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Paradiso

Page 31

by Dante


  Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio

  nostro volume, ancor troveria carta →

  123

  u’ leggerebbe ‘I’ mi son quel ch’i’ soglio’;

  ma non fia da Casal né d’Acquasparta, →

  là onde vegnon tali a la scrittura, →

  126

  ch’uno la fugge e altro la coarta.

  Io son la vita di Bonaventura → →

  da Bagnoregio, che ne’ grandi offici

  129

  sempre pospuosi la sinistra cura. →

  Illuminato e Augustin son quici, →

  che fuor de’ primi scalzi poverelli

  132

  che nel capestro a Dio si fero amici. →

  Ugo da San Vittore è qui con elli, →

  e Pietro Mangiadore e Pietro Spano, → →

  135

  lo qual giù luce in dodici libelli;

  Natàn profeta e ’l metropolitano → →

  Crisostomo e Anselmo e quel Donato → →

  138

  ch’a la prim’ arte degnò porre mano.

  Rabano è qui, e lucemi dallato →

  il calavrese abate Giovacchino →

  141

  di spirito profetico dotato.

  Ad inveggiar cotanto paladino →

  mi mosse l’infiammata cortesia → →

  di fra Tommaso e ’l discreto latino; →

  145

  e mosse meco questa compagnia.”

  PARADISO XIII

  Imagini, chi bene intender cupe → →

  quel ch’i’ or vidi—e ritegna l’image, →

  3

  mentre ch’io dico, come ferma rupe—,

  quindici stelle che ’n diverse plage

  lo cielo avvivan di tanto sereno

  6

  che soperchia de l’aere ogne compage;

  imagini quel carro a cu’ il seno →

  basta del nostro cielo e notte e giorno,

  9

  si ch’al volger del temo non vien meno;

  imagini la bocca di quel corno →

  che si comincia in punta de lo stelo

  12

  a cui la prima rota va dintorno,

  aver fatto di sé due segni in cielo, →

  qual fece la figliuola di Minoi

  15

  allora che sentì di morte il gelo;

  e l’un ne l’altro aver li raggi suoi, →

  e amendue girarsi per maniera

  18

  che l’uno andasse al primo e l’altro al poi;

  e avrà quasi l’ombra de la vera →

  costellazione e de la doppia danza

  21

  che circulava il punto dov’ io era:

  poi ch’è tanto di là da nostra usanza, →

  quanto di là dal mover de la Chiana

  24

  si move il ciel che tutti li altri avanza.

  Lì si cantò non Bacco, non Peana, →

  ma tre persone in divina natura,

  27

  e in una persona essa e l’umana.

  Compié ’l cantare e ’l volger sua misura; →

  e attesersi a noi quei santi lumi,

  30

  felicitando sé di cura in cura.

  Ruppe il silenzio ne’ concordi numi → →

  poscia la luce in che mirabil vita

  33

  del poverel di Dio narrata fumi,

  e disse: “Quando l’una paglia è trita, →

  quando la sua semenza è già riposta,

  36

  a batter l’altra dolce amor m’invita.

  Tu credi che nel petto onde la costa → →

  si trasse per formar la bella guancia

  39

  il cui palato a tutto ’l mondo costa,

  e in quel che, forato da la lancia, →

  e prima e poscia tanto sodisfece,

  42

  che d’ogne colpa vince la bilancia,

  quantunque a la natura umana lece →

  aver di lume, tutto fosse infuso

  45

  da quel valor che l’uno e l’altro fece;

  e però miri a ciò ch’io dissi suso,

  quando narrai che non ebbe ’l secondo

  48

  lo ben che ne la quinta luce è chiuso.

  Or apri li occhi a quel ch’io ti rispondo, →

  e vedräi il tuo credere e ’l mio dire →

  51

  nel vero farsi come centro in tondo.

  Ciò che non more e ciò che può morire → →

  non è se non splendor di quella idea →

  54

  che partorisce, amando, il nostro Sire;

  ché quella viva luce che sì mea →

  dal suo lucente, che non si disuna

  57

  da lui né da l’amor ch’a lor s’intrea, →

  per sua bontate il suo raggiare aduna,

  quasi specchiato, in nove sussistenze, →

  60

  etternalmente rimanendosi una. →

  Quindi discende a l’ultime potenze →

  giù d’atto in atto, tanto divenendo,

  63

  che più non fa che brevi contingenze;

  e queste contingenze essere intendo

  le cose generate, che produce

  66

  con seme e sanza seme il ciel movendo.

  La cera di costoro e chi la duce →

  non sta d’un modo; e però sotto ’l segno

  69

  idëale poi più e men traluce.

  Ond’ elli avvien ch’un medesimo legno,

  secondo specie, meglio e peggio frutta;

  72

  e voi nascete con diverso ingegno.

  Se fosse a punto la cera dedutta

  e fosse il cielo in sua virtù supprema,

  75

  la luce del suggel parrebbe tutta;

  ma la natura la dà sempre scema,

  similemente operando a l’artista →

  78

  ch’a l’abito de l’arte ha man che trema.

  Però se ’l caldo amor la chiara vista →

  de la prima virtù dispone e segna,

  81

  tutta la perfezion quivi s’acquista.

  Così fu fatta già la terra degna

  di tutta l’animal perfezïone;

  84

  così fu fatta la Vergine pregna;

  sì ch’io commendo tua oppinïone,

  che l’umana natura mai non fue

  87

  né fia qual fu in quelle due persone.

  Or s’i’ non procedesse avanti piùe, →

  ‘Dunque, come costui fu sanza pare?’

  90

  comincerebber le parole tue.

  Ma perché paia ben ciò che non pare,

  pensa chi era, e la cagion che ’l mosse,

  93

  quando fu detto ‘Chiedi,’ a dimandare.

  Non ho parlato sì, che tu non posse

  ben veder ch’el fu re, che chiese senno

  96

  acciò che re sufficïente fosse;

  non per sapere il numero in che enno → →

  li motor di qua sù, o se necesse →

  99

  con contingente mai necesse fenno;

  non si est dare primum motum esse, →

  o se del mezzo cerchio far si puote →

  102

  trïangol sì ch’un retto non avesse.

  Onde, se ciò ch’io dissi e questo note, →

  regal prudenza è quel vedere impari

  105

  in che lo stral di mia intenzion percuote;

  e se al ‘surse’ drizzi li occhi chiari, →

  vedrai aver solamente respetto

  108

  ai regi, che son molti, e ’ buon son rari.

  Con questa distinzion prendi ’l mio detto; →

  e così puote star con quel che credi

  111

  del primo padre e del nostro Diletto.

 
E questo ti sia sempre piombo a’ piedi, → →

  per farti mover lento com’ uom lasso

  114

  e al sì e al no che tu non vedi:

  ché quelli è tra li stolti bene a basso, →

  che sanza distinzione afferma e nega

  117

  ne l’un così come ne l’altro passo;

  perch’ elli ’ncontra che più volte piega

  l’oppinïon corrente in falsa parte,

  120

  e poi l’affetto l’intelletto lega.

  Vie più che ’ndarno da riva si parte, → →

  perché non torna tal qual e’ si move,

  123

  chi pesca per lo vero e non ha l’arte.

  E di ciò sono al mondo aperte prove

  Parmenide, Melisso e Brisso e molti, →

  126

  li quali andaro e non sapëan dove;

  sì fé Sabellio e Arrio e quelli stolti →

  che furon come spade a le Scritture →

  129

  in render torti li diritti volti.

  Non sien le genti, ancor, troppo sicure →

  a giudicar, sì come quei che stima

  132

  le biade in campo pria che sien mature;

  ch’i’ ho veduto tutto ’l verno prima →

  lo prun mostrarsi rigido e feroce,

  135

  poscia portar la rosa in su la cima; →

  e legno vidi già dritto e veloce →

  correr lo mar per tutto suo cammino,

  138

  perire al fine a l’intrar de la foce.

  Non creda donna Berta e ser Martino, →

  per vedere un furare, altro offerere, →

  vederli dentro al consiglio divino;

  142

  ché quel può surgere, e quel può cadere.” →

  PARADISO XIV

  Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro →

  movesi l’acqua in un ritondo vaso,

  3

  secondo ch’è percosso fuori o dentro:

  ne la mia mente fé sùbito caso →

  questo ch’io dico, sì come si tacque

  6

  la glorïosa vita di Tommaso, →

  per la similitudine che nacque →

  del suo parlare e di quel di Beatrice,

  9

  a cui sì cominciar, dopo lui, piacque:

  “A costui fa mestieri, e nol vi dice →

  né con la voce né pensando ancora,

  12

  d’un altro vero andare a la radice.

  Diteli se la luce onde s’infiora

  vostra sustanza, rimarrà con voi

  15

  etternalmente sì com’ ell’ è ora;

  e se rimane, dite come, poi

  che sarete visibili rifatti,

  18

  esser porà ch’al veder non vi nòi.”

  Come, da più letizia pinti e tratti, →

  a la fiata quei che vanno a rota

  21

  levan la voce e rallegrano li atti,

  così, a l’orazion pronta e divota,

  li santi cerchi mostrar nova gioia

  24

  nel torneare e ne la mira nota.

  Qual si lamenta perché qui si moia →

  per viver colà sù, non vide quive

  27

  lo refrigerio de l’etterna ploia.

  Quell’ uno e due e tre che sempre vive →

  e regna sempre in tre e ’n due e ’n uno,

  30

  non circunscritto, e tutto circunscrive, →

  tre volte era cantato da ciascuno →

  di quelli spiriti con tal melodia,

  33

  ch’ad ogne merto saria giusto muno. →

  E io udi’ ne la luce più dia → →

  del minor cerchio una voce modesta, →

  36

  forse qual fu da l’angelo a Maria, →

  risponder: “Quanto fia lunga la festa → →

  di paradiso, tanto il nostro amore

  39

  si raggerà dintorno cotal vesta.

  La sua chiarezza séguita l’ardore; → →

  l’ardor la visïone, e quella è tanta,

  42

  quant’ ha di grazia sovra suo valore.

  Come la carne glorïosa e santa

  fia rivestita, la nostra persona

  45

  più grata fia per esser tutta quanta;

  per che s’accrescerà ciò che ne dona

  di gratüito lume il sommo bene,

  48

  lume ch’a lui veder ne condiziona;

  onde la visïon crescer convene, →

  crescer l’ardor che di quella s’accende,

  51

  crescer lo raggio che da esso vene.

  Ma sì come carbon che fiamma rende, →

  e per vivo candor quella soverchia,

  54

  sì che la sua parvenza si difende;

  così questo folgór che già ne cerchia

  fia vinto in apparenza da la carne

  57

  che tutto dì la terra ricoperchia;

  né potrà tanta luce affaticarne: →

  ché li organi del corpo saran forti

  60

  a tutto ciò che potrà dilettarne.”

  Tanto mi parver sùbiti e accorti →

  e l’uno e l’altro coro a dicer “Amme!” →

  63

  che ben mostrar disio d’i corpi morti:

  forse non pur per lor, ma per le mamme, →

  per li padri e per li altri che fuor cari

  66

  anzi che fosser sempiterne fiamme.

  Ed ecco intorno, di chiarezza pari, → →

  nascere un lustro sopra quel che v’era, →

  69

  per guisa d’orizzonte che rischiari.

  E sì come al salir di prima sera →

  comincian per lo ciel nove parvenze,

  72

  sì che la vista pare e non par vera,

  parvemi lì novelle sussistenze →

  cominciare a vedere, e fare un giro

  75

  di fuor da l’altre due circunferenze.

  Oh vero sfavillar del Santo Spiro! →

  come si fece sùbito e candente

  78

  a li occhi miei che, vinti, nol soffriro!

  Ma Bëatrice sì bella e ridente

  mi si mostrò, che tra quelle vedute

  81

  si vuol lasciar che non seguir la mente.

  Quindi ripreser li occhi miei virtute →

  a rilevarsi; e vidimi translato →

  84

  sol con mia donna in più alta salute.

  Ben m’accors’ io ch’io era più levato,

  per l’affocato riso de la stella, →

  87

  che mi parea più roggio che l’usato.

  Con tutto ’l core e con quella favella → →

  ch’è una in tutti, a Dio feci olocausto, →

  90

  qual conveniesi a la grazia novella.

  E non er’ anco del mio petto essausto

  l’ardor del sacrificio, ch’io conobbi

  93

  esso litare stato accetto e fausto;

  ché con tanto lucore e tanto robbi →

  m’apparvero splendor dentro a due raggi, →

  96

  ch’io dissi: “O Elïòs che sì li addobbi!” →

  Come distinta da minori e maggi →

  lumi biancheggia tra ’ poli del mondo

  99

  Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi;

  sì costellati facean nel profondo

  Marte quei raggi il venerabil segno →

  102

  che fan giunture di quadranti in tondo.

  Qui vince la memoria mia lo ’ngegno; → →

  ché quella croce lampeggiava Cristo,

  105

  sì ch’io non so trovare essempro degno;

&
nbsp; ma chi prende sua croce e segue Cristo, →

  ancor mi scuserà di quel ch’io lasso,

  108

  vedendo in quell’ albor balenar Cristo. →

  Di corno in corno e tra la cima e ’l basso → →

  si movien lumi, scintillando forte →

  111

  nel congiugnersi insieme e nel trapasso:

  così si veggion qui diritte e torte,

  veloci e tarde, rinovando vista,

  114

  le minuzie d’i corpi, lunghe e corte, →

  moversi per lo raggio onde si lista

  talvolta l’ombra che, per sua difesa,

  117

  la gente con ingegno e arte acquista. →

  E come giga e arpa, in tempra tesa → →

  di molte corde, fa dolce tintinno

  120

  a tal da cui la nota non è intesa,

  così da’ lumi che lì m’apparinno

  s’accogliea per la croce una melode

  123

  che mi rapiva, sanza intender l’inno.

  Ben m’accors’ io ch’elli era d’alte lode,

  però ch’a me venìa “Resurgi” e “Vinci”

  126

  come a colui che non intende e ode.

  Ïo m’innamorava tanto quinci, →

  che ’nfino a lì non fu alcuna cosa

  129

  che mi legasse con sì dolci vinci.

  Forse la mia parola par troppo osa, →

  posponendo il piacer de li occhi belli,

  132

  ne’ quai mirando mio disio ha posa;

  ma chi s’avvede che i vivi suggelli

  d’ogne bellezza più fanno più suso,

  135

  e ch’io non m’era lì rivolto a quelli,

 

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