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Jerusalem Delivered

Page 151

by Torquato Tasso

CXXV.

  Fra questi è il valoroso e nobil Perso:

  Dico Altamoro il Re di Sarmacante.

  Adrasto v’è che ha il regno suo là verso

  996 I confin dell’Aurora, ed è gigante:

  Uom d’ogni umanità così diverso,

  Che frena per cavallo un elefante.

  V’è Tisaferno a cui, nell’esser prode,

  1000 Concorde fama dà sovrana lode.

  CXXVI.

  Così dice egli; e ‘l Giovinetto in volto

  Tutto scintilla, ed ha negli occhj il foco.

  Vorria già tra’ nemici essere avvolto:

  1004 Nè cape in se, nè ritrovar può loco.

  Quinci Vafrino al Capitan rivolto:

  Signor, soggiunse, insin quì detto è poco.

  La somma delle cose or quì si chiuda:

  1008 Impugneransi in te l’arme di Giuda.

  CXXVII.

  Di parte in parte poi tutto gli espose

  Ciò che di fraudolente in lui si tesse:

  L’arme, e ‘l velen, le insegne insidiose,

  1012 Il vanto udito, i premj, e le promesse.

  Molto chiesto gli fu, molto rispose:

  Breve tra lor silenzio indi successe.

  Poscia innalzando il Capitano il ciglio

  1016 Chiede a Raimondo: Or qual’è il tuo consiglio?

  CXXVIII.

  Ed egli: È mio parer ch’ai novi albóri,

  Come concluso fu, più non s’assaglia;

  Ma si stringa la torre: onde uscir fuori

  1020 Chi dentro stassi a suo piacer non vaglia:

  E posi il nostro campo, e si ristori

  Frattanto ad uopo di maggior battaglia.

  Pensa poi tu s’è meglio usar la spada

  1024 Con forza aperta, o ‘l gir tenendo a bada.

  CXXIX.

  Mio giudizio è però ch’a te convegna

  Di te stesso curar sovra ogni cura;

  Chè per te vince l’oste, e per te regna.

  1028 Chi senza te l’indrizza, e l’assicura?

  E perchè i traditor non celi insegna;

  Mutar le insegne a’ tuoi guerrier procura.

  Così la fraude a te palese fatta

  1032 Sarà da quel medesmo in chi s’appiatta.

  CXXX.

  Risponde il capitan: come hai per uso,

  Mostri amico volere e saggia mente;

  Ma quel che dubbio lasci, or sia conchiuso.

  1036 Uscirem contro alla nemica gente.

  Nè già star deve in muro o in vallo chiuso

  Il campo domator dell’Oriente.

  Sia da quegli empj il valor nostro esperto

  1040 Nella più aperta luce, in loco aperto.

  CXXXI.

  Non sosterran delle vittorie il nome,

  Non che de’ vincitor l’aspetto altero,

  Non che l’arme: e lor forze saran dome,

  1044 Fermo stabilimento al nostro impero.

  La torre o tosto renderassi, o come

  Altri nol vieti, il prenderla è leggiero.

  Quì il magnanimo tace, e fa partita;

  1048 Chè ‘l cader delle stelle al sonno invita.

  Canto ventesimo

  ARGOMENTO.

  Giunge l’oste Pagana, e crudel guerra

  Fa col campo fedele. Il fier Soldano

  L’assediata rocca anco disserra;

  Vago d’andare a guerreggiar nel piano,

  N’esce col Re; ma l’uno e l’altro a terra

  Estinto cade da famosa mano.

  Placa Rinaldo Armida. I Cristian scempio

  Fan de’ nemici, e poi van lieti al tempio.

  CANTO VIGESIMO.

  I.

  Già il Sole avea desti i mortali all’opre:

  Già dieci ore del giorno eran trascorse;

  Quando lo stuol ch’alla gran torre è sopre,

  4 Un non so che da lunge ombroso scorse,

  Quasi nebbia che a sera il mondo copre:

  E ch’era il campo amico alfin s’accorse,

  Che tutto intorno il Ciel di polve adombra,

  8 E i colli sotto, e le campagne ingombra.

  II.

  Alzano allor dall’alta cima i gridi

  Insino al Ciel le assediate genti:

  Con quel romor con che, dai Tracj nidi,

  12 Vanno a stormi le gru ne’ giorni algenti:

  E tra le nubi a più tepidi lidi

  Fuggon stridendo innanzi ai freddi venti:

  Ch’or la giunta speranza in lor fa pronte

  16 La mano al saettar, la lingua all’onte.

  III.

  Ben s’avvisano i Franchi, onde dell’ire

  L’impeto novo, e ‘l minacciar procede:

  E miran d’alta parte, ed apparire

  20 Il poderoso campo indi si vede.

  Subito avvampa il generoso ardire

  In que’ petti feroci, e pugna chiede.

  La gioventute altera accolta insieme,

  24 Dà, grida, il segno, invitto Duce: e freme.

  IV.

  Ma nega il saggio offrir battaglia innante

  Ai novi albóri, e tien gli audaci a freno.

  Nè pur con pugna instabile e vagante

  28 Vuol che si tentin gli avversarj almeno.

  Ben è ragion, dicea, che dopo tante

  Fatiche un giorno io vi ristori appieno.

  Forse ne’ suoi nemici anco la folle

  32 Credenza di se stessi ei nudrir volle.

  V.

  Si prepara ciascun, della novella

  Luce aspettando cupido il ritorno.

  Non fu mai l’aria sì serena e bella,

  36 Come all’uscir del memorabil giorno.

  L’alba lieta rideva, e parea ch’ella

  Tutti i raggj del Sole avesse intorno:

  E ‘l lume usato accrebbe, e senza velo

  40 Volle mirar l’opere grandi il Cielo.

  VI.

  Come vide spuntar l’aureo mattino,

  Mena fuori Goffredo il campo instrutto.

  Ma pon Raimondo intorno al Palestino

  44 Tiranno, e de’ fedeli il popol tutto,

  Che dal paese di Soria vicino

  A’ suoi liberator s’era condutto:

  Numero grande, e pur non questo solo,

  48 Ma di Guasconi ancor lascia uno stuolo.

  VII.

  Vassene, e tal’ è in vista il sommo Duce,

  Ch’altri certa vittoria indi presume.

  Novo favor del Cielo in lui riluce,

  52 E ‘l fa grande ed augusto oltra il costume.

  Gli empie d’onor la faccia, e vi riduce

  Di giovinezza il bel purpureo lume:

  E nell’atto degli occhj e delle membra

  56 Altro che mortal cosa egli rassembra.

  VIII.

  Ma non molto sen va, che giunge a fronte

  Dell’attendato esercito Pagano:

  E prender fa, nell’arrivare, un monte

  60 Ch’egli ha da tergo, e da sinistra mano.

  E l’ordinanza poi, larga di fronte,

  Di fianchi angusta, spiega inverso il piano;

  Stringe in mezzo i pedoni, e rende alati

  64 Con l’ale de’ cavalli entrambi i lati.

  IX.

  Nel corno manco, il qual s’appressa all’erto

  Dell’occupato colle e s’assicura,

  Pon l’uno e l’altro principe Roberto.

  68 Dà le parti di mezzo al frate in cura.

  Egli a destra s’alluoga, ove è l’aperto

  E ‘l periglioso più della pianura:

  Ove il nemico, che di gente avanza,

  72 Di circondarlo aver potea speranza.

  X.

  E quì i suoi Loteringhi, e quì dispone

  Le meglio armate genti e le più elette.

  Quì, tra’ cavalli arcieri, alcun pedone

  76 Uso a pugnar tra’ cavalier frammette.

  Poscia d’avventurier forma un squadrone,

  E d’altri altronde sc
elti, e presso il mette.

  Mette loro in disparte al lato destro:

  80 E Rinaldo ne fa duce e maestro.

  XI.

  Ed a lui dice: in te, Signor, riposta

  La vittoria e la somma è delle cose.

  Tieni tu la tua schiera alquanto ascosta

  84 Dietro a queste ali grandi e spaziose.

  Quando appressa il nemico, e tu di costa

  L’assali, e rendi van quanto e’ propose.

  Proposto avrà (se ‘l mio pensier non falle)

  88 Girando, ai fianchi urtarci ed alle spalle.

  XII.

  Quindi, sovra un corsier, di schiera in schiera

  Parea volar tra’ cavalier, tra’ fanti.

  Tutto il volto scopria per la visiera:

  92 Fulminava negli occhj e ne’ sembianti.

  Confortò il dubbio, e confermò chi spera:

  Ed all’audace rammentò i suoi vanti,

  E le sue prove al forte: a chi maggiori

  96 Gli stipendj promise, a chi gli onori.

  XIII.

  Alfin colà fermossi, ove le prime

  E più nobili squadre erano accolte:

  E cominciò, da loco assai sublime,

  100 Parlare, ond’è rapito ogn’uom ch’ascolte.

  Come in torrenti dalle alpestri cime

  Soglion giù derivar le nevi sciolte,

  Così correan volubili e veloci

  104 Dalla sua bocca le canore voci.

  XIV.

  O de’ nemici di Gesù flagello,

  Campo mio domator dell’Oriente;

  Ecco l’ultimo giorno: eccovi quello

  108 Che già tanto bramaste omai presente.

  Nè senza alta cagion, che’l suo rubello

  Popolo in un s’accoglia, il Ciel consente.

  Ogni vostro nimico ha quì congiunto,

  112 Per finir molte guerre in un sol punto.

  XV.

  Noi raccorrem molte vittorie in una:

  Nè fia maggiore il rischio o la fatica.

  Non sia, non sia tra voi temenza alcuna

  116 In veder così grande oste nemica:

  Chè, discorde fra se, mal si raguna:

  E negli ordini suoi se stessa intrica.

  E di chi pugni il numero fia poco;

  120 Mancherà il core a molti, a molti il loco.

  XVI.

  Quei che incontra verranci, uomini ignudi

  Fian per lo più, senza vigor, senz’arte;

  Che dal lor ozio, o dai servili studj

  124 Sol violenza or allontana e parte.

  Le spade omai tremar, tremar gli scudi,

  Tremar veggio le insegne in quella parte:

  Conosco i suoni incerti, e i dubbj moti:

  128 Veggio la morte loro ai segni noti.

  XVII.

  Quel Capitan che cinto d’ostro e d’oro

  Dispon le squadre, e par sì fero in vista;

  Vinse forse talor l’Arabo, o ‘l Moro;

  132 Ma il suo valor non fia ch’a noi resista.

  Che farà (benchè saggio) in tanta loro

  Confusione e sì torbida e mista?

  Mal noto è, credo, e mal conosce i sui:

  136 Ed a pochi può dir: tu fosti, io fui.

  XVIII.

  Ma Capitano i’ son di gente eletta:

  Pugnammo un tempo, e trionfammo insieme.

  E poscia un tempo a mio voler l’ho retta.

  140 Di chi di voi non so la patria e ‘l seme?

  Quale spada m’è ignota? o qual saetta,

  Benchè per l’aria ancor sospesa treme,

  Non saprei dir s’è Franca, o se d’Irlanda,

  144 E quale appunto il braccio è che la manda?

  XIX.

  Chiedo solite cose; ogn’un quì sembri

  Quel medesmo ch’altrove i’ l’ho già visto:

  E l’usato suo zelo abbia, e rimembri

  148 L’onor suo, l’onor mio, l’onor di Cristo.

  Ite, abbattete gli empj, e i tronchi membri

  Calcate, e stabilite il santo acquisto.

  Chè più vi tegno a bada? assai distinto

  152 Negli occhj vostri il veggio; avete vinto.

  XX.

  Parve che nel finir di tai parole

  Scendesse un lampo lucido e sereno,

  Come tal volta estiva notte suole

  156 Scuoter dal manto suo stella o baleno.

  Ma questo creder si potea che ‘l Sole

  Giuso il mandasse dal più interno seno:

  E parve al capo irgli girando: e segno

  160 Alcun pensollo di futuro regno.

  XXI.

  Forse (se deve infra’ celesti arcani

  Prosuntuosa entrar lingua mortale)

  Angel custode fu, che dai soprani

  164 Cori discese, e ‘l circondò con l’ale.

  Mentre ordinò Goffredo i suoi Cristiani,

  E parlò fra le schiere in guisa tale;

  L’Egizio Capitan lento non fue

  168 Ad ordinare, a confortar le sue.

  XXII.

  Trasse le squadre fuor, come veduto

  Fu da lunge venirne il popol Franco.

  E fece anch’ei l’esercito cornuto,

  172 Co’ fanti in mezzo, e i cavalieri al fianco.

  E per se il corno destro ha ritenuto:

  E prepose Altamoro al lato manco.

  Muleasse fra loro i fanti guida:

  176 E in mezzo è poi della battaglia Armida.

  XXIII.

  Col Duce a destra è il Re degl’Indiani,

  E Tisaferno, e tutto il regio stuolo.

  Ma dove stender può ne’ larghi piani

  180 L’ala sinistra più spedito il volo,

  Altamoro ha i Re Persi, e i Re Africani,

  E i due che manda il più fervente suolo.

  Quinci le frombe, e le balestre, e gli archi

  184 Esser tutti dovean rotate e scarchi.

  XXIV.

  Così Emiren gli schiera, e corre anch’esso

  Per le parti di mezzo, e per gli estremi:

  Per interpreti or parla, or per se stesso,

  188 Mesce lodi, e rampogne, e pene, e premj.

  Talor dice ad alcun: perchè dimesso

  Mostri, Soldato, il volto? e di che temi?

  Chè puote un contra cento? io mi confido

  192 Sol con l’ombra fugargli, e sol col grido.

  XXV.

  Ad altri: o valoroso, or via con questa

  Faccia a ritor la preda a noi rapita.

  L’immagine ad alcuno in mente desta,

  196 Gliela figura quasi e gliel’addita,

  Della pregante patria, e della mesta

  Supplice famigliuola sbigottita.

  Credi, dicea, che la tua patria spieghi

  200 Per la mia lingua in tai parole i preghi:

  XXVI.

  Guarda tu le mie leggi, e i sacri tempj

  Fa ch’io del sangue mio non bagni e lavi.

  Assicura le vergini dagli empj,

  204 E i sepolcri e le ceneri degli avi.

  A te, piangendo i lor passati tempi,

  Mostran la bianca chioma i vecchj gravi:

  A te la moglie le mammelle e ‘l petto,

  208 Le cune, e i figlj, e ‘l marital suo letto.

  XXVII.

  A molti poi dicea: l’Asia campioni

  Vi fa dell’onor suo: da voi s’aspetta

  Contra que’ pochi barbari ladroni

  212 Acerba, ma giustissima vendetta.

  Così con arti varie, in varj suoni

  Le varie genti alla battaglia alletta.

  Ma già tacciono i duci, e le vicine

  216 Schiere non parte omai largo confine.

  XXVIII.

  Grande e mirabil cosa era il vedere

  Quando quel campo e questo a fronte venne:

  Come, spiegate in ordine le schiere,

  220 Di mover già, già d’assalire accenne:

  Sparse al vento ondeggiando ir le bandiere,


  E ventolar su i gran cimier le penne:

  Abiti, fregj, imprese, arme, e colori,

  224 D’oro e di ferro, al Sol lampi e fulgóri.

  XXIX.

  Sembra d’alberi densi alta foresta

  L’un campo e l’altro; di tant’aste abbonda!

  Son tesi gli archi, e son le lance in resta:

  228 Vibransi i dardi, e rotasi ogni fionda.

  Ogni cavallo in guerra anco s’appresta;

  Gli odj, e ‘l furor del suo signor seconda:

  Raspa, batte, nitrisce, e si raggira,

  232 Gonfia le nari, e fumo e foco spira.

  XXX.

  Bello in sì bella vista anco è l’orrore:

  E di mezzo la tema esce il diletto.

  Nè men le trombe orribili e canore

  236 Sono agli orecchj lieto e fero oggetto.

  Pur il campo fedel, benchè minore,

  Par di suon più mirabile, e d’aspetto.

  E canta in più guerriero e chiaro carme

  240 Ogni sua tromba: e maggior luce han l’arme.

  XXXI.

  Fer le trombe Cristiane il primo invito:

  Risposer l’altre, ed accettar la guerra.

  S’inginocchiaro i Franchi, e riverito

  244 Da lor fu il Cielo: indi baciar la terra.

  Decresce in mezzo il campo: ecco è sparito:

  L’un con l’altro nemico omai si serra.

  Già fera zuffa è nelle corna: e innanti

  248 Spingonsi già con lor battaglia i fanti.

  XXXII.

  Or chi fu il primo feritor Cristiano,

  Che facesse d’onor lodati acquisti?

  Fosti Gildippe tu che ‘l grande Ircano,

  252 Che regnava in Ormus, prima feristi,

  (Tanto di gloria alla femminea mano

  Concesse il Cielo) e ‘l petto a lui partisti.

  Cade il trafitto, e nel cadere egli ode

  256 Dar gridando i nemici al colpo lode.

  XXXIII.

  Con la destra viril la donna stringe,

  Poi c’ha rotto il troncon, la buona spada:

  E contra i Persi il corridor sospinge,

  260 E ‘l folto delle schiere apre, e dirada.

  Coglie Zopiro là dove uom si cinge,

  E fa che quasi bipartito ei cada:

  Poi fer la gola, e tronca al crudo Alarco

  264 Della voce e del cibo il doppio varco.

  XXXIV.

  D’un mandritto Artaserse, Argeo di punta,

  L’uno atterra stordito, e l’altro uccide.

  Poscia i pieghevol nodi, ond’è congiunta

  268 La manca al braccio, ad Ismael recide.

  Lascia, cadendo, il fren la man disgiunta;

  Sugli orecchj al destriero il colpo stride.

  Ei che si sente in suo poter la briglia,

  272 Fugge a traverso, e gli ordini scompiglia.

  XXXV.

  Questi, e molti altri che in silenzio preme

  L’età vetusta, ella di vita toglie.

  Stringonsi i Persi, e vanle addosso insieme,

 

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