Book Read Free

Purgatorio (The Divine Comedy series Book 2)

Page 32

by Dante


  s’io nol togliessi da sua figlia Gaia.

  141

  Dio sia con voi, ché più non vegno vosco. →

  Vedi l’albor che per lo fummo raia

  già biancheggiare, e me convien partirmi

  (l’angelo è ivi) prima ch’io li paia.”

  145

  Così tornò, e più non volle udirmi.

  PURGATORIO XVII

  Ricorditi, lettor, se mai ne l’alpe →

  ti colse nebbia per la qual vedessi

  3

  non altrimenti che per pelle talpe,

  come, quando i vapori umidi e spessi

  a diradar cominciansi, la spera

  6

  del sol debilemente entra per essi;

  e fia la tua imagine leggera

  in giugnere a veder com’ io rividi

  9

  lo sole in pria, che già nel corcar era.

  Sì, pareggiando i miei co’ passi fidi →

  del mio maestro, usci’ fuor di tal nube

  12

  ai raggi morti già ne’ bassi lidi.

  O imaginativa che ne rube →

  talvolta sì di fuor, ch’om non s’accorge

  15

  perché dintorno suonin mille tube,

  chi move te, se ’l senso non ti porge?

  Moveti lume che nel ciel s’informa,

  18

  per sé o per voler che giù lo scorge.

  De l’empiezza di lei che mutò forma → →

  ne l’uccel ch’a cantar più si diletta,

  21

  ne l’imagine mia apparve l’orma;

  e qui fu la mia mente sì ristretta

  dentro da sé, che di fuor non venìa

  24

  cosa che fosse allor da lei ricetta.

  Poi piovve dentro a l’alta fantasia →

  un crucifisso, dispettoso e fero →

  27

  ne la sua vista, e cotal si moria;

  intorno ad esso era il grande Assüero,

  Estèr sua sposa e ’l giusto Mardoceo,

  30

  che fu al dire e al far così intero.

  E come questa imagine rompeo →

  sé per sé stessa, a guisa d’una bulla

  33

  cui manca l’acqua sotto qual si feo,

  surse in mia visïone una fanciulla →

  piangendo forte, e dicea: “O regina,

  36

  perché per ira hai voluto esser nulla?

  Ancisa t’hai per non perder Lavina;

  or m’hai perduta! Io son essa che lutto,

  39

  madre, a la tua pria ch’a l’altrui ruina.”

  Come si frange il sonno ove di butto →

  nova luce percuote il viso chiuso,

  42

  che fratto guizza pria che muoia tutto;

  così l’imaginar mio cadde giuso

  tosto che lume il volto mi percosse,

  45

  maggior assai che quel ch’è in nostro uso.

  I’ mi volgea per veder ov’ io fosse,

  quando una voce disse “Qui si monta,”

  48

  che da ogne altro intento mi rimosse;

  e fece la mia voglia tanto pronta

  di riguardar chi era che parlava,

  51

  che mai non posa, se non si raffronta.

  Ma come al sol che nostra vista grava

  e per soverchio sua figura vela,

  54

  così la mia virtù quivi mancava.

  “Questo è divino spirito, che ne la →

  via da ir sù ne drizza sanza prego,

  57

  e col suo lume sé medesmo cela.

  Sì fa con noi, come l’uom si fa sego;

  ché quale aspetta prego e l’uopo vede,

  60

  malignamente già si mette al nego.

  Or accordiamo a tanto invito il piede

  procacciam di salir pria che s’abbui, →

  63

  ché poi non si poria, se ’l dì non riede.”

  Così disse il mio duca, e io con lui

  volgemmo i nostri passi ad una scala;

  66

  e tosto ch’io al primo grado fui,

  senti’mi presso quasi un muover d’ala

  e ventarmi nel viso e dir: “Beati →

  69

  pacifici, che son sanz’ ira mala!”

  Già eran sovra noi tanto levati →

  li ultimi raggi che la notte segue,

  72

  che le stelle apparivan da più lati.

  “O virtù mia, perché sì ti dilegue?” →

  fra me stesso dicea, ché mi sentiva

  75

  la possa de le gambe posta in triegue.

  Noi eravam dove più non saliva

  la scala sù, ed eravamo affissi,

  78

  pur come nave ch’a la piaggia arriva.

  E io attesi un poco, s’io udissi →

  alcuna cosa nel novo girone;

  81

  poi mi volsi al maestro mio, e dissi:

  “Dolce mio padre, dì, quale offensione →

  si purga qui nel giro dove semo?

  84

  Se i piè si stanno, non stea tuo sermone.”

  Ed elli a me: “L’amor del bene, scemo

  del suo dover, quiritta si ristora;

  87

  qui si ribatte il mal tardato remo.

  Ma perché più aperto intendi ancora, →

  volgi la mente a me, e prenderai

  90

  alcun buon frutto di nostra dimora.”

  “Né creator né creatura mai,” → →

  cominciò el, “figliuol, fu sanza amore,

  93

  o naturale o d’animo; e tu ’l sai. →

  Lo naturale è sempre sanza errore,

  ma l’altro puote errar per malo obietto

  96

  o per troppo o per poco di vigore.

  Mentre ch’elli è nel primo ben diretto, →

  e ne’ secondi sé stesso misura,

  99

  esser non può cagion di mal diletto;

  ma quando al mal si torce, o con più cura

  o con men che non dee corre nel bene,

  102

  contra ’l fattore adovra sua fattura.

  Quinci comprender puoi ch’esser convene →

  amor sementa in voi d’ogne virtute

  105

  e d’ogne operazion che merta pene.

  Or, perché mai non può da la salute →

  amor del suo subietto volger viso,

  108

  da l’odio proprio son le cose tute;

  e perché intender non si può diviso,

  e per sé stante, alcuno esser dal primo,

  111

  da quello odiare ogne effetto è deciso.

  Resta, se dividendo bene stimo, →

  che ’l mal che s’ama è del prossimo; ed esso

  114

  amor nasce in tre modi in vostro limo.

  È chi, per esser suo vicin soppresso,

  spera eccellenza, e sol per questo brama

  117

  ch’el sia di sua grandezza in basso messo;

  è chi podere, grazia, onore e fama

  teme di perder perch’ altri sormonti,

  120

  onde s’attrista sì che ’l contrario ama;

  ed è chi per ingiuria par ch’aonti,

  sì che si fa de la vendetta ghiotto,

  123

  e tal convien che ’l male altrui impronti.

  Questo triforme amor qua giù di sotto →

  si piange: or vo’ che tu de l’altro intende, →

  126

  che corre al ben con ordine corrotto.

  Ciascun confusamente un bene apprende →

  nel qual si queti l’animo, e disira;

  129

  per che di giugner lui ciascun contende.

  Se lento amore a lui veder vi tira

 
o a lui acquistar, questa cornice,

  132

  dopo giusto penter, ve ne martira.

  Altro ben è che non fa l’uom felice; →

  non è felicità, non è la buona

  135

  essenza, d’ogne ben frutto e radice.

  L’amor ch’ad esso troppo s’abbandona,

  di sovr’ a noi si piange per tre cerchi;

  ma come tripartito si ragiona,

  139

  tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi.”

  PURGATORIO XVIII

  Posto avea fine al suo ragionamento →

  l’alto dottore, e attento guardava →

  3

  ne la mia vista s’io parea contento;

  e io, cui nova sete ancor frugava, →

  di fuor tacea, e dentro dicea: “Forse

  6

  lo troppo dimandar ch’io fo li grava.”

  Ma quel padre verace, che s’accorse

  del timido voler che non s’apriva, →

  9

  parlando, di parlare ardir mi porse.

  Ond’io: “Maestro, il mio veder s’avviva

  sì nel tuo lume, ch’io discerno chiaro

  12

  quanto la tua ragion parta o descriva.

  Però ti prego, dolce padre caro, →

  che mi dimostri amore, a cui reduci

  15

  ogne buono operare e ’l suo contraro.”

  “Drizza,” disse, “ver’ me l’agute luci

  de lo ’ntelletto, e fieti manifesto →

  18

  l’error de’ ciechi che si fanno duci.

  L’animo, ch’è creato ad amar presto, →

  ad ogne cosa è mobile che piace,

  21

  tosto che dal piacere in atto è desto.

  Vostra apprensiva da esser verace →

  tragge intenzione, e dentro a voi la spiega,

  24

  sì che l’animo ad essa volger face;

  e se, rivolto, inver’ di lei si piega,

  quel piegare è amor, quell’ è natura

  27

  che per piacer di novo in voi si lega.

  Poi, come ’l foco movesi in altura →

  per la sua forma ch’è nata a salire

  30

  là dove più in sua matera dura,

  così l’animo preso entra in disire,

  ch’è moto spiritale, e mai non posa

  33

  fin che la cosa amata il fa gioire.

  Or ti puote apparer quant’ è nascosa →

  la veritate a la gente ch’avvera

  36

  ciascun amore in sé laudabil cosa;

  però che forse appar la sua matera

  sempre esser buona, ma non ciascun segno

  39

  è buono, ancor che buona sia la cera.”

  “Le tue parole e ’l mio seguace ingegno,” →

  rispuos’ io lui, “m’hanno amor discoverto,

  42

  ma ciò m’ha fatto di dubbiar più pregno;

  ché, s’amore è di fuori a noi offerto

  e l’anima non va con altro piede,

  45

  se dritta o torta va, non è suo merto.”

  Ed elli a me: “Quanto ragion qui vede, →

  dir ti poss’ io; da indi in là t’aspetta

  48

  pur a Beatrice, ch’è opra di fede.

  Ogne forma sustanzïal, che setta → →

  è da matera ed è con lei unita,

  51

  specifica vertute ha in sé colletta,

  la qual sanza operar non è sentita,

  né si dimostra mai che per effetto,

  54

  come per verdi fronde in pianta vita.

  Però, là onde vegna lo ’ntelletto

  de le prime notizie, omo non sape,

  57

  e de’ primi appetibili l’affetto,

  che sono in voi sì come studio in ape

  di far lo mele; e questa prima voglia

  60

  merto di lode o di biasmo non cape.

  Or perché a questa ogn’ altra si raccoglia, →

  innata v’è la virtù che consiglia,

  63

  e de l’assenso de’ tener la soglia.

  Quest’ è ’l principio là onde si piglia

  ragion di meritare in voi, secondo

  66

  che buoni e rei amori accoglie e viglia.

  Color che ragionando andaro al fondo, →

  s’accorser d’esta innata libertate;

  69

  però moralità lasciaro al mondo.

  Onde, poniam che di necessitate →

  surga ogne amor che dentro a voi s’accende,

  72

  di ritenerlo è in voi la podestate.

  La nobile virtù Beatrice intende

  per lo libero arbitrio, e però guarda

  75

  che l’abbi a mente, s’a parlar ten prende.”

  La luna, quasi a mezza notte tarda, →

  facea le stelle a noi parer più rade,

  78

  fatta com’ un secchion che tuttor arda;

  e correa contra ’l ciel per quelle strade

  che ’l sole infiamma allor che quel da Roma

  81

  tra ’ Sardi e ’ Corsi il vede quando cade.

  E quell’ ombra gentil per cui si noma →

  Pietola più che villa mantoana,

  84

  del mio carcar diposta avea la soma;

  per ch’io, che la ragione aperta e piana

  sovra le mie quistioni avea ricolta,

  87

  stava com’ om che sonnolento vana. →

  Ma questa sonnolenza mi fu tolta

  subitamente da gente che dopo →

  90

  le nostre spalle a noi era già volta.

  E quale Ismeno già vide e Asopo →

  lungo di sé di notte furia e calca,

  93

  pur che i Teban di Bacco avesser uopo,

  cotal per quel giron suo passo falca,

  per quel ch’io vidi di color, venendo,

  96

  cui buon volere e giusto amor cavalca.

  Tosto fur sovr’ a noi, perché correndo →

  si movea tutta quella turba magna;

  99

  e due dinanzi gridavan piangendo: → →

  “Maria corse con fretta a la montagna;

  e Cesare, per soggiogare Ilerda, →

  102

  punse Marsilia e poi corse in Ispagna.”

  “Ratto, ratto, che ’l tempo non si perda →

  per poco amor,” gridavan li altri appresso, →

  105

  “che studio di ben far grazia rinverda.”

  “O gente in cui fervore aguto adesso

  ricompie forse negligenza e indugio →

  108

  da voi per tepidezza in ben far messo,

  questi che vive, e certo i’ non vi bugio,

  vuole andar sù, pur che ’l sol ne riluca;

  111

  però ne dite ond’ è presso il pertugio.”

  Parole furon queste del mio duca;

  e un di quelli spirti disse: “Vieni

  114

  di retro a noi, e troverai la buca.

  Noi siam di voglia a muoverci sì pieni,

  che restar non potem; però perdona,

  117

  se villania nostra giustizia tieni.

  Io fui abate in San Zeno a Verona →

  sotto lo ’mperio del buon Barbarossa,

  120

  di cui dolente ancor Milan ragiona.

  E tale ha già l’un piè dentro la fossa, →

  che tosto piangerà quel monastero,

  123

  e tristo fia d’avere avuta possa;

  perché suo figlio, mal del corpo intero,

  e de la mente peggio, e che mal nacque,

  126

  ha posto in loco di suo pastor vero.”
/>
  Io non so se più disse o s’ei si tacque, →

  tant’ era già di là da noi trascorso;

  129

  ma questo intesi, e ritener mi piacque.

  E quei che m’era ad ogne uopo soccorso

  disse: “Volgiti qua: vedine due

  132

  venir dando a l’accidïa di morso.”

  Di retro a tutti dicean: “Prima fue →

  morta la gente a cui il mar s’aperse,

  135

  che vedesse Iordan le rede sue.

  E quella che l’affanno non sofferse →

  fino a la fine col figlio d’Anchise

  138

  sé stessa a vita sanza gloria offerse.”

  Poi quando fuor da noi tanto divise

  quell’ ombre, che veder più non potiersi,

  141

  novo pensiero dentro a me si mise, →

  del qual più altri nacquero e diversi;

  e tanto d’uno in altro vaneggiai, →

  che li occhi per vaghezza ricopersi,

  145

  e ’l pensamento in sogno trasmutai. →

  PURGATORIO XIX

  Ne l’ora che non può ’l calor dïurno →

  intepidar più ’l freddo de la luna,

  3

  vinto da terra, e talor da Saturno

  —quando i geomanti lor Maggior Fortuna →

  veggiono in orïente, innanzi a l’alba,

  6

  surger per via che poco le sta bruna—,

  mi venne in sogno una femmina balba, →

  ne li occhi guercia, e sovra i piè distorta,

  9

  con le man monche, e di colore scialba.

  Io la mirava; e come ’l sol conforta →

 

‹ Prev