Book Read Free

Purgatorio (The Divine Comedy series Book 2)

Page 28

by Dante

e queste son salite ov’ eran quelle.”

  Com’ ei parlava, e Sordello a sé il trasse →

  dicendo: “Vedi là ’l nostro avversaro”;

  96

  e drizzò il dito perché ’n là guardasse.

  Da quella parte onde non ha riparo →

  la picciola vallea, era una biscia,

  99

  forse qual diede ad Eva il cibo amaro.

  Tra l’erba e ’ fior venìa la mala striscia,

  volgendo ad ora ad or la testa, e ’l dosso

  102

  leccando come bestia che si liscia.

  Io non vidi, e però dicer non posso, →

  come mosser li astor celestïali;

  105

  ma vidi bene e l’uno e l’altro mosso.

  Sentendo fender l’aere a le verdi ali,

  fuggì ’l serpente, e li angeli dier volta,

  108

  suso a le poste rivolando iguali.

  L’ombra che s’era al giudice raccolta →

  quando chiamò, per tutto quello assalto

  111

  punto non fu da me guardare sciolta.

  “Se la lucerna che ti mena in alto

  truovi nel tuo arbitrio tanta cera

  114

  quant’ è mestiere infino al sommo smalto,”

  cominciò ella, “se novella vera →

  di Val di Magra o di parte vicina

  117

  sai, dillo a me, che già grande là era.

  Fui chiamato Currado Malaspina;

  non son l’antico, ma di lui discesi;

  120

  a’ miei portai l’amor che qui raffina.”

  “Oh!” diss’ io lui, “per li vostri paesi →

  già mai non fui; ma dove si dimora

  123

  per tutta Europa ch’ei non sien palesi?

  La fama che la vostra casa onora,

  grida i segnori e grida la contrada,

  126

  sì che ne sa chi non vi fu ancora;

  e io vi giuro, s’io di sopra vada,

  che vostra gente onrata non si sfregia

  129

  del pregio de la borsa e de la spada.

  Uso e natura sì la privilegia, →

  che, perché il capo reo il mondo torca,

  132

  sola va dritta e ’l mal cammin dispregia.”

  Ed elli: “Or va; che ’l sol non si ricorca →

  sette volte nel letto che ’l Montone

  135

  con tutti e quattro i piè cuopre e inforca,

  che cotesta cortese oppinïone

  ti fia chiavata in mezzo de la testa

  con maggior chiovi che d’altrui sermone,

  139

  se corso di giudicio non s’arresta.”

  PURGATORIO IX

  La concubina di Titone antico →

  già s’imbiancava al balco d’orïente,

  3

  fuor de le braccia del suo dolce amico;

  di gemme la sua fronte era lucente,

  poste in figura del freddo animale

  6

  che con la coda percuote la gente;

  e la notte, de’ passi con che sale, →

  fatti avea due nel loco ov’ eravamo,

  9

  e ’l terzo già chinava in giuso l’ale;

  quand’ io, che meco avea di quel d’Adamo, →

  vinto dal sonno, in su l’erba inchinai

  12

  là ’ve già tutti e cinque sedavamo.

  Ne l’ora che comincia i tristi lai →

  la rondinella presso a la mattina,

  15

  forse a memoria de’ suo’ primi guai,

  e che la mente nostra, peregrina →

  più da la carne e men da’ pensier presa,

  18

  a le sue visïon quasi è divina,

  in sogno mi parea veder sospesa →

  un’aguglia nel ciel con penne d’oro, →

  21

  con l’ali aperte e a calare intesa;

  ed esser mi parea là dove fuoro →

  abbandonati i suoi da Ganimede,

  24

  quando fu ratto al sommo consistoro.

  Fra me pensava: “Forse questa fiede →

  pur qui per uso, e forse d’altro loco

  27

  disdegna di portarne suso in piede.”

  Poi mi parea che, poi rotata un poco, →

  terribil come folgor discendesse,

  30

  e me rapisse suso infino al foco.

  Ivi parea che ella e io ardesse; →

  e sì lo ’ncendio imaginato cosse,

  33

  che convenne che ’l sonno si rompesse.

  Non altrimenti Achille si riscosse, →

  li occhi svegliati rivolgendo in giro

  36

  e non sappiendo là dove si fosse,

  quando la madre da Chirón a Schiro

  trafuggò lui dormendo in le sue braccia,

  39

  là onde poi li Greci il dipartiro;

  che mi scoss’ io, sì come da la faccia

  mi fuggì ’l sonno, e diventa’ ismorto,

  42

  come fa l’uom che, spaventato, agghiaccia.

  Dallato m’era solo il mio conforto, →

  e ’l sole er’ alto già più che due ore,

  45

  e ’l viso m’era a la marina torto.

  “Non aver tema,” disse il mio segnore;

  “fatti sicur, ché noi semo a buon punto;

  48

  non stringer, ma rallarga ogne vigore.

  Tu se’ omai al purgatorio giunto:

  vedi là il balzo che ’l chiude dintorno;

  51

  vedi l’entrata là ’ve par digiunto.

  Dianzi, ne l’alba che procede al giorno, →

  quando l’anima tua dentro dormia,

  54

  sovra li fiori ond’ è là giù addorno

  venne una donna, e disse: ‘I’ son Lucia; →

  lasciatemi pigliar costui che dorme;

  57

  sì l’agevolerò per la sua via.’

  Sordel rimase e l’altre genti forme;

  ella ti tolse, e come ’l dì fu chiaro,

  60

  sen venne suso; e io per le sue orme.

  Qui ti posò, ma pria mi dimostraro

  li occhi suoi belli quella intrata aperta;

  63

  poi ella e ’l sonno ad una se n’andaro.”

  A guisa d’uom che ’n dubbio si raccerta →

  e che muta in conforto sua paura,

  66

  poi che la verità li è discoperta,

  mi cambia’ io; e come sanza cura

  vide me ’l duca mio, su per lo balzo

  69

  si mosse, e io di rietro inver’ l’altura.

  Lettor, tu vedi ben com’ io innalzo →

  la mia matera, e però con più arte

  72

  non ti maravigliar s’io la rincalzo.

  Noi ci appressammo, ed eravamo in parte

  che là dove pareami prima rotto,

  75

  pur come un fesso che muro diparte,

  vidi una porta, e tre gradi di sotto

  per gire ad essa, di color diversi,

  78

  e un portier ch’ancor non facea motto.

  E come l’occhio più e più v’apersi,

  vidil seder sovra ’l grado sovrano, →

  81

  tal ne la faccia ch’io non lo soffersi; →

  e una spada nuda avëa in mano, →

  che reflettëa i raggi sì ver’ noi,

  84

  ch’io dirizzava spesso il viso in vano.

  “Dite costinci: che volete voi?” →

  cominciò elli a dire, “ov’ è la scorta? →

  87

  Guardate che ’l venir sù non vi nòi.”

  “Donna del ciel, di queste cose accorta,”

 
rispuose ’l mio maestro a lui, “pur dianzi

  90

  ne disse: ‘Andate là: quivi è la porta.’ ”

  “Ed ella i passi vostri in bene avanzi,”

  ricominciò il cortese portinaio:

  93

  “Venite dunque a’ nostri gradi innanzi.”

  Là ne venimmo; e lo scaglion primaio → →

  bianco marmo era sì pulito e terso,

  96

  ch’io mi specchiai in esso qual io paio.

  Era il secondo tinto più che perso, →

  d’una petrina ruvida e arsiccia,

  99

  crepata per lo lungo e per traverso.

  Lo terzo, che di sopra s’ammassiccia, →

  porfido mi parea, sì fiammeggiante

  102

  come sangue che fuor di vena spiccia.

  Sovra questo tenëa ambo le piante →

  l’angel di Dio sedendo in su la soglia

  105

  che mi sembiava pietra di diamante.

  Per li tre gradi sù di buona voglia

  mi trasse il duca mio, dicendo: “Chiedi

  108

  umilemente che ’l serrame scioglia.”

  Divoto mi gittai a’ santi piedi; →

  misericordia chiesi e ch’el m’aprisse,

  111

  ma tre volte nel petto pria mi diedi. →

  Sette P ne la fronte mi descrisse →

  col punton de la spada, e “Fa che lavi,

  114

  quando se’ dentro, queste piaghe” disse. →

  Cenere, o terra che secca si cavi, →

  d’un color fora col suo vestimento;

  117

  e di sotto da quel trasse due chiavi. →

  L’una era d’oro e l’altra era d’argento;

  pria con la bianca e poscia con la gialla

  120

  fece a la porta sì, ch’i’ fu’ contento.

  “Quandunque l’una d’este chiavi falla,

  che non si volga dritta per la toppa,”

  123

  diss’ elli a noi, “non s’apre questa calla.

  Più cara è l’una; ma l’altra vuol troppa

  d’arte e d’ingegno avanti che diserri,

  126

  perch’ ella è quella che ’l nodo digroppa.

  Da Pier le tegno; e dissemi ch’i’ erri

  anzi ad aprir ch’a tenerla serrata,

  129

  pur che la gente a’ piedi mi s’atterri.”

  Poi pinse l’uscio a la porta sacrata,

  dicendo: “Intrate; ma facciovi accorti →

  132

  che di fuor torna chi ’n dietro si guata.”

  E quando fuor ne’ cardini distorti →

  li spigoli di quella regge sacra, →

  135

  che di metallo son sonanti e forti,

  non rugghiò sì né si mostrò sì acra

  Tarpëa, come tolto le fu il buono

  138

  Metello, per che poi rimase macra.

  Io mi rivolsi attento al primo tuono, →

  e “Te Deum laudamus” mi parea

  141

  udire in voce mista al dolce suono.

  Tale imagine a punto mi rendea

  ciò ch’io udiva, qual prender si suole

  quando a cantar con organi si stea;

  145

  ch’or sì or no s’intendon le parole.

  PURGATORIO X

  Poi fummo dentro al soglio de la porta →

  che ’l mal amor de l’anime disusa,

  3

  perché fa parer dritta la via torta,

  sonando la senti’ esser richiusa;

  e s’io avesse li occhi vòlti ad essa,

  6

  qual fora stata al fallo degna scusa?

  Noi salavam per una pietra fessa, →

  che si moveva e d’una e d’altra parte,

  9

  sì come l’onda che fugge e s’appressa.

  “Qui si conviene usare un poco d’arte,”

  cominciò ’l duca mio, “in accostarsi

  12

  or quinci, or quindi al lato che si parte.”

  E questo fece i nostri passi scarsi,

  tanto che pria lo scemo de la luna

  15

  rigiunse al letto suo per ricorcarsi,

  che noi fossimo fuor di quella cruna;

  ma quando fummo liberi e aperti

  18

  sù dove il monte in dietro si rauna,

  ïo stancato e amendue incerti →

  di nostra via, restammo in su un piano

  21

  solingo più che strade per diserti.

  Da la sua sponda, ove confina il vano, →

  al piè de l’alta ripa che pur sale,

  24

  misurrebbe in tre volte un corpo umano;

  e quanto l’occhio mio potea trar d’ale,

  or dal sinistro e or dal destro fianco,

  27

  questa cornice mi parea cotale.

  Là sù non eran mossi i piè nostri anco,

  quand’ io conobbi quella ripa intorno

  30

  che dritto di salita aveva manco, →

  esser di marmo candido e addorno →

  d’intagli sì, che non pur Policleto,

  33

  ma la natura lì avrebbe scorno.

  L’angel che venne in terra col decreto →

  de la molt’ anni lagrimata pace,

  36

  ch’aperse il ciel del suo lungo divieto,

  dinanzi a noi pareva sì verace

  quivi intagliato in un atto soave,

  39

  che non sembiava imagine che tace.

  Giurato si saria ch’el dicesse “Ave!”;

  perché iv’ era imaginata quella

  42

  ch’ad aprir l’alto amor volse la chiave;

  e avea in atto impressa esta favella

  “Ecce ancilla Deï,” propriamente

  45

  come figura in cera si suggella.

  “Non tener pur ad un loco la mente,” →

  disse ’l dolce maestro, che m’avea

  48

  da quella parte onde ’l cuore ha la gente.

  Per ch’i’ mi mossi col viso, e vedea

  di retro da Maria, da quella costa

  51

  onde m’era colui che mi movea,

  un’altra storia ne la roccia imposta;

  per ch’io varcai Virgilio, e fe’mi presso,

  54

  acciò che fosse a li occhi miei disposta.

  Era intagliato lì nel marmo stesso →

  lo carro e ’ buoi, traendo l’arca santa, →

  57

  per che si teme officio non commesso.

  Dinanzi parea gente; e tutta quanta,

  partita in sette cori, a’ due mie’ sensi

  60

  faceva dir l’un “No,” l’altro “Sì, canta.” →

  Similemente al fummo de li ’ncensi

  che v’era imaginato, li occhi e ’l naso

  63

  e al sì e al no discordi fensi.

  Lì precedeva al benedetto vaso,

  trescando alzato, l’umile salmista, →

  66

  e più e men che re era in quel caso.

  Di contra, effigïata ad una vista →

  d’un gran palazzo, Micòl ammirava

  69

  sì come donna dispettosa e trista.

  I’ mossi i piè del loco dov’ io stava,

  per avvisar da presso un’altra istoria,

  72

  che di dietro a Micòl mi biancheggiava.

  Quiv’ era storïata l’alta gloria → →

  del roman principato, il cui valore

  75

  mosse Gregorio a la sua gran vittoria; →

  I’ dico di Traiano imperadore; →

  e una vedovella li era al freno, →

  78

  di lagrime atteggi
ate e di dolore.

  Intorno a lui parea calcato e pieno

  di cavalieri, e l’aguglie ne l’oro

  81

  sovr’ essi in vista al vento si movieno.

  La miserella intra tutti costoro →

  pareva dir: “Segnor, fammi vendetta

  84

  di mio figliuol ch’è morto, ond’ io m’accoro”;

  ed elli a lei rispondere: “Or aspetta

  tanto ch’i’ torni”; e quella: “Segnor mio,”

  87

  come persona in cui dolor s’affretta,

  “se tu non torni?”; ed ei: “Chi fia dov’ io,

  la ti farà”; ed ella: “L’altrui bene

  90

  a te che fia, se ’l tuo metti in oblio?”;

  ond’ elli: “Or ti conforta; ch’ei convene

  ch’i’ solva il mio dovere anzi ch’i’ mova:

  93

  giustizia vuole e pietà mi ritene.”

  Colui che mai non vide cosa nova →

  produsse esto visibile parlare,

  96

  novello a noi perché qui non si trova.

  Mentr’ io mi dilettava di guardare →

  l’imagini di tante umilitadi,

  99

  e per lo fabbro loro a veder care,

  “Ecco di qua, ma fanno i passi radi,” →

  mormorava il poeta, “molte genti:

  102

  questi ne ’nvïeranno a li alti gradi.”

  Li occhi miei, ch’a mirare eran contenti →

  per veder novitadi ond’ e’ son vaghi,

  105

  volgendosi ver’ lui non furon lenti.

  Non vo’ però, lettor, che tu ti smaghi →

  di buon proponimento per udire

 

‹ Prev