Rune

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Rune Page 20

by Christopher Fowler


  Raggiunse la ringhiera, la superò chinandosi, tornò a drizzarsi. Stava per attraversare la strada e mettersi in salvo sul lato oppo­sto, quando commise l'errore di voltarsi a guardare. Il primo leo­ne aveva scavalcato la ringhiera. Ombreggiati dal ventaglio di ra­mi dei platani, i suoi occhi divennero luci bianche, talmente in­tense che Brian non riuscì a guardarle. Barcollò all'indietro. Un grido gli sgorgò dai polmoni, gli scaturì dalla bocca spalancata, e Brian capì che quello era l'ultimo suono che avrebbe sentito.

  La creatura sparì, nascosta dalla zampa enorme che calò su di lui spappolandogli le gambe. Brian sentì l'impatto violento del bordo del marciapiede contro il cranio, cercò di scansarsi roto­lando sull'asfalto e, inorridito, vide la metà superiore del proprio corpo separarsi dalla parte inferiore maciullata. La zampa calò una seconda volta, cancellando la notte, facendo esplodere la sua testa come un cocomero.

  All'inizio, il poliziotto non gli badò.

  Harry era arrivato a Trafalgar Square venticinque minuti dopo la telefonata di Brian Lack. Sul lato della piazza più vicino alla South Africa House, trovò un cordone di polizia, due ambulan­ze, parecchie auto della polizia e un gruppo numeroso di spetta­tori attratti dal macabro. Non appena vide i teli che coprivano - o meglio, che cercavano di coprire - il guazzabuglio di resti uma­ni sparsi sull'asfalto, capì che stava guardando il corpo di Brian Lack. Le scarpe e la giacca erano le stesse che Brian portava quando si erano incontrati alcune ore prima.

  — Conosco quell'uomo — gridò Harry al giovane agente di­stratto. — Cosa gli è successo?

  — È corso in mezzo alla strada — disse uno dei dimostranti anti-apartheid. — Abbiamo visto tutto. L'autobus ha suonato il clacson e ha lampeggiato, ma lui non si è accorto di nulla. Poi l'auto che veniva dietro l'ha investito, non è riuscita a fermarsi in tempo. — L'agente, che avrà avuto sì e no un anno più dello stu­dente, gli posò una mano sulla spalla. — Ci servirà una tua depo­sizione, ragazzo. — Odiava gli studenti contestatori. Si rivolse a Harry. — Ha detto che sa chi è quel tipo?

  Rendendosi conto di colpo della delicatezza della propria posi­zione, Harry arretrò d'un passo. — No, mi sono sbagliato.

  Mentre il poliziotto lo chiamava, tornò alla macchina il più in fretta possibile cercando di non dare nell'occhio.

  29

  Eccesso di informazioni

  Il sergente Longbright rispose al telefono al secondo squillo. Si drizzò a sedere sul letto e accese la luce.

  — Janice, scusa se chiamo così tardi...

  — Nessun problema. Che ore sono?

  — Le due e mezzo — rispose John May. — Si tratta del nostro testimone chiave, Mark Ashdown, il giovane ustionato. Mi han­no appena telefonato dall'ospedale. E morto. Hanno l'ordine di non toccare nulla fino al nostro arrivo.

  — Mio Dio, non avevi detto che si stava riprendendo?

  — Infatti. Pensano che si sia ucciso.

  — Com'è possibile? — Janice strinse il ricevitore col mento e scese adagio dal letto, attenta a non disturbare Ian Hargreave che dormiva. — Non gli davano dei sedativi?

  — Gli somministravano dei sonniferi variando gradualmente il dosaggio per minimizzare la possibilità di un grave trauma.

  — E se la sua volontà avesse annullato l'effetto dei farmaci? È possibile? Doveva essere molto deciso.

  — O semplicemente molto spaventato. — Ci fu una pausa. — Janice, non so più con cosa abbiamo a che fare. La situazione ci sta sfuggendo di mano.

  — Hai già parlato con Arthur?

  — No. Questo lato del caso non lo riguarda. Voglio lasciarlo libero di seguire le sue piste e le sue teorie, per il momento.

  — Okay. — Janice rifletté un istante, passandosi la mano libe­ra tra i capelli arruffati. Non era il modo migliore di iniziare una domenica. — Vuoi che passi a prenderti? Stai andando all'ospe­dale.

  — Tra venti minuti. — E la conversazione telefonica terminò.

  La capo infermiera se ne stava inquieta sulla soglia, quasi fosse restia a lasciarli passare. Il vecchio impermeabile d'ordinanza di Janice Longbright gocciolava abbondantemente sul pavimento. Nella luce fioca del corridoio, il sergente sembrava la protagoni­sta di un thriller noìr d'altri tempi. John May la precedette, e lei entrò circospetta nella camera.

  Il corpo era steso di traverso sul letto, con le gambe divaricate, un braccio penzolante. Il tronco era ancora bendato, la testa e il collo erano esposti all'aria. Il tubicino di plastica della fleboclisi era stato stretto sulla gola, il flacone a cui era collegato era ac­canto al trespolo, in frantumi.

  May avanzò, calpestando frammenti di vetro che si sbriciola­rono sotto le suole. — Non si può avere più luce qui dentro? — chiese, agitando un braccio. — Quand'è stata l'ultima volta che qualcuno è entrato nella stanza?

  — L'infermiera di guardia non si è mai mossa dal corridoio. Ha sentito uno schianto improvviso e si è precipitata nella came­ra. Il paziente era in questa posizione, si muoveva appena. Lei ha dato l'allarme e ha tentato di liberargli la gola, ma era già morto.

  May si chinò sul cadavere. Gli occhi sbarrati del ragazzo erano due globi bianchi luccicanti.

  — Gli avete tolto le bende dalla faccia?

  — No — rispose la capo infermiera. — Dev'essersele strappa­te da solo.

  — Cosa glielo fa pensare? — Il detective s'inginocchiò e sbir­ciò sotto il letto.

  — Le piaghe fresche. Le croste sono rimaste attaccate alle bende.

  — E questo è quello che dovrebbe succedere togliendo le ben­de in modo brusco, vero? Coi sedativi che gli davate, in che stato era il paziente? Era incosciente? Assopito?

  — Doveva essere in uno stato di... estrema docilità.

  — Che significa? Incapace di allacciare una scarpa? Incapace di reggersi in piedi? Secondo lei, può aver fatto da sé una cosa del genere?

  La donna corrugò 1a fronte. Stava proprio discutendo di quello con un'altra infermiera, prima del loro arrivo. — No. Secondo me, no... non avrebbe potuto esercitare una pressione sufficien­te sulla flebo.

  — Il sostegno ha le rotelle. Tirandolo, sarebbe rotolato in avanti e si sarebbe rovesciato...?

  — A meno che i danni provocati dal fumo alla gola...

  — Giusto, Janice. — May si rivolse all'infermiera. — La sua gola suppurava ancora?

  — Gli tenevamo libere le vie respiratorie, ma l'infiammazione era estesa, e la formazione di pus abbondante.

  — Dunque, non era necessaria una pressione particolarmente forte per bloccare del tutto la trachea.

  — No, immagino di no.

  — Devo farle un'altra domanda — disse in tono garbato May.

  — Se i farmaci che gli somministravate non fossero stati abba­stanza potenti da mantenerlo in uno stato di sopore e di quiete, avrebbe potuto svegliarsi e rimanere traumatizzato dalla sua si­tuazione? La donna chiamò l'infermiera di guardia e si consultò con lei.

  — È possibile — rispose infine. — Dopo le infezioni, il trauma psichico è il rischio maggiore per un ustionato. Ma di solito non si manifesta così.

  — Non era mancino? Usava la destra?

  — Credo di sì... sì.

  May si rivolse a Janice. — A me pare che si sia ucciso da solo, anche se sembra assurdo. Se guardi l'interno dell'indice e del medio della mano destra, noterai uno scolorimento della carne nel punto dove il tubicino era avvolto attorno alle dita per una presa migliore. — Si abbottonò il soprabito. — Ci è stata di gran­de aiuto, infermiera. Temo che dovranno disturbarla ancora un po' per scattare le foto e rilevare le impronte digitali.

  L'infermiera di guardia gli porse una busta bianca sottile. — L'ha lasciata il suo collega, per lei.

  May aggrottò le ciglia. — Quando è stato qui?

  — Se n'è andato pochi minuti fa. Il detective aprì il biglietto e lesse:

  Caro John, una mia intromissione nel tuo settore è l'ultima cosa che desideri, ne sono certo. Ho solo pensato che ti sarebbe pia­ciuto riflettere su quanto segue: gli orologi dei videoregistratori del
negozio di Dell erano stati azzerati venti minuti prima dello scoppio dell'incendio. Il ragazzo deve avere staccato qualcosa e così, accidentalmente, ha fatto mancare la corrente per un atti­mo. Afferri il concetto? Ciao.

  Arthur

  Perplesso, May passò il messaggio alla Longbright. Non riusci­va proprio a capire cosa intendesse dire l'amico.

  — Cosa ci faceva qui a quest'ora il signor Bryant?

  — Pensavo che lo sapesse — rispose la capo infermiera. — Veniva a far visita a Mark regolarmente, giorno e notte. È stato lui a insistere che ci fosse sempre qualcuno nel corridoio.

  — Sapeva che la vita del ragazzo era in pericolo — disse May, mentre attraversavano il parcheggio alcuni minuti dopo. — Ha messo qualcuno fuori dalla porta per dimostrare che aveva ragio­ne.

  — Ma l'infermiera di guardia non ha visto nessuno.

  — Appunto. Arthur ha provato che in queste morti non è ne­cessaria la presenza di un elemento esterno. Non ci sta dicendo tutto quel che sa. Forse è ora che cambiamo metodo di lavoro e cominciamo a collaborare. — Erano sempre stati paragonati ai due emisferi del cervello. May era quello destro, lo statistico ra­zionale che raccoglieva diligentemente dati concreti; Bryant quello sinistro, il teorico creativo che metteva insieme particolari apparentemente casuali. Ma questa volta avrebbero dovuto im­parare a unire le loro risorse.

  — Sai qual è il nostro problema? — disse a Janice, aprendole la portiera dell'auto. — La quantità eccessiva di informazioni. Ci sono troppi elementi da considerare, troppi fatti. Stanno confon­dendo la situazione, invece di chiarirla. Sei abbastanza sveglia? Te la senti di andare un paio d'ore alla centrale?

  — Non sono stanca.

  — Brava. Cominceremo a togliere dal file tutto quello che non è pertinente a ogni morte. Ci sono piste che non abbiamo segui­to, all'inizio, perché ogni giorno c'erano nuovi sviluppi. Tornia­mo indietro e occupiamoci di quelle.

  Janice osservò May che guidava. Sembrava animato da un'e­nergia particolare, come se stesse lottando col tempo per trovare le risposte, come se sapesse che avevano i minuti contati.

  30

  Diavolerie

  A Dorothy piaceva stare in biblioteca il lunedì mattina presto. La quiete della sala di lettura la rilassava. Arthur Bryant apparve proprio mentre lei stava aprendo la porta per vedere se stesse arrivando. Dapprima, le sembrò che non fosse cambiato affatto. Il completo tre pezzi di Savile Row, la rosa all'occhiello e il cappel­lo floscio malandato fecero riaffiorare piacevoli ricordi del loro ultimo incontro. Solo quando Bryant si tolse il cappello, Do­rothy notò quanto fosse invecchiato in quegli anni. Sembrava più piccolo, più grigio, come se una luce fosse stata attenuata, se non spenta.

  — Mia cara, mi dispiace di non essere potuto venire sabato. Pare che la nostra indagine si stia rivelando assai più movimenta­ta del previsto. — Bryant tese la mano. — Quanto tempo è pas­sato dalla nostra ultima piccola avventura?

  — Sette anni, secondo i miei calcoli, Arthur. Perché ti fai vivo solo quando vuoi qualcosa? — lo rimproverò bonaria Dorothy. — Su, non stare lì sotto la pioggia, entra. Stavamo per iniziare il rito mattutino del tè e dei giornali. Voglio sapere cos'hai combi­nato in tutto questo tempo.

  Nella stanza dietro il bancone, Frank Drake stava facendo bol­lire l'acqua. Dorothy alzò la ribalta e guidò l'ospite nel piccolo locale riservato al personale. Bryant appoggiò l'ombrello goccio­lante in un angolo e si accomodò su una poltrona sbiadita, guar­dandosi attorno con un'aria di vaga disapprovazione. — Un po' trascurato, questo posto — disse, annusando l'aria. — Umido. Andrebbe sistemato un po'.

  — Cosa ti aspetti? — disse Dorothy, passandogli una tazza. — Siamo una palla al piede per il comune. Non sanno se trasforma­re questo posto in un centro aerobico o farci chiudere e vendere il terreno. L'anno scorso avevano intenzione di aprire un collettivo di prostitute, qui. Adesso è più probabile che la biblioteca di­venti un altro palazzo di uffici postmoderno. Non vedono l'ora che crolli... e non ci vorrà molto, se questa benedetta pioggia non smette presto.

  — Ti batterai contro la chiusura, naturalmente — disse Bryant. — C'è la raccolta da considerare.

  A Dorothy non piaceva discutere dei volumi esoterici con gli estranei e i profani. Nel suo semplice ruolo di capo bibliotecaria era accettata e ignorata. Non desiderava apparire al pubblico co­me la custode di un tesoro occulto. Meglio non attirare l'atten­zione sulla raccolta. Nel medesimo tempo, si sarebbe sentita a disagio se lo scibile accumulato nello scantinato fosse stato nega­to alle persone in grado di apprezzarlo veramente.

  — Stando a quanto stabilito dal testamento di mia madre, la proprietà della raccolta passerà al comune solo se la raccolta ver­rà ospitata dalla biblioteca per l'intera durata della mia vita.

  — Quindi, pensi che stiano solo aspettando che tu lasci questa valle di lacrime? Secondo te, che ne sarà dei libri dopo la tua morte?

  — Saranno venduti a collezionisti privati, naturalmente, e il comune intascherà i soldi. Ma i libri devono rimanere insieme. Troppi testi sono interdipendenti. La collezione è valida solo se rimane integra. — Dorothy sospirò, fissando nella propria tazza, come se sperasse di trovare la soluzione lì dentro. — Cos'hai fat­to in tutto questo tempo? Come sta quel tuo collega... come si chiama?

  — John. Sta bene. È in collera con me perché ho deciso di an­dare in pensione.

  — L'ultima volta che ho parlato con te, eri alle prese con dei cadaveri al Savoy. Hai detto che sarebbe stato il tuo ultimo caso.

  — Questo lo è davvero — fece Bryant, posando la tazza. — Ci stiamo occupando di una serie di incidenti mortali... attenzione, ho detto "incidenti mortali" e non omicidi. Suicidi orditi, per es­sere precisi. — Nella mezz'ora successiva, illustrò i punti salienti del caso. Nell'angolo opposto della stanza, Frank Drake alzò lo sguardo dai suoi ritagli e ascoltò con interesse crescente.

  — Dunque, vedi in che difficoltà ci troviamo — concluse il de­tective. — Non credo che sarebbe un'esagerazione dire che po­trebbero esserci centinaia di altre morti in un periodo di tempo protratto.

  — Frank, credo che dovresti parlare al signor Bryant delle tue conclusioni — disse lentamente Dorothy. Frank, che era ansioso di verificare le sue teorie sottoponendole al giudizio di qualcun altro, non si fece pregare. Era arrivato alla parte riguardante il complotto fascista su scala mondiale della Cia, quando Bryant lo interruppe.

  — Stando alle apparenze, queste morti sono provocate da an­tiche rune, non dalla Cia — disse. — Ma mi hanno detto che l'u­nico modo di dirigere il potere delle rune era mediante sistemi occulti. — Estrasse dalla giacca una delle maledizioni e la mo­strò. — È possibile che questo pezzo di carta provochi davvero la morte di una persona?

  — Non vedo come — rispose Dorothy. — Le maledizioni runiche cambiano continuamente aspetto. Sono un metodo simbo­lico di controllo delle forze naturali. Odino, il loro dio, incute ti­more ed è pericoloso. Gli appartenenti al suo culto erano scia­mani e guerrieri invasati. Ma la lingua che usavano era comples­sa, misteriosa, ricca di sfumature. Mi sorprenderebbe che queste poche righe potessero davvero condannare a morte qualcuno. Al giorno d'oggi, nessuno crederebbe a una cosa del genere, anche se riuscisse a tradurla. E poi, tu hai guardato il pezzo di carta... perché non ti ha ucciso?

  Bryant si battè un dito sui denti, meditabondo. — Le vittime vengono terrorizzate e indotte a credere che queste siano le Pre­ghiere del Diavolo. Qualcosa scatena una reazione psichica e provoca la loro morte... ma cosa?

  — Cerchiamo di inquadrare meglio il problema per un attimo, Arthur. — Dorothy prese il foglietto e lo mise di fronte a sé. — I pagani credevano che la natura fosse magica. Proprio come tu ed io capiamo il principio di base del funzionamento, diciamo, di un forno a microonde, i pagani sapevano che le rocce potevano es­sere scaldate dal respiro di una dea, e che i colpi apoplettici era­no causati dalla collera di una divinità offesa. La mentalità del­l'uomo moderno è talmente lontana da quella pagana da non presentare in pratica alcuna affinità.
Certe cose rimangono attra­verso i secoli... i riflessi subconsci, le paure ancestrali. La vista di questo — alzò il foglio — può aver suscitato il terrore nel cuore dei pagani, ma non ha nessuna attinenza col mondo d'oggi. — Si sistemò gli occhiali e osservò ancora le rune. — Hanno un che di decisamente familiare. Vieni dabbasso con me, ti spiace?

  Mentre scendevano nello scantinato, notò i passi incerti di Bryant sui gradini, come se anche lui avvertisse il potere oppri­mente delle conoscenze esoteriche attorno a loro. Dorothy indi­viduò uno scaffale pieno di volumi cadenti di mitologia runica e prese dalla mensola un brossurato relativamente nuovo. Consul­tò l'indice, e passò a un altro volume, quindi a un terzo. Di col­po, le trovò... copie precise delle rune che Bryant le aveva appe­na mostrato.

  — Mi dispiace dirtelo, Arthur — annunciò, abbassando gli oc­chiali sulla punta del naso — ma non sono affatto oscure maledi­zioni. — Controllò ancora il libro. — No, tutt'altro, sono trascri­zioni molto comuni, comunissime. — Bryant prese le rune e stu­diò l'illustrazione nel libro.

  — Vedi? Sono versi di protezione. Servono a tutelare il porta­tore, non a distruggerlo. Possano gli dei proteggermi nelle ore più buie... cose del genere.

  — Ma è impossibile! — esclamò Bryant. — E se è questo che dicono, allora la protezione non funziona.

  — Forse sì.

  — In che senso?

  — Le rune possono essere usate per proteggere sia le persone sia gli oggetti. Forse le rune non servivano a proteggere le tue vittime.

  — Cosa intendi dire?

  — E se lo scopo di queste rune fosse stato di proteggere la co­sa che le ha uccise? Dove hai preso questo pezzo di carta?

  — Questo in particolare? — Bryant rifletté un attimo. — L'abbiamo trovato sul pavimento del negozio di Dell. Proveniva dalla copertina di una videocassetta.

  — Allora ho delle cattive notizie per te — disse Dorothy. — Qualcuno ha trovato il modo di adattare un male antico per uti­lizzarlo con la tecnologia moderna.

 

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