Jerusalem Delivered
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512 Le vostre guerre, ed i trionfi vostri.
LXV.
Là incrudelite, là sovra i nocenti
Tutte adoprate pur le vostre posse
Fra i gridi eterni, e lo stridor de’ denti,
516 E ‘l suon del ferro, e le catene scosse.
Disse: e quei ch’egli vide al partir lenti,
Con la lancia fatal pinse, e percosse.
Essi, gemendo, abbandonar le belle
520 Regioni della luce, e l’auree stelle.
LXVI.
E dispiegar verso gli abissi il volo
Ad inasprir ne’ rei l’usate doglie.
Non passa il mar d’augei sì grande stuolo,
524 Quando ai Soli più tepidi s’accoglie:
Nè tante vede mai l’autunno al suolo
Cader, co’ primi freddi, aride foglie.
Liberato da lor, quella sì negra
528 Faccia depone il mondo, e sì rallegra.
LXVII.
Ma non perciò nel disdegnoso petto
D’Argante vien l’ardire o ‘l furor manco;
Benchè suo foco in lui non spiri Aletto,
532 Nè flagello infernal gli sferzi il fianco.
Rota il ferro crudel ove è più stretto
E più calcato insieme il popol Franco.
Miete i vili, e i potenti: e i più sublimi
536 E più superbi capi adegua agl’imi.
LXVIII.
Non lontana è Clorinda, e già non meno
Par che di tronche membra il campo asperga.
Caccia la spada a Berlinghier nel seno,
540 Per mezzo il cor, dove la vita alberga.
E quel colpo a trovarlo andò sì pieno,
Che sanguinosa uscì fuor delle terga.
Poi fere Albin là ‘ve primier s’apprende
544 Nostro alimento, e ‘l viso a Gallo fende.
LXIX.
La destra di Gerniero, onde ferita
Ella fu pria, manda recisa al piano.
Tratta anco il ferro, e con tremanti dita
548 Semiviva nel suol guizza la mano.
Coda di serpe è tal, ch’indi partita
Cerca d’unirsi al suo principio invano.
Così mal concio la Guerriera il lassa:
552 Poi si volge ad Achille, e ‘l ferro abbassa.
LXX.
E tra ‘l collo e la nuca il colpo assesta:
E tronchi i nervi, e ‘l gorgozzuol reciso,
Gío rotando a cader prima la testa:
556 Prima bruttò di polve immonda il viso,
Che giù cadesse il tronco: il tronco resta
(Miserabile mostro!) in sella assiso.
Ma, libero del fren, con mille rote
560 Calcitrando il destrier da se lo scuote.
LXXI.
Mentre così l’indomita Guerriera
Le squadre d’Occidente apre e flagella,
Non fa, d’incontra a lei, Gildippe altera
564 De’ Saracini suoi strage men fella.
Era il sesso il medesmo, e simile era
L’ardimento e ‘l valore in questa e in quella.
Ma far prova di lor non è lor dato:
568 Ch’a nemico maggior le serba il Fato.
LXXII.
Quinci una, e quindi l’altra urta e sospinge,
Nè può la turba aprir calcata e spessa.
Ma ‘l generoso Guelfo allora stringe
572 Contra Clorinda il ferro, e le s’appressa:
E calando un fendente, alquanto tinge
La fera spada nel bel fianco: ed essa
Fa d’una punta a lui cruda risposta,
576 Ch’a ferirlo ne va tra costa e costa.
LXXIII.
Doppia allor Guelfo il colpo, e lei non coglie;
Chè a caso passa il Palestino Osmida,
E la piaga non sua sopra se toglie,
580 La qual vien che la fronte a lui recida.
Ma intorno a Guelfo omai molta s’accoglie
Di quella gente ch’ei conduce e guida:
E d’altra parte ancor la turba cresce,
584 Sicchè la pugna si confonde e mesce.
LXXIV.
L’Aurora intanto il bel purpureo volto
Già dimostrava dal sovran balcone:
E in quei tumulti già s’era disciolto
588 Il feroce Argillan di sua prigione:
E d’arme incerte il frettoloso avvolto,
Quali il caso gli offerse, o triste o buone:
Già sen venia per emendar gli errori
592 Nuovi, con nuovi merti, e nuovi onori.
LXXV.
Come destrier che dalle regie stalle,
Ove all’uso dell’arme si riserba,
Fugge, e libero alfin, per largo calle
596 Va tra gli armenti, o al fiume usato, o all’erba:
Scherzan sul collo i crini, e sulle spalle
Si scuote la cervice alta e superba:
Suonano i piè nel corso, e par ch’avvampi,
600 Di sonori nitriti empiendo i campi.
LXXVI.
Tal ne viene Argillano: arde il feroce
Sguardo, ha la fronte intrepida e sublime:
Leve è ne’ salti, e sovra i piè veloce,
604 Sicchè d’orme la polve appena imprime.
E giunto fra’ nemici alza la voce,
Pur com’uom che tutto osi, e nulla stime:
O vil feccia del mondo, Arabi inetti,
608 Ond’è ch’or tanto ardire in voi s’alletti?
LXXVII.
Non regger voi degli elmi e degli scudi
Sete atti il peso, o ‘l petto armarvi e ‘l dorso;
Ma commettete, paventosi e nudi,
612 I colpi al vento, e la salute al corso.
L’opere vostre, e i vostri egregj studj
Notturni son: dà l’ombra a voi soccorso.
Or ch’ella fugge, chi fia vostro schermo?
616 D’arme è ben d’uopo, e di valor più fermo.
LXXVIII.
Così parlando ancor diè per la gola
Ad Algazel di sì crudel percossa,
Che gli secò le fauci, e la parola
620 Troncò ch’alla risposta era già mossa.
A quel meschin subito orrore invola
Il lume, e scorre un duro gel per l’ossa.
Cade, e co’ denti l’odiosa terra,
624 Pieno di rabbia, in sul morire afferra.
LXXIX.
Quinci per varj casi, e Saladino,
Ed Agricalte, e Muleasse uccide:
E dall’un fianco all’altro a lor vicino
628 Con esso un colpo Aldiazil divide.
Trafitto a sommo il petto Ariadino
Atterra, e con parole aspre il deride.
Ei gli occhj gravi alzando, alle orgogliose
632 Parole, in sul morir, così rispose:
LXXX.
Non tu, chiunque sia, di questa morte
Vincitor lieto avrai gran tempo il vanto.
Pari destin t’aspetta, e da più forte
636 Destra, a giacer mi sarai steso a canto.
Rise egli amaramente, e, di mia sorte
Curi il Ciel, disse; or tu quì mori intanto
D’augei pasto, e di cani: indi lui preme
640 Col piede, e ne trae l’alma, e ‘l ferro insieme.
LXXXI.
Un paggio del Soldan misto era in quella
Turba di sagittarj e lanciatori,
A cui non anco la stagion novella
644 Il bel mento spargea de’ primi fiori.
Pajon perle e rugiade, in su la bella
Guancia irrigando, i tepidi sudori:
Giunge grazia la polve al crine incolto:
648 E sdegnoso rigor dolce è in quel volto.
LXXXII.
Sotto ha un destrier che, di candore, agguaglia
Pur or nell’Apennin caduta neve:
Turbo o fiamma non è, che roti o saglia
652 Rapida sì, come è quel pro
nto e leve.
Vibra ei, presa nel mezzo, una zagaglia:
La spada al fianco tien ritorta e breve:
E con barbara pompa in un lavoro
656 Di porpora risplende intesta e d’oro.
LXXXIII.
Mentre il fanciullo, a cui novel piacere
Di gloria il petto giovenil lusinga,
Di qua turba e di là tutte le schiere,
660 E lui non è chi tanto o quanto stringa;
Cauto osserva Argillan tra le leggiere
Sue rote il tempo, in che l’asta sospinga:
E colto il punto, il suo destrier di furto
664 Gli uccide, e sovra gli è, ch’appena è surto.
LXXXIV.
Ed al supplice volto, il quale invano
Con l’arme di pietà fea sue difese,
Drizzò, crudel, l’inesorabil mano,
668 E di Natura il più bel pregio offese.
Senso aver parve, e fu dell’uom più umano
Il ferro, che si volse e piatto scese:
Ma che pro? se, doppiando il colpo fero,
672 Di punta colse ove egli errò primiero.
LXXXV.
Soliman, che di là non molto lunge
Da Goffredo in battaglia è trattenuto,
Lascia la zuffa, e ‘l destrier volve e punge,
676 Tosto che ‘l rischio ha del garzon veduto:
E i chiusi passi apre col ferro, e giunge
Alla vendetta si, non all’ajuto:
Perchè vede, ahi dolor! giacerne ucciso
680 Il suo Lesbin, quasi bel fior succiso.
LXXXVI.
E in atto sì gentil languir tremanti
Gli occhj, e cader sul tergo il collo mira:
Così vago è il pallore, e da’ sembianti
684 Di morte una pietà sì dolce spira;
Ch’ammollì il cor, che fu dur marmo innanti
E ‘l pianto scaturì di mezzo all’ira.
Tu piangi, Soliman! tu che distrutto
688 Mirasti il regno tuo col ciglio asciutto?
LXXXVII.
Ma come ei vede il ferro ostil che molle
Fuma del sangue ancor del giovinetto;
La pietà cede, e l’ira avvampa e bolle,
692 E le lagrime sue stagna nel petto.
Corre sovra Argillano, e ‘l ferro estolle,
Parte lo scudo opposto, indi l’elmetto,
Indi il capo e la gola; e dello sdegno
696 Di Soliman ben quel gran colpo è degno.
LXXXVIII.
Nè di ciò ben contento, al corpo morto,
Smontato del destriero, anco fa guerra;
Quasi mastin che ‘l sasso, ond’a lui porto
700 Fu duro colpo, infellonito afferra.
Oh d’immenso dolor vano conforto,
Incrudelir nell’insensibil terra!
Ma frattanto de’ Franchi il Capitano
704 Non spendea l’ire, e le percosse invano.
LXXXIX.
Mille Turchi avea quì che di loriche,
E d’elmetti, e di scudi eran coperti,
Indomiti di corpo alle fatiche,
708 Di spirto audaci, e in tutti i casi esperti:
E furon già delle milizie antiche
Di Solimano, e seco ne’ deserti
Seguir d’Arabia i suo’ errori infelici,
712 Nelle fortune avverse ancora amici.
XC.
Questi ristretti insieme in ordin folto
Poco cedeano o nulla al valor Franco.
In questi urtò Goffredo, e ferì il volto
716 Al fier Corcutte, ed a Rosteno il fianco:
A Selin dalle spalle il capo ha sciolto:
Tronco a Rosseno il destro braccio e ‘l manco.
Nè già soli costor; ma in altre guise
720 Molti piagò di loro, e molti uccise.
XCI.
Mentre ei così la gente Saracina
Percuote, e lor percosse anco sostiene:
E in nulla parte al precipizio inchina
724 La fortuna de’ Barbari, e la spene:
Nova nube di polve ecco vicina,
Che folgori di guerra in grembo tiene;
Ecco d’arme improvvise uscir un lampo,
728 Che sbigottì degl’infedeli il campo.
XCII.
Son cinquanta guerrier, che in puro argento
Spiegan la trionfal purpurea Croce.
Non io, se cento bocche e lingue cento
732 Avessi, e ferrea lena e ferrea voce,
Narrar potrei quel numero che spento,
Ne’ primi assalti, ha quel drappel feroce.
Cade l’Arabo imbelle, e ‘l Turco invitto,
736 Resistendo e pugnando, anco è trafitto.
XCIII.
L’orror, la crudeltà, la tema, il lutto
Van d’intorno scorrendo: e in varia imago
Vincitrice la Morte errar per tutto
740 Vedresti, ed ondeggiar di sangue un lago.
Già con parte de’ suoi s’era condutto
Fuor d’una porta il Re, quasi presago
Di fortunoso evento; e quinci d’alto
744 Mirava il pian soggetto, e ‘l dubbio assalto.
XCIV.
Ma come prima egli ha veduto in piega
L’esercito maggior, suona a raccolta,
E con messi iterati, instando, prega
748 Ed Argante, e Clorinda a dar di volta.
La fera coppia d’esequir ciò nega,
Ebra di sangue, e cieca d’ira, e stolta;
Pur cede alfine, e unite almen raccorre
752 Tenta le turbe, e freno ai passi imporre.
XCV.
Ma chi dà legge al volgo, ed ammaestra
La viltade e ‘l timor? la fuga è presa.
Altri gitta lo scudo, altri la destra
756 Disarma: impaccio è il ferro, e non difesa.
Valle è tra il piano e la Città, ch’alpestra
Dall’Occidente al Mezzogiorno è stesa;
Quì fuggon’ essi, e si rivolge oscura
760 Caligine di polve inver le mura.
XCVI.
Mentre ne van precipitosi al chino,
Strage d’essi i Cristiani orribil fanno;
Ma poscia che, salendo, omai vicino
764 L’ajuto avean del barbaro tiranno,
Non vuol Guelfo d’alpestro erto cammino,
Con tanto suo svantaggio, esporsi al danno;
Ferma le genti, e ‘l Re le sue riserra,
768 Non poco avanzo d’infelice guerra.
XCVII.
Fatto intanto ha il Soldan ciò che è concesso
Fare a terrena forza, or più non puote;
Tutto è sangue e sudore, e un grave e spesso
772 Anelar gli ange il petto, e i fianchi scuote.
Langue sotto lo scudo il braccio oppresso;
Gira la destra il ferro in pigre rote;
Spezza, e non taglia, e divenendo ottuso,
776 Perduto il brando omai di brando ha l’uso.
XCVIII.
Come sentissi tal, ristette in atto
D’uom che fra due sia dubbio, e in se discorre
Se morir debba, e di sì illustre fatto,
780 Colle sue mani, altrui la gloria torre;
O pur sopravanzando al suo disfatto
Campo, la vita in sicurezza porre.
Vinca (alfin disse) il Fato, e questa mia
784 Fuga, il trofeo di sua vittoria sia.
XCIX.
Veggia il nemico le mie spalle, e scherna
Di novo ancora il nostro esiglio indegno;
Pur che di novo armato indi mi scerna
788 Turbar sua pace, e ‘l non mai stabil regno.
Non cedo io, nò: fia con memoria eterna
Delle mie offese, eterno anco il mio sdegno.
Risorgerò nemico ognor più crudo,
792 Cenere anco sepolto, e spirto ignudo.
Canto decimo
ARGOMENTO.
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nbsp; Al Soldan che dormia, si mostra Ismeno,
E occultamente entro a Sion l’ha posto.
Quivi il vigor dell’animo, che meno
Nel Re venia, costui rinfranca tosto.
De’ suoi Goffredo ode gli errori appieno;
Ma poi che di Rinaldo ha ognun deposto
Ch’ei sia morto il timor, fa Piero aperto
De’ nepoti di lui le lodi e ‘l merto.
CANTO DECIMO.
Così dicendo ancor, vicino scorse
Un destrier ch’a lui volse errante il passo:
Tosto al libero fren la mano ei porse,
4 E su vi salse, ancorch’afflitto e lasso.
Già caduto è il cimier ch’orribil sorse,
Lasciando l’elmo inonorato e basso:
Rotta è la sopravesta, e di superba
8 Pompa regal vestigio alcun non serba.
II.
Come dal chiuso ovil cacciato viene
Lupo talor, che fugge e si nasconde:
Che sebben del gran ventre omai ripiene
12 Ha l’ingorde voragini profonde;
Avido pur di sangue anco fuor tiene
La lingua, e ‘l sugge dalle labra immonde;
Tale ei sen gía, dopo il sanguigno strazio,
16 Della sua cupa fame anco non sazio.
III.
E come è sua ventura, alle sonanti
Quadrella ond’a lui intorno un nembo vola,
A tante spade, a tante lance, a tanti
20 Instrumenti di morte alfin s’invola:
E sconosciuto pur cammina innanti
Per quella via ch’è più deserta e sola:
E rivolgendo in se quel che far deggia,
24 In gran tempesta di pensieri ondeggia.
IV.
Disponsi alfin di girne ove raguna
Oste sì poderosa il Re d’Egitto:
E giunger seco l’arme, e la fortuna
28 Ritentar anco di novel conflitto.
Ciò prefisso tra se, dimora alcuna
Non pone in mezzo, e prende il cammin dritto
(Chè sa le vie, nè d’uopo ha di chi ‘l guidi)
32 Di Gaza antica agli arenosi lidi.
V.
Nè perchè senta inacerbir le doglie
Delle sue piaghe, e grave il corpo ed egro,
Vien però che si posi, e l’arme spoglie;
36 Ma, travagliando, il dì ne passa integro.
Poi quando l’ombra oscura al mondo toglie
I varj aspetti, e i color tinge in negro,
Smonta, e fascia le piaghe, e come puote
40 Meglio, d’un’alta palma i frutti scuote.
VI.
E cibato di lor, sul terren nudo
Cerca adagiare il travagliato fianco,
E, la testa appoggiando al duro scudo,
44 Quetar i moti del pensier suo stanco.
Ma d’ora in ora a lui si fa più crudo
Sentire il duol delle ferite, ed anco
Roso gli è il petto e lacerato il core
48 Dagl’interni avoltoj, sdegno e dolore.