Paradiso (The Divine Comedy series Book 3)

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Paradiso (The Divine Comedy series Book 3) Page 28

by Dante


  con costui puose il mondo in tanta pace, →

  81

  che fu serrato a Giano il suo delubro. →

  Ma ciò che ’l segno che parlar mi face →

  fatto avea prima e poi era fatturo

  84

  per lo regno mortal ch’a lui soggiace,

  diventa in apparenza poco e scuro,

  se in mano al terzo Cesare si mira

  87

  con occhio chiaro e con affetto puro;

  ché la viva giustizia che mi spira, → →

  li concedette, in mano a quel ch’i’ dico,

  90

  gloria di far vendetta a la sua ira.

  Or qui t’ammira in ciò ch’io ti replìco:

  poscia con Tito a far vendetta corse →

  93

  de la vendetta del peccato antico.

  E quando il dente longobardo morse →

  la Santa Chiesa, sotto le sue ali

  96

  Carlo Magno, vincendo, la soccorse.

  Omai puoi giudicar di quei cotali → →

  ch’io accusai di sopra e di lor falli,

  99

  che son cagion di tutti vostri mali.

  L’uno al pubblico segno i gigli gialli →

  oppone, e l’altro appropria quello a parte,

  102

  sì ch’è forte a veder chi più si falli.

  Faccian li Ghibellin, faccian lor arte →

  sott’ altro segno, ché mal segue quello

  105

  sempre chi la giustizia e lui diparte;

  e non l’abbatta esto Carlo novello →

  coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli

  108

  ch’a più alto leon trasser lo vello. →

  Molte fïate già pianser li figli →

  per la colpa del padre, e non si creda

  111

  che Dio trasmuti l’armi per suoi gigli!

  Questa picciola stella si correda →

  d’i buoni spirti che son stati attivi

  114

  perché onore e fama li succeda:

  e quando li disiri poggian quivi,

  sì disvïando, pur convien che i raggi

  117

  del vero amore in sù poggin men vivi.

  Ma nel commensurar d’i nostri gaggi →

  col merto è parte di nostra letizia,

  120

  perché non li vedem minor né maggi.

  Quindi addolcisce la viva giustizia →

  in noi l’affetto sì, che non si puote

  123

  torcer già mai ad alcuna nequizia.

  Diverse voci fanno dolci note;

  così diversi scanni in nostra vita

  126

  rendon dolce armonia tra queste rote.

  E dentro a la presente margarita →

  luce la luce di Romeo, di cui

  129

  fu l’ovra grande e bella mal gradita.

  Ma i Provenzai che fecer contra lui →

  non hanno riso; e però mal cammina

  132

  qual si fa danno del ben fare altrui.

  Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina,

  Ramondo Beringhiere, e ciò li fece →

  135

  Romeo, persona umìle e peregrina.

  E poi il mosser le parole biece

  a dimandar ragione a questo giusto, →

  138

  che li assegnò sette e cinque per diece, →

  indi partissi povero e vetusto; →

  e se ’l mondo sapesse il cor ch’elli ebbe

  mendicando sua vita a frusto a frusto,

  142

  assai lo loda, e più lo loderebbe.”

  PARADISO VII

  “Osanna, sanctus Deus sabaòth, → → →

  superillustrans claritate tua

  3

  felices ignes horum malacòth!” →

  Così, volgendosi a la nota sua, →

  fu viso a me cantare essa sustanza,

  6

  sopra la qual doppio lume s’addua; →

  ed essa e l’altre mossero a sua danza,

  e quasi velocissime faville →

  9

  mi si velar di sùbita distanza.

  Io dubitava e dicea “Dille, dille!” →

  fra me, “dille” dicea, “a la mia donna

  12

  che mi diseta con le dolci stille.” →

  Ma quella reverenza che s’indonna →

  di tutto me, pur per Be e per ice, →

  15

  mi richinava come l’uom ch’assonna.

  Poco sofferse me cotal Beatrice

  e cominciò, raggiandomi d’un riso

  18

  tal, che nel foco faria l’uom felice: →

  “Secondo mio infallibile avviso, → →

  come giusta vendetta giustamente → →

  21

  punita fosse, t’ha in pensier miso;

  ma io ti solverò tosto la mente;

  e tu ascolta, ché le mie parole

  24

  di gran sentenza ti faran presente.

  Per non soffrire a la virtù che vole →

  freno a suo prode, quell’ uom che non nacque, →

  27

  dannando sé, dannò tutta sua prole;

  onde l’umana specie inferma giacque →

  giù per secoli molti in grande errore, →

  30

  fin ch’al Verbo di Dio discender piacque →

  u’ la natura, che dal suo fattore →

  s’era allungata, unì a sé in persona

  33

  con l’atto sol del suo etterno amore.

  Or drizza il viso a quel ch’or si ragiona: →

  questa natura al suo fattore unita,

  36

  qual fu creata, fu sincera e buona;

  ma per sé stessa pur fu ella sbandita

  di paradiso, però che si torse

  39

  da via di verità e da sua vita. →

  La pena dunque che la croce porse

  s’a la natura assunta si misura,

  42

  nulla già mai sì giustamente morse;

  e così nulla fu di tanta ingiura,

  guardando a la persona che sofferse,

  45

  in che era contratta tal natura.

  Però d’un atto uscir cose diverse: →

  ch’a Dio e a’ Giudei piacque una morte;

  48

  per lei tremò la terra e ’l ciel s’aperse.

  Non ti dee oramai parer più forte, →

  quando si dice che giusta vendetta

  51

  poscia vengiata fu da giusta corte.

  Ma io veggi’ or la tua mente ristretta → →

  di pensiero in pensier dentro ad un nodo,

  54

  del qual con gran disio solver s’aspetta.

  Tu dici: ‘Ben discerno ciò ch’i’ odo;

  ma perché Dio volesse, m’è occulto,

  57

  a nostra redenzion pur questo modo.’ →

  Questo decreto, frate, sta sepulto

  a li occhi di ciascuno il cui ingegno

  60

  ne la fiamma d’amor non è adulto.

  Veramente, però ch’a questo segno

  molto si mira e poco si discerne,

  63

  dirò perché tal modo fu più degno.

  La divina bontà, che da sé sperne → →

  ogne livore, ardendo in sé, sfavilla

  66

  sì che dispiega le bellezze etterne.

  Ciò che da lei sanza mezzo distilla →

  non ha poi fine, perché non si move →

  69

  la sua imprenta quand’ ella sigilla.

  Ciò che da essa sanza mezzo piove

  libero è tutto, perché non soggiace

  72

  a la virtute de le cose nove. →

  Più l’è conforme, e però più le piace;

  ché l’ardor
santo ch’ogne cosa raggia,

  75

  ne la più somigliante è più vivace.

  Di tutte queste dote s’avvantaggia

  l’umana creatura, e s’una manca,

  78

  di sua nobilità convien che caggia.

  Solo il peccato è quel che la disfranca

  e falla dissimìle al sommo bene,

  81

  per che del lume suo poco s’imbianca;

  e in sua dignità mai non rivene,

  se non rïempie, dove colpa vòta,

  84

  contra mal dilettar con giuste pene.

  Vostra natura, quando peccò tota →

  nel seme suo, da queste dignitadi,

  87

  come di paradiso, fu remota;

  né ricovrar potiensi, se tu badi

  ben sottilmente, per alcuna via,

  90

  sanza passar per un di questi guadi:

  o che Dio solo per sua cortesia

  dimesso avesse, o che l’uom per sé isso

  93

  avesse sodisfatto a sua follia.

  Ficca mo l’occhio per entro l’abisso

  de l’etterno consiglio, quanto puoi

  96

  al mio parlar distrettamente fisso.

  Non potea l’uomo ne’ termini suoi →

  mai sodisfar, per non potere ir giuso

  99

  con umiltate obedïendo poi,

  quanto disobediendo intese ir suso;

  e questa è la cagion per che l’uom fue

  102

  da poter sodisfar per sé dischiuso.

  Dunque a Dio convenia con le vie sue →

  riparar l’omo a sua intera vita,

  105

  dico con l’una, o ver con amendue.

  Ma perché l’ovra tanto è più gradita

  da l’operante, quanto più appresenta

  108

  de la bontà del core ond’ ell’ è uscita,

  la divina bontà che ’l mondo imprenta,

  di proceder per tutte le sue vie,

  111

  a rilevarvi suso, fu contenta.

  Né tra l’ultima notte e ’l primo die →

  sì alto o sì magnifico processo,

  114

  o per l’una o per l’altra, fu o fie:

  ché più largo fu Dio a dar sé stesso

  per far l’uom sufficiente a rilevarsi,

  117

  che s’elli avesse sol da sé dimesso;

  e tutti li altri modi erano scarsi

  a la giustizia, se ’l Figliuol di Dio

  120

  non fosse umilïato ad incarnarsi.

  Or per empierti bene ogne disio,

  ritorno a dichiararti in alcun loco,

  123

  perché tu veggi lì così com’ io.

  Tu dici: ‘Io veggio l’acqua, io veggio il foco, → →

  l’aere e la terra e tutte lor misture

  126

  venire a corruzione, e durar poco;

  e queste cose pur furon creature;

  per che, se ciò ch’è detto è stato vero,

  129

  esser dovrien da corruzion sicure.’

  Li angeli, frate, e ’l paese sincero

  nel qual tu se’, dir si posson creati,

  132

  sì come sono, in loro essere intero;

  ma li alimenti che tu hai nomati

  e quelle cose che di lor si fanno

  135

  da creata virtù sono informati.

  Creata fu la materia ch’elli hanno;

  creata fu la virtù informante

  138

  in queste stelle che ’ntorno a lor vanno.

  L’anima d’ogne bruto e de le piante →

  di complession potenzïata tira

  141

  lo raggio e ’l moto de le luci sante;

  ma vostra vita sanza mezzo spira

  la somma beninanza, e la innamora

  144

  di sé sì che poi sempre la disira.

  E quinci puoi argomentare ancora →

  vostra resurrezion, se tu ripensi

  come l’umana carne fessi allora

  148

  che li primi parenti intrambo fensi.”

  PARADISO VIII

  Solea creder lo mondo in suo periclo →

  che la bella Ciprigna il folle amore →

  3

  raggiasse, volta nel terzo epiciclo; →

  per che non pur a lei faceano onore →

  di sacrificio e di votivo grido

  6

  le genti antiche ne l’antico errore;

  ma Dïone onoravano e Cupido, →

  quella per madre sua, questo per figlio,

  9

  e dicean ch’el sedette in grembo a Dido; →

  e da costei ond’ io principio piglio →

  pigliavano il vocabol de la stella

  12

  che ’l sol vagheggia or da coppa or da ciglio. →

  Io non m’accorsi del salire in ella; →

  ma d’esservi entro mi fé assai fede

  15

  la donna mia ch’i’ vidi far più bella.

  E come in fiamma favilla si vede, →

  e come in voce voce si discerne, →

  18

  quand’ una è ferma e altra va e riede,

  vid’ io in essa luce altre lucerne →

  muoversi in giro più e men correnti, →

  21

  al modo, credo, di lor viste interne.

  Di fredda nube non disceser venti,

  o visibili o no, tanto festini, →

  24

  che non paressero impediti e lenti

  a chi avesse quei lumi divini

  veduti a noi venir, lasciando il giro →

  27

  pria cominciato in li alti Serafini;

  e dentro a quei che più innanzi appariro

  sonava “Osanna” sì, che unque poi →

  30

  di rïudir non fui sanza disiro.

  Indi si fece l’un più presso a noi →

  e solo incominciò: “Tutti sem presti

  33

  al tuo piacer, perché di noi ti gioi.

  Noi ci volgiam coi principi celesti → →

  d’un giro e d’un girare e d’una sete,

  36

  ai quali tu del mondo già dicesti:

  ‘Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete’;

  e sem sì pien d’amor, che, per piacerti, →

  39

  non fia men dolce un poco di quïete.” →

  Poscia che li occhi miei si fuoro offerti →

  a la mia donna reverenti, ed essa

  42

  fatti li avea di sé contenti e certi,

  rivolsersi a la luce che promessa

  tanto s’avea, e “Deh, chi siete?” fue →

  45

  la voce mia di grande affetto impressa. →

  E quanta e quale vid’ io lei far piùe →

  per allegrezza nova che s’accrebbe,

  48

  quando parlai, a l’allegrezze sue!

  Così fatta, mi disse: “Il mondo m’ebbe →

  giù poco tempo; e se più fosse stato,

  51

  molto sarà di mal, che non sarebbe.

  La mia letizia mi ti tien celato →

  che mi raggia dintorno e mi nasconde

  54

  quasi animal di sua seta fasciato.

  Assai m’amasti, e avesti ben onde; →

  che s’io fossi giù stato, io ti mostrava

  57

  di mio amor più oltre che le fronde.

  Quella sinistra riva che si lava →

  di Rodano poi ch’è misto con Sorga,

  60

  per suo segnore a tempo m’aspettava,

  e quel corno d’Ausonia che s’imborga

  di Bari e di Gaeta e di Catona,

  63

  da ove Tronto e Verde in mare sgorga.
/>   Fulgeami già in fronte la corona →

  di quella terra che ’l Danubio riga

  66

  poi che le ripe tedesche abbandona.

  E la bella Trinacria, che caliga →

  tra Pachino e Peloro, sopra ’l golfo →

  69

  che riceve da Euro maggior briga,

  non per Tifeo ma per nascente solfo, →

  attesi avrebbe li suoi regi ancora,

  72

  nati per me di Carlo e di Ridolfo,

  se mala segnoria, che sempre accora

  li popoli suggetti, non avesse

  75

  mosso Palermo a gridar: ‘Mora, mora!’ →

  E se mio frate questo antivedesse, →

  l’avara povertà di Catalogna

  78

  già fuggeria, perché non li offendesse;

  ché veramente proveder bisogna →

  per lui, o per altrui, sì ch’a sua barca

  81

  carcata più d’incarco non si pogna.

  La sua natura, che di larga parca →

  discese, avria mestier di tal milizia →

  84

  che non curasse di mettere in arca.”

  “Però ch’i’ credo che l’alta letizia →

  che ’l tuo parlar m’infonde, segnor mio,

  87

  là ’ve ogne ben si termina e s’inizia,

  per te si veggia come la vegg’ io,

  grata m’è più; e anco quest’ ho caro

  90

  perché ’l discerni rimirando in Dio.

  Fatto m’hai lieto, e così mi fa chiaro, →

  poi che, parlando, a dubitar m’hai mosso

  93

  com’ esser può, di dolce seme, amaro.”

 

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