Rune

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Rune Page 6

by Christopher Fowler


  — È possibile che abbia preso qualche sostanza psicotropa, o che qualcuno gli abbia dato del veleno?

  — Un po' inverosimile, non crede? — Harry riempì di nuovo i bicchieri. — Troppo Agatha Christie. È più probabile che fosse preoccupato per qualcosa, qualcosa di cui non poteva parlare con nessuno.

  — Come lui. — Grace indicò il telegiornale sullo schermo. La polizia aveva delimitato il percorso della vettura impazzita di Meadows coi lampeggiatori e il nastro di plastica arancione, un bizzarro rituale commemorativo dell'ultimo viaggio del dirigente per la posterità.

  — Quel tipo non stava per perdere il posto?

  — La sua azienda era stata assorbita da un'altra. Stando ai giornali, non riusciva ad accettare la cosa. Forse dovrebbe anda­re a parlare con le persone con cui lavorava suo padre. Forse suo padre aveva un problema simile. — Grace si era sporta in avanti sul tavolo, aspettando una risposta. Di colpo, Harry si rese conto che un'estranea gli stava chiedendo di dividere con lei un proble­ma di famiglia.

  — Che differenza fa, per lei?

  — Mi piacerebbe sapere se si è ucciso apposta — spiegò la ra­gazza. — Il mio ruolo nell'incidente cambierebbe. Non posso tornare al lavoro finché questa storia non è chiarita. Non man­gio... — Harry guardò scettico il suo piatto vuoto. — Non ho nemmeno voglia di vedere un film, e di solito ne ho sempre vo­glia. Non capisce? Lei vuole sapere come sono andate le cose, vero? Be', anch'io.

  10

  Ventre

  L'ufficio di Arthur Bryant rifletteva il suo stato mentale. Era una stanza simmetrica e ordinata, un'area di luce riposante in aperto contrasto con i tramezzi di vetro e i neon e i computer del resto del terzo piano. I mobili erano di linea antiquata, anteguerra. Stampe cupe degli artisti vittoriani meno apprezzati ingombrava­no le pareti. I libri che occupavano un'intera parete di mensole trattavano una varietà allarmante di argomenti; per esempio, Manuale di Tossicologia e Corso Superiore di Crittanalisi erano infilati tra Gilbert & Sullivan: Opere Commentate e Hancock: L'Opera Completa.

  Nell'angolo, un vecchio grammofono Dansette suonava un di­sco di Elias Elijah di Mendelssohn, talmente rovinata che comin­ciava a sembrare una nuova versione rimixata in chiave rumori­sta.

  — Devi proprio tenere così alta la musica? — chiese John May, sedendosi sul divano di pelle verde accanto alla scrivania sgangherata del collega. — Non si riesce a pensare con questo baccano.

  — Io invece ci riesco benissimo, John. Ricordi che il nostro uomo aveva in mano qualcosa quando è stato estratto dall'ac­qua? Un pezzo di carta...

  — L'ha preso la scientifica, e non ho avuto modo di esaminar­lo.

  — Io, sì. Piuttosto interessante. Ho chiesto a uno dei ragazzi di ricalcarmelo. — Bryant aveva il risultato di fronte a sé, su un pezzo di foglio protocollo, ma lo teneva capovolto, come un ma­go che nascondesse una carta. Girò il foglio lentamente, con uno scintillio negli occhi.

  — Cos'è, una lingua straniera?

  — Non ne sono sicuro. — Bryant sbirciò il foglietto e osservò gli strani geroglifici. — Era stampato su un pezzo di cartoncino lungo una decina di centimetri. Alcuni caratteri sono stati cancellati dall'immersione.

  — Dallo a me, Arthur. Lo inserirò nel computer per un con­trollo linguistico.

  — No — disse Bryant, animandosi di colpo. — Al diavolo il tuo maledetto computer. Sono perfettamente in grado di scopri­re di che si tratta senza dover consultare un oracolo elettronico. — Agitò il foglio, irritato. — Se è una lingua, non è più usata og­gi. Un po' come il sanscrito, o l'urdù.

  — L'urdù non è una lingua morta — disse sorridendo May. Non era facile cogliere in fallo Arthur, così si divertiva a farlo quando poteva. — È la lingua letteraria ufficiale del Pakistan. Sai che aspetto ha il sanscrito?

  — No. Immagino che assomigli a questa roba.

  — Capisco. — May si drizzò sul divano, divertito. — E se ti di­cessi che il mio personal computer potrebbe individuare con pre­cisione questa lingua e tradurre tutto in pochi secondi, suppongo che continueresti a considerare la tecnologia una maledizione del demonio per il genere umano, vero?

  — Assolutamente.

  — Questa è una delle cose che ammiro in te, Arthur. La tua coerenza. — May rise. Parecchi mesi prima, Bryant aveva posa­to sul computer dell'assistente di May un sacchetto di oggetti con impronte digitali relative a un'indagine su un omicidio. Il sac­chetto conteneva un aggeggio magnetico per la pulizia dei vetri. Il campo di forze che aveva generato aveva cancellato tutti i dati riguardanti il caso. Bryant non si era mai fidato dei computer. Adesso li evitava completamente.

  — Ad ogni modo, mentre tu continuerai a trastullarti coi tuoi floppy disk, io finirò di scoprire com'è morto Henry Dell.

  — Finirai? Perché, hai qualche idea?

  — Qualcosa di più. So dov'era nelle ore precedenti la sua morte, e come è finito nel canale. — Bryant allungò una mano dietro la sedia e tolse la puntina dal disco. Si alzò, prese il cap­pello con due dita e se lo calcò in testa, poi si avviò alla porta.

  — Aspetta, dove vai? — chiese May, cercando di bloccarlo.

  — A curiosare nell'appartamento di Dell. Vieni?

  — Solo se prendiamo il metro o un taxi. Sai cosa penso della tua guida.

  — Sciocchezze — replicò Bryant, senza fermarsi. — Ho biso­gno di tenermi in esercizio. Su, vieni in macchina con me.

  Stringendosi nelle spalle con fare rassegnato, May seguì il col­lega.

  Dietro la Mini Minor blu arrugginita il traffico si era accumu­lato in modo considerevole, mentre la vetturetta procedeva lun­go Marylebone Road a poco più di venti chilometri orari a caval­lo delle corsie. Erano sette anni che Bryant tentava senza succes­so di superare l'esame di guida. Per lui, i segnali stradali erano noiosi e ripetitivi. Gli sembrava che le norme della circolazione fossero state concepite senza tenere conto della creatività e del­l'immaginazione. Una situazione a cui lui poneva rimedio ogni volta che si metteva al volante. Interpretava la segnaletica in mo­di interessanti ma non proprio legali, e gli piaceva guidare a una velocità tranquilla che gli consentisse di apprezzare l'architettura della zona che attraversava. Aborriva le istruzioni scritte di ogni genere, e rallentava immancabilmente per criticare gli enormi ta­belloni pubblicitari che nascondevano tanti begli edifici. Igno­rando gli strombazzamenti e i gesti degli automobilisti attorno a lui, Bryant proseguì lungo la via, discorrendo di arte, di storia, e della mancanza di orientamento della società moderna. Era qua­lificato per discutere dell'ultimo punto, avendo imboccato con­tromano due sensi unici negli ultimi dieci minuti.

  Per May non era facile prestare attenzione, con i camionisti che si sporgevano dalle cabine esprimendo ad alta voce i loro dubbi circa i genitori dell'automobilista. Grazie al cielo, non ave­vano fretta di arrivare a destinazione.

  — Hai avuto occasione di esaminare una cartina dell'area cir­costante? — chiese Bryant, mentre due autobus li sorpassavano su entrambi i lati, oscurando brevemente l'interno della vettura.

  — Intendi dire, dove sono situati i canali? — domandò May, assicurandosi che il suo finestrino fosse ben chiuso. — No, per­ché?

  — Non appena ho guardato, mi è stato chiaro. Dell non ha mai lasciato il paese. Il fatto che avesse con sé il passaporto quando è morto significa soltanto che stava per andarsene. Però non c'erano i visti e i timbri necessari nel passaporto, e il suo no­me non figurava in nessuna lista passeggeri dell'aeroporto, quin­di possiamo presumere che si sia trattato di una decisione del­l'ultimo minuto.

  Bryant non vide il semaforo rosso all'incrocio di Baker Street e avanzò nel traffico trasversale tra una salva di colpi di clacson. May chiuse gli occhi.

  — È evidente, se ci pensi — disse Bryant, procedendo lenta­mente, come se stesse attraversando un fiume su una zattera. — Sulla mappa zonale dell'Istituto Cartografico, ho notato che il settore nord dello zoo di Londra è diviso a metà dal Regent Ca­nai. Sono andato là e ho dato un'occhiata di persona. L'insettario è sopra il canale,
e il recinto degli impala è proprio sul pendio della sponda. Un custode servizievole mi ha informato che nel­l'insettario hanno una bacheca piena di vedove nere... o almeno, l'avevano, perché qualcuno è penetrato là dentro e ha rotto la vetrinetta lunedì notte. In qualche modo, Dell è riuscito a farsi morsicare. Ha lasciato l'edificio barcollando, è caduto nel recin­to degli impala ed è ruzzolato lungo il pendio, raccogliendo pezzi di paglia con la giacca. Come abbia fatto a scalare la staccionata in fondo al recinto, è un mistero, però l'ha scalata. Presumibil­mente, questo aumento dell'attività fisica avrà fatto sì che il ve­leno entrasse in circolo più in fretta, dopo di che Dell è caduto nel canale.

  — Ma lo zoo disterà un chilometro e mezzo dal luogo del de­litto, e non c'è nessuna corrente che possa avercelo trascinato. Dunque, come ha fatto a finire a Camden Lock?

  — Prova a domandarti questo — disse Bryant. — Cos'è che va avanti e indietro dallo zoo alla chiusa?

  — Ma certo. — May spalancò gli occhi mentre il collega met­teva la freccia destra e girava lentamente a sinistra. — La chiatta turistica... come si chiama... la Jenny Wren.

  — Esatto. I cadaveri di solito galleggiano a faccia in giù. Pro­babilmente il corpo di Dell era appena sotto la superficie quando il dorso della giacca si è impigliato nella chiatta. La chiatta l'ha trascinato in fondo al canale, il che spiega i calzoni strappati, e quando ha iniziato il tragitto di ritorno il cadavere si è liberato. Fine del mistero.

  — O l'inizio di un nuovo mistero — borbottò May. — Cosa diavolo ci faceva Dell nell'insettario dopo l'ora di chiusura dello zoo?

  L'appartamento di Henry Dell era situato al terzo piano di un palazzo costruito su commissione a St. John's Wood. In fondo a un atrio tutto marmi e indorature sedeva un portiere in unifor­me, che salutò i detective e fornì loro una serie di passe-partout.

  — Chi altro è stato qui finora? — chiese Bryant mentre saliva­no in ascensore. May si appoggiò alla parete di plastica marmo­rizzata picchiettata d'oro.

  — Nessuno, che io sappia. La sua ex moglie non aveva le chia­vi. Nessun altro sarebbe potuto entrare senza un'autorizzazione scritta del sergente Longbright.

  — Janice Longbright di Bow Street? Bella donna. Me l'imma­gino sempre in posa su qualche manifesto pubblicitario. Venite a Brightsea, un mare fantastico... sorrisone candido, un pallone da spiaggia in mano... Ho sentito che verrà a Kentish Town a coor­dinare il materiale di questo caso.

  — L'ho chiesto io.

  L'appartamento di Dell era proprio di fronte all'ascensore. May inserì la chiave e spalancò la porta.

  — Buon Dio.

  La porta si chiuse dietro di loro. I due investigatori stentavano a credere ai loro occhi. Erano in uno stretto corridoio che era stato modificato radicalmente rispetto al progetto originale. Am­pie sponde curve di cemento raccordavano la moquette alle pa­reti, e le pareti al soffitto, e il corridoio si era trasformato in un buio tunnel ovale.

  Avanzando cauti entrarono nel soggiorno, Bryant e May sco­prirono che il pavimento, i muri e il soffitto erano stati collegati con bianche parabole lisce che grosso modo conferivano alla stanza la forma di un uovo.

  Sul lato opposto, le finestre avevano perso i loro angoli sotto chili di intonaco. Perfino i montanti che separavano i vetri erano stati coperti. Privo di qualsiasi elemento convenzionale, il sog­giorno aveva un che di organico: si aveva l'impressione di trovar­si sotto le radici di una pianta esotica. Non c'erano mobili di al­cun genere.

  — Straordinario. Sembra di essere nel ventre materno. Tutte le stanze sono così? — Bryant oltrepassò il vano curvo di una porta, entrando nella camera da letto, e constatò che anche lì era stato ottenuto lo stesso risultato.

  — Questo è ancora fresco. — Toccò con le unghie l'intonaco steso in linee armoniose. — Sicuramente, non ha più di una setti­mana.

  — Come fai a saperlo? — May lo raggiunse nella stanza e si guardò attorno. Sul pavimento c'erano un materasso e alcune co­perte.

  — Non senti? — chiese Bryant. — Questo posto è fradicio. Guarda la condensa sulle finestre. L'umidità non è riuscita a eva­porare completamente con tutto questo cemento.

  — Non ci sono porte. Non ci sono mobili. Guardaroba? — May attraversò la camera ed esaminò gli armadi a muro. I bordi erano stati tagliati e piallati; non si chiudevano più bene, e ricor­davano il materiale scenico di un film surrealista.

  — Pazzesco — commentò sottovoce Bryant. — È come se Dell stesse ricostruendo la sua casa in base a qualche misteriosa serie di regole. Qua dentro ci sono solo un vestito e un paio di scarpe, nient'altro. Sappiamo che Dell stava bene ed era su di morale tre settimane fa. Deve avere trasformato la casa in segui­to.

  Controllarono la cucina. Mobiletti ed elettrodomestici erano stati staccati ed eliminati. Al centro del pavimento: un bollitore elettrico, una bottiglia di latte e una tazza.

  — Vieni a dare un'occhiata qui, Arthur. — May era in fondo alla stanza, e indicava la tappezzeria, un motivo vivace di cerchi e quadri.

  — Perché mai si sarà preso la briga di far questo? — Qualcu­no aveva scritto meticolosamente sui muri con un pennarello ne­ro, numerando ogni forma presente nel disegno della carta da parati, dal pavimento al soffitto. Su tutte e quattro le pareti si ve­devano minuscole cifre nitide.

  — Deve avere impiegato un secolo. — Bryant scosse la testa, mesto. — Questa è opera di uno psicotico.

  — Sacchi di cemento che entravano nel palazzo, e quintali di rottami che ne uscivano — disse May. — Qualcuno avrà visto co­sa faceva Dell. Devono avergli chiesto cosa stava succedendo.

  — Il portiere.

  Bryant si stava già avviando alla porta.

  11

  Accecata dalla ragione

  La signora Nahree era una donna devota, ma la sua religiosità era temperata da esigenze pratiche. Il grattacielo in cui era pri­gioniera era lontano da qualsiasi luogo di culto accessibile, e co­me la maggior parte degli inquilini la signora Nahree non era propensa a rischiare di avventurarsi da sola nel merdoso labirin­to di cemento e d'acciaio che la circondava. Preferiva pregare in casa, inginocchiandosi quotidianamente di fronte al piccolo sa­crario illuminato da qualche candela che si trovava in un credenzino della cucina.

  A parte suo figlio Rasheed, Harry Buckingham era stato la prima persona a farle visita in quasi un mese. Una visita foriera di guai.

  La signora stava vuotando la tasca del soprabito, quando il pezzo di carta scivolò fuori e cadde sulla moquette. Raccoglien­dolo, osservò attentamente le strane lettere. No, non appartene­va a lei. Da dove poteva venire?

  Poi ricordò che indossava il soprabito il pomeriggio dello scon­tro col padre di Harry. Possibile che il vecchio pazzo gliel'avesse infilato in tasca mentre l'aiutava a rialzarsi?

  Studiò meglio la striscia di carta, e una grande oscurità interio­re sembrò sbocciare in lei. Senza comprendere quei simboli, di colpo intuì il loro significato preciso, ed ebbe paura, una paura enorme. La signora Nahree era una donna piena di risorse. Scac­ciò la paura e si sforzò di riflettere. Mentre si preparava una taz­za di tè, tornò in salotto e si sedette con le tende chiuse, aspet­tando che le mani cessassero di tremarle. Infine, stabilì una li­nea di condotta adeguata.

  Impiegò la maggior parte del pomeriggio per serrare bene l'appartamento. Rasheed aveva lasciato martello e chiodi sotto il lavandino dopo averle costruito le mensole. Li utilizzò per bloccare le finestre con alcune traverse. Sistemare la porta fu più semplice. Servendosi di un coltello da cucina, ricavò parecchi cu­nei di legno da un'assicella avanzata, li infilò sotto la porta col piede e li incastrò saldamente col martello.

  Staccò il telefono, poi il televisore - che peccato, le piacevano gli spettacoli pomeridiani - e poi, ripensandoci, tornò in corri­doio e vuotò un tubetto intero di adesivo universale super sulla feritoia della cassetta delle lettere.

  La dispensa era ben rifornita di scatolame, però non c'era qua­si più pane e, peggio ancora, il latte era finito. Non aveva impor­tanza, si disse la signo
ra Nahree. Poteva farne a meno. Rasheed sarebbe venuto a trovarla, prima o poi. Avrebbe capito che qual­cosa non andava. Lei non avrebbe potuto farlo entrare, certo, però nulla le impediva di parlargli attraverso la porta. Gli avreb­be spiegato la difficile situazione. Rasheed sarebbe riuscito ad aiutarla, lo sperava proprio. Altrimenti sarebbe morta, sicura­mente.

  Mise il pezzo di carta su un piattino, accese un fiammifero e lo accostò a un'estremità della striscetta. La carta bruciò subito, con una fiammella azzurra. Alcuni istanti dopo, rimaneva solo un ricciolo grigio di cenere, che lei versò nel lavandino e fece sparire aprendo entrambi i rubinetti.

  La notte trascorse lentamente, ma almeno le stanze erano cal­de, anche se la signora Nahree non osò usare le luci elettriche. Le candele che aveva le sarebbero bastate per due notti al massi­mo, ma entro allora sicuramente Rasheed sarebbe arrivato.

  D'un tratto, un pensiero terribile la colpì. Forse il sortilegio aveva già cominciato ad agire, e stava sfruttando l'oscurità per acquistare forza! Portando una mano ossuta alla bocca, la donna scese dal letto e raggiunse svelta il salotto buio, rannicchiandosi dietro il divano. Troppo tardi. Non si stava già formando qualco­sa nella stanza? Una chiazza sfocata di tenebra, una nube nera che stava assorbendo energia dalla notte, un'entità maligna che adesso stava rafforzandosi a poco a poco nell'angolo? All'altezza del capo, due occhi gialli scintillarono nella foschia che andava coagulandosi. La temperatura nel salotto cominciò a scendere mentre le dimensioni e la forza della presenza aumentavano.

  La signora Nahree si alzò e si portò malferma nel corridoio. L'avrebbe seguita, o si sarebbe semplicemente riformata in qual­che altro punto dell'appartamento? Finché la vedo, può uccider­mi pensò. All'improvviso, sbottò in una risata amara. La soluzio­ne era ovvia. Il sacrario, il suo sacrario, l'avrebbe sicuramente protetta. Corse in cucina e spalancò lo sportello dell'armadietto. I fiammiferi erano ancora vicini al lavandino. Li prese e si affrettò ad accendere tutte le candele, finché una piramide tremula di luce non scaturì dal credenzino.

 

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