Rune

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Rune Page 33

by Christopher Fowler


  — Nessun problema — rispose lei, rauca. — Ma, tu? Se do­vessi avere di nuovo le allucinazioni?

  — Dovrete legarmi, rinchiudermi da qualche parte. Avevo perso completamente il controllo.

  — Non possiamo farlo, abbiamo troppo bisogno di lei — disse Dorothy. — Dovrà controllare le sue condizioni e avvertirci ai primi sintomi di una nuova fase allucinatoria. Ora che sappiamo cosa c'è sulla cassetta, qual è la prossima mossa?

  — Non lo so ancora — ammise Harry. — Speravo che mi ve­nisse in mente qualcosa, una volta visto il nastro.

  — Allora io suggerisco di rimanere rintanati qui finché non avremo stabilito il da farsi — disse Grace. Si rivolse a Dorothy. — Si gela. Non può accendere il riscaldamento?

  — Dipende dalla caldaia esterna. Nei weekend resta spenta.

  — Ha delle coperte?

  — Penso che nel ripostiglio ce ne sia qualcuna del gruppo di catechismo. I bambini le usano per mascherarsi e giocare.

  — Allora può andarle a prendere. Sarà una notte lunga.

  John May aveva accettato con riluttanza le condizioni.

  Gli altri l'avrebbero fatto uscire di nascosto dall'ospedale lu­nedì mattina presto solo se avesse promesso di rimanere su una sedia a rotelle per tutto il giorno. Il sergente Longbright lo aveva avvertito che non avrebbe esitato a iniettargli nel braccio una si­ringa di Valium se avesse cominciato ad agitarsi, e May era di­spostissimo a crederle. Così, suo malgrado, si lasciò sistemare sulla sedia a rotelle e spingere nel corridoio deserto.

  Era un'iniziativa drastica, ma avevano dedicato fin troppo tempo all'analisi e al confronto dei dati, rimanendo passivi. Ora si trattava di adottare misure preventive prima che il caso venisse sottratto alla loro giurisdizione e passato a un'altra squadra inve­stigativa. Anche se fossero riusciti a trovare un motivo legittimo per bloccare la trasmissione, May immaginava che ci sarebbero stati dei provvedimenti disciplinari a loro carico per non avere seguito la procedura regolare.

  A un certo punto, durante la notte, probabilmente poco dopo la distruzione del monitor del computer, Bryant era riuscito a eclissarsi senza dire a nessuno dove stesse andando. Adesso, proprio quando avevano bisogno del suo aiuto, era irreperibile.

  Erano uno strano gruppo - la Longbright, Rufus e Kirkpatrick - ma insieme riuscirono a liberare May dalla prigionia della stan­zetta ospedaliera, lo spinsero nel montacarichi, lo caricarono su un furgone che aspettava in strada, e tornarono al commissaria­to.

  — Secondo me, dobbiamo inserire un nostro virus nella rete informatica della odel — disse Rufus. Terminato il suo compi­to, aveva deciso di rimanere nella squadra come consulente fi­no alla conclusione del caso. Il sistema runico che aveva intra­visto di sfuggita lo affascinava, e gli aveva dato parecchie idee per qualche progettino interessante. Si sistemò nella sala ope­rativa del commissariato come se fosse di casa lì. — Ci serve qualcosa di molto potente per fare piazza pulita di tutto il loro sistema.

  — Come si può fare?

  — Elaborando anche noi delle rune in codice. Se potessimo creare un programma infettivo, credo che riusciremmo a inserir­lo nel sistema.

  — Non sembri troppo ottimista — commentò Janice.

  — Non lo sono. Potrebbero attaccare il nostro programma, a meno che non ci difendiamo mettendo a punto un antivirus.

  — Cosa sarebbe? — chiese Kirkpatrick, sempre più confu­so.

  — Facciamo in modo che il loro sistema pensi che i nostri file siano infetti, così staranno alla larga.

  — Ma tutto questo richiederà del tempo, vero?

  — Certo. E tieni presente che i tizi della odel hanno mezzi illimitati per creare 'sta roba. Il tempo non è l'unico problema. Non siamo attrezzati abbastanza, e non abbiamo abbastanza personale.

  — Ma se avessi quel che ti serve, in che modo creeresti questa "infezione"? — domandò May.

  — Dovrei scomporre nei suoi elementi base il linguaggio runi­co che il computer sta usando.

  — Io conosco la maggior parte delle configurazioni principali — disse Kirkpatrick. — Però devo ammettere che le mie cono­scenze non comprendono la loro costruzione semantica... il loro assemblaggio, per così dire.

  Rufus lo fissò. — Almeno non sono l'unico stronzo duro di comprendonio da queste parti — borbottò.

  — Allora, cosa ti occorre? — chiese May, impaziente.

  — Preferibilmente, qualcuno pratico di occultismo.

  — Da chi è andato Arthur? — May si girò sulla sedia. — Ha consultato un esperto, una donna. Appena dopo il suo com­pleanno, ricordi? — E punzecchiò Janice nelle costole con la ma­tita.

  — Fallo ancora, e tolgo il freno alla tua carrozzella — sbottò il sergente. — Controlla la sua agenda.

  — Sai benissimo che l'ufficio di Arthur è al piano inferiore. Vai a dare un'occhiata, e sbrigati.

  — Quanto saranno lunghe queste maledizioni? — domandò Rufus. — Voglio dire, di che genere di programma stiamo par­lando?

  — La loro forza e la loro elusività dipendono dalla lunghezza, dalla durata — rispose Kirkpatrick. — Ritengo che per il nostro scopo occorrano almeno venti o trenta configurazioni. Può darsi che sia necessaria una ripetizione ciclica...

  — Bene, la questione è già risolta, allora. Non riuscirò a elaborare un programma tanto complesso entro oggi pomerig­gio. — Rufus ruotò sullo sgabello, coi piedi a una quarantina di centimetri dal pavimento. — Dovremo escogitare qualcos'altro.

  — Perché non lasciamo perdere la tecnologia? — intervenne d'un tratto May. — Ammettendo di riuscire a trascrivere la ma­ledizione, non possiamo consegnarla ai dirigenti della odel in una lettera?

  — È pazzesco! — esclamò Kirkpatrick, esasperato. — Sei un poliziotto. Il tuo compito è quello di proteggere la gente, non di farla morire in modo raccapricciante.

  — Kirkpatrick, se non fermiamo in tempo quel tipo, al mondo rimarrà viva molta meno gente che possa ostacolare l'espansione della sua società. Adesso dimmi, funzionerà, se combatteremo il nemico attaccandolo con le sue stesse armi?

  — Cioè, tracciando semplicemente delle rune e inviandoglie­le? A parte il fatto che è un'idea immorale, cosa che non sembra preoccuparti, no... non credo.

  — Perché no?

  — Perché le rune agiscono sul subcosciente. Non in modo esplicito.

  — Stai dicendo che sono subliminali?

  — In un certo senso. Le maledizioni scritte, a quanto pare, hanno un effetto imprevedibile. Abbiamo visto le rune trovate su alcune vittime, e non ci hanno danneggiato. Probabilmente perché funzionano solo in congiunzione con qualche conoscenza precedente della vittima. La loro portata, la loro varietà, sem­brano molto più grandi di quanto sospettassimo. Per quel che ri­guarda il nastro, be', stavi osservando lo schermo quando Rufus ha fatto scattare il dispositivo runico di protezione. Cosa hai vi­sto?

  — Ghirigori.

  — Appunto. O scorrono velocemente, o sono nascoste in for­me mimetiche. Grazie alla tecnologia video, la odel dispone di una gamma di artifici molto più ampia.

  Janice Longbright entrò nella stanza con l'agenda di Bryant. — Arthur ha incontrato una certa Dorothy Huxley — disse.

  — Prova a telefonarle.

  — Già fatto. Non risponde nessuno.

  — Continua a provare — disse May. — Voglio che qualcuno torni nell'edificio della odel al più presto. Ci occorrono infor­mazioni sulla loro trasmissione, come la stanno preparando, do­ve verrà registrata. E voglio che siano raccolte quante più infor­mazioni possibili sul consiglio di amministrazione della odel, ma senza destare sospetti. Data la posta in gioco, il loro reparto pubbliche relazioni potrebbe intervenire subito con un'operazio­ne di copertura immediata, quindi non voglio che sospettino mi­nimamente che abbiamo scoperto i loro piani.

  — C'è un altro problema — disse Janice. — Ho appena incon­trato Ian Hargreave. Ha sentito che sei di nuovo qui. Vuole sa­pere, e cito testualmente le sue parole: "Chi diavolo ha dato il permesso ai miei uomini di effettuare delle perquisizioni n
on au­torizzate". Credo che gli abbia telefonato qualcuno della odel. Immagino che verrà a farci visita tra poco.

  — Grazie dell'avvertimento. — May le strinse una mano. Sa­peva quanto dovesse essere difficile per Janice tenere separato dall'indagine il proprio legame sentimentale con Hargreave. — Ian doveva scoprirlo prima o poi, suppongo. Penso che sia inuti­le andare da lui e cercare di esporgli la situazione. Continuiamo a lavorare finché non ci chiama di sopra.

  Il temporale scoppiato sul lato opposto della città adesso ave­va raggiunto le finestre della sala operativa e, mentre riprende­vano il lavoro, sull'edificio calò una cappa sempre più fitta di oscurità.

  46

  Nastro

  Celia Carmody si esaminò il viso nello specchio della toeletta e si domandò se il trucco sarebbe riuscito a nascondere il livido blua­stro che andava dallo zigomo sinistro alla mascella gonfia. Non era ancora chiaro perché Daniel si fosse rifiutato di credere alla sua storia. Possibile che qualcuno l'avesse osservata mentre apri­va la porta della serra per Harry Buckingham? Slattery, forse, il subdolo legale, decise. Ultimamente, sembrava avesse assunto il ruolo di scagnozzo tuttofare di Daniel. Perché non aveva cercato di fermarla, allora? No, era più probabile che Daniel avesse semplicemente presunto la complicità della moglie. Con colpetti lie­vi si disinfettò il graffio alla gola. Per un po' avrebbe dovuto por­tare delle camicette col colletto alto, rifletté.

  Non era trascorso molto tempo prima che si pentisse di essersi sposata.

  Quando aveva conosciuto Daniel a un pranzo di beneficenza, ne era rimasta affascinata. Daniel incarnava tutto ciò che lei e la sua famiglia non erano. Sfacciato e schietto, aggressivo, nuovo. Il passato non contava, per lui. Non aveva ricordi, belli o brutti. Daniel affrontava esultante il futuro, attendendo il proprio mo­mento. Celia era stata allevata da genitori più schivi e riservati di lei, proprietari terrieri che vivevano in condizioni economiche sempre meno floride, che a poco a poco svanivano discreta­mente nel loro ambiente naturale. Daniel le aveva offerto una via d'uscita. Solo in seguito si era resa conto che la soluzione presentata da Daniel avrebbe comportato la distruzione di tutto ciò che amava, ma allora la sua vita passata valeva ben poco per lei.

  Rabbrividì, sentendo i passi di Daniel che avanzavano verso la camera da letto. Negli ultimi tempi, doveva trattenersi per non gridare quando le si avvicinava. Daniel limitava la sua libertà, adesso. In pratica, la teneva prigioniera in casa, ma in publico si premurava di dimostrare affetto nei suoi confronti. Ai signori della stampa, Celia sembrava a proprio agio nel ruolo di moglie raffinata, un riflesso elegante del buon gusto del marito. Era la prova che il capitano d'industria aveva una vita privata e in cuor suo amava tutto ciò che era inglese. Celia manteneva quell'appa­renza di serena disinvoltura bevendo.

  Daniel odiava ogni tipo di debolezza. Era la sua più grande de­bolezza. Celia sorrise alla propria immagine riflessa mentre sten­deva il fondotinta con un pennello. La forza che un tempo aveva tanto ammirato in lui adesso le riusciva insopportabile. Una vol­ta, il suo amore per Daniel era stato intensamente romantico. Adesso non rimaneva che un,atteggiamento distaccato e rispet­toso. I piani di Daniel, che voleva cambiare il mondo, erano an­dati ben oltre le sue semplici ambizioni di felicità. Celia immagi­nava che il marito soffrisse di una malattia, di una qualche specie di male che colpiva solo i potenti. Considerarla una malattia le permetteva di resistere e tirare avanti. Abbassò il pennello e fis­sò sconsolata la propria immagine. Sono una delle cose di sua proprietà pensò. A Daniel mancava soltanto una cosa nella vita: un albero genealogico. Così l'aveva comperato.

  Forse un giorno si sarebbe pentito dell'acquisto.

  — Ti rendi conto che questa sera apparirai in televisione con me? — disse Daniel, facendola sussultare. Occupò lo specchio con la propria sagoma, cancellando l'immagine di Celia. Si ap­poggiò al bordo della toeletta, creando una barriera tra lei e il beauty case, e la bottiglia d'argento nascosta all'interno. Il com­pleto di Gautier che indossava era splendido, ma troppo volutamente ricercato. La coda di cavallo impomatata di gel scendeva rigida sul colletto della giacca, conferendogli l'aspetto vacuo di un figurino.

  — Dopo là trasmissione ci sarà un collegamento in diretta via satellite con New York. Dovrai rispondere ad alcune domande. — Daniel prese un paio di forbicine dalla toeletta e cominciò a giocherellarci. — L'intervista sarà breve. Niente di troppo impe­gnativo. Opere di beneficenza preferite. Luoghi preferiti. Hobby e passatempi. — Si sporse in avanti e le toccò il mento, l'occhio di vetro fisso. — A proposito di hobby e passatempi... dovrai in­ventare qualcosa. Non possiamo permettere che la plebaglia pensi che tu non abbia interessi collaterali. Sarà meglio che tu non faccia vedere a nessuno cos'hai nella borsetta.

  Di colpo si rasserenò e sorrise. — L'auto arriverà tra qualche minuto. — Guardò l'orologio. — Sono appena passate le quat­tro. Dovremmo essere in città entro le sei.

  — Daniel, perché dobbiamo partire così presto?

  — È necessaria una prova tecnica. — Carmody allungò la ma­no e con l'indice le sfiorò la mascella gonfia. — Questa volta non possiamo permetterci di commettere nessun errore. Si fa sul se­rio, adesso. — Drizzandosi, si sistemò i gemelli allo specchio. — Su, animo! Quando avremo finito, ti porterò in qualche posto lontano. Possiamo andare dove preferisci. Allora il mondo avrà imboccato la strada giusta per diventare un luogo migliore.

  — Già, non ci sarà più nessuno in disaccordo con la politica dell'azienda — osservò Celia, sarcastica.

  — Cara, l'altruismo ormai non esiste più. Dovresti saperlo. Sei presidentessa dell'Associazione per la Protezione della Fau­na. Sai che è soltanto un circolo di arrampicatori sociali. Se non potessero organizzare le loro feste eleganti di beneficenza pre­senziate dall'entourage della corona, ben presto le tue care si­gnore direbbero agli animali di andare a farsi fottere. — Daniel le pizzicò la guancia, facendola sussultare per il dolore. — È ora di svegliarsi, Celia. Stiamo facendo qualcosa di nuovo. Stiamo eliminando i sotterfugi. È un atteggiamento onesto per superare gli anni Novanta.

  — Qualcuno vi fermerà.

  — Ah, davvero? Chi? — Carmody la lasciò andare, e Celia barcollò all'indietro. — I giornali mentono. I notiziari televisivi vengono censurati e addirittura alterati. Come possono farlo? Perché non ci sono custodi della libertà? Perché siamo noi i cu­stodi. — Si battè un dito sul petto. — Noi. Solo che "noi" non si­gnifica più nulla. Abbiamo venduto la nostra libertà per maggio­ri profitti. La nostra grande nazione chiude un occhio su qualsiasi cosa se il prezzo è adeguato... Ci vorrà dell'altro fondotinta, e parecchio, per nascondere quel livido. Hai proprio un aspetto di merda, cara. — Osservò la consorte che copriva le chiazze scure sulla guancia e sulla gola stendendo uno spesso strato di trucco fino ad assomigliare a una bambola imbellettata.

  — Perfetto. — Daniel Carmody fece un cenno di approvazio­ne quando Celia ebbe terminato il maquillage. — Ora usciamo e offriamo al mondo una faccia onesta.

  Harry si destò da un dormiveglia agitato sul pavimento della sala principale perché sentiva una serie di colpi alla porta. Scostò la coperta del letto improvvisato, si drizzò a sedere e guardò l'orologio. Le sette e mezzo. Lunedì mattina, finalmente. Aveva le braccia e la schiena completamente indolenzite. Con una smor­fia, si alzò in piedi e si guardò intorno, in cerca delle due donne. La sera prima avevano iniziato dei turni di guardia, ma alla fine si erano addormentati tutti. Mentre si avviava alla porta incontrò Dorothy. — Stia dietro di me — le disse. — Chiunque sia, potrebbe cercare di irrompere all'interno. — Preparandosi a resi­stere, aprì i catenacci.

  — Era ora! Cominciavo a pensare che non ci fosse nessuno qui.

  Fermo sotto il cornicione gocciolante, Arthur Bryant scosse l'ombrello. La faccia era nascosta da una sciarpa; si vedevano so­lo gli occhi. — Che tempaccio infame, eh? Be', ha intenzione di starsene lì come un manichino, o posso entrare?

  Harry arretrò confuso, mentre Bryant gli passava accanto e baciava Dorothy sulla g
uancia. — A proposito — disse il detec­tive — i vostri fili telefonici sono stati tagliati, e c'è un individuo dall'aria poco raccomandabile che sorveglia l'edificio. È a bordo di una Mercedes nera sotto il cavalcavia, e non cerca nemmeno di non dare nell'occhio. A quanto pare, avete passato la notte in bianco. Bene, adesso userò questo un attimo. — Posò un telefo­no portatile e lo attivò.

  Dorothy rimase sorpresa nel vedere Arthur che si affidava alla tecnologia, ma il suo arrivo provvidenziale era ancor più sor­prendente. Bryant, d'altro canto, aveva programmato attenta­mente quella apparizione. Era perfettamente consapevole della situazione di pericolo, nonostante dissimulasse la cosa sotto un atteggiamento indifferente. — Così, lei è Harry Buckingham — disse, squadrando il pubblicitario scarmigliato. — Ci ha dato un sacco di fastidi. Avremmo potuto risparmiare tempo e fatica se si fosse deciso a... Pronto? — Scosse il ricevitore, poi gridò.

  — Per favore, mi passi l'ispettore John May... Cosa? Figuria­moci! So benissimo che è lì. — Coprì il microfono con la mano e si rivolse a Dorothy. — Per caso, da queste parti bisogna presentare una domanda in carta bollata per avere una tazza di tè?

  Harry lanciò un'occhiata incredula a Grace.

  — Ah, John! Lo so che sto gridando. La comunicazione è pes­sima. Sai, sto usando uno di quei telefoni portatili... Be', conti­nuavi a tormentarmi per via del cercapersone, e dato che non l'a­vevo più... no, forse a finito in lavanderia... ho pensato bene di sostituirlo con qualcos'altro. Il tipo del negozio mi ha consigliato il telefono. L'ho addebitato sul conto spese. Be', sono alla biblio­teca con Dorothy... Mio caro amico, è esattamente quello che sto per fare, sono avanti parecchio rispetto a te... Per favore, cerca di rilassarti e non sforzare le valvole. Lo sai che Daniel Carmody andrà in onda tra qualche ora?... Lascia che me ne oc­cupi io. A proposito, qui ci stanno sorvegliando. Potresti manda­re un uomo, qualcuno che non dia nell'occhio... No, non "Furia" Bimsley, quello è un incubo ambulante. Ti chiamerò se avrò bi­sogno. — Bryant riattaccò, sbuffando.

 

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