sì, gli aquiloni! È questa una mattina
che non c’è scuola. Siamo usciti a schiera
tra le siepi di rovo e d’albaspina.
Le siepi erano brulle, irte; ma c’era
d’autunno ancora qualche mazzo rosso
di bacche, e qualche fior di primavera
bianco; e sui rami nudi il pettirosso
saltava, e la lucertola il capino
mostrava tra le foglie aspre del fosso.
Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino
ventoso: ognuno manda da una balza
la sua cometa per il ciel turchino.
Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza,
risale, prende il vento; ecco pian piano
tra un lungo dei fanciulli urlo s’inalza.
S’inalza; e ruba il filo dalla mano,
come un fiore che fugga su lo stelo
esile, e vada a rifiorir lontano.
S’inalza; e i piedi trepidi e l’anelo
petto del bimbo e l’avida pupilla
e il viso e il cuore, porta tutto in cielo.
Più su, più su: già come un punto brilla
lassù lassù . . . Ma ecco una ventata
di sbieco, ecco uno strillo alto . . .—Chi strilla?
Sono le voci della camerata
mia: le conosco tutte all’improvviso,
una dolce, una acuta, una velata . . .
A uno a uno tutti vi ravviso,
o miei compagni! e te, sì, che abbandoni
su l’omero il pallor muto del viso.
Sì: dissi sopra te l’orazïoni,
e piansi: eppur, felice te che al vento
non vedesti cader che gli aquiloni!
Tu eri tutto bianco, io mi rammento.
solo avevi del rosso nei ginocchi,
per quel nostro pregar sul pavimento.
Oh! te felice che chiudesti gli occhi
persuaso, stringendoti sul cuore
il più caro dei tuoi cari balocchi!
Oh! dolcemente, so ben io, si muore
la sua stringendo fanciullezza al petto,
come i candidi suoi pètali un fiore
ancora in boccia! O morto giovinetto,
anch’io presto verrò sotto le zolle
là dove dormi placido e soletto...
Meglio venirci ansante, roseo, molle
di sudor, come dopo una gioconda
corsa di gara per salire un colle!
Meglio venirci con la testa bionda,
che poi che fredda giacque sul guanciale,
ti pettinò co’ bei capelli a onda
tua madre . . . adagio, per non farti male.
The Kite
There’s something new in the air today,
or rather something ancient. I’ve moved
away, but sense the violets blooming
in between the fallen leaves that wind
has hurled around the oak trees
of the Capuchins’ walled convent.
The air one breathes is mild there;
it softens solid clumps of earth, and stirs
the grassy sills of country shrines:
an air borne from another place, and time,
and life: a sky-blue air that could sustain
a crowd of bright, white wings . . .
kites! Yes, school’s closed today;
we’ve come outside in rowdy packs
to play among the brambles.
The vines were prickly, thin, but still
last autumn’s few red berries mixed
with early spring’s few pale buds
and robins on bare branches hopped
while lizards poked their heads up just
to duck back down beneath the stones.
We’ve stopped: Urbino’s windswept buildings
rise. Facing them, we launch our own
small comets toward the turquoise sky.
Now look, each flutters, lulls, subsides—
then climbs back up to catch the wind,
and urged by our enraptured shouts, it flies.
It flies, and lifts the length of string
the way a slim-stemmed flower rises,
wandering away to bloom again.
It flies, catching the boy’s quick breath,
and restless feet, and eager eye, and face,
and heart—and lifts them to the sky.
Up, up . . . by now it’s just a gleaming speck,
but wait—a shift of wind, and now
a strident cry . . . who’s crying?
My classmates’ voices, strong and near:
I recognize them all at once, the witty kid,
the introvert, the classroom clown . . .
I recognize each one of you, dear
friends—and yes, you too, with the quiet
pallor of your face against your arm.
I said the requiem above you, yes,
and wept; yet you were lucky, since
the only falling you would see were kites.
Your body was completely white
except your knees: rubbed red
from where we knelt for daily prayers.
Lucky you, who closed your eyes
in simple trust, and held
your dearest toy against your chest.
By now, I know how death is sweet
when youth stays clutched against the chest
the way a flower clutches petals close
before they bloom. Dead child, friend,
I’ll soon be there, where peaceful and alone
you sleep beneath the clumps of earth.
Better to come a bit out of breath,
sweaty and flushed, as if just
having finished a race up a hill.
Better to come with lovely fair hair
that lay cold as it spread on the pillow
where, holding her comb, your mother brushed
your curls . . . slowly, so as not to hurt you.
Nella nebbia
E guardai nella valle: era sparito
tutto! sommerso! Era un gran mare piano,
grigio, senz’onde, senza lidi, unito.
E c’era appena, qua e là, lo strano
vocìo di gridi piccoli e selvaggi:
uccelli spersi per quel mondo vano.
E alto, in cielo, scheletri di faggi,
come sospesi, e sogni di rovine
e di silenzïosi eremitaggi.
Ed un cane uggiolava senza fine,
nè seppi donde, forse a certe péste
che sentii, nè lontane nè vicine;
eco di péste nè tarde nè preste,
alterne, eterne. E io laggiù guardai:
nulla ancora e nessuno, occhi, vedeste.
Chiesero i sogni di rovine:—Mai
non giungerà?—Gli scheletri di piante
chiesero:—E tu chi sei, che sempre vai?—
Io, forse, un’ombra vidi, un’ombra errante
con sopra il capo un largo fascio. Vidi,
e più non vidi, nello stesso istante.
Sentii soltanto gl’inquïeti gridi
d’uccelli spersi, l’uggiolar del cane,
e, per il mar senz’onde e senza lidi,
le péste nè vicine nè lontane.
In the Fog
And I looked down at the land below.
Gone, all of it, drowned. Poured into a long
plain of gray, a sea without wave or shore.
And piercing the air, though barely there,
the strange sound of small, fierce cries:
birds, floundering, in that groundless plain.
And, in the sky, the bones of beech trees
dangled as if detached. And beside them
the dreams of ruins, and hermits’ retreats.
And a dog barked and barked, although
where wasn’t clear, maybe at footsteps
I thought I could hear, steps neither far nor near;
echoes of steps, neither spry nor slow,
/>
endless and forward and back. I looked:
no, nothing, that you, my eyes, could see.
The dreams of ruins wondered: Will the footsteps
never show? The trees’ skeletons
wondered: And you, who come and go?
And perhaps I saw a shadow, a straying shade
with a sheaf on his head. In an instant I saw
and did not see, and the instant remained the same.
What I heard was the bark
of a dog, and the stir of bewildered birds.
And the sound, in a sea without wave
or shore, of steps not near, and not far.
Il libro
I
Sopra il leggìo di quercia è nell’altana,
aperto, il libro. Quella quercia ancora,
esercitata dalla tramontana,
viveva nella sua selva sonora;
e quel libro era antico. Eccolo: aperto,
sembra che ascolti il tarlo che lavora.
E sembra ch’uno (donde mai? non, certo,
dal tremulo uscio, cui tentenna il vento
delle montagne e il vento del deserto,
sorti d’un tratto . . .) sia venuto, e lento
sfogli—se n’ode il crepitar leggiero–
le carte. E l’uomo non vedo io: lo sento,
invisibile, là, come il pensiero . . .
II
Un uomo è là, che sfoglia dalla prima
carta all’estrema, rapido, e pian piano
va, dall’estrema, a ritrovar la prima.
E poi nell’ira del cercar suo vano
volta i fragili fogli a venti, a trenta,
a cento, con l’impazïente mano.
E poi li volge a uno a uno, lenta-
mente, esitando; ma via via più forte,
più presto, i fogli contro i fogli avventa.
Sosta . . . Trovò? Non gemono le porte
più, tutto oscilla in un silenzio austero.
Legge? . . . Un istante; e volta le contorte
pagine, e torna ad inseguire il vero.
III
E sfoglia ancora; al vespro, che da nere
nubi rosseggia; tra un errar di tuoni,
tra un alïare come di chimere.
E sfoglia ancora, mentre i padiglioni
tumidi al vento l’ombra tende, e viene
con le deserte costellazïoni
la sacra notte. Ancora e sempre: bene
io n’odo il crepito arido tra canti
lunghi nel cielo come di sirene.
Sempre. Io lo sento, tra le voci erranti,
invisibile, là, come il pensiero,
che sfoglia, avanti indietro, indietro avanti,
sotto le stelle, il libro del mistero.
The Book
I
On the terrace, atop an oak stand,
an open book. The oak
once lived in the echoing woods
at the bidding of wind, but the book
was already ancient. Here it is: open,
as to eavesdrop on woodworms
that riddle and bore. A page turns.
It seems someone’s come (from where?
Not the door, blown by breezes
that traveled from deserts and cliffs)
and he flips between pages, which swish.
I don’t see him, but sense the man’s
presence, unseen as a thought . . .
II
Someone’s there, flipping forward
to reach the book’s end, then more slowly
thumbs backward to where it begins.
Angry at what isn’t found, he moves on;
with an impatient thumb, grabbing
twenty, then thirty, and more,
before grudgingly slowing and letting
them turn one by one, then gradually
speeding back up as the pages slap down.
He stops . . . Is it found? The door has ceased
creaking; everything sways in strict silence.
Is he reading? . . . A beat; and he keeps
turning pages in search of the true.
III
Still he turns pages, at dusk while the dark
of the clouds starts to redden, between gusts
of thunder, chimera-like air blowing gently.
Still he turns pages, while shadows pull in
the wind-swollen curtains, and carrying
vacant constellations of stars,
the sacred night arrives. Always, and still:
I hear that dry swish through the sky’s
trailing songs like the ones sung by sirens.
Always. Between roaming voices, I sense him,
unseen—like the thought that keeps turning,
beginning to end, then beginning again—
under stars, the book of the mystery.
Il transito
Il cigno canta. In mezzo delle lame
rombano le sue voci lunghe e chiare,
come percossi cembali di rame.
È l’infinita tenebra polare.
Grandi montagne d’un eterno gelo
póntano sopra il lastrico del mare.
Il cigno canta; e lentamente il cielo
sfuma nel buio, e si colora in giallo;
spunta una luce verde a stelo a stelo.
Come arpe qua e là tocche, il metallo
di quella voce tìntina; già sfiora
la verde luce i picchi di cristallo.
E nella notte, che ne trascolora,
un immenso iridato arco sfavilla,
e i portici profondi apre l’aurora.
L’arco verde e vermiglio arde, zampilla,
a frecce, a fasci; e poi palpita, frana
tacitamente, e riascende e brilla.
Col suono d’un rintocco di campana
che squilli ultimo, il cigno agita l’ale:
l’ale grandi grandi apre, e s’allontana
candido, nella luce boreale.
The Stopover
A swan sings. From the marshes’
far reaches, its sharp call rings
in a coppery snare of cymbals.
This is the endless arctic dark.
Huge hills of infinite ice
soar on a slab of sea.
A swan sings. Slowly the sky
blurs, and smolders to yellow.
A fringe of green unfurls.
Like harps barely brushed
that metal voice quavers; already,
on peaks, the green gleams.
From the core of the night’s loaned colors,
a sequin-sleeved arc scatters gold.
The aurora unfolds into porticoes.
Now green and vermilion, the arc splits
to arrows and sheaves. They falter, falling
mute and far, and swell to swaths of stars.
With a sound like the toll of a bell’s
last ring, the swan stirs its wings:
immense wings, swinging them wide to fly,
white against white, into the boreal light.
from Canti di Castelvecchio / Canti of Castelvecchio
L’uccellino del freddo
I
Viene il freddo. Giri per dirlo
tu, sgricciolo, intorno le siepi;
e sentire fai nel tuo zirlo
lo strido di gelo che crepi.
Il tuo trillo sembra la brina
che sgrigiola, il vetro che incrina . . .
trr trr trr terit tirit . . .
II
Viene il verno. Nella tua voce
c’è il verno tutt’arido e tecco.
Tu somigli un guscio di noce,
che ruzzola con rumor secco.
T’ha insegnato il breve tuo trillo
con l’elitre tremule il grillo . . .
trr trr trr terit tirit . . .
III
Nel tuo verso suona scrio scrio,
con piccoli crepiti e stiocchi,
il segreto scricchiolettio
/> di quella catasta di ciocchi.
Uno scricchiolettio ti parve
d’udirvi cercando le larve . . .
trr trr trr terit tirit . . .
IV
Tutto, intorno, screpola rotto.
Tu frulli ad un tetto, ad un vetro.
Così rompere odi lì sotto,
così screpolare lì dietro.
Oh! lì dentro vedi una vecchia
che fiacca la stipa e la grecchia . . .
trr trr trr terit tirit . . .
V
Vedi il lume, vedi la vampa.
Tu frulli dal vetro alla fratta.
Ecco un tizzo soffia, una stiampa
già croscia, una scorza già scatta.
Ecco nella grigia casetta
l’allegra fiammata scoppietta . . .
trr trr trr terit tirit . . .
VI
Fuori, in terra, frusciano foglie
cadute. Nell’Alpe lontana
ce n’è un mucchio grande che accoglie
la verde tua palla di lana.
Nido verde tra foglie morte,
che fanno, ad un soffio più forte . . .
trr trr trr terit tirit . . .
The Winter Wren
I
Comes the cold. You clip round
to say so, small wren, between trees,
a chirrup that mimics
the thick rip of ice.
Your tune mocks the frost,
a shatter of glass . . .
chirrup, chirr-chirrup, chirr rip . . .
II
Winter comes. With your call
comes the sealed dry well
of cold; you look like the shell
of a nut dropping, click; it’s
the cricket who taught you to trill
with its wing flit and whir . . .
chirrup-chirr, chirr-chirrup, chirr rip . . .
III
From your tune trips
a clitter and clatter and clack,
the creaking that creeps
through fat stacks of wood,
a creaking you heard
as you scoured for insect bits, trapped . . .
chirrup, chirr-chirrup, chirr rip . . .
IV
All around you, things scrape
as if shattered. You flit
between rooftop and window.
From one you hear breaking; the other,
soft cracks. Behind the glass an old woman
splits switch grass and sticks . . .
chirr-chirrup, chirr-chirrup, chirr rip . . .
V
Now you see the light, now the flare.
Selected Poems of Giovanni Pascoli Page 7