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Paradiso

Page 26

by Dante


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  ch’esser convien se corpo in corpo repe, →

  accender ne dovria più il disio

  di veder quella essenza in che si vede

  42

  come nostra natura e Dio s’unio.

  Lì si vedrà ciò che tenem per fede,

  non dimostrato, ma fia per sé noto

  45

  a guisa del ver primo che l’uom crede.

  Io rispuosi: “Madonna, sì devoto →

  com’ esser posso più, ringrazio lui

  48

  lo qual dal mortal mondo m’ha remoto.

  Ma ditemi: che son li segni bui

  di questo corpo, che là giuso in terra

  51

  fan di Cain favoleggiare altrui?” →

  Ella sorrise alquanto, e poi “S’elli erra →

  l’oppinïon,” mi disse, “d’i mortali

  54

  dove chiave di senso non diserra,

  certo non ti dovrien punger li strali

  d’ammirazione omai, poi dietro ai sensi

  57

  vedi che la ragione ha corte l’ali.

  Ma dimmi quel che tu da te ne pensi.” →

  E io: “Ciò che n’appar qua sù diverso →

  60

  credo che fanno i corpi rari e densi.”

  Ed ella: “Certo assai vedrai sommerso →

  nel falso il creder tuo, se bene ascolti

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  l’argomentar ch’io li farò avverso.

  La spera ottava vi dimostra molti → →

  lumi, li quali e nel quale e nel quanto

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  notar si posson di diversi volti.

  Se raro e denso ciò facesser tanto,

  una sola virtù sarebbe in tutti,

  69

  più e men distributa e altrettanto.

  Virtù diverse esser convegnon frutti

  di principi formali, e quei, for ch’uno,

  72

  seguiterieno a tua ragion distrutti.

  Ancor, se raro fosse di quel bruno → →

  cagion che tu dimandi, o d’oltre in parte

  75

  fora di sua materia sì digiuno

  esto pianeto, o, sì come comparte

  lo grasso e ’l magro un corpo, così questo

  78

  nel suo volume cangerebbe carte.

  Se ’l primo fosse, fora manifesto

  ne l’eclissi del sol, per trasparere

  81

  lo lume come in altro raro ingesto.

  Questo non è: però è da vedere

  de l’altro; e s’elli avvien ch’io l’altro cassi, →

  84

  falsificato fia lo tuo parere.

  S’elli è che questo raro non trapassi,

  esser conviene un termine da onde

  87

  lo suo contrario più passar non lassi;

  e indi l’altrui raggio si rifonde

  così come color torna per vetro

  90

  lo qual di retro a sé piombo nasconde.

  Or dirai tu ch’el si dimostra tetro →

  ivi lo raggio più che in altre parti,

  93

  per esser lì refratto più a retro.

  Da questa instanza può deliberarti →

  esperïenza, se già mai la provi,

  96

  ch’esser suol fonte ai rivi di vostr’ arti.

  Tre specchi prenderai; e i due rimovi

  da te d’un modo, e l’altro, più rimosso,

  99

  tr’ambo li primi li occhi tuoi ritrovi.

  Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso

  ti stea un lume che i tre specchi accenda

  102

  e torni a te da tutti ripercosso.

  Ben che nel quanto tanto non si stenda

  la vista più lontana, lì vedrai

  105

  come convien ch’igualmente risplenda.

  Or, come ai colpi de li caldi rai →

  de la neve riman nudo il suggetto

  108

  e dal colore e dal freddo primai,

  così rimaso te ne l’intelletto

  voglio informar di luce sì vivace,

  111

  che ti tremolerà nel suo aspetto.

  Dentro dal ciel de la divina pace →

  si gira un corpo ne la cui virtute

  114

  l’esser di tutto suo contento giace.

  Lo ciel seguente, c’ha tante vedute, →

  quell’ esser parte per diverse essenze,

  117

  da lui distratte e da lui contenute.

  Li altri giron per varie differenze →

  le distinzion che dentro da sé hanno

  120

  dispongono a lor fini e lor semenze.

  Questi organi del mondo così vanno, →

  come tu vedi omai, di grado in grado,

  123

  che di sù prendono e di sotto fanno.

  Riguarda bene omai sì com’ io vado →

  per questo loco al vero che disiri,

  126

  sì che poi sappi sol tener lo guado.

  Lo moto e la virtù d’i santi giri, →

  come dal fabbro l’arte del martello,

  129

  da’ beati motor convien che spiri;

  e ’l ciel cui tanti lumi fanno bello, →

  de la mente profonda che lui volve

  132

  prende l’image e fassene suggello.

  E come l’alma dentro a vostra polve →

  per differenti membra e conformate

  135

  a diverse potenze si risolve,

  così l’intelligenza sua bontate

  multiplicata per le stelle spiega,

  138

  girando sé sovra sua unitate.

  Virtù diversa fa diversa lega →

  col prezïoso corpo ch’ella avviva,

  141

  nel qual, sì come vita in voi, si lega.

  Per la natura lieta onde deriva, →

  la virtù mista per lo corpo luce

  144

  come letizia per pupilla viva.

  Da essa vien ciò che da luce a luce →

  par differente, non da denso e raro;

  essa è formal principio che produce,

  148

  conforme a sua bontà, lo turbo e ’l chiaro.”

  PARADISO III

  Quel sol che pria d’amor mi scaldò ’l petto, → →

  di bella verità m’avea scoverto, →

  3

  provando e riprovando, il dolce aspetto;

  e io, per confessar corretto e certo →

  me stesso, tanto quanto si convenne

  6

  leva’ il capo a proferer più erto;

  ma visïone apparve che ritenne →

  a sé me tanto stretto, per vedersi,

  9

  che di mia confession non mi sovvenne.

  Quali per vetri trasparenti e tersi, →

  o ver per acque nitide e tranquille,

  12

  non sì profonde che i fondi sien persi,

  tornan d’i nostri visi le postille

  debili sì, che perla in bianca fronte

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  non vien men forte a le nostre pupille;

  tali vid’ io più facce a parlar pronte;

  per ch’io dentro a l’error contrario corsi →

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  a quel ch’accese amor tra l’omo e ’l fonte.

  Sùbito sì com’ io di lor m’accorsi, →

  quelle stimando specchiati sembianti,

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  per veder di cui fosser, li occhi torsi;

  e nulla vidi, e ritorsili avanti

  dritti nel lume de la dolce guida,

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  che, sorridendo, ardea ne li occhi santi.

  “Non ti maravigliar perch’ io sorrida,” →

  mi disse, “appresso il tuo püeril coto,

  27

  poi sopra �
��l vero ancor lo piè non fida,

  ma te rivolve, come suole, a vòto:

  vere sustanze son ciò che tu vedi, →

  30

  qui rilegate per manco di voto.

  Però parla con esse e odi e credi; →

  ché la verace luce che le appaga

  33

  da sé non lascia lor torcer li piedi.”

  E io a l’ombra che parea più vaga →

  di ragionar, drizza’mi, e cominciai, →

  36

  quasi com’ uom cui troppa voglia smaga:

  “O ben creato spirito, che a’ rai →

  di vita etterna la dolcezza senti

  39

  che, non gustata, non s’intende mai,

  grazïoso mi fia se mi contenti

  del nome tuo e de la vostra sorte.”

  42

  Ond’ ella, pronta e con occhi ridenti:

  “La nostra carità non serra porte →

  a giusta voglia, se non come quella

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  che vuol simile a sé tutta sua corte.

  I’ fui nel mondo vergine sorella; →

  e se la mente tua ben sé riguarda, →

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  non mi ti celerà l’esser più bella,

  ma riconoscerai ch’i’ son Piccarda, →

  che, posta qui con questi altri beati,

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  beata sono in la spera più tarda. →

  Li nostri affetti, che solo infiammati →

  son nel piacer de lo Spirito Santo,

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  letizian del suo ordine formati.

  E questa sorte che par giù cotanto, →

  però n’è data, perché fuor negletti

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  li nostri voti, e vòti in alcun canto.”

  Ond’ io a lei: “Ne’ mirabili aspetti →

  vostri risplende non so che divino

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  che vi trasmuta da’ primi concetti:

  però non fui a rimembrar festino;

  ma or m’aiuta ciò che tu mi dici,

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  sì che raffigurar m’è più latino.

  Ma dimmi: voi che siete qui felici, →

  disiderate voi più alto loco

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  per più vedere e per più farvi amici?”

  Con quelle altr’ ombre pria sorrise un poco; →

  da indi mi rispuose tanto lieta,

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  ch’arder parea d’amor nel primo foco: →

  “Frate, la nostra volontà quïeta →

  virtù di carità, che fa volerne

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  sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta.

  Se disïassimo esser più superne, →

  foran discordi li nostri disiri

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  dal voler di colui che qui ne cerne;

  che vedrai non capere in questi giri,

  s’essere in carità è qui necesse,

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  e se la sua natura ben rimiri.

  Anzi è formale ad esto beato esse →

  tenersi dentro a la divina voglia,

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  per ch’una fansi nostre voglie stesse;

  sì che, come noi sem di soglia in soglia

  per questo regno, a tutto il regno piace

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  com’ a lo re che ’n suo voler ne ’nvoglia.

  E ’n la sua volontade è nostra pace: →

  ell’ è quel mare al qual tutto si move →

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  ciò ch’ella crïa o che natura face.”

  Chiaro mi fu allor come ogne dove →

  in cielo è paradiso, etsi la grazia

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  del sommo ben d’un modo non vi piove.

  Ma sì com’ elli avvien, s’un cibo sazia →

  e d’un altro rimane ancor la gola,

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  che quel si chere e di quel si ringrazia,

  così fec’ io con atto e con parola,

  per apprender da lei qual fu la tela →

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  onde non trasse infino a co la spuola.

  “Perfetta vita e alto merto inciela → →

  donna più sù,” mi disse, “a la cui norma

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  nel vostro mondo giù si veste e vela,

  perché fino al morir si vegghi e dorma →

  con quello sposo ch’ogne voto accetta

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  che caritate a suo piacer conforma.

  Dal mondo, per seguirla, giovinetta

  fuggi’mi, e nel suo abito mi chiusi

  105

  e promisi la via de la sua setta.

  Uomini poi, a mal più ch’a bene usi, →

  fuor mi rapiron de la dolce chiostra:

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  Iddio si sa qual poi mia vita fusi.

  E quest’ altro splendor che ti si mostra → →

  da la mia destra parte e che s’accende

  111

  di tutto il lume de la spera nostra,

  ciò ch’io dico di me, di sé intende;

  sorella fu, e così le fu tolta

  114

  di capo l’ombra de le sacre bende.

  Ma poi che pur al mondo fu rivolta

  contra suo grado e contra buona usanza,

  117

  non fu dal vel del cor già mai disciolta.

  Quest’ è la luce de la gran Costanza →

  che del secondo vento di Soave

  120

  generò ’l terzo e l’ultima possanza.” →

  Così parlommi, e poi cominciò “Ave, → →

  Maria” cantando, e cantando vanio

  123

  come per acqua cupa cosa grave.

  La vista mia, che tanto lei seguio →

  quanto possibil fu, poi che la perse,

  126

  volsesi al segno di maggior disio,

  e a Beatrice tutta si converse;

  ma quella folgorò nel mïo sguardo

  sì che da prima il viso non sofferse;

  130

  e ciò mi fece a dimandar più tardo.

  PARADISO IV

  Intra due cibi, distanti e moventi → →

  d’un modo, prima si morria di fame,

  3

  che liber’ omo l’un recasse ai denti;

  sì si starebbe un agno intra due brame →

  di fieri lupi, igualmente temendo;

  6

  sì si starebbe un cane intra due dame: →

  per che, s’i’ mi tacea, me non riprendo,

  da li miei dubbi d’un modo sospinto,

  9

  poi ch’era necessario, né commendo.

  Io mi tacea, ma ’l mio disir dipinto

  m’era nel viso, e ’l dimandar con ello,

  12

  più caldo assai che per parlar distinto.

  Fé sì Beatrice qual fé Danïello, →

  Nabuccodonosor levando d’ira,

  15

  che l’avea fatto ingiustamente fello;

  e disse: “Io veggio ben come ti tira →

  uno e altro disio, sì che tua cura

  18

  sé stessa lega sì che fuor non spira.

  Tu argomenti: ‘Se ’l buon voler dura, → →

  la vïolenza altrui per qual ragione

  21

  di meritar mi scema la misura?’

  Ancor di dubitar ti dà cagione

  parer tornarsi l’anime a le stelle,

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  secondo la sentenza di Platone. →

  Queste son le question che nel tuo velle → →

  pontano igualmente; e però pria

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  tratterò quella che più ha di felle.

  D’i Serafin colui che più s’india, → →

  Moïsè, Samuel, e quel Giovanni → →

  30

  che prender vuoli, io dico, non Maria,

  non hanno in altro cielo i loro scanni →

  che questi spirti che mo t’appariro,

  33

  né hanno a l�
��esser lor più o meno anni; →

  ma tutti fanno bello il primo giro, →

  e differentemente han dolce vita →

  36

  per sentir più e men l’etterno spiro. →

  Qui si mostraro, non perché sortita →

  sia questa spera lor, ma per far segno

  39

  de la celestïal c’ha men salita. →

  Così parlar conviensi al vostro ingegno, → →

  però che solo da sensato apprende

  42

  ciò che fa poscia d’intelletto degno.

  Per questo la Scrittura condescende →

  a vostra facultate, e piedi e mano

  45

  attribuisce a Dio e altro intende;

  e Santa Chiesa con aspetto umano →

  Gabrïel e Michel vi rappresenta,

  48

  e l’altro che Tobia rifece sano. →

  Quel che Timeo de l’anime argomenta →

  non è simile a ciò che qui si vede,

  51

  però che, come dice, par che senta. →

  Dice che l’alma a la sua stella riede,

  credendo quella quindi esser decisa

  54

  quando natura per forma la diede; →

  e forse sua sentenza è d’altra guisa → → →

  che la voce non suona, ed esser puote

  57

  con intenzion da non esser derisa.

  S’elli intende tornare a queste ruote →

  l’onor de la influenza e ’l biasmo, forse

  60

  in alcun vero suo arco percuote.

  Questo principio, male inteso, torse →

  già tutto il mondo quasi, sì che Giove, →

  63

 

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