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Sussurri

Page 4

by Dean Koontz


  Frye continuava ad avvicinarsi. Lentamente. Inesorabil­mente. A passi pesanti. Godendosi la tensione di quel mo­mento. Il ghigno dipinto sul suo volto divenne più satanico quando si accorse che la donna cominciava a capire.

  Hilary indietreggiò fino al camino in pietra; per un at­timo pensò di afferrare uno dei pesanti attrezzi in ottone, ma si rese conto che non sarebbe stata abbastanza veloce per difendersi. Aveva di fronte un uomo forte, atletico, in perfetta forma fisica: le sarebbe stato addosso prima che potesse afferrare l'attizzatoio e lo colpisse su quella male­detta testa.

  Frye chiuse le mani. Le nocche si fecero più pronunciate sotto gli aderenti guanti di pelle.

  Hilary indietreggiò ancora e si trovò vicino a due sedie, al tavolino e al divano. Cominciò a spostarsi verso destra, cercando di interporre il divano tra lei e Frye.

  "Hai dei capelli stupendi," mormorò l'uomo.

  Una parte di lei si chiese se per caso non stesse impaz­zendo. Quello non poteva essere lo stesso Bruno Frye che aveva conosciuto a St. Helena. Allora non aveva notato la benché minima traccia di quella follia che ora stravolgeva quel viso madido di sudore. Gli occhi dell'uomo erano grigi frammenti di ghiaccio e la gelida passione che riflette­vano era sicuramente troppo mostruosa per poter rimanere nascosta quando l'aveva visto l'ultima volta.

  Poi notò il coltello e quella vista fu come una ventata di calore che trasformò i suoi dubbi in vapore, scacciandoli dalla sua mente. Quell'uomo voleva ucciderla. Il coltello era agganciato alla cintura, sul fianco destro. Era infilato in un fodero aperto e poteva essere sganciato tirando semplicemente il perno metallico fissato a una sottile cintura in cuoio. In un secondo avrebbe potuto sfilare il coltello e te­nerlo saldamente in mano; in due secondi avrebbe potuto affondarglielo nel ventre, tagliando la tenera carne e gli or­gani vitali e lasciando scorrere la preziosa riserva di sangue.

  "Ti ho desiderata dal primo momento che ti ho visto," dichiarò Frye. "Volevo averti."

  Il tempo sembrava essersi fermato.

  "Sei un bel bocconcino," continuò. "Veramente bello."

  Le sembrava di vivere in un film al rallentatore. Ogni secondo sembrava durare un'eternità. Lo guardò avvici­narsi come se fosse stata la creatura di un incubo, come se l'aria fosse improvvisamente diventata densa come uno sci­roppo.

  Nel momento in cui aveva visto il coltello si era sentita paralizzare. Si era bloccata, nonostante l'uomo continuasse ad avvicinarsi. Era l'effetto del coltello. L'aveva lasciata senza fiato, le aveva raggelato il cuore e le aveva fatto pro­vare un incontrollabile tremore interno. Poche persone hanno il coraggio di usare un coltello contro un altro es­sere vivente. Più di ogni altra arma, evidenzia la delica­tezza della carne, la terribile fragilità della vita umana; nel momento in cui distrugge, l'assassino vede fin troppo chia­ramente la natura della sua stessa mortalità. Una pistola, una dose di veleno, una bomba, un oggetto smussato, una corda possono essere utilizzati in modo relativamente pu­lito e spesso anche a distanza. Ma l'uomo con il coltello deve essere preparato a sporcarsi e deve essere vicino alla vittima, così vicino da avvertire il calore sprigionato dalle ferite da lui stesso provocate. Ci vuole un particolare co­raggio, o una certa follia, per squarciare un'altra persona e non provare repulsione di fronte al sangue caldo che scorre sulla propria mano.

  Frye era sopra Hilary. Le mise una mano sul seno, lo premette e lo strinse attraverso la seta del vestito.

  Quel contatto violento risvegliò Hilary dallo stato di trance nel quale era caduta. Allontanò la mano dell'uomo, si liberò dalla sua presa e corse dietro il divano.

  La risata di Frye era calda, piacevole in modo sconcer­tante, ma gli occhi duri brillavano di una macabra luce di divertimento. Era uno scherzo demoniaco, il folle umori­smo del diavolo. Frye voleva che lei si ribellasse, perché amava combattere.

  "Vattene!" urlò la donna. "Esci!"

  "Non voglio uscire," rispose Frye, sorridendo e scuo­tendo la testa. "Voglio entrare. Oh, sì. Ecco che cosa vo­glio. Voglio entrare dentro di te, mia cara. Voglio strap­parti quel vestito, spogliarti ed entrarti dentro. Completa­mente, fino a dove sei calda, bagnata, oscura e morbida."

  Per un attimo, la paura che le aveva trasformato le gambe in gelatina e l'aveva svuotata internamente si tra­sformò in un'emozione più forte: odio, rabbia, furore. La sua non era la collera ragionata di una donna nei confronti di un uomo che voglia con arroganza offendere la sua di­gnità e violare i suoi diritti; non era nemmeno la rabbia in­tellettuale scatenata dall'ingiustizia biologica e sociale di quella particolare situazione: era un sentimento molto più viscerale. Quell'uomo aveva invaso il suo mondo senza es­sere stato invitato, si era intrufolato nel suo rifugio: Hilary era in preda a una furia cieca che le annebbiava la vista e le faceva battere il cuore all'impazzata. Digrignò i denti emet­tendo un suono gutturale: inconsciamente, stava reagendo come un animale che affronta il nemico e contemporanea­mente cerca di mettersi in salvo.

  Dietro il divano c'era un tavolino basso di cristallo. Due statuette di porcellana alte circa mezzo metro facevano bella mostra sul ripiano. Hilary ne afferrò una e la scagliò contro Frye.

  L'uomo si chinò d'istinto, schivando l'oggetto. La sta­tuetta colpì il camino di pietra e finì in pezzi. Una pioggia di cocci e frammenti di porcellana cadde sul camino e sul tappeto.

  "Riprovaci," la sfidò Frye.

  Hilary afferrò l'altra statuetta ed ebbe un attimo di esita­zione. Guardò l'uomo attraverso gli occhi socchiusi, sop­pesò il soprammobile, poi fece finta di tirare l'oggetto.

  Il trucco parve funzionare. Frye si piegò di lato per evi­tare il proiettile.

  Con un gridolino di trionfo, Hilary scagliò davvero la statuetta.

  L'uomo fu colto troppo di sorpresa per riuscire a pie­garsi nuovamente e la statuetta lo colpì in testa. Era stato un lancio fortunato, anche se meno violento di quanto lei avesse sperato, ma l'uomo vacillò, senza tuttavia cadere. Non era ferito gravemente. Non sanguinava neppure. Ma era stato colpito e il dolore lo trasformò. Non era più di quell'umore perversamente gioioso. Il ghigno scomparve. La bocca si era ridotta a una linea sottile, con le labbra chiuse. Il viso era paonazzo. Una rabbia furiosa lo aveva caricato come un congegno a molla. Per la tensione i mu­scoli del collo taurino si gonfiarono, possenti e minacciosi. Si rannicchiò leggermente, pronto ad attaccare.

  Hilary era convinta che avrebbe girato intorno al divano e lei era pronta ad andare dall'altra parte, tenendosi a de­bita distanza e parandosi dietro al sofà fino a quando non avesse trovato un altro oggetto da scagliargli contro. Ma quando finalmente Frye si mosse, non tentò nemmeno di aggirare l'ostacolo. Si lanciò avanti con violenza, come un toro scatenato. Si piegò davanti al divano, lo afferrò con entrambe le mani, lo sollevò e con un solo rapido movi­mento lo scagliò a terra, come se fosse stato un cuscino. Hi­lary si spostò proprio mentre il divano cadeva fragorosa­mente dove solo un secondo prima si trovava lei. Appena il divano toccò terra, Frye lo scavalcò. Voleva raggiungerla e ce l'avrebbe fatta se non avesse inciampato e non fosse ca­duto su un ginocchio.

  La collera di Hilary si trasformò nuovamente in paura, costringendola alla fuga. Avrebbe voluto dirigersi verso l'ingresso e la porta, ma sapeva che non avrebbe avuto il tempo per aprire le due serrature e uscire prima che lui la raggiungesse. Le era maledettamente vicino, a non più di due o tre passi. Hilary si lanciò a destra e si precipitò sulla scala a chiocciola, salendo due gradini alla volta.

  Stava ansimando, ma nonostante tutto sentì l'uomo che si avvicinava. I suoi passi riecheggiavano nella casa. Stava imprecando contro di lei.

  La pistola. Nel comodino. Se fosse riuscita a raggiungere la camera da letto distanziandolo, avrebbe avuto il tempo di chiudere la porta. Così l'avrebbe bloccato almeno per qualche istante, quanto bastava per prendere la pistola.

  In cima alle scale, nel corridoio del piano di sopra, quando ormai era sicura di averlo distanziato, lui l'affer­rò per la spalla destra e l'attirò violentemente contro di sé. Hilary urlò, ma non cercò di divincolarsi, come lui evi
­dentemente si aspettava. Al contrario, quando l'uomo l'af­ferrò, si girò verso di lui. Gli si strinse contro prima che lui riuscisse a cingerla con un braccio, premette così forte da riuscire ad avvertire la sua erezione e con un ginocchio lo colpì violentemente in mezzo alle gambe. Frye reagì come se fosse stato colpito da un fulmine. Il viso infuocato dalla rabbia divenne improvvisamente di un pallore mor­tale. Lasciò la presa, barcollò e scivolò sul primo gradino, roteò le braccia, cominciò a ruzzolare, urlò, si buttò di lato, afferrò la ringhiera e finalmente riuscì a fermarsi.

  A quanto pareva, non aveva molta esperienza di donne che opponevano una strenua resistenza. Hilary era già riu­scita a ingannarlo due volte. Frye aveva forse pensato di avere a che fare con un dolce, morbido e inoffensivo coniglietto, una timida preda che si sarebbe sottomessa facil­mente per lasciarsi usare e spezzare con un semplice movi­mento del polso. Ma lei si era rivoltata, gli aveva mostrato le unghie e i denti e appariva trionfante di fronte alla sua espressione sbalordita.

  Hilary aveva sperato che Frye rotolasse giù sino in fondo e si rompesse l'osso del collo. A ogni modo la ginocchiata ai genitali lo avrebbe tenuto fuori gioco almeno per un po', il tempo sufficiente perché lei potesse raggiungere il como­dino. Rimase ovviamente sconvolta quando, dopo solo po­chi secondi, prima ancora che potesse girarsi e correre via, vide l'uomo allontanarsi dalla ringhiera e, ancora sussul­tante per il dolore, arrancare verso di lei.

  "Puttana," mormorò a denti stretti, quasi senza fiato.

  "No," gridò Hilary. "No. Stai indietro!"

  Si sentiva come uno dei personaggi di quei vecchi film dell'orrore, che un tempo produceva la Hammer Films. Stava combattendo contro un vampiro, uno zombie, ed era sempre più stupita e scoraggiata di fronte a tanta forza e alla resistenza soprannaturale del mostro.

  "Puttana."

  Corse lungo il corridoio fino alla camera da letto. Sbattè la porta, cercò a tastoni la chiave, poi finalmente riuscì ad accendere la luce e a chiudere l'uscio.

  Nella stanza riecheggiava uno strano e spaventoso ru­more. Era un suono rauco pieno di terrore. Hilary si guardò intorno ansiosamente alla ricerca della fonte del ru­more; solo dopo alcuni secondi si rese conto che stava ascoltando i propri singhiozzi, strozzati e incontrollabili.

  Stava per farsi prendere dal panico, e invece doveva con­trollarsi se voleva continuare a vivere.

  Frye stava già scuotendo la maniglia, poi si scagliò con tutto il peso contro la porta, che non cedette. Ma non avrebbe resistito ancora per molto: sicuramente Hilary non avrebbe fatto in tempo a chiamare la polizia e tantomeno ad aspettare l'arrivo degli aiuti.

  Il cuore le batteva all'impazzata; Hilary tremava come se fosse stata nuda su una distesa di ghiaccio, ma era decisa a non lasciarsi bloccare dalla paura. Attraversò rapidamente la stanza e girò intorno al letto, puntando verso il como­dino. Passò davanti a uno specchio che le sembrò riflettere l'immagine di una perfetta sconosciuta, una donna stra­volta con il viso bianco come quello di un clown.

  Frye aveva cominciato a prendere a calci la porta che tremava violentemente ma per il momento sembrava reg­gere.

  La calibro 32 automatica era appoggiata sopra una pila di pigiami nel cassetto del comodino. Il caricatore era lì ac­canto. Hilary prese la pistola e con le mani tremanti spinse dentro il caricatore. Si girò verso la porta.

  Frye continuava a infierire. La serratura non era molto resistente. Era una di quelle che abitualmente si utilizzano per tenere lontani i bambini e gli ospiti rumorosi. Era inu­tile contro un uomo della forza di Bruno Frye. Al terzo colpo, i cardini cedettero e la porta si spalancò.

  Quando si materializzò dall'oscurità e oltrepassò la so­glia, Frye sembrava sempre più un toro impazzito, sudato fradicio e con il respiro affannoso. Le spalle larghe erano curve e le mani erano strette in due pugni. Sembrava vo­lesse abbassare la testa, caricare, colpire e distruggere tutto ciò che incontrava sul suo cammino. Nei suoi occhi brillava un desiderio di sangue, chiaramente visibile come l'imma­gine riflessa nello specchio vicino a Hilary. Voleva man­dare in frantumi ogni cosa per gettarsi sulla propria preda.

  Hilary gli puntò contro la pistola, tenendola ben salda con entrambe le mani.

  Frye continuò ad avvicinarsi.

  "Adesso sparo! Guarda che lo faccio! Giuro su Dio che lo faccio!"

  Frye si fermò, sbattè gli occhi e finalmente si accorse della pistola.

  "Fuori!" intimò Hilary.

  Lui non si mosse.

  "Ti ho detto di andartene!"

  L'uomo mosse invece un altro passo verso di lei. Non era più lo stupratore sicuro di sé e deciso a giocare al gatto col topo che aveva affrontato in soggiorno. Gli era successo qualcosa: dentro di lui erano scattati nuovi meccanismi che gli avevano fatto nascere nella mente nuove idee, nuove voglie, bisogni e bramosie più disgustosi e perversi di quanto avesse rivelato fino a quel momento. Non aveva più niente di razionale. Il suo comportamento era quello di un pazzo. Gli occhi brillavano. Non erano più di ghiaccio, bensì acquosi, rossi e stralunati. Gocce di sudore gli imper­lavano il viso. Le labbra si muovevano senza sosta, sebbene non parlasse: le storceva, le morsicava, le stringeva, le spor­geva in un broncio da bambino, le apriva in un ghigno, poi in un sorriso enigmatico, le atteggiava a una smorfia minac­ciosa, a un'espressione indescrivibile. Non era più spinto dalla lussuria o dal desiderio di sopraffarla. Il meccanismo segreto che lo spingeva ora era più oscuro di quello che l'a­veva animato fino a pochi minuti prima e Hilary aveva la terribile sensazione che quella forza misteriosa gli avrebbe garantito una sorta di immunità, gli avrebbe permesso di avanzare illeso attraverso una raffica di proiettili.

  Frye estrasse l'affilato coltello dal fodero sul fianco e lo sollevò davanti a sé.

  "Stai indietro," ripetè Hilary, disperata.

  "Puttana."

  "Parlo sul serio."

  L'uomo ricominciò ad avvicinarsi.

  "Per l'amor del cielo," implorò Hilary. "Sii ragionevole. Quel coltello non può fare niente contro una pistola."

  Frye si trovava a circa quattro metri, dall'altra parte del letto.

  "Ti faccio saltare quel maledetto cervello!"

  Lui agitò il coltello verso di lei, disegnò rapidi cerchi in aria con la punta, quasi un rito magico volto a cacciare gli spiriti maligni che si frapponevano fra lui e Hilary.

  Avanzò di un altro passo.

  Hilary prese la mira puntando allo stomaco di Frye, così anche se il rinculo le avesse fatto tremare le mani o la pi­stola avesse spostato la traiettoria a destra o a sinistra, avrebbe sicuramente colpito un organo vitale. Premette il grilletto.

  Non accadde nulla.

  Mio Dio, ti prego!

  Frye fece due passi in avanti.

  Hilary fissò la pistola, sbalordita. Si era dimenticata di togliere la sicura.

  L'uomo era a circa due metri e mezzo dal letto. Forse anche meno.

  Imprecando contro se stessa, spostò le levette a lato della pistola e un paio di puntini rossi apparvero sul me­tallo lucido. Prese la mira e premette il grilletto per la se­conda volta.

  Niente.

  Cristo! Che cosa stava succedendo? Non poteva essersi in­ceppata!

  Frye era talmente dissociato dalla realtà, talmente assor­bito dalla propria pazzia, da non accorgersi subito che la donna aveva qualche problema con la pistola. Quando fi­nalmente capì che cosa stava succedendo, si mosse veloce­mente, cercando di sfruttare il vantaggio. Raggiunse il letto, si mise carponi, si alzò in piedi, cominciò ad avanzare sul materasso come un uomo che cammina su un ponte di barili, ondeggiando sulla superficie molleggiata.

  Hilary si era dimenticata di spingere il proiettile nel cari­catore. Eseguì quell'operazione indietreggiando di due passi, fino a ritrovarsi con le spalle al muro. Sparò sen­za prendere la mira, mentre l'uomo stava per gettarsi su di lei come un demonio che salta fuori da una falla dell'in­ferno.

  La detonazione riecheggiò nella stanza. Fece tremare le pareti e vibrare le finestre.

  Hilary vide il coltello andare in
frantumi e i frammenti schizzare dalla mano destra di Frye. La lama d'acciaio volò in aria, brillando per un attimo nel raggio di luce che saliva dall'abat-jour.

  Frye urlò mentre il coltello gli schizzava dalla mano. Cadde all'indietro e rotolò verso il lato più lontano del letto. Ma si rialzò immediatamente appena mise i piedi per terra, stringendosi la mano destra con la sinistra.

  Hilary non pensava di averlo colpito. Non c'erano tracce di sangue. Il proiettile doveva aver colpito il coltello, fran­tumandolo e strappandoglielo di mano. Il colpo doveva es­sere stato più doloroso per le dita della sferzata di una fru­sta.

  Frye gemeva per il dolore e urlava per la rabbia. Era un suono animalesco, un ululato da sciacallo, ma non era deci­samente il verso di un animale spaventato che fugge con la coda fra le gambe. Non intendeva mollare la preda.

  Hilary sparò ancora e Frye cadde di nuovo. Questa volta rimase a terra.

  Con un sospiro di sollievo, Hilary si accasciò esausta contro la parete, senza staccare gli occhi dal punto in cui Frye era caduto e in cui giaceva, fuori vista, dietro il letto. Nessun rumore. Nessun movimento.

  Provava un senso di inquietudine perché non riusciva a vederlo. In guardia, con le orecchie tese, si diresse con cir­cospezione verso i piedi del letto, al centro della stanza, poi si spostò verso sinistra e finalmente lo vide.

  L'uomo era sdraiato a pancia in giù sul tappeto Edward Fields marrone. Aveva il braccio destro piegato sotto il corpo. Quello sinistro era allungato in avanti, la mano era leggermente contratta, mentre le dita immobili erano ri­volte verso la testa. Non riusciva a scorgere il viso. Il tap­peto era così folto e scuro e aveva una trama così fitta che non riuscì a vedere se fosse imbrattato di sangue. Era abba­stanza evidente, comunque, che non c'era quell'enorme pozza di sangue appiccicoso che si sarebbe aspettata di tro­vare. Se l'aveva colpito al petto, forse il sangue era nasco­sto dal corpo. Il proiettile poteva anche averlo colpito in piena fronte, causando una morte istantanea e un immediato arresto cardiaco; in tal caso, avrebbe perso solo po­che gocce di sangue.

 

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