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Nessun Dove

Page 30

by Neil Gaiman


  Porta annui. Adesso Richard ricordava l'oggetto duro nella ta­sca posteriore, in Down Street; ricordava come la ragazza l'aveva abbracciato quando era tornato con le pietanze al curry, sulla nave.

  «Capperi!» esclamò Richard.

  L'Abate allungò una mano. Le rugose dita marrone trovarono un piccolo campanello sul tavolo, che agitarono per chiamare fra­tello Caliginoso.

  «Portami i calzoni del Guerriero» disse.

  Caliginoso fece un cenno di assenso e usci.

  «Io non sono un guerriero» affermò Richard.

  L'abate sorrise dolcemente. «Hai ucciso la Bestia. Sei il Guer­riero.»

  Esasperato, Richard si mise a braccia conserte. «Quindi, dopo tutto questo, continuo a non poter tornare a casa, ma come premio di consolazione sono stato inserito in una qualche arcaica lista del­le onorificenze sotterranee?»

  Il Marchese sembrava del tutto indifferente. «Non puoi tornare a Londra Sopra. Sono pochi gli individui che riescono a condurre una sorta di vita a metà - hai incontrato Iliaster e Lear - ma questo è il massimo a cui puoi aspirare.»

  Porta allungò la mano e accarezzò il braccio di Richard. «Mi dispiace» gli disse. «Ma guarda quanto bene hai fatto. Sei tu che hai preso la chiave.»

  «Già» ribatté lui. «Ma a cosa è servito? Ti è bastato forgiarne una nuova...»

  Era riapparso fratello Caliginoso, e portava i calzoni di Richard; erano coperti di fango e sangue secco, e puzzavano. Il frate diede i pantaloni all'Abate, che iniziò a cercare nelle tasche.

  Porta sorrideva. «Fabbroferraio non avrebbe potuto fare una copia, senza l'originale.»

  L'Abate si schiari la voce. «Siete tutti molto sciocchi» disse loro, con condiscendenza. «E non sapete proprio un bel niente.»

  Teneva in mano la chiave d'argento, che brillava ai bagliori del fuoco. «Richard ha superato la Prova della Chiave. Ne è lui il pa­drone, fino a quando la porrà di nuovo sotto la nostra custodia. La chiave ha un grande potere.»

  «È la chiave per il Paradiso...» disse Richard, incerto su quello a cui voleva alludere l'Abate.

  La voce del vecchio era profonda e melodiosa. «E la chiave per ogni realtà. Se Richard vuole tornare a Londra Sopra, allora la chiave ce lo riporterà.»

  «È cosi semplice?» chiese Richard.

  Il vecchio frate fece un cenno di assenso con gli occhi ciechi, nell'ombra del suo cappuccio.

  «E quando possiamo farlo?» domandò Richard.

  «Appena sei pronto» rispose l'Abate.

  Prima di restituirglieli, i frati gli avevano lavato e rattoppato i vestiti. Fratello Caliginoso lo condusse attraverso l'abbazia, per una vertiginosa serie di scale e scalini, per salire fino alla torre campanaria. In cima alla torre c'era una botola. La attraversarono e si ritrovarono in uno stretto tunnel, con una serie di gradini di metallo inseriti nel muro su un lato della galleria. Salirono lungo quel muro e giunsero su una banchina della metropolitana piutto­sto buia.

  NIGHTINGALE LANE

  dicevano i vecchi cartelli sulle pareti. Fratello Caliginoso au­gurò buona fortuna a Richard e gli disse di attendere, che sarebbe­ro passati a prenderlo. Lui rimase seduto sulla banchina per venti minuti, chiedendosi perché il Marchese non gli aveva detto addio.

  Quando l'aveva domandato a Porta, lei aveva risposto di non saperlo, ma che forse gli addii, come il confortare le persone, era­no cose in cui il Marchese non era molto bravo.

  Quindi aveva detto di avere un bruscolino nell'occhio, gli ave­va dato un foglio con delle istruzioni, e se ne era andata.

  Nell'oscurità, qualcosa stava ondeggiando. Qualcosa di bianco.

  Era un fazzoletto in cima a un bastone.

  «C'è qualcuno?» gridò Richard.

  La piumosa rotondità di Old Bailey usci dal buio, evidentemen­te impacciato e a disagio. Stava sventolando il fazzoletto di Ri­chard.

  «È la mia bandierina» disse.

  «Sono contento che sia stato utile.»

  Old Bailey sorrise con un po' di apprensione. «Già. Volevo solo dire... Ho qualcosa per te. Tieni.»

  Ficcò la mano in una tasca del cappotto e ne estrasse una lunga penna nera che risplendeva di riflessi blu-porpora-verde. Intorno al calamo aveva legato un filo rosso.

  «Hmm. Be', grazie» disse Richard, incerto sull'uso che avreb­be dovuto farne.

  «È una penna» spiegò Old Bailey. «E bella, anche. Memento. Souvenir. Ricordo. Ed è gratis. Un regalo. Da me a te. Un piccolo ringraziamento.»

  «Si, be', davvero molto gentile da parte tua.»

  Se la mise in tasca.

  Un vento caldo prese a soffiare lungo il tunnel. Stava arrivando un treno.

  «Quello è il tuo treno» disse Old Bailey. «Io i treni mica li pren­do. Datemi un buon tetto al giorno...»

  Strinse la mano a Richard e scomparve.

  Il treno arrivò in stazione. I vagoni erano tutti bui e le porte non si aprivano. Richard bussò a quella che aveva di fronte, sperando fosse la scelta giusta.

  La porta si apri, inondando la stazione abbandonata di una cal­da luce gialla, e ne uscirono due anziani signori con in mano delle chiarine. Richard li riconobbe: Dagvard e Halvard, della Corte del Conte, anche se non ricordava chi fosse l'uno e chi l'altro. Si por­tarono la tromba alle labbra e si esibirono in una grossolana ma sentita fanfara.

  Richard sali sul treno, e i due lo seguirono.

  Il Conte era seduto in fondo alla carrozza, intento ad accarez­zare il suo levriero. Il giullare - Tooley, pensò Richard, ecco come si chiama - era in piedi al suo fianco. A parte loro e i due armigeri, il vagone era deserto.

  «Chi è?» chiese il Conte.

  «È lui, signore,» rispose il giullare «Richard Mayhew. Colui che ha ucciso la Bestia.»

  «Il Guerriero?» Il Conte si grattò la barba grigio rossastra. «Por­tatelo qui.»

  Richard si avvicinò allo scranno del Conte. Questi lo squadrò dall'alto e dal basso con aria pensosa, senza mostrare in alcun modo di ricordare di averlo già incontrato.

  «Pensavo fossi più alto» disse, alla fine, il Conte.

  «Mi dispiace.»

  «Be', è meglio andare avanti con la cerimonia.» Si alzò e si ri­volse al vagone vuoto. «Buona sera. Siamo qui per rendere onore al giovane Maybury. Quali erano le parole del bardo?» Al che ini­ziò a declamare, con un ritmico rimbombo, «Cremisi le ferite nel­la carcassa, Presto cade il nemico, Impavido devoto difensore, Coraggioso tra i ragazzi di coraggio... Anche se in realtà non è proprio un ragazzo, vero Tooley?»

  «Non esattamente, vostra grazia.»

  Il Conte allungò la mano. «Dammi la tua spada, ragazzo.»

  Richard si portò la mano alla cintura e estrasse il pugnale che gli aveva dato Hunter. «Può andare bene, questo?» chiese.

  «Si-si» disse il vecchio, prendendogli il pugnale.

  «Inginocchiati!» disse Tooley, in un sussurro perfettamente udi­bile, indicando il pavimento del treno. Richard mise un ginocchio a terra.

  Il Conte lo colpi gentilmente su entrambe le spalle con il pu­gnale. «Alzati,» urlò a squarciagola «Sir Richard di Maybury. Con questo pugnale ti dono la libertà del Mondo di Sotto. Che tu possa camminare liberamente senza ostacoli o impedimenti... e cosi via e cosi discorrendo... eccetera... bla bla bla.» Il discorso andava sce­mando.

  «Grazie» disse Richard. «Comunque, è Mayhew.»

  Ma il treno si stava fermando.

  «Tu scendi qui» disse il Conte. Restituì il pugnale a Richard e gli diede una pacca sulle spalle.

  Il luogo in cui Richard era sceso non era una stazione della metropolitana. Era sopraterra. Gli ricordava un po' la stazione di St Pancras - c'era qualcosa di troppo grande e di finto gotico nell'architettura. Ma c'era anche qualcosa di sbagliato, che la etichet­tava come una zona di Londra Sotto.

  La luce era quella stranamente grigia che si vede per qualche attimo prima dell'alba e dopo il tramonto, quando il mondo si ri­pulisce e si colora, e le distanze diventano impossibili da valutare.

  Seduto su una panchina c'era un uomo che lo f
issava, perciò Richard si avvicinò, con cautela, incapace di riconoscerlo in quel­la grigia luminescenza. Teneva ancora in mano il pugnale di Hun­ter - il suo pugnale, ora - e afferrò ancora più saldamente l'impu­gnatura per darsi coraggio.

  Mentre Richard si avvicinava, l'uomo alzò lo sguardo e schizzò in piedi. Era Lord Parla-coi-Ratti. Si inchinò facendo il gesto di chi si toglie il cappello in segno di rispetto, una cosa che Richard aveva visto solo negli adattamenti di romanzi classici trasmessi dalla BBC2. «Bene-bene. Si-si» disse il parla-coi-ratti, molto agi­tato. «Tanto per chiarire, la ragazza Anestesia... Nessun rancore. I ratti sono ancora tuoi amici. E anche i parla-coi-ratti. Tu vieni da noi, e noi ti trattiamo bene.»

  «Grazie» disse Richard. Lo accompagnerà Anestesia, pensò. Lei è sacrificabile.

  Lord Parla-coi-Ratti cercò a tentoni qualcosa sulla panchina, poi offri a Richard una borsa sportiva nera con cerniera che gli era estremamente familiare.

  «C'è tutto. Ogni cosa. Controlla.»

  Richard apri la borsa. Dentro c'erano tutti i suoi possedimenti, incluso, in cima a un paio di jeans ben piegati, il portafogli. Ri­chiuse la borsa, se la mise in spalla, e se ne andò senza voltarsi indietro.

  Uscì dalla stazione e scese alcuni scalini.

  Tutto era silenzio. Tutto era vuoto. Secche foglie autunnali si rincorrevano per il piazzale, un turbinio di giallo, ocra e marrone.

  Attraversò il piazzale e scese dei gradini che portavano a un sottopassaggio. Nella semi-oscurità qualcosa fluttuava.

  Richard si voltò circospetto. Ce ne erano almeno una decina, nel corridoio alle sue spalle, e scivolavano verso di lui quasi senza far rumore, solo un fruscio di velluto scuro e, qui e là, il luccicare di gioielli d'argento a segnalare la loro presenza.

  Lo guardavano con occhi avidi.

  Era davvero impaurito. Certo, aveva il pugnale, ma in quel momento era in grado di combattere quanto di saltare da una spon­da all'altra del Tamigi. Sperava solo che il pugnale mettesse loro paura.

  Poteva sentire il profumo di caprifoglio, di mughetto e di mu­schio.

  Lamia si fece largo fino alla prima linea delle Velluto, e fece un passo avanti. Ricordando il gelo del suo abbraccio, Richard alzò il pugnale.

  Lei gli sorrise, e inclinò dolcemente il capo. Poi ammiccò, si baciò la punta delle dita e, con un soffio, mandò il bacio a Richard.

  Lui rabbrividi.

  Qualcosa fluttuò nel buio del sottopassaggio, e quando guardò di nuovo non c'era altro che ombra.

  Attraversò il sottopassaggio, sali altri gradini, e si ritrovò in cima a una collinetta erbosa, appena prima dell'alba. La luce era strana e innaturale, ma riusciva a individuare i dettagli della cam­pagna circostante: querce, frassini e faggi. Un grande fiume ser­peggiava dolcemente tra il verde. Guardandosi intorno, si rese con­to di trovarsi su una sorta di isola - due fiumi più piccoli si riversavano in quello grande, separando Richard dalla terraferma.

  E allora seppe, senza sapere come, ma con assoluta certezza, di trovarsi a Londra - ma una Londra di forse tremila anni fa, prima che la prima pietra della prima abitazione umana fosse posata so­pra un'altra pietra.

  Apri la borsa e ci infilò il coltello, accanto al portafogli. Poi la richiuse.

  Il cielo cominciava a rischiarare, ma la luce era insolita. In qual­che modo era più giovane della luce solare a cui era abituato. Un sole rosso-arancio sali da est: dove un giorno sarebbe stato creato il quartiere di Docklands, e più oltre ancora, verso Greenwich, Kent e il mare.

  «Salve» disse Porta. Non l'aveva sentita arrivare. Sotto alla malridotta giacca di pelle marrone indossava dei vestiti diversi: sempre a strati, laceri e rattoppati, però di taffettà, pizzo, seta e broccato.

  «Salve» disse Richard.

  Gli rimase accanto in piedi, e intrecciò le sue dita sottili con quelle della mano destra di lui, la mano che reggeva la borsa spor­tiva.

  «Dove siamo?» chiese Richard.

  «Sulla spaventosa e terribile isola di Westminster.» Sembrava quasi stesse citando una frase famosa, ma non gli pareva di averla mai sentita prima.

  Cominciarono a camminare sui lunghi fili d'erba, bagnati di brina. I loro piedi lasciavano impronte verde scuro, che indicava­no il punto in cui erano passati.

  «Senti,» disse Porta «adesso che l'angelo non c'è più, a Londra Sotto bisogna mettere a posto tante cose. E ci sono solo io a farlo. Mio padre voleva unire Londra Sotto... Suppongo che dovrei almeno provare a finire quanto ha cominciato.»

  Si stavano dirigendo verso nord, allontanandosi dal Tamigi. Nel cielo sopra di loro, gabbiani bianchi giravano e gridavano.

  «E hai sentito quello che Islington ha detto a proposito di mia sorella. Forse potrebbe essere ancora viva. Chissà, potrei non es­sere l'unica rimasta. E tu mi hai salvato la vita.» Fece una pausa, poi, tutto d'un fiato, «Per me sei stato davvero un grande amico, Richard. E averti intorno ha cominciato a piacermi. Ti prego, non andare.»

  Con la mano sinistra, quella ferita, le diede qualche goffo colpetto sulla mano.

  «Be',» disse «anche a me ha cominciato a piacere averti intor­no. Ma non appartengo a questo mondo. Nella mia Londra... be', la cosa più pericolosa a cui devi fare attenzione è un taxi che va di fretta. Anche tu mi piaci. Mi piaci davvero tanto. Però voglio tor­nare a casa.»

  Lei alzò verso di lui gli occhi dallo strano colore.

  «Allora non ci rivedremo più» disse.

  «Immagino di no.»

  «Grazie per tutto quello che hai fatto» disse Porta. Poi gli mise le braccia al collo e si abbracciarono stretti stretti, al punto che i lividi sulle costole di Richard si fecero sentire, ma anche lui ricam­biò l'abbraccio, altrettanto forte, e non gliene importava.

  «Bene,» disse alla fine «è stato molto bello conoscerti.»

  Lei continuava a battere le palpebre. Si chiese se anche questa volta avrebbe detto di avere un bruscolino nell'occhio. Invece, Porta domandò, «Sei pronto?»

  Lui annui.

  «Hai la chiave?»

  Appoggiò la borsa a terra e si frugò nella tasca posteriore con la mano buona. Prese la chiave e gliela diede. Lei la tenne solleva­ta come la stesse inserendo in una porta immaginaria.

  «Tutto a posto» disse la ragazza. «Basta che cammini. Senza voltarti.»

  Lui cominciò a scendere la collinetta. Un gabbiano lo sfiorò passandogli accanto.

  Ai piedi della collina, si voltò. Era là, in cima, che si stagliava nella luce del sole nascente. Le sue guance luccicavano.

  Dalla chiave brillò un raggio di luce arancione.

  Porta la girò, con un unico movimento deciso.

  Il mondo si oscurò, e un sordo ruggito riempi la testa di Ri­chard, simile al folle ringhiare di migliaia di bestie rabbiose.

  VENTI

  Il mondo si oscurò, e un sordo ruggito riempi la testa di Ri­chard, simile al folle ringhiare di migliaia di bestie rabbiose.

  Guardò l'oscurità a occhi socchiusi, tenendo stretta la borsa e domandandosi se fosse stato stupido mettere via il pugnale.

  Delle persone lo superarono spingendo. Richard se ne allontanò.

  Davanti a lui c'erano dei gradini. Cominciò a salire, e mentre lo faceva il mondo si trasformava, prendeva forma e si riformava. Il ringhio era il ruggito del traffico, e stava uscendo da un sottopassaggio in Trafalgar Square.

  Era metà mattina di un tiepido giorno di ottobre, e si trovava in piedi nella piazza con la borsa in mano e gli occhi che cercavano di adattarsi alla luce. Taxi, autobus rossi e automobili rombavano e sfrecciavano, mentre i turisti gettavano granaglie alle legioni di piccioni cicciottelli e facevano fotografie alla colonna di Nelson e ai giganteschi leoni di Landseer che la fiancheggiano.

  Il cielo era del perfetto e imperturbato blu dello schermo di un televisore sintonizzato su un canale su cui non è memorizzata al­cuna emittente.

  Attraversò la piazza chiedendosi se fosse reale oppure no. I tu­risti giapponesi lo ignoravano. Provò a rivolgere la parola a una bella ragazza che rise e disse qualcosa in una lingua che Rich
ard pensò fosse italiano mentre in realtà era finlandese.

  C'era un bambino - o forse era una bambina - intento a fissare i piccioni e allo stesso tempo a demolire per via orale una barretta di cioccolato. Gli si accovacciò accanto.

  «Hmm. Ciao, piccolino.»

  Il bambino succhiava la sua barretta di cioccolato con molta attenzione e non mostrò di riconoscere in Richard un altro essere umano.

  «Ciao» ripeté Richard, con una nota di disperazione nella voce. «Puoi vedermi? Piccolino? Eh?»

  Due occhiettini ostili lo fissarono da un visetto ricoperto di cioccolato. Quindi il bambino scappò ad abbracciare le gambe del più vicino adulto di sesso femminile, dicendo, «Ma-mi? Quell'uo­mo mi dà noia. Mi dà noia, ma'.»

  La madre del bambino si rivolse a Richard con durezza. «Cosa sta facendo?» chiese. «Sta dando noia alla nostra Leslie? Esistono dei posti speciali per gente come lei, sa?»

  Richard cominciò a sorridere. Era un sorriso largo e felice. Non sarebbe stato possibile cancellarglielo neppure colpendolo alla nuca con un mattone.

  «Sono davvero terribilmente dispiaciuto» disse, con un ghigno da Stregatto.

  Quindi, afferrata la borsa, si mise a correre per Trafalgar Square accompagnato da un volo improvviso degli stupiti piccioni.

  Prese dal portafogli la carta del bancomat e la inserì nell'appo­sito sportello automatico.

  La macchina riconobbe il codice di identificazione a quattro cifre, gli consigliò di tenerlo segreto e non rivelarlo a nessuno, e gli chiese a quale servizio desiderava accedere.

  Chiese di prelevare dei contanti, che gli vennero dati in abbon­danza. Per la gioia assestò un pugno al vento, poi, imbarazzato, finse di aver cercato di chiamare un taxi.

  Il taxi si fermò per lui - si fermò! - per lui! - ci salì, sedette sul sedile posteriore e sorrise beato. Chiese all'autista di portarlo in ufficio. Poi, quando questi sottolineò il fatto che sarebbe arrivato prima andando a piedi, il ghigno di Richard divenne ancora più ampio e chiese al taxista - praticamente implorò - di rallegrarlo, proprio lui, Richard, con la sua opinione riguardo ai problemi del traffico nel centro città, a come affrontare la criminalità dilagante e alle spinose questioni politiche del momento.

 

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