Sussurri
Page 14
Non cercò di aprire la porta della cucina con le chiavi che aveva rubato dalla borsa di Hilary il giorno in cui era andata da lui. Probabilmente aveva fatto montare una nuova serratura. E anche se la donna non avesse preso queste precauzioni, non sarebbe riuscito comunque a entrare. Martedì sera, la prima volta che aveva cercato di introdursi in casa, la donna era là e lui aveva scoperto che era impossibile aprire la serratura con la chiave se era stata bloccata dall'interno. Quella superiore era scattata senza problemi, ma quella inferiore si poteva aprire solo se veniva chiusa dall'esterno, con una chiave. Così aveva dovuto rinunciarci e tornare la sera successiva, mercoledì, otto ore prima, mentre lei era fuori a cena ed entrambe le chiavi erano utilizzabili. Ma ora lei c'era, e anche se non aveva cambiato la serratura, aveva sicuramente fatto scattare dall'interno uno di quei chiavistelli speciali, impedendo così l'ingresso, indipendentemente dal tipo di chiave.
Si diresse verso l'angolo della casa, vicino a una grande finestra che si affacciava sul giardino. Era divisa in pannelli di vetro da sottili strisce scure di legno laccato. Dall'altra parte si intravedeva lo studio tappezzato di libri. Estrasse una torcia dalla tasca, l'accese e diresse il fascio di luce contro la finestra. Socchiudendo gli occhi, cercò la sporgenza del davanzale e la sbarra orizzontale centrale, finché localizzò la serratura, poi spense la torcia. Aveva un rotolo di nastro adesivo gommato e cominciò a strapparne alcune strisce, ricoprendo il piccolo pannello di vetro più vicino alla serratura. Quando il quadrato fu completamente coperto, sferrò un unico colpo deciso con la mano guantata per frantumarlo. Il vetro si ruppe quasi senza rumore rimanendo attaccato al nastro. Frye fece scivolare dentro la mano e aprì la finestra, la sollevò e si introdusse nello studio. Evitò per un pelo di fare un frastuono infernale andando a sbattere contro un tavolino.
In piedi, al centro della stanza, con il cuore che martellava, Frye tese l'orecchio per avvertire eventuali rumori all'interno della casa.
Regnava il silenzio.
Lei era in grado di risorgere dal regno dei morti e di incarnarsi in un'altra persona, ma evidentemente quello era il limite dei suoi poteri soprannaturali. Ovviamente non poteva vedere e sapere tutto. Era in casa sua, ma lei non lo sapeva ancora.
Sogghignò.
Con la mano destra estrasse il coltello dal fodero fissato alla cintura.
Con la pila nella mano sinistra, scivolò silenziosamente attraverso tutte le stanze del pianterreno. Erano buie e deserte.
Salendo le scale che conducevano al primo piano, si mantenne rasente al muro, nel caso i gradini scricchiolassero. Raggiunse il pianerottolo senza fare il benché minimo rumore.
Esplorò le camere da letto, ma non trovò niente di interessante finché non si avvicinò all'ultima stanza sulla sinistra. Gli sembrò di notare una luce filtrare da sotto la porta e spense la pila. Nel corridoio buio quella debole luce argentata era sufficiente a renderla visibile. Si diresse verso la porta e girò lentamente il pomello. Chiusa.
L'aveva trovata.
Katherine.
Che si faceva passare per una certa Hilary Thomas.
La puttana. La sporca puttana.
Katherine, Katherine, Katherine...
Mentre quel nome gli riecheggiava nella mente, strinse la mano attorno al coltello e lo agitò con piccoli movimenti decisi, come se la stesse accoltellando.
Allungandosi per terra con il viso a livello del pavimento, Frye guardò attraverso lo spiraglio sotto la porta. Un mobile, forse un cassettone, era stato spinto contro la porta all'interno della stanza. Qualche debole raggio di luce, proveniente da un punto imprecisato sulla destra, riusciva comunque a filtrare sotto l'uscio.
Frye era deliziato da quel poco che riusciva a vedere e si sentì invadere da un'ondata di ottimismo. Si era barricata dentro e questo significava che quella sporca puttana aveva paura di lui. Lei aveva paura di lui. Anche se sapeva come resuscitare dalla tomba, aveva paura di morire. O forse sapeva o avvertiva che questa volta non sarebbe più riuscita a tornare in vita. Sarebbe stato maledettamente preciso nel sistemare il cadavere, molto più scrupoloso di quando si era occupato degli altri corpi di donna, di cui lei aveva assunto le fattezze. Le avrebbe strappato il cuore. Glielo avrebbe trafitto con un paletto di legno. Le avrebbe tagliato la testa. Riempito la bocca di aglio. Aveva anche l'intenzione di portarsi via la testa e il cuore, quando se ne fosse andato. Avrebbe sepolto quei macabri trofei in tombe separate, nel terreno consacrato di due cimiteri diversi, lontano dal resto del corpo. Apparentemente, lei si rendeva conto che questa volta intendeva prendere particolari precauzioni, perché gli stava resistendo con una furia e una fermezza mai mostrate prima.
Nella stanza regnava il silenzio.
Stava dormendo?
No, decise. Era troppo spaventata per poter dormire. Probabilmente era seduta sul letto con la pistola in mano.
Se l'immaginò come un topo che si nasconde per sfuggire al gatto: si sentì forte, potente come una forza della natura. Sentiva l'odio ribollirgli dentro. Voleva che si agitasse e tremasse per la paura, come aveva fatto lui per tanti anni. Improvvisamente, provò l'impulso di gridare: voleva urlare il suo nome, Katherine, Katherine... e maledirla. Riuscì a controllarsi solo con un enorme sforzo che gli imperlò la fronte di sudore e gli riempì gli occhi di lacrime.
Si alzò e rimase immobile al buio, considerando le diverse alternative. Avrebbe potuto scagliarsi contro la porta, buttarla giù e spostare il mobile, ma sarebbe stato un suicidio. Non sarebbe riuscito a eliminare la barricata abbastanza velocemente da coglierla di sorpresa. Lei avrebbe avuto tutto il tempo di prendere la mira e scaricargli in corpo una dozzina di proiettili. L'altra alternativa era aspettare che lei uscisse. Se fosse rimasto nel corridoio e non avesse fatto rumore per tutta la notte, con il passare delle ore lei avrebbe abbassato la guardia. Al mattino avrebbe pensato che ormai era salva e che lui non sarebbe tornato mai più. Quando fosse uscita dalla stanza, l'avrebbe afferrata e trascinata sul letto prima ancora che lei si rendesse conto di quello che stava succedendo.
Frye attraversò il corridoio e si sedette sul pavimento, con la schiena appoggiata alla parete.
Dopo pochi minuti, cominciò a sentire dei fruscii, dei leggeri passi frettolosi nel buio.
È solo la mia immaginazione, si disse. Quella paura a lui tanto familiare.
Ma, improvvisamente, sentì qualcosa che gli strisciava sulla gamba, sotto i pantaloni.
Non c'è niente, cercò di convincersi.
Qualcosa di orribile e non identificabile gli scivolò sotto la manica e si arrampicò sul braccio mentre qualcosa di piccolo e mortale gli correva sulla spalla fino al collo. Si dirigeva verso la bocca. Serrò le labbra. La cosa proseguì verso gli occhi. Strinse gli occhi. Continuò verso le narici e Frye si passò freneticamente la mano sul viso: non riuscì a trovarla, non riuscì a scacciarla. No!
Accese la torcia. Era l'unica creatura vivente nel corridoio. Non c'era niente che si muovesse sotto i pantaloni. Niente nelle maniche. Niente sul viso.
Fu scosso dai brividi.
Lasciò la torcia accesa.
Giovedì mattina alle nove, Hilary fu svegliata dal telefono. C'era un apparecchio nella stanza degli ospiti. Il volume della suoneria era stato messo per sbaglio al massimo, probabilmente da qualcuno dell'impresa di pulizie che chiamava di tanto in tanto. L'improvviso suono acuto e stridente interruppe il sonno di Hilary che si ritrovò seduta sul letto.
Era Wally Topelis. Mentre faceva colazione, aveva letto sul giornale l'articolo relativo all'aggressione. Era sconvolto e preoccupato.
Prima di aggiungere qualcosa a quanto riportato dal giornale, gli chiese di leggerle l'articolo. Fu contenta di sentire che si trattava di un articoletto di poche righe in sesta pagina, con una fotografia minuscola. Era interamente basato sulle scarne informazioni che lei e il tenente Clemenza avevano fornito ai giornalisti la notte prima. Non si faceva alcun accenno a Bruno Frye, o all'investigatore Frank Howard che la considerava una bugiarda. La stampa era arrivata e
se n'era andata giusto in tempo per perdere i particolari succosi che avrebbero permesso all'intera vicenda di finire in una delle prime pagine.
Raccontò tutto a Wally che parve offeso. "Quello stupido, dannatissimo piedipiatti! Se soltanto si fosse sforzato di scoprire qualcosa di più su di te, sul genere di persona che sei, si sarebbe accorto che non avresti mai potuto inventare una storia simile. Ascolta, piccola, me ne occuperò io. Non preoccuparti. Entrerò in azione."
"Come?"
"Devo chiamare alcune persone."
"Chi?"
"Che cosa ne dici del capo della polizia, tanto per cominciare?"
"Oh, certo."
"Vedi, mi deve alcuni favori," proseguì Wally. "Negli ultimi cinque anni, chi credi abbia organizzato lo spettacolo di beneficenza della polizia? Chi credi che abbia convinto alcune delle star più famose di Hollywood a partecipare senza ricevere un soldo? Chi credi abbia trovato cantanti, attori e prestigiatori disposti a lavorare gratis per la polizia?"
"Tu?"
"Certo, dannazione. Proprio io."
"Ma che cosa può fare?"
"Può riaprire il caso."
"Anche se uno dei suoi uomini giura che si tratta di uno scherzo?"
"Il suo uomo è malato nel cervello."
"Ho il sospetto che questo Frank Howard abbia delle ottime credenziali," disse.
"E allora significa che giudicano i loro uomini in modo penoso. O si accontentano di poco o sono tutti fuori di testa."
"Credo comunque che non sarà molto facile convincere il capo della polizia."
"So essere molto persuasivo, agnellino mio."
"Ma, anche ammesso che lui ti debba un favore, come può riaprire il caso senza alcuna prova concreta in mano? Può anche darsi che sia il capo, ma dovrà pur seguire le regole."
"Senti, almeno potrà parlare con lo sceriffo di Napa County."
"E lo sceriffo Laurenski ripeterà la stessa storia che ha riferito la scorsa notte. Dirà che Frye era a casa a preparare una torta o cose del genere."
"E allora lo sceriffo è uno stupido incompetente che si è fatto fregare da qualcuno che lavora per Frye. Oppure un bugiardo. O forse è persino coinvolto con Frye in qualche modo."
"Prova ad andare dal capo con questa teoria," proseguì, "e ci accuseranno di essere entrambi schizofrenici e paranoici."
"Se non riuscirò a ottenere niente dai piedipiatti," sbottò Wally, "vorrà dire che mi rivolgerò a una squadra di investigatori."
"Investigatori privati?"
"Conosco un'agenzia specializzata. Sono in gamba. Decisamente meglio di molti poliziotti. Indagheranno a fondo sulla vita di Frye e scopriranno ogni minimo segreto. Riusciranno sicuramente a trovare una traccia che farà riaprire il caso."
"Ma non costerà un sacco di soldi?"
"Faremo a metà," rispose.
"Oh, no."
"Oh, sì."
"E molto generoso da parte tua, ma..."
"Non si tratta di generosità. Tu sei un bene estremamente prezioso, agnellino mio. Mi spetta una percentuale sui tuoi guadagni e quindi considera i soldi spesi per gli investigatori privati come una forma di assicurazione. Voglio solo proteggere i miei interessi."
"Stai parlando a vanvera e lo sai bene," lo rimproverò. "Sei molto generoso, Wally. Ma per il momento non assumere nessuno. L'altro investigatore di cui ti ho parlato, Clemenza, ha detto che si sarebbe fermato da me questo pomeriggio per vedere se ricordavo qualcosa di nuovo. Sono convinta che creda ancora alle mie parole, ma è un po' confuso perché Laurenski ha decisamente ingarbugliato la mia storia. Credo che Clemenza troverà una scusa qualsiasi per poter riaprire il caso. Lascia che prima gli parli. Se la situazione non si sbloccherà, potremo assumere i tuoi investigatori privati."
"Bene... D'accordo," bofonchiò Wally con riluttanza. "Ma nel frattempo dirò loro di mandare un uomo per proteggerti."
"Wally, non ho bisogno di una guardia del corpo."
"Invece sì, dannazione."
"Sono rimasta al sicuro tutta la notte e poi..."
"Ascolta, piccola, ti manderò lì qualcuno. Ormai ho deciso. E non provare a discutere con lo zio Wally. Se non lo farai entrare, rimarrà in piedi davanti alla porta d'ingresso come la guardia di un palazzo."
"Davvero, io..."
"Prima o poi," proseguì Wally dolcemente, "dovrai renderti conto che non puoi affrontare sempre tutto da sola, contando esclusivamente sulle tue forze. Nessuno lo fa. Nessuno, piccola. Prima o poi tutti hanno bisogno di una mano. Avresti dovuto chiamarmi ieri sera."
"Non volevo disturbarti."
"Per l'amor del cielo, non mi avresti disturbato! Io sono tuo amico, anzi, il fatto che tu non mi abbia disturbato, mi disturba ancora di più. Bambina mia, è una bella cosa essere forti, indipendenti e pieni di fiducia in se stessi. Ma quando esageri, quando ti isoli in questo modo è come se prendessi a sberle tutti quelli che ti vogliono bene. Allora, lascerai entrare la guardia che ti sto mandando?"
Hilary sospirò. "Va bene."
"Bene. Sarà da te fra un'ora. Mi chiamerai quando avrai finito di parlare con Clemenza?"
"D'accordo."
"Promesso?"
"Lo prometto."
"Hai dormito, questa notte?"
"Sì. Sembra incredibile."
"Se non hai riposato abbastanza," proseguì, "fai un pisolino questo pomeriggio."
Hilary scoppiò a ridere. "Saresti una stupenda mamma ebraica."
"Forse questa sera ti porterò una bella tazza di brodo caldo. Arnvederci, piccola."
"Arnvederci, Wally. Grazie di avermi chiamato."
Riappese il ricevitore e lanciò un'occhiata al cassettone appoggiato contro la porta. Dopo una notte tanto tranquilla quella barricata sembrava ridicola. Wally aveva ragione: il modo migliore per risolvere l'intera faccenda era quello di assumere guardie del corpo ventiquattr'ore su ventiquattro e di lanciare una squadra di investigatori privati di prim'ordine sulle tracce di Frye. La sua idea di affrontare il problema da sola era semplicemente ridicola. Non poteva certo sprangare le finestre e combattere la Battaglia di Alamo contro Frye.
Balzò fuori del letto, si infilò la vestaglia di seta e si diresse verso il cassettone. Tolse i cassetti e li mise da parte. Quando il mobile fu sufficientemente leggero per essere spostato, lo allontanò dalla porta e lo rimise al suo posto, stando attenta ad appoggiarlo sui segni lasciati sul tappeto. Poi sistemò i cassetti.
Tornò al comodino, afferrò il coltello e sorrise ripensando a quanto era stata ingenua. Un combattimento a faccia a faccia con Bruno Frye? Uno scontro con un maniaco? Come aveva potuto pensare di avere anche solo una possibilità? Frye era molto più forte di lei. Ed era già stata fortunata la notte precedente a riuscire a sfuggirgli. Grazie a Dio, era riuscita ad afferrare la pistola. Ma se avesse provato a lottare, l'avrebbe fatta a pezzi.
Decise di riportare il coltello in cucina e di vestirsi prima che arrivasse la guardia del corpo. Andò verso la porta, girò la chiave, l'apri, fece un passo nel corridoio e lanciò un urlo quando Bruno Frye l'afferrò mandandola a sbattere contro il muro. La testa colpì la parete con un rumore sordo e Hilary si sforzò di scacciare il velo oscuro che le si stava formando davanti agli occhi. Lui l'afferrò per la gola con la mano destra, immobilizzandola. Con la mano sinistra, le strappò la vestaglia e le strizzò i seni nudi, guardandola con aria maliziosa e chiamandola troia e puttana.
Doveva aver ascoltato la conversazione con Wally, doveva aver capito che la polizia le aveva sequestrato la pistola perché non mostrò il benché minimo segno di paura. Non aveva accennato al coltello con Wally e Frye non era preparato. Gli conficcò la lama nella pancia piatta e muscolosa. Per qualche secondo lui sembrò non accorgersene; fece scivolare la mano dal seno, cercando di infilarle le dita nella vagina. Quando Hilary estrasse il coltello, lui fu colto da una fitta di dolore. Spalancò gli occhi e si lasciò sfuggire un gemito acuto. Hilary continuò a infierire con il coltello, colpendolo sul fianco, proprio sotto le costole. Il viso dell'uomo diventò
improvvisamente bianco e untuoso come il lardo. Ululò, mollò la presa e inciampò all'indietro, andando a sbattere contro la parete e facendo cadere un quadro.
Un violento brivido di repulsione attraversò il corpo di Hilary quando si rese conto di ciò che aveva fatto. Ma non lasciò cadere il coltello e si preparò a colpirlo di nuovo nel caso l'avesse aggredita.
Bruno Frye si guardò la pancia, sbalordito. La lama era penetrata in profondità. Dalla ferita fuoriusciva un sottile fiotto di sangue che gli macchiò rapidamente il golf e i pantaloni.
Hilary non rimase ad aspettare che quell'espressione di stupore si trasformasse in rabbia e agonia. Si voltò e si precipitò nella stanza degli ospiti, sbattè la porta e la chiuse a chiave. Per circa mezzo minuto si fermò ad ascoltare i gemiti, le imprecazioni e i goffi movimenti di Frye, chiedendosi se avrebbe avuto ancora la forza necessaria per sfondare la porta. Le parve di udire il corpo dell'uomo che si trascinava pesantemente giù per le scale, ma non poteva esserne certa. Si precipitò al telefono. Con le mani esangui e paralizzate, sollevò il ricevitore e compose il numero del centralino. Chiese di parlare con la polizia.
Quella puttana! Quella fottuta puttana!
Frye fece scivolare una mano sotto il pullover giallo e strinse la ferita che gli aveva squarciato le budella e che sanguinava copiosamente. Cercò di stringerne i lembi, nel tentativo di impedire che la vita gli sfuggisse. Sentì il sangue tiepido che colava attraverso le cuciture dei guanti, bagnandogli le dita.
Non era un dolore insopportabile. Solo una sensazione di caldo nello stomaco. Un pizzicore elettrico lungo il fianco sinistro. Una fitta che si ripeteva a intervalli ritmici, con la stessa cadenza del battito cardiaco. Nient'altro.
Tuttavia, sapeva di essere ferito gravemente e di peggiorare con il passare del tempo. Era incredibilmente debole. La sua grande forza l'aveva abbandonato improvvisamente e completamente.
Stringendosi la pancia con una mano e afferrando la balaustra con l'altra, scese al pianterreno sui gradini instabili come quelli della casa dei fantasmi al luna park: sembravano inclinarsi, beccheggiare e rollare continuamente. Quando giunse in fondo alle scale, era bagnato fradicio di sudore.