Paradiso (The Divine Comedy series Book 3)

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Paradiso (The Divine Comedy series Book 3) Page 27

by Dante


  Questo principio, male inteso, torse →

  già tutto il mondo quasi, sì che Giove, →

  63

  Mercurio e Marte a nominar trascorse.

  L’altra dubitazion che ti commove → →

  ha men velen, però che sua malizia

  66

  non ti poria menar da me altrove.

  Parere ingiusta la nostra giustizia →

  ne li occhi d’i mortali, è argomento

  69

  di fede e non d’eretica nequizia.

  Ma perché puote vostro accorgimento →

  ben penetrare a questa veritate,

  72

  come disiri, ti farò contento.

  Se vïolenza è quando quel che pate →

  nïente conferisce a quel che sforza,

  75

  non fuor quest’ alme per essa scusate:

  ché volontà, se non vuol, non s’ammorza,

  ma fa come natura face in foco, →

  78

  se mille volte vïolenza il torza.

  Per che, s’ella si piega assai o poco,

  segue la forza; e così queste fero

  81

  possendo rifuggir nel santo loco.

  Se fosse stato lor volere intero, →

  come tenne Lorenzo in su la grada,

  84

  e fece Muzio a la sua man severo,

  così l’avria ripinte per la strada

  ond’ eran tratte, come fuoro sciolte;

  87

  ma così salda voglia è troppo rada.

  E per queste parole, se ricolte

  l’hai come dei, è l’argomento casso →

  90

  che t’avria fatto noia ancor più volte.

  Ma or ti s’attraversa un altro passo →

  dinanzi a li occhi, tal che per te stesso

  93

  non usciresti: pria saresti lasso.

  Io t’ho per certo ne la mente messo →

  ch’alma beata non poria mentire,

  96

  però ch’è sempre al primo vero appresso;

  e poi potesti da Piccarda udire

  che l’affezion del vel Costanza tenne;

  99

  sì ch’ella par qui meco contradire.

  Molte fïate già, frate, addivenne →

  che, per fuggir periglio, contra grato

  102

  si fé di quel che far non si convenne;

  come Almeone, che, di ciò pregato

  dal padre suo, la propria madre spense,

  105

  per non perder pietà si fé spietato.

  A questo punto voglio che tu pense

  che la forza al voler si mischia, e fanno

  108

  sì che scusar non si posson l’offense.

  Voglia assoluta non consente al danno; →

  ma consentevi in tanto in quanto teme,

  111

  se si ritrae, cadere in più affanno.

  Però, quando Piccarda quello spreme,

  de la voglia assoluta intende, e io

  114

  de l’altra; sì che ver diciamo insieme.”

  Cotal fu l’ondeggiar del santo rio →

  ch’uscì del fonte ond’ ogne ver deriva;

  117

  tal puose in pace uno e altro disio.

  “O amanza del primo amante, o diva,” →

  diss’ io appresso, “il cui parlar m’inonda

  120

  e scalda sì, che più e più m’avviva,

  non è l’affezion mia tanto profonda,

  che basti a render voi grazia per grazia; →

  123

  ma quei che vede e puote a ciò risponda.

  Io veggio ben che già mai non si sazia

  nostro intelletto, se ’l ver non lo illustra

  126

  di fuor dal qual nessun vero si spazia.

  Posasi in esso, come fera in lustra,

  tosto che giunto l’ha; e giugner puollo:

  129

  se non, ciascun disio sarebbe frustra.

  Nasce per quello, a guisa di rampollo, →

  a piè del vero il dubbio; ed è natura

  132

  ch’al sommo pinge noi di collo in collo.

  Questo m’invita, questo m’assicura

  con reverenza, donna, a dimandarvi

  135

  d’un’altra verità che m’è oscura.

  Io vo’ saper se l’uom può sodisfarvi →

  ai voti manchi sì con altri beni,

  138

  ch’a la vostra statera non sien parvi.”

  Beatrice mi guardò con li occhi pieni →

  di faville d’amor così divini,

  che, vinta, mia virtute diè le reni,

  142

  e quasi mi perdei con li occhi chini.

  PARADISO V

  “S’io ti fiammeggio nel caldo d’amore → → → →

  di là dal modo che ’n terra si vede,

  3

  sì che del viso tuo vinco il valore,

  non ti maravigliar, ché ciò procede

  da perfetto veder, che, come apprende,

  6

  così nel bene appreso move il piede. →

  Io veggio ben sì come già resplende →

  ne l’intelletto tuo l’etterna luce,

  9

  che, vista, sola e sempre amore accende;

  e s’altra cosa vostro amor seduce, →

  non è se non di quella alcun vestigio, →

  12

  mal conosciuto, che quivi traluce.

  Tu vuo’ saper se con altro servigio, →

  per manco voto, si può render tanto

  15

  che l’anima sicuri di letigio.”

  Sì cominciò Beatrice questo canto; →

  e sì com’ uom che suo parlar non spezza,

  18

  continüò così ’l processo santo:

  “Lo maggior don che Dio per sua larghezza →

  fesse creando, e a la sua bontate

  21

  più conformato, e quel ch’e’ più apprezza,

  fu de la volontà la libertate;

  di che le creature intelligenti, →

  24

  e tutte e sole, fuoro e son dotate.

  Or ti parrà, se tu quinci argomenti, →

  l’alto valor del voto, s’è sì fatto

  27

  che Dio consenta quando tu consenti;

  ché, nel fermar tra Dio e l’omo il patto,

  vittima fassi di questo tesoro,

  30

  tal quale io dico; e fassi col suo atto.

  Dunque che render puossi per ristoro?

  Se credi bene usar quel c’hai offerto,

  33

  di maltolletto vuo’ far buon lavoro.

  Tu se’ omai del maggior punto certo; →

  ma perché Santa Chiesa in ciò dispensa,

  36

  che par contra lo ver ch’i’ t’ho scoverto,

  convienti ancor sedere un poco a mensa,

  però che ’l cibo rigido c’hai preso,

  39

  richiede ancora aiuto a tua dispensa.

  Apri la mente a quel ch’io ti paleso

  e fermalvi entro; ché non fa scïenza

  42

  sanza lo ritenere, avere inteso.

  Due cose si convegnono a l’essenza → →

  di questo sacrificio: l’una è quella

  45

  di che si fa; l’altr’ è la convenenza.

  Quest’ ultima già mai non si cancella →

  se non servata; e intorno di lei

  48

  sì preciso di sopra si favella:

  però necessitato fu a li Ebrei →

  pur l’offerere, ancor ch’alcuna offerta

  51

  si permutasse, come saver dei. →

  L’altra, che per materia t’è aperta, →

  puote ben esser tal, che non si falla

  54

 
; se con altra materia si converta.

  Ma non trasmuti carco a la sua spalla

  per suo arbitrio alcun, sanza la volta

  57

  e de la chiave bianca e de la gialla; →

  e ogne permutanza credi stolta,

  se la cosa dimessa in la sorpresa

  60

  come ’l quattro nel sei non è raccolta.

  Però qualunque cosa tanto pesa

  per suo valor che tragga ogne bilancia,

  63

  sodisfar non si può con altra spesa.

  Non prendan li mortali il voto a ciancia; → →

  siate fedeli, e a ciò far non bieci,

  66

  come Ieptè a la sua prima mancia; →

  cui più si convenia dicer ‘Mal feci,’

  che, servando, far peggio; e così stolto

  69

  ritrovar puoi il gran duca de’ Greci,

  onde pianse Efigènia il suo bel volto, →

  e fé pianger di sé i folli e i savi

  72

  ch’udir parlar di così fatto cólto.

  Siate, Cristiani, a muovervi più gravi: →

  non siate come penna ad ogne vento, →

  75

  e non crediate ch’ogne acqua vi lavi.

  Avete il novo e ’l vecchio Testamento, →

  e ’l pastor de la Chiesa che vi guida;

  78

  questo vi basti a vostro salvamento.

  Se mala cupidigia altro vi grida, →

  uomini siate, e non pecore matte,

  81

  sì che ’l Giudeo di voi tra voi non rida! →

  Non fate com’ agnel che lascia il latte

  de la sua madre, e semplice e lascivo

  84

  seco medesmo a suo piacer combatte!”

  Così Beatrice a me com’ïo scrivo; →

  poi si rivolse tutta disïante

  87

  a quella parte ove ’l mondo è più vivo. →

  Lo suo tacere e ’l trasmutar sembiante →

  puoser silenzio al mio cupido ingegno,

  90

  che già nuove questioni avea davante; →

  e sì come saetta che nel segno

  percuote pria che sia la corda queta,

  93

  così corremmo nel secondo regno.

  Quivi la donna mia vid’ io sì lieta, →

  come nel lume di quel ciel si mise,

  96

  che più lucente se ne fé ’l pianeta.

  E se la stella si cambiò e rise,

  qual mi fec’ io che pur da mia natura

  99

  trasmutabile son per tutte guise!

  Come ’n peschiera ch’è tranquilla e pura →

  traggonsi i pesci a ciò che vien di fori

  102

  per modo che lo stimin lor pastura,

  sì vid’ io ben più di mille splendori

  trarsi ver’ noi, e in ciascun s’udia:

  105

  “Ecco chi crescerà li nostri amori.” →

  E sì come ciascuno a noi venìa,

  vedeasi l’ombra piena di letizia →

  108

  nel folgór chiaro che di lei uscia.

  Pensa, lettor, se quel che qui s’inizia →

  non procedesse, come tu avresti

  111

  di più savere angosciosa carizia;

  e per te vederai come da questi

  m’era in disio d’udir lor condizioni,

  114

  sì come a li occhi mi fur manifesti.

  “O bene nato a cui veder li troni →

  del trïunfo etternal concede grazia →

  117

  prima che la milizia s’abbandoni,

  del lume che per tutto il ciel si spazia →

  noi semo accesi; e però, se disii

  120

  di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia.”

  Così da un di quelli spirti pii

  detto mi fu; e da Beatrice: “Dì, dì →

  123

  sicuramente, e credi come a dii.”

  “Io veggio ben sì come tu t’annidi →

  nel proprio lume, e che de li occhi il traggi,

  126

  perch’ e’ corusca sì come tu ridi;

  ma non so chi tu se’, né perché aggi, →

  anima degna, il grado de la spera

  129

  che si vela a’ mortai con altrui raggi.” →

  Questo diss’ io diritto a la lumera →

  che pria m’avea parlato; ond’ ella fessi

  132

  lucente più assai di quel ch’ell’ era.

  Sì come il sol che si cela elli stessi

  per troppa luce, come ’l caldo ha róse

  135

  le temperanze d’i vapori spessi,

  per più letizia sì mi si nascose

  dentro al suo raggio la figura santa;

  e così chiusa chiusa mi rispuose →

  139

  nel modo che ’l seguente canto canta.

  PARADISO VI

  “Poscia che Costantin l’aquila volse → →

  contr’ al corso del ciel, ch’ella seguio →

  3

  dietro a l’antico che Lavina tolse,

  cento e cent’ anni e più l’uccel di Dio → →

  ne lo stremo d’Europa si ritenne,

  6

  vicino a’ monti de’ quai prima uscìo;

  e sotto l’ombra de le sacre penne →

  governò ’l mondo lì di mano in mano, →

  9

  e, sì cangiando, in su la mia pervenne.

  Cesare fui e son Iustinïano, →

  che, per voler del primo amor ch’i’ sento, →

  12

  d’entro le leggi trassi il troppo e ’l vano.

  E prima ch’io a l’ovra fossi attento, →

  una natura in Cristo esser, non piùe,

  15

  credea, e di tal fede era contento;

  ma ’l benedetto Agapito, che fue

  sommo pastore, a la fede sincera

  18

  mi dirizzò con le parole sue.

  Io li credetti; e ciò che ’n sua fede era, →

  vegg’ io or chiaro sì, come tu vedi

  21

  ogne contradizione e falsa e vera.

  Tosto che con la Chiesa mossi i piedi, →

  a Dio per grazia piacque di spirarmi

  24

  l’alto lavoro, e tutto ’n lui mi diedi;

  e al mio Belisar commendai l’armi, →

  cui la destra del ciel fu sì congiunta,

  27

  che segno fu ch’i’ dovessi posarmi.

  Or qui a la question prima s’appunta

  la mia risposta; ma sua condizione

  30

  mi stringe a seguitare alcuna giunta, →

  perché tu veggi con quanta ragione →

  si move contr’ al sacrosanto segno

  33

  e chi ’l s’appropria e chi a lui s’oppone.

  Vedi quanta virtù l’ha fatto degno → →

  di reverenza; e cominciò da l’ora →

  36

  che Pallante morì per darli regno.

  Tu sai ch’el fece in Alba sua dimora →

  per trecento anni e oltre, infino al fine

  39

  che i tre a’ tre pugnar per lui ancora.

  E sai ch’el fé dal mal de le Sabine →

  al dolor di Lucrezia in sette regi,

  42

  vincendo intorno le genti vicine.

  Sai quel ch’el fé portato da li egregi →

  Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro,

  45

  incontro a li altri principi e collegi; →

  onde Torquato e Quinzio, che dal cirro →

  negletto fu nomato, i Deci e ’ Fabi →

  48

  ebber la fama che volontier mirro. →

  Esso atterrò l’orgoglio de li Aràbi �
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  che di retro ad Anibale passaro

  51

  l’alpestre rocce, Po, di che tu labi.

  Sott’ esso giovanetti trïunfaro →

  Scipïone e Pompeo; e a quel colle

  54

  sotto ’l qual tu nascesti parve amaro. →

  Poi, presso al tempo che tutto ’l ciel volle → →

  redur lo mondo a suo modo sereno,

  57

  Cesare per voler di Roma il tolle.

  E quel che fé da Varo infino a Reno,

  Isara vide ed Era e vide Senna

  60

  e ogne valle onde Rodano è pieno.

  Quel che fé poi ch’elli uscì di Ravenna →

  e saltò Rubicon, fu di tal volo,

  63

  che nol seguiteria lingua né penna.

  Inver’ la Spagna rivolse lo stuolo,

  poi ver’ Durazzo, e Farsalia percosse →

  66

  sì ch’al Nil caldo si sentì del duolo.

  Antandro e Simeonta, onde si mosse,

  rivide e là dov’ Ettore si cuba;

  69

  e mal per Tolomeo poscia si scosse. →

  Da indi scese folgorando a Iuba;

  onde si volse nel vostro occidente,

  72

  ove sentia la pompeana tuba.

  Di quel che fé col baiulo seguente, →

  Bruto con Cassio ne l’inferno latra, →

  75

  e Modena e Perugia fu dolente. →

  Piangene ancor la trista Cleopatra, →

  che, fuggendoli innanzi, dal colubro

  78

  la morte prese subitana e atra.

  Con costui corse infino al lito rubro; →

 

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