Rune

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Rune Page 16

by Christopher Fowler


  Oltre a perdere tempo prezioso in ufficio, alle sette doveva af­frontare Hilary nel confessionale del ristorante, per giustificarsi dello strano comportamento tenuto recentemente e chiedere l'assoluzione dei propri peccati.

  — Devo ammettere«che non so da dove cominciare, Harry. — La Longbright lo fissò, inclinando all'indietro una sedia che non aveva fatto nulla per meritare un simile trattamento. — Sembra che lei sia l'occhio di un ciclone di sventura. Attorno a lei c'è un vortice di morte e di distruzione. — Aggrottando le ciglia dise­gnate perfettamente con la matita, tornò ad appoggiare la sedia sulle quattro gambe. — Se le prove indiziarie fossero sufficienti per istruire un processo, adesso la incriminerei per almeno quat­tro omicidi, e verrebbero a toglierle i lacci delle scarpe.

  Harry decise che era meglio non dire nulla. Sentiva che se adesso avesse cercato di parlare, avrebbe fatto la figura dello stu­pido. Sapeva che la Longbright non aveva ancora finito con lui.

  Il sergente si sporse in avanti e gli posò una mano curata sul braccio. — Harry, lasci che le faccia una domanda. Lei è un pub­blicitario. Cosa sa di statistica?

  Harry rifletté bene prima di rispondere. — Posso dirle con che frequenza le donne sposate sotto i venticinque anni cambiano marca di detersivo, cose del genere.

  — E che mi dice delle probabilità statistiche del suo collega­mento con tante vittime di disgrazie? — Janice tolse la mano e si drizzò, osservandolo.

  — La morte di Eden è stata un incidente?

  — Sappiamo che era viva quando gli operai hanno acceso la scala mobile. Non sappiamo come o perché sia finita là dentro. Ho bisogno del suo aiuto, Harry. Ci sono squadre di poliziotti ar­mati di questionari che vanno di casa in casa a interrogare la gen­te, il dipartimento di medicina legale sta esaminando gruppi san­guigni e fibre, i tecnici della scientifica stanno cercando impronte latenti, c'è una serie di autopsie complesse in corso, e sa cos'ab­biamo in mano? Nulla. Ora, che le piaccia o meno, lei sembra se­riamente coinvolto in questa faccenda. Se potesse dirmi perché, sarebbe una buona idea. Se ha visto qualcosa di insolito nelle ul­time due settimane, spero si senta in dovere di non tenere le in­formazioni per sé. Perché ci troviamo di fronte a un'indagine che non sta in piedi e a cento indizi che non portano da nessuna par­te.

  Harry fissò gli occhi ardenti color nocciola del sergente e si chiese se dovesse dirle delle Preghiere del Diavolo. No, decise. Prima doveva verificare meglio di persona. — Mi spiace — rispo­se, scuotendo la testa. — Non ricordo niente di insolito.

  — Niente di insolito. — Janice Longbright lo guardò incredu­la. — Le conviene farsi venire in mente qualcosa, perché in que­sto momento, se non è l'indiziato numero uno, poco ci manca.

  — E se troverete la prova che una di quelle persone è stata as­sassinata?

  — Dritto in galera, Harry. Scopriremo il movente quando sa­rà dietro le sbarre.

  — E adesso? Adesso sono libero di andarmene? — Harry si alzò dalla sedia.

  — Immagino di sì. — Con un cenno, Janice invitò un agente ad aprire la porta. — Ma, come dicono nei film, non lasci la città per un po'.

  — Le do la mia parola d'onore, sergente.

  Il mondo ordinato di Harry stava sgretolandosi. Mentre cerca­va di fermare un taxi fuori dal commissariato, provò uno strano senso di disorientamento, come se la sua vita fosse stata scossa e proiettata in una dimensione irreale. La Longbright aveva ragio­ne: tutti quelli con cui entrava in contatto sembravano risentirne. Era come se possedesse una versione letale e distorta del tocco di Mida.

  Gli venne in mente che la polizia sapeva che suo padre aveva parlato alla signora Nahree il pomeriggio in cui era morto. Ma la Longbright non aveva fatto alcun accenno al gesto autolesionistico dell'anziana signora. Forse non ne era stata ancora informata. Bene. Così Harry avrebbe potuto contattare il figlio della Nah­ree prima della polizia. L'indomani mattina, per prima cosa, sa­rebbe andato alla gioielleria dove lavorava il ragazzo. Adesso, però, era giunto il momento di incontrare Hilary.

  Stava seduta al tavolo, e fissava lugubremente la sua Badoit, aspettandolo. I capelli biondo miele erano stati raccolti in una specie di coda di cavallo, probabilmente l'ultima moda. Mentre passava accanto al bar dirigendosi verso la sala da pranzo, Harry sentì un sibilo e qualcuno gli afferrò il braccio.

  — Sembra una delle protagoniste di Hitchcock, Harry. Grace Kelly o... no, Tippi Hedren in Marnie, ecco. — Grace inclinò il capo ammirata e tornò a drizzarsi sullo sgabello.

  — Che cavolo ci fai qui? — mormorò lui. — Perché mi segui?

  — Non illuderti. Sto bevendo qualcosa con un vecchio amico. È solo una fortunata coincidenza. — Grace si augurò che Harry avesse dimenticato la sua osservazione casuale circa le abitudini di Hilary in fatto di ristoranti chic. Si era tinta i capelli di un ca­stano intenso e li aveva acconciati in modo che fossero meno ap­pariscenti del solito. Aveva anche indossato un vestito blu scuro che accentuava la sua figura snella, e aveva rinunciato agli scar­poni Doc Marten scegliendo invece delle scarpe scollate col tac­co basso. L'effetto era a dir poco sorprendente. Harry lanciò un'occhiata apprensiva in direzione del ristorante, proprio nel momento sbagliato perché Hilary alzò lo sguardo e lo sorprese a sbirciare tra le felci come un voyeur.

  — Oh, Dio, mi ha visto. Devo andare.

  — Non ti trattengo.

  Harry si fermò. — Con chi staresti cenando, eh? — le chiese, di colpo sospettoso. — Questo è un posto costoso. Cosa stai tra­mando?

  — Io? — rispose Grace con aria innocente, portando una ma­no alla gola. — Cosa ti fa pensare che ci sia un secondo fine?

  — C'è sempre. Conosco i tipi come te.

  — Che ti prende, Harry? L'idea che io ceni nel tuo ritrovo ele­gante ti dà fastidio? Per caso, pensi che dovrebbe essere riserva­to alla cerchia ristretta di manager e professionisti col conto spe­se? Come ti ho detto, sono qui solo per un drink. Sarò anche un'umile serva della gleba, però i soldi per un gin and tonic rie­sco ancora a racimolarli.

  — Sei una ragazza molto indisponente — sbottò Harry a denti stretti. — E stai mettendo a repentaglio la mia relazione con la mia fidanzata.

  — Io? Allora, ti conviene togliermi la mano dal braccio. — Grace gli prese le dita e le scostò rapida, come se stesse toglien­do un ragno dalla vasca.

  — Assaggia la crèpe de langouste — gli disse, mentre lui si al­lontanava. — Ho letto su una rivista che è deliziosa.

  — Chi è quella strana ragazza? — domandò Hilary, porgen­dogli una guancia per il bacio di saluto.

  — Oh, ehm... lavora all'agenzia. È una dattilografa. — Ostentando la massima concentrazione, Harry aprì il tovagliolo arrotolato meticolosamente.

  — Sembra che tu sia in rapporti decisamente confidenziali con lei, considerato che è solo una dattilografa.

  — Oh, siamo tutti così in questo momento. Dopo la tragedia, puoi immaginare. — Harry finse di studiare il menu.

  — La ragazza della scala mobile. Sì, dev'essere stato terribi­le, suppongo. — Harry capì che stava per parlare d'altro. Sembrava che i decessi in circostanze insolite fossero un argo­mento di conversazione ricorrente delle loro cene. — Spero che tu non abbia dimenticato che pranziamo con la mamma, domenica.

  — E come avrei potuto dimenticarlo? — disse Harry, che in­vece l'aveva scordato del tutto. Osservò furtivo Grace oltre il bordo del menu. Un uomo alto, pallido, occhialuto, si sedette accanto a lei al bar e le sussurrò qualcosa all'orecchio, facendola ridere. Sembrava molto giovane. Harry corrugò la fronte.

  — Harry, non mi stai ascoltando. Ti ho chiesto se ti hanno già dato un'altra auto.

  — Eh... no, non me l'hanno data. — Harry chiuse il menu.

  — Ma, te la daranno? — domandò Hilary in tono apprensivo. Lei non guidava. Non vedeva perché avrebbe dovuto imparare, dato che c'erano tante persone disponibili a scarrozzarla.

  — Credo di sì. Non ne ho ancora parlato con nessuno.

  — Be', santo cielo, devi farlo. Potrebbe tocca
rti chissà cosa. Non ho nessuna intenzione di farmi vedere in giro a bordo di una giardinetta. Non è da te trascurare un particolare così importan­te. Ti stai comportando in modo molto strano.

  All'estremità opposta del ristorante, Grace si era congedata momentaneamente dal compagno e stava dirigendosi verso la toilette delle signore. Harry si alzò. — Ordina tu per me, Hilary. Torno subito. Bisogno urgente.

  — Ma non so cosa vuoi — gemette Hilary.

  — Harry, ti sbatteranno fuori se ti trovano qui — rise Grace. — Cosa vuoi?

  — Non intendevo essere sgarbato, prima. — Harry si guardò intorno tra i lavandini di marmo rosa, controllando che non ci fosse nessun altro. — Sono stato al commissariato tutto il pome­riggio. Vogliono accusarmi di quattro omicidi ma non hanno pro­ve. Credono che faccia parte di qualche complotto. È normale che abbia i nervi a fior di pelle. E vedere Hilary stasera è stato uno sbaglio. Lei è talmente... — S'interruppe, cercando la paro­la giusta.

  — Non c'è bisogno che me lo spieghi — disse Grace. — Ne ho conosciute di donne come lei. Troppo interessate ai balli.

  — Cosa? Bal...

  — I finale, non e. Feste danzanti. Probabilmente ti starai chiedendo con chi sono... non che tu sia un tipo geloso. Te lo di­rò la prossima volta che ci vediamo. — Grace non voleva che sa­pesse che quel suo appuntamento serale rientrava nelle loro in­dagini. — Mi spiace che i poliziotti ti abbiano torchiato. Però, li capisco. Frequentarti, non è molto salutare. Cos'hai intenzione di fare?

  — Ehi, aspetta... cos'ho intenzione di fare? Credevo che mi stessi aiutando.

  — Nessun problema, la Principessa di Ghiaccio può prendere il mio posto, adesso.

  — Non voglio il suo aiuto.

  — Perché?

  — Voglio te.

  Grace si appoggiò alla parete di piastrelle rosa. — Be', Harry, questa è una sorpresa — disse, e il suo sorriso si allargò lenta­mente.

  Mentre Harry si chinava a baciarla, l'asciugatore dietro di lei si accese e li avvolse in una folata d'aria caldissima.

  — Devi essere convinto che io sia una perfetta stupida — disse Hilary, quando lui tornò al tavolo. Il menu era ancora dove lo aveva lasciato Harry.

  — Di che stai parlando? Non capisco. — Harry si sedette, stendendo il tovagliolo sulle ginocchia, l'aria indifferente.

  — Ti ho visto seguire quella sgualdrinella nella toilette. È a questo che ti porta la tua smania disperata di sesso? A intrufolar­ti nelle toilette pubbliche? Stai per caso diventando una specie di Joe Horton eterosessuale?

  — Non essere sciocca, Hilary, ho semplicemente...

  — Non sono in vena di sentire scuse, Harry. Anzi, non ho nemmeno voglia di cenare. — La faccenda era seria. Hilary si al­zò dal tavolo. — Dio, dovevo aspettarmelo. Succede sempre co­sì quando cominciano a lasciare entrare gente del proletariato nei locali eleganti. La mia pelliccia, per favore.

  Grace guardò Harry spalancando gli occhi, quando le passò accanto al bar. Lui si strinse nelle spalle mentre aiutava Hilary a indossare la pelliccia. Mentre Grace tornava a girarsi verso il compagno, il suo sorrisetto si trasformò in un sorriso trionfante.

  24

  Il codice dell'odio

  Sotto la grande cupola di rame della sala di lettura del British Museum, dove prima di lui si erano seduti Shaw, Lenin e Marx, Arthur Bryant si accomodò a uno dei tavoli di mogano curvi e attese che il dottor Kirkpatrick riapparisse. Raggi di sole pomeri­diano illuminavano il pavimento circolare attraversato da carrelli silenziosi carichi di libri. Lì, c'erano oltre dieci milioni di volumi antichi e moderni, apprezzati e studiati da studenti e studiosi di tutto il mondo.

  — Ah, sei qui! — sussurrò Kirkpatrick, in tono abbastanza forte. — Ho pensato di andare ad aiutare la ragazza del carrello. Quando devono trovare i libri chiesti dal pubblico, sono terribil­mente lenti, inerti, ottusi. Comunque, credo di avere qualcosa di interessante per te. — Si sedette accanto all'anziano detective, posando una mezza dozzina di tomi massicci sul tavolo.

  — Devi dirmi tutto quello che sai sulle maledizioni scritte su quei pezzi di carta. Non mi interessa tanto il loro significato pre­ciso quanto il loro background. — Bryant sperava che una chiac­chierata con il paleografo gli avrebbe permesso di conoscere la personalità dell'individuo che si celava dietro i messaggi di mor­te.

  — Dove dobbiamo iniziare? La simbologia runica è impregna­ta di superstizione e mito — spiegò Kirkpatrick, facendo schioc­care le nocche grigie prima di aprire il primo libro. — Tradizionalmente, quelli che hanno studiato la lingua sono diventati per­sone molto temute. Se stai cercando un assassino che ha bisogno di qualcosa per spaventare la sue vittime, è un ottimo punto di partenza. — Sfogliò il volume che aveva davanti. Arthur si soffiò il naso con discrezione, mentre una nuvoletta di polvere impal­pabile si levava dalle pagine diffondendosi nell'aria.

  — Hai detto che c'erano vari alfabeti.

  — Esatto. Un'unica radice con tre sistemi. Inglese, tedesco e scandinavo. Sono diversi i significati attribuiti alla parola "runa". In origine significava "ruggire", ma in seguito ha acquistato il si­gnificato di "scrittura segreta" o "segreto sussurrato". Il sistema a cui ci troviamo di fronte è l'alfabeto runico germanico. Ci sono ventiquattro lettere, divisi in tre gruppi di otto. Ogni gruppo è chiamato aettir. Significa semplicemente "famiglia". La suddivi­sione si basa su tre divinità.

  — Così, c'entrano degli dei?

  — Certo. In genere le rune sono collegate soprattutto a Odino, o Wotan. È il dio dell'ispirazione e della guerra. Anche della sapienza... e della morte.

  — Possono essere tradotte, le rune?

  — Non facilmente, e non dal sottoscritto. Il problema non è tanto la traduzione quanto l'interpretazione. I manoscritti runici rimasti sono pochi, e dato che provengono dai quattro angoli della terra, è difficile attribuire un unico significato a ogni paro­la.

  — Ma non avevi detto che quelle scritte derivavano da un par­ticolare alfabeto tedesco?

  — Sì, però la razza germanica ha viaggiato in lungo e in largo. Originaria dell'India e dell'Iran, ha poi fondato tribù in Austria, Islanda, ovunque. E dal momento che le rune venivano tracciate su pezzi di corteccia, non c'è da meravigliarsi che ne siano so­pravvissute così poche.

  — Com'è allora che sono state usate come maledizioni? — chiese Bryant, seccato.

  — Be', per capirlo, devi renderti conto di quello che stava ac­cadendo alle credenze della gente. Inizialmente, il cristianesimo ha sostituito il paganesimo sole nelle classi elevate. La gente co­mune non aveva rinunciato ai propri dei. Era un sistema che re­golava la vita del popolo. Nel mondo pagano, il male e la malat­tia venivano visti come causa ed effetto. Si poteva tenere lontano il male usando dei talismani, e i talismani non erano altro che ru­ne usate al contrario. Proteggevano i viaggiatori e si potevano usare perfino per risuscitare i morti. Infatti, il filatterio degli ebrei...

  Bryant l'interruppe battendogli sulla spalla. — Stai divagando ancora, Kirkpatrick. Che ne è stato delle scritte runiche?

  — Be', sono entrate nella clandestinità. La chiesa cristiana ne ha proibito l'uso, però sono sopravvissute. La gente ha mantenu­to in vita le parti più pratiche del sistema durante tutto il periodo medievale. Ma la tradizione e le conoscenze runiche sono morte a poco a poco.

  — Per via del cristianesimo?

  — Solo in parte. In realtà, c'è una ragione più semplice. L'av­vento della Rivoluzione Industriale. Il corpo di tradizioni e cono­scenze runiche è un campo vastissimo che richiede uno studio lungo e approfondito. Nelle grandi città nessuno aveva più tem­po.

  — E nelle campagne?

  — Le rune sono simboli della natura, quindi nelle aree rurali sono scomparse più lentamente, logico. La situazione è rimasta tranquilla finché i vittoriani non hanno deciso di farle rivivere attribuendovi significati occulti. Nella seconda metà del dicianno­vesimo secolo, l'occultismo era in auge. Diverse teorie astruse collegavano le rune ad Atlantide, al mondo spiritico e a un'infi­nità
di credenze strampalate. Che epoca di ignoranza e d'imma­ginazione! Ma poi, ecco un cambiamento vero ed estremamente funesto. — L'attenzione di Bryant crebbe di colpo. — Vuoi una tazza di tè? — chiese Kirkpatrick, prendendo un termos dalla borsa e riempiendo un paio di bicchieri di plastica.

  — Il movimento tedesco volkisch ha adottato le rune. La pa­rola "volk" significa "popolo", ma è un termine razzista usato dagli ariani, gli uomini che hanno creato Hitler. La loro organiz­zazione, la Thule Gesellschaft, finanziava gruppi di destra, inco­raggiandoli a odiare gli ebrei. E i simboli runici hanno adottato il concetto di purificazione. Non c'è bisogno che ti dica a cosa ha portato tutto ciò. Dai un'occhiata a questo.

  Kirkpatrick estrasse di tasca un paio di guanti bianchi di coto­ne e se li infilò. Prese delicamente dalla pila di libri una cartella di plastica opaca, l'aprì e ne tolse un volumetto rilegato in pel­le marrone grinzosa. Un odore acre penetrò nelle narici di Bryant.

  — Che cos'è? — chiese, mentre Kirkpatrick apriva la coperti­na ed esaminava il risguardo.

  — Pelle umana, purtroppo. Di concia scadente. Mi permetto­no di toccarlo perché l'ho donato io alla biblioteca nel 1949. Questo libro è un vero e proprio codice d'odio, una mappa del male.

  Bryant osservò il volume a disagio. Kirkpatrick trovò il capito­lo che cercava.

  — La maggior parte della gente sa che Hitler si occupava di occultismo, ma l'elenco riportato qui comprende anche Ernst Rohm, il capo delle truppe d'assalto naziste, Rudolf Hess, il vice führer, e Heinrich Himmler, il capo delle SS. L'interesse di Hi­tler per le rune ha portato all'uso della svastica e del doppio lam­po simbolo delle SS. Solo che Hitler ha rovesciato la svastica, in modo che fosse rivolta nella direzione opposta rispetto al sole. Grosso errore.

  — Questo significa che forse stiamo cercando un membro di un'organizzazione di estrema destra?

 

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