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Rune

Page 13

by Christopher Fowler


  — È medicinale. Per la mia artrite. Mi risulta che i dottori la prescrivano, oggigiorno. Sai, è facilissima da coltivare.

  — Credevo che avessi detto che stavi tornando bambino, Ar­thur, non adolescente. — May si sedette su una sdraio vuota. — È passata più di una settimana da quando abbiamo iniziato l'in­dagine Dell. Non avrebbe importanza se non fosse stato per l'in­cendio. Abbiamo identificato la vittima.

  — Come sta?

  — Ci arriverò a tempo debito. Hargreave sta ricevendo delle strigliate dai capi perché non facciamo progressi. Suppongo che tu non abbia scoperto niente di nuovo, vero?

  — Pensavo di vedere come ve la sareste cavata voi due, prima — Bryant si alzò ed entrò, costringendo May a seguirlo. — A che punto è il tè?

  Il salotto di Bryant era come il suo ufficio, un miscuglio ecletti­co di vecchio e d'antico. Ritratti ovali di parenti coloniali dimen­ticati occupavano le pareti accanto a spartiti incorniciati di opere di Gilbert e Sullivan. Su un caminetto art nouveau c'era un Buddha intagliato nell'avorio molto malridotto, mentre a breve distan­za su un'elegante credenza art deco di frassino patinato spiccava un vaso africano talmente amorfo e brutto che poteva essere sta­to esposto solo perché il donatore era un visitatore abituale.

  Bryant prese una sedia e si accomodò mentre la Longbright gli posava davanti il tè. May e il sergente erano esasperati dalle sporadiche apparizioni di Bryant alla centrale, ma sapevano che non era il caso di lamentarsi. Da tempo conoscevano i suoi metodi di lavoro insoliti, e la sua capacità di ottenere dei risultati nei modi più incredibili. May si sedette di fronte al collega e aprì la borsa.

  — A proposito, che fine ha fatto il tuo cercapersone? — chie­se Janice. — Abbiamo provato a chiamarti parecchie volte.

  — Oh... Ehm... — Bryant alzò gli occhi e fissò il soffitto in un'imitazione passabile di sincera perplessità. — Devo averlo la­sciato nell'altro vestito.

  — Non hai un altro vestito — disse May. — Sei un pessimo bugiardo, Arthur. Veniamo al sodo. — Aprì la cartella. — Il ra­gazzo del negozio... Si chiama Mark Ashdown. Sedici anni. Nei weekend aggiornava il catalogo della merce in magazzino e aiu­tava al banco. Era là perché nessuno si era ricordato di contat­tarlo. È ancora vivo.

  — Dov'è?

  — All'ospedale di Hammersmith, nel reparto gravi ustionati. Ha riportato lesioni molto estese. Più della metà del corpo sarà coperta di tessuto cicatriziale.

  — E la faccia? — Come May, Bryant sapeva che se le ustioni alla testa e al collo avessero superato il nove per cento, difficil­mente il ragazzo sarebbe sopravvissuto.

  — Non troppo malridotta. Però ha le labbra piene di lacera­zioni, quindi non può parlare.

  — Il trauma psichico dev'essere tremendo — disse Janice. — Quante probabilità di sopravvivenza ha?

  — Più del cinquanta per cento, ma sto aspettando il bollettino medico. Sappiamo che era cosciente e indenne quando è scop­piato l'incendio. Lo dimostra la presenza di particelle di carbo­nio inspirate nei polmoni.

  — Può essere stato lui ad appiccare il fuoco? — chiese Bryant.

  — Improbabile. Hanno trovato dei residui di benzina in fondo al seminterrato, dove il calore era più intenso. La merce di Dell è andata completamente distrutta, ma il contenuto della sua cassaforte si è salvato. Dentro, non abbiamo trovato nulla di illegale.

  La Longbright aprì la cartella e ne sparse il contenuto sul ta­volo. — Primo... il nostro ladro d'auto suicida, Coltis. Per quel che ci risulta, non è mai stato nel negozio di Dell, non ha mai noleggiato videocassette da lui. Idem per Meadows. Nessuna delle società fornitrici di Dell è coinvolta in attività particolarmente losche. Una prova è saltata fuori, però. Analizzando i foglietti trovati addosso a Dell, Meadows e Coltis, si è scoperto che la struttura delle fibre è identica. La provenienza è la stessa. Co­pertine di videocassette.

  — Come sospettavamo. Di chi, lo sappiamo?

  — Temo di no — rispose Janice. — La maggior parte delle grandi società di distribuzione stampano sulla stessa carta, ma lo spessore è diverso. Stiamo controllando i tipi d'inchiostro.

  — Ora... questa faccenda dei suicidi e delle morti accidenta­li... — May mostrò i tabulati. — Le cifre relative a Londra sem­brano quadruplicate da un giorno all'altro. Statisticamente è impossibile, a meno che alcuni di questi "incidenti" non siano stati architettati da una o più persone sconosciute.

  — Stai insinuando che sarebbero omicidi camuffati? May si schiarì la voce. — Sì, lo so che sembra assurdo, ma pa­re proprio che sia così.

  — Ricordati una cosa, John. Nessun dato statistico è impossi­bile, solo improbabile. Nel mondo statistico non esiste la parola mai. Se le cifre di questo mese sono alte, non significa nulla.

  — Non capisco — disse May.

  — Lascia che provi a spiegarti. Immagina una stazione della metropolitana. È progettata in maniera tale da accogliere un nu­mero variabile di passeggeri, ma c'è un limite massimo alla quan­tità di gente che può contenere. Il sistema funziona grazie alla legge delle medie. Non tutti quelli che viaggiano in metro arriva­no sulla banchina contemporaneamente. Però potrebbero. E al­lora molti morirebbero schiacciati. Statisticamente è possibile, ma è improbabile perché esiste una cosa chiamata barriera del caso, che limita la possibilità che questi disastri si verifichino.

  — Quindi stai dicendo che non è possibile.

  — Ragionevolmente, no. Non si può architettare una serie co­sì impressionante di omicidi! Bisognerebbe essere in grado di in­fluenzare la legge delle medie, una legge naturale. Perbacco, sarebbe come sfidare la legge di gravita.

  La sta gonfiando un po' troppo, questa storia rifletté May. Ha scoperto qualcosa ed è eccitato. — Abbiamo chiesto al computer di registrare ogni incidente e ogni vittima classificandoli... casa, auto, fabbrica e via dicendo... ma non è emerso nessun elemento comune.

  — A dire il vero, c'è un collegamento tra due incidenti — in­tervenne Janice, consultando i propri appunti. — L'auto rubata da Coltis apparteneva a un certo Buckingham. Guarda caso, la settimana prima ho conosciuto il signor Buckingham durante le indagini sulla morte di suo padre.

  — Meglio che andiate a far visita a quel tipo — disse Bryant. — Scoprite se suo padre aveva addosso un pezzo di carta come gli altri. — Infilò una mano in una borsa di cuoio malconcia. — Forse adesso vorrete sentire il rapporto del paleografo. Sempre che riesca a trovare gli scarabocchi di Kirkpatrick. Ah, ecco. — Estrasse un foglio protocollo sporco su cui spiccava una grafia a inchiostro illeggibile, e sistemò con cura gli occhiali sul naso. — Sono maledizioni. Maledizioni runiche.

  — Tu scherzi. — May sbottò in una risata incerta.

  — No. O meglio, Kirkpatrick non scherza affatto. Sono scritte in un amalgama di alfabeti runici provenienti dalla Germania, dalla Scandinavia e dalla Gran Bretagna. Precristiani, natural­mente. — Bryant si divertiva sempre quando aveva delle infor­mazioni da comunicare. — Il particolare rivelatore è stato la for­ma angolare delle lettere. Non c'è nessun altro alfabeto simile al mondo. — Accostò i frammenti runici fotocopiati perché i colle­ghi li esaminassero.

  — Vedete, le prime rune erano tracciate con specie di stecchi. Ci sono teorie di ogni tipo sulla loro origine, però in genere si ri­tiene che siano apparse un paio di secoli avanti Cristo. La cosa strana è che, a quanto pare, sono apparse contemporaneamente in parecchi punti diversi del mondo. Quindi si crede che abbiano dei poteri magici. — Battè sui fogli con l'indice. — Secondo al­cuni, questi scarabocchi assurdi possono essere usati per creare grandi ricchezze. E per distruggere i nemici. Ricordate il raccon­to di M.R. James, quello in cui si parla di rune? Tracciando delle rune su un pezzo di carta e rifilandole all'avversario, questi do­vrebbe morire entro un certo periodo di tempo, a meno di non riuscire in qualche modo a rispedirle al mittente.

  La luce tenue della sera stava svanendo lentamente nell'appar­tamento. Fuori, il sole grigio declinava sotto una striscia di nubi blu. Il vecchio detective accostò ult
eriormente la sedia al tavolo e continuò.

  — Ci sono tre alfabeti basilari. L'unica cosa che hanno in co­mune è la mancanza di curve. — Bryant aveva un luccichio fami­liare negli occhi. — Questo fatto non significa nulla per voi?

  — L'appartamento di Dell — disse May. — Dell aveva cancel­lato tutti gli angoli e tutte le linee rette in casa sua. Aveva ta­gliuzzato i bordi delle ante dell'armadio. Aveva perfino numera­to i disegni sulla tappezzeria in cucina.

  — Per poter controllare che non fossero stati manomessi. Era un uomo terrorizzato. Pensava che qualcuno avrebbe cercato di nascondere una di queste maledizioni nel suo appartamento.

  — Ed eliminando tutti gli angoli e le superfici piane ha impe­dito che questo qualcuno tracciasse la maledizione sulle pareti o la mimetizzasse nei mobili. Ingegnoso.

  — Non riesco a immaginare come si possa credere al potere di certe cose — commentò Janice Longbright. — Quell'uomo ha ri­costruito il suo appartamento per non lasciare entrare un'antica maledizione? Non ci credo. Nessuno ci crederebbe.

  — A meno di non avere un ottimo motivo per crederci — dis­se Bryant. — Provate a immaginare... Dell è convinto di stare per ricevere una di quelle maledizioni a casa. Invece, magari gli arriva in ufficio, no? La legge e, soprattutto, la capisce, poi si uc­cide. Ma non in uno dei soliti modi. Va allo zoo di Londra, penetra nell'insettario e rimane avvelenato! Coltis riceve la sua, e inscena una morte spettacolare in pubblico. Meadows impazzisce all'improvviso, e basta. Cosa dobbiamo desumere?

  — Che ogni maledizione colpisce la vittima in modo diverso — rispose May. — Penso che faresti meglio a parlare ancora col tuo crittografo. Dobbiamo saperne di più, conoscere bene con che situazione abbiamo a che fare. Se c'è in circolazione qualcu­no che spedisce minacce di morte, non credo si tratti di un'entità soprannaturale, è più probabile che sia un fanatico religioso che si vendica sui peccatori.

  — Ma in tal caso, come diavolo fa a far morire la gente? — disse tranquillo Bryant.

  20

  Sotterranea

  Eden aveva trovato il vestito, taffetà nero con un motivo cocktail dipinto a mano, in un negozio di abiti usati a Camden, e intende­va tornare a casa a cambiarsi prima di raggiungere gli altri. Sfortunatamente, il lavoro arretrato che Harry le aveva consegnato quel martedì mattina aveva sconvolto il suo programma. La sua velocità di battitura le consentì di finire le relazioni solo verso le sette.

  Non appena ebbe terminato, Eden si rinfrescò nella toilette femminile del sesto piano, che era più elegante di quella del suo ufficio, quindi si diresse al ristorante messicano di Argyll Street dove doveva incontrare Dexter.

  Quando arrivò, lo trovò già seduto al bar, intento a spremere della limetta in una bottiglia di birra scura, imbronciato. I suoi abiti, un completo in pelle nera aderente, accentuavano la ma­grezza del corpo. Appollaiato sullo sgabello, Dexter aveva l'a­spetto ripiegato di un insetto.

  — Sei in ritardo — le disse, girandosi a fissarla. — Non dovevi andare a casa a cambiarti?

  — Non ho potuto — rispose Eden, sedendosi accanto a lui. — Oggi sono usciti tutti col gruppo di ricerca. Ho dovuto battere il loro materiale oltre a quello di Harry. — Chiamò il barman e or­dinò una birra: era un sistema più rapido che aspettare che lo fa­cesse il suo ragazzo. — Harry è nei guai col direttore. Parlano di licenziarlo. — Guardò le dita di Dexter che tamburellavano sul banco seguendo il ritmo della musica. — Non ti interessa la mia giornata di lavoro?

  — Certo — rispose Dexter senza il minimo entusiasmo. Eden sapeva che era un argomento che lo annoiava, soprattutto dal momento che lui attualmente era disoccupato, in attesa di girare qualche video come aiuto regista indipendente.

  — Oggi pomeriggio è successa una cosa strana. È anivato un corriere con un pacco per Harry...

  — Allora?

  — Harry era già uscito. Ho detto che l'avrei preso io il pacco, ma quello ha insistito che era urgentissimo...

  — Un attimo. Chi è Harry?

  — Non mi ascolti mai! Te l'ho detto mille volte. Il signor Buckingham, il mio capo. Sul pacco c'era una di quelle etichette ros­se: Inservibile se consegnato in ritardo. Così ho pensato bene di aprirlo. — Dexter bevve la birra e fissò lo specchio dietro il ban­co. Eden non sapeva se stesse ascoltando o meno.

  — Be', dentro c'era una videocassetta, una Sony U-Matic. Ho pensato che fosse la copia di uno spot. Hanno sempre quell'eti­chetta, per essere trasmesse in tempo. Comunque, l'ho guarda­ta, e non era affatto un filmato pubblicitario.

  — Me lo dirai dopo, eh? A letto. — Dexter scolò la birra e po­sò la bottiglia. — Perderemo il primo complesso se non ci muoviamo. — I suoi calzoni di pelle scricchiolarono quando si alzò. Pagò e si appoggiò al banco, aspettando impaziente che lei finis­se di bere.

  La serata non fu un successo. Raggiunsero a piedi l'Astoria e incontrarono i loro amici, una giovane coppia che stava già liti­gando prima dell'inizio del concerto. Il loro cattivo umore conta­giò rapidamente Eden. Il gruppo di supporto era appena decen­te, e l'attrazione principale suonava a un volume assordante. Al­le undici e un quarto, Eden disse che aveva il mal di testa e volle uscire. Dexter la seguì all'esterno, seccato perché lo aveva co­stretto ad andarsene prima dei bis. Mezzo ubriaco, immusonito, propose di andare a mangiare un boccone da qualche parte.

  — Volentieri — disse Eden. — Ma devo ancora liberarmi di questo. — Aprì la borsa ed estrasse il pacchetto che era stato re­capitato a Harry all'agenzia.

  — Cosa vuoi fare con quel pacco a quest'ora di notte? — Dex­ter battè un piede per terra. — Non potevi lasciarglielo sulla scri­vania?

  — Deve riceverlo oggi. Le istruzioni erano molto precise. Pos­so lasciarlo dalla sua ragazza.

  — Scordatelo. Non avrai intenzione di metterti a fare anche il fattorino con quello che ti pagano, eh?

  — La sua ragazza abita qui vicino. Glielo infilerò nella casset­ta delle lettere. L'ho fatto un'infinità di volte. Poi possiamo an­dare a mangiare.

  — Non ho più fame.

  Dexter non sopportava che lei tirasse in ballo il proprio lavoro adesso che era disoccupato. Di colpo, annunciò che sarebbe tor­nato a casa, le diede un bacio frettoloso sulla guancia e saltò su un autobus che passava per Oxford Street, lasciando che l'arrab­biata Eden sbrigasse la commissione da sola.

  Impiegò quasi mezz'ora per recapitare il pacchetto in Wigmore Street. Adesso Harry avrebbe dovuto mantenere la promessa e regalarle le scarpe. Con lo stomaco che brontolava, si avviò verso la stazione del metro.

  I suoi tacchi a spillo ticchettarono sul marciapiede e si ferma­rono di fronte alla vetrina illuminata di un grande magazzino. Eden osservò disgustata i capi esposti. Due androgini di plastica bianca, dirimpetto a lei, inarcavano la schiena, alzando le braccia in gesti minacciosi. Uno portava un cappello di gomma coni­co, calzoncini da ciclista rossi e un giubbotto di pelle blu con sot­tobicchieri da birra sul dorso. L'altro indossava una maglietta con la scritta sesso sicuro in caratteri di plastica in rilievo. È tutto così brutto, oggigiorno, pensò Eden. Dov'era finita l'ele­ganza che vedeva nelle vecchie riviste di sua madre? Guardò lun­go il lato sud della strada, in direzione dell'edificio del Centrepoint, e rimase sorpresa constatando che era completamente de­serta. Una lieve foschia aleggiava sulla via come un velo di chif­fon grigio.

  Stando all'orologio sul muro del negozio di poster Athena, era quasi mezzanotte. Eden non era sicura degli orari degli ultimi treni, così affrettò il passo verso la stazione. Un autobus vuoto le passò accanto, proiettando riquadri di luce gialla sul marcia­piede attorno a lei, unico veicolo che circolasse. Mentre attraver­sava una delle stradine che portavano nel cuore di Soho, una raf­fica di vento gelido le sollevò la gonna, sbattendole contro una coscia l'involucro appiccicoso di un gelato. Per un attimo, Eden ebbe la sensazione che fossero le dita sottili di una mano. Spazzò via la cartaccia, che si allontanò svolazzando a spirale.

  Un'immagine della videocassetta di Harry le sbocciò nella mente, e per alcuni istanti Ed
en fu assalita da un senso di panico irrazionale. Scacciando quel pensiero appena abbozzato, prose­guì lungo il marciapiede deserto.

  I manichini dei negozi la guardavano con occhi morti. Forse si animavano dopo mezzanotte, e aspettavano solo che lei fosse passata per destarsi. Non si era mai sentita così spaesata in cen­tro prima d'ora, garantito. I negozi di Oxford Street erano più economici e avevano una clientela meno raffinata rispetto ad al­tre parti del West End, ma Eden aveva sempre trovato allegra l'atmosfera della zona.

  Quella notte era diverso.

  Avvicinandosi alla tettoia blu della stazione del metro di Tottenham Court Road, vide che anche quell'angolo, di solito traffi­cato, era deserto. Un taxi solitario superò l'incrocio con il segna­le Libero spento. Su entrambi i lati della stazione, le edicole era­no chiuse e circondate da uno strato di rifiuti che arrivava alla ca­viglia. L'ingresso era parzialmente sbarrato dal cancello gratico­lato, ma le luci all'interno erano ancora accese.

  Sgattaiolando dentro, Eden raggiunse l'atrio scendendo svelta i gradini. A parte la nera anziana semiaddormentata nel botte­ghino, l'area della biglietteria era deserta. Eden raccolse il resto dal distributore automatico e si avvicinò alla scala mobile.

  — Maledizione. — Osservò il cartello scritto a mano. Entram­be le scale mobili erano state disattivate.

  LAVORI IN CORSO

  I VIAGGIATORI SONO PREGATI DI USARE

  LA SCALA DI SICUREZZA

  Detestava la scala a chiocciola che portava nel tunnel d'emer­genza umido e angusto, ma era abituata a servirsene. Le scale mobili erano sempre guaste. Incamminandosi, fu colpita di nuo­vo dal vuoto della stazione. Spesso prendeva il metro a tarda ora per tornare a nord, ma non aveva mai visto quel posto così deserto. Sotto, sicuramente, avrebbe trovato il solito miscuglio di turisti confusi in impermeabile reduci da qualche spettacolo, e di abitanti dei sobborghi ubriachi che vomitavano sul bordo della banchina. Lì sulla scala, però, sembrava proprio che ci fosse solo lei. I suoi tacchi a spillo risuonarono sui gradini di metallo.

 

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