco un'altra pagina, e sapeva che se solo l'avessero la­sciato finire in pace... se, miracolo dei miracoli, il telefono non avesse squillato...

  Squillò. Premette il pulsante del vivavoce.

  «Pronto? Richard? L'amministratore delegato vuole sapere quan­do gli consegnerai il rapporto.»

  Richard guardò l'orologio. «Cinque minuti, Sylvia. È quasi concluso. Devo solamente aggiungere la proiezione profitti e per­dite.»

  «Grazie, Dick. Scendo poi a prenderlo.»

  Sylvia era, come amava spiegare, la «PR dell'AD», e si muove­va sempre in un'atmosfera di assoluta efficienza.

  Spense il vivavoce; il telefono squillò di nuovo, immediatamente.

  «Richard» disse chi stava all'altro capo del filo, con la voce di Jessica, «sono Jessica. Te ne sei dimenticato, vero?»

  «Dimenticato?» Cercò di ricordare cosa poteva avere dimenti­cato. Guardò verso la fotografia di Jessica in cerca di ispirazione, e trovò tutta quella di cui aveva bisogno sotto forma di bigliettino giallo appiccicato sulla di lei fronte.

  «Richard? Solleva il ricevitore.»

  Sollevò il ricevitore, leggendo contemporaneamente l'annota­zione sul post-it.

  «Scusa, Jess. No, non me ne sono dimenticato. Ore diciannove, ristorante italiano Ma Maison. Ci incontriamo là?»

  «Jessica, Richard. Non Jess.» Tacque per un istante. «Dopo quello che è successo l'ultima volta? Non penso proprio. Tu riu­sciresti a perderti sul balcone di casa!»

  Richard stava per ribattere che chiunque avrebbe potuto scam­biare la National Gallery con la National Portrait Gallery, e che non era stata lei a passare l'intera giornata fuori sotto la pioggia (cosa che a suo parere era divertente almeno quanto aggirarsi in uno qualsiasi dei due musei in questione fino a farsi venire male ai piedi), ma pensò fosse meglio soprassedere.

  «Vengo a prenderti a casa» disse Jessica. «Cosi facciamo due passi insieme fino al ristorante.»

  «D'accordo, Jess. Scusa... Jessica.»

  «Hai confermato la prenotazione, non è vero Richard?»

  «Si» menti Richard tutto serio. L'altro telefono sulla scrivania si era messo a squillare con insistenza. «Jessica, guarda, io...»

  «Bene» disse Jessica, e interruppe la conversazione.

  La più grossa somma di denaro che Richard avesse mai speso in assoluto era servita per l'anello di fidanzamento di Jessica, di­ciotto mesi prima.

  Sollevò il ricevitore dell'altro telefono.

  «Ciao Dick» disse Garry. «Sono io, Garry.»

  Garry lavorava a qualche metro da Richard, e lo salutò agitando la mano da dietro una luccicante scrivania del tutto priva di troll.

  «È ancora valida la proposta di andare a bere qualcosa insie­me? Hai detto che potevamo esaminare il rendiconto Merstham.»

  «Metti giù quel dannato telefono, Garry. Certo che è ancora valida.»

  Richard abbassò il ricevitore. C'era un numero telefonico in fondo al bigliettino giallo, che Richard si era diligentemente scrit­to parecchie settimane prima. E aveva prenotato: ne era quasi certo. Però non aveva confermato la prenotazione. L'intenzione l'ave­va sempre avuta, ma c'erano state cosi tante cose da fare e tutto quel tempo a disposizione. Ma gli avvenimenti di un certo rilievo procedono in massa...

  Adesso Sylvia era in piedi accanto a lui. «Dick? Il rapporto Wandsworth?»

  «Quasi pronto, Sylvia. Guarda, aspetta solo un secondo, puoi?»

  Fini di digitare con forza il numero, e fece un sospiro di sollievo quando una voce rispose. «Ma Maison. Cosa posso fare per lei?»

  «Vorrei un tavolo per tre per stasera» disse Richard. «Credo di avere prenotato. E se l'ho fatto, vorrei confermare la prenotazione. Se invece non l'ho fatto, mi chiedo se potrei prenotare ora. Per fa­vore.»

  No, non era segnata alcuna prenotazione per la sera a nome Mayhew. O Stockton. O Bartram - il cognome di Jessica. E quan­to a prenotare un tavolo...

  Non erano le parole che Richard trovò decisamente sgradevoli, ma il tono di voce con cui l'informazione venne trasmessa. Un ta­volo per questa sera avrebbe dovuto essere prenotato anni prima, magari dai genitori di Richard. Un tavolo per questa sera era im­possibile: persino se il papa, il primo ministro e il presidente fran­cese si fossero presentati là quella sera senza una conferma di pre­notazione, sarebbero stati rispediti in strada.

  «Ma è per il capo della mia fidanzata. So che avrei dovuto tele­fonare prima. Siamo soltanto in tre, non potrebbe gentilmente...»

  Avevano riattaccato.

  «Richard?» disse Sylvia. «L'amministratore delegato aspetta.»

  «Pensi» domandò Richard «che me lo darebbero un tavolo se richiamassi offrendo una grossa mancia?»

  Nel sogno erano tutti insieme, a casa. I suoi genitori, suo fratel­lo, sua sorella. Erano in piedi nella sala da ballo. Erano cosi palli­di, cosi seri. Ianua, sua madre, le sfiorò la guancia e le disse che era in pericolo. Nel sogno, Porta rise e rispose che lo sapeva. La madre scosse il capo: no, no - adesso era in pericolo. Adesso.

  Porta apri gli occhi. L'uscio si stava aprendo, piano piano; trat­tenne il fiato.

  Dei passi, felpati sul selciato. Magari non si accorge di me, pensò. Magari se ne va. E poi pensò, disperata, Ho fame.

  I passi esitarono. Era ben nascosta, ne era certa, sotto un muc­chio di giornali e di stracci. Ed era possibile che l'intruso non vo­lesse farle del male. Potrà sentire il mio cuore che batte forte? Poi i passi si avvicinarono, e lei sapeva cosa doveva fare, anche se aveva paura.

  Una mano strappò via la copertura che la riparava, e si trovò a fissare un viso inespressivo che si contrasse in un ghigno feroce. Rotolò su un fianco raggomitolata su se stessa, e la lama del col­tello rivolto al suo petto la raggiunse invece al braccio.

  Fino a quel momento non aveva mai pensato di riuscire a farlo. Mai creduto di poter essere abbastanza coraggiosa, o impaurita o disperata da osare. Ma allungò una mano, la posò sul petto di lui, e apri...

  Era umido, caldo e scivoloso; strisciò e barcollò per liberarsi dal peso dell'uomo, poi, con passo incerto, lasciò quel luogo.

  Giunta nel lungo e stretto tunnel esterno, trattenne il respiro mentre si appoggiava pesantemente al muro, sfinita e singhiozzante.

  Era allo stremo delle forze. Aveva dato fondo alle proprie ener­gie. La spalla cominciava a pulsare dolorosamente. Il coltello, pen­sò. Ma era salva.

  «Oh perbacco, perbacco» disse una voce nel buio alla sua de­stra. «È sopravvissuta al signor Ross. Chi l'avrebbe mai detto, mi­ster Vandemar.» La voce aveva un suono di fanghiglia melmosa.

  «Neppure io l'avrei mai detto, mister Croup» disse una voce piatta alla sua sinistra.

  Accesero una luce tremolante. «Tuttavia» aggiunse mister Croup, gli occhi lampeggianti nell'oscurità sotterranea, «a noi non soprav­viverà.»

  Porta gli diede una ginocchiata, forte, all'inguine: senti qualco­sa contorcersi sotto gli abiti e si mise a correre, tenendosi la spalla sinistra con la mano destra.

  E continuò a correre.

  «Dick?»

  Richard allontanò da sé l'interruzione con un gesto della mano. Teneva la propria vita quasi sotto controllo, ormai. Ancora soltan­to qualche minuto...

  Garry ripeté il suo nome. «Dick? Sono le sei e trenta.»

  «Sono cosa?»

  Fogli, penne, tabulati e troll vennero scaraventati nella ventiquattr'ore di Richard, che la chiuse e scappò via.

  Mentre si dirigeva verso l'uscita si infilò il soprabito. Con Gar­ry alle calcagna. «Allora, andiamo a bere qualcosa?»

  «Bere?»

  «Dovevamo uscire insieme stasera per discutere del rendiconto Merstham. Ricordi?»

  Era per stasera? Richard si fermò un istante. Se mai, decise, avessero ammesso la disorganizzazione come sport ol
impico, di certo avrebbe potuto degnamente rappresentare l'Inghilterra.

  «Garry,» disse «mi dispiace. Ho fatto confusione. Questa sera devo vedere Jessica. Portiamo fuori a cena il suo capo.»

  «Il signor Stockton? Degli Stockton? Quello Stockton?»

  Richard annui.

  Si precipitarono giù dalle scale.

  «Sono certo che ti divertirai» commentò Garry. «E come sta il Mostro della Laguna Nera?»

  «Per essere precisi, Garry, Jessica è di Ilford. Ed è sempre la luce e l'amore della mia vita, grazie per avermelo chiesto.»

  A quel punto erano arrivati nell'atrio e Richard si lanciò verso la porta automatica, che clamorosamente non si apri.

  «Sono passate le sei, signor Mayhew» spiegò il signor Figgis, la guardia addetta alla sicurezza del palazzo. «Deve firmare il re­gistro con l'ora di uscita.»

  «Ci mancava anche questo,» disse Richard senza rivolgersi a qualcuno in particolare, «ci mancava proprio.»

  Il signor Figgis odorava vagamente di sciroppo per la tosse e di lui si raccontava da più parti che possedesse una collezione di giornaletti porno a dir poco enciclopedica. Sorvegliava il portone con una diligenza quasi maniacale, non essendo ancora riuscito a dimenticare la sera in cui la costosa attrezzatura informatica di un intero piano aveva alzato i tacchi e preso il volo, insieme a due vasi di palme e al tappeto Axminster dell'amministratore delegato.

  «Quindi la nostra uscita è rimandata?»

  «Mi dispiace, Garry. Ti va bene lunedi?»

  «Certo. Lunedi va benissimo. Allora ci vediamo lunedi.»

  Il signor Figgis controllò le firme e si accertò che non avessero con sé computer, vasi di palme o tappeti, dopo di che premette un pulsante sotto la sua scrivania e la porta si apri.

  «Porte» commentò Richard.

  La strada sotterranea si biforcava e si diramava; scelse una di­rezione a caso, tuffandosi nei tunnel, correndo, inciampando e muovendosi a zig zag.

  Dietro di lei bighellonavano mister Croup e mister Vandemar, rilassati e contenti come stessero visitando la grande esposizione del Crystal Palace.

  Quando giunsero a un incrocio, mister Croup si chinò, trovò la più vicina traccia di sangue e la seguirono.

  Erano come iene, che portano allo sfinimento la propria preda. Loro potevano aspettare. Loro avevano tutto il tempo del mondo.

  Per una volta la fortuna era dalla parte di Richard. Prese un taxi guidato da un tassista particolarmente entusiasta che lo portò a casa seguendo un itinerario insolito che prevedeva strade della cui esi­stenza Richard non si era mai accorto. Scese di corsa dal taxi, la­sciando una buona mancia e la ventiquattr'ore, riuscì a fare cenno all'autista che si fermò appena prima di infilarsi in un viale di scor­rimento e recuperò la borsa, quindi sali le scale a razzo e si fiondò nel suo appartamento.

  Quando entrò in sala si stava già togliendo i vestiti: la borsa attraversò la stanza roteando e fece un attcrraggio di fortuna sul divano; prese le chiavi e le appoggiò con cura sul tavolino all'in­gresso, in modo da non dimenticarle.

  Poi corse in camera da letto.

  Il cicalino del citofono squillò.

  Richard, vestito per tre quarti del suo completo migliore, si lan­ciò a rispondere.

  «Richard? Sono Jessica. Spero che tu sia pronto.»

  «Oh, si. Arrivo subito.»

  Infilò il soprabito e corse via, sbattendo la porta dietro di sé.

  Jessica lo stava aspettando in fondo alle scale. Lo aspettava sempre li. A lei non piaceva l'appartamento di Richard: la faceva sentire femminilmente a disagio. C'era sempre la possibilità di tro­vare un paio di mutande, be', praticamente ovunque, per non par­lare dei blocchi serpeggianti di dentifricio indurito cementati sul lavandino del bagno: no, non era proprio un posto da Jessica.

  Jessica era molto bella; al punto che a Richard capitava di ri­trovarsi a guardarla chiedendosi come ha fatto a mettersi con me?

  E quando facevano l'amore - cosa che accadeva nell'apparta­mento di Jessica nella zona di Barbican, nel letto di ottone di Jessica con le gelide lenzuola di lino bianco (i genitori di Jessica le avevano detto che i piumini erano démodé) - dopo, al buio, lei lo abbrac­ciava stretto, i lunghi riccioli bruni scompigliati a coprirgli il petto, e gli sussurrava quanto lo amava, mentre lui a sua volta le diceva di amarla e di voler stare con lei per sempre, e entrambi ci credevano.

  «Santo cielo, mister Vandemar. Sta rallentando.»

  «Rallentando, mister Croup.»

  «Deve perdere molto sangue, mister V.»

  «Sangue delizioso, mister C. Tiepido sangue delizioso.»

  «Non ci vorrà molto.»

  Un click: il rumore di un coltello a serramanico che si apre, vuoto, solo e buio.

  «Richard? Cosa stai facendo?» chiese Jessica.

  «Nulla, Jessica.»

  «Non avrai di nuovo dimenticato le chiavi?»

  «No, Jessica.»

  Richard smise di tastarsi le tasche e sprofondò le mani in quel­le del soprabito.

  «Allora, stasera, quando incontri il signor Stockton,» disse Jes­sica «devi renderti conto che non è soltanto un uomo molto impor­tante. È anche una vera e propria entità societaria in sé e per sé.»

  «Non vedo l'ora» sospirò Richard.

  «Come hai detto, scusa?»

  «Non vedo l'ora» ripeté Richard con tono entusiasta.

  «Oh, sbrigati» disse Jessica, che cominciava a emanare un'aura di quella che, in una donna meno notevole, sarebbe forse stato pos­sibile descrivere come una crisi di nervi. «Non dobbiamo fare aspettare il signor Stockton.»

  «No, Jess.»

  «E non chiamarmi a quel modo, Richard. Detesto i nomignoli. Sono cosi svilenti.»

  «Potete darmi qualcosa?» L'uomo sedeva nel vano di un porto­ne, con un cartello sul petto scritto a mano in cui faceva sapere al mondo di essere senza casa e affamato. Non c'era bisogno di car­telli per capirlo e Richard, che aveva già le mani in tasca, si mise a rovistare alla ricerca di una moneta.

  «Richard. Non abbiamo tempo» disse Jessica che faceva bene­ficenza e investiva con estrema moralità. «Dunque, voglio che tu faccia buona impressione, il fidanzato-assennato. È importante che un futuro sposo faccia buona impressione.» Poi il viso le si incre­spò e lo abbracciò per un istante, dicendo: «Oh, Richard. Io ti amo. Lo sai questo, vero?»

  E Richard annui, perché lo sapeva.

  Jessica diede un'occhiata all'orologio e accelerò il passo.

  Con discrezione, Richard lanciò all'indietro una moneta da una sterlina verso l'uomo nel portone - che l'afferrò con la mano sudicia.

  «Non hai avuto problemi con la prenotazione, vero?» chiese Jessica.

  E Richard, che non era molto bravo a mentire quando gli veni­va fatta una domanda diretta, rispose con un «Ah, ah.»

  Aveva scelto male. Il corridoio finiva contro un muro. In con­dizioni normali non sarebbe certo stato un impedimento, ma era cosi stanca, cosi affamata, e il dolore era cosi forte...

  Respirava a singulti, singhiozzava e piangeva. Il braccio era freddo e la mano sinistra intorpidita.

  «Che sia benedetta la mia piccola anima nera, mister Vandemar, vede anche lei quello che vedo io?» La voce era sommessa, poco distante: dovevano esserle più vicini di quanto avesse imma­ginato. «Con il mio piccolo occhio, adocchio qualcosa che sarà...»

  «Morta in un attimo, mister Croup» disse una voce sopra di lei.

  «Il principale ne sarà entusiasta.»

  Cercò di fare ricorso a tutto quello che riusciva a trovare dentro di sé, nel profondo dell'anima, facendo leva su tutto il dolore, il male e la paura. Era sfinita, stremata e assolutamente esausta. Non ave­va un posto dove andare, niente più forza né poteri, niente tempo.

  «Anche se fosse l'ultima porta che apro» pregò, silenziosamen­te, Temple e Arch, il Tempio e l'Arco. «Da qualche parte... Da qualunque parte... salva...» Quindi pensò, «Qualcuno.»

  E tentò di aprire una porta.

  Mentre veniva afferrata dall'oscurità udi la voce di m
ister Croup, che le parve giungere da molto, molto lontano.

  «Maledizione», diceva la voce.

  «Mi stai dicendo che hai veramente promesso loro un extra di cin­quanta sterline per un tavolo per questa sera? Sei un idiota, Richard.»

  Jessica non trovava divertente la cosa.

  «Hanno perso la mia prenotazione. E hanno detto che tutti i ta­voli erano già riservati.»

  «Probabilmente ci metteranno a sedere accanto alla cucina» so­spirò Jessica. «O alla porta. Hai detto che era per il signor Stockton?»

  «Si.»

  Sospirò di nuovo.

  Nel muro, a poca distanza da loro, si apri una porta da cui usci qualcuno che rimase in piedi barcollando per un lungo e terribile istante, quindi crollò sull'asfalto.

  Richard rabbrividì.

  «Dunque, quando parli con il signor Stockton, fai bene atten­zione a non interromperlo. E a non contraddirlo - non gli piace essere contraddetto. Quando fa una battuta, ridi. Se non sei certo che abbia fatto una battuta di spirito, guardami. Mi... be', mi met­terò a tamburellare sul tavolo con l'indice.»

  Avevano raggiunto la persona sul marciapiede. Jessica la supe­rò a grandi passi. Richard esitò. «Jessica?»

  «Hai ragione. Potrebbe pensare che mi sto annoiando. Se fa una battuta, mi tocco il lobo dell'orecchio.»

  «Jessica?»

  «Che c'è?»

  «Guarda.» Indicò il marciapiede. La persona era a faccia in giù, avvolta in abiti ingombranti; Jessica prese Richard sottobraccio e lo tirò con forza verso di lei.

  «Se presti loro attenzione, Richard, se ne approfittano. Ce l'han­no tutti una casa. Sono certa che starà benissimo quando le sarà passata la sbornia.»

  Le? Richard abbassò lo sguardo. Era proprio una ragazza.

  Jessica continuò, «Dunque, ho detto al signor Stockton che noi...» Richard aveva appoggiato un ginocchio a terra. «Richard? Cosa stai facendo?»

  «Non è ubriaca» rispose Richard. «È ferita.» Si guardò la punta delle dita. «Sanguina.»

  Jessica lo osservò, nervosa e perplessa. «Arriveremo in ritar­do» gli fece notare.

 

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