by Dean Koontz
"Per esempio?"
"Be', visto che stiamo andando in un ristorante italiano, forse a te piace la bruschettà mentre io la odio."
"E dovremmo litigare per quello?"
"Oppure per le fettuccine o le lasagne."
"No. Ti piacerà tutto. Aspetta e vedrai."
La portò al Ristorante Savatino sul Santa Monica Boulevard. Era un locale piccolo, con non più di sessanta coperti, disposti in modo tale da sembrare la metà. Era accogliente, simpatico, il genere di ristorante nel quale si può perdere la nozione del tempo e rimanere seduti a tavola per ore senza accorgersene. Le luci erano calde e discrete. Il sottofondo di musica lirica, principalmente Gigli, Caruso e Pavarotti, era regolato in modo tale da poter essere apprezzato senza impedire la conversazione. Le pareti erano forse troppo decorate, ma su una di esse faceva bella mostra un murale che Hilary trovò semplicemente favoloso. Il dipinto occupava l'intera parete e rappresentava alcuni aspetti caratteristici della vita italiana: uva, vino, pasta, donne dagli occhi scuri, affascinanti uomini mediterranei, una nonnina deliziosa e grassoccia, un gruppo di persone che ballavano al suono di una fisarmonica, un picnic sotto gli ulivi e altro ancora. Hilary non aveva mai visto niente di simile: non era completamente realistico, né stilizzato, né astratto o impressionistico, ma ricordava piuttosto un dipinto surrealista, come se fosse nato dalla fantasiosa collaborazione di Andrew Wyeth e Salvador Dalì.
Michael Savatino, il proprietario del locale, era una persona estremamente gioviale che risultò essere un ex poliziotto. Baciò la mano di Hilary, abbracciò Tony e gli punzecchiò la pancia, raccomandandogli di mangiare un po' di pasta per mettere su qualche chilo. Poi insisté perché andassero in cucina a vedere la sua nuova macchina per il cappuccino. Uscendo dalla cucina, incontrarono Paula, la moglie di Michael, una bionda appariscente che ricominciò con baci e abbracci. Alla fine Michael prese Hilary a braccetto e accompagnò la coppia al loro tavolo. Ordinò al sommelier una bottiglia di Brunello di Montalcino Biondi-Santi che stappò lui stesso. Dopo il brindisi di rito, Michael li lasciò, ammiccando a Tony in segno di approvazione per la scelta della compagna; vide che Hilary aveva notato la sua manovra e se ne andò ridendo e strizzando l'occhio alla ragazza.
"Dev'essere un uomo delizioso," commentò Hilary.
"E un tipo in gamba."
"Ti piace molto."
"Lo adoro. Quando lavoravamo insieme alla Omicidi era il compagno ideale."
Discussero dell'attività della polizia e del lavoro dello sceneggiatore. Era così naturale chiacchierare con lui che a Hilary sembrava di conoscerlo da anni. Non c'era traccia dell'imbarazzo tipico del primo appuntamento.
A un certo punto, Tony notò che Hilary osservava il murale; "Ti piace quel dipinto?" domandò.
"È stupendo."
"Davvero?"
"Non sei d'accordo?"
"Non è male."
"Altro che se non è male. Sai chi l'ha fatto?"
"Un artista non molto fortunato," spiegò Tony. "L'ha dipinto in cambio di cinquanta pasti gratis."
"Solo cinquanta? Michael ha fatto un buon affare."
Continuarono a parlare di film, libri, musica e teatro.
La cena fu incantevole quanto la conversazione. Ordinarono un antipasto leggero: due crépes, una con la ricotta e un'altra con salsa di funghi, carne, peperoni, cipolla e aglio. L'insalata era croccante e saporita, arricchita da sottili fettine di funghi crudi. Tony scelse la carne, vitello alla Savatino, una specialità della casa: tenere scaloppine ricoperte da un velo di salsa, rondelle di cipolle e zucchine alla griglia. Alla fine fu servito un ottimo cappuccino.
A quel punto, Hilary lanciò un'occhiata all'orologio e scoprì con stupore che erano già le ventitré e dieci.
Michael Savatino si fermò un attimo al loro tavolo e riferì a Tony: "Con questa siamo a ventuno."
"Oh, no. Ventitré."
"Non secondo i miei calcoli."
"I tuoi calcoli sono sbagliati."
"Ventuno," insistè Michael.
"Ventitré," ripetè Tony. "Anzi, visto che siamo in due, arriviamo a ventiquattro."
"No, no," replicò Michael. "Contiamo le visite, non il numero dei coperti."
Hilary li ascoltò perplessa e poi domandò: "Sbaglio o state dando davvero i numeri?"
Michael scosse la testa, esasperato dalla cocciutaggine di Tony. Si rivolse a Hilary e le spiegò: "Quando ha dipinto il murale, io avrei voluto pagarlo in contanti, ma sapevo che non avrebbe mai accettato. Ha voluto barattare quel dipinto con dei pranzi gratuiti. Gliene ho proposti almeno cento. Lui ne voleva solo venticinque. Alla fine abbiamo raggiunto l'accordo su cinquanta. Sottovaluta le sue capacità ed è una cosa che mi fa andare in bestia."
"Vuol dire che l'ha dipinto Tony?"
"Non gliel'ha detto?"
"No."
Hilary guardò Tony che sorrise imbarazzato.
"Ecco perché va in giro con quella jeep," proseguì Michael. "Quando vuole arrampicarsi sulle colline per dipingere un paesaggio, quella macchina lo porta ovunque."
"Mi ha detto che la usa per andare a sciare."
"Anche. Ma principalmente l'ha comperata per andare sulle colline a dipingere. Dovrebbe essere orgoglioso delle sue opere, ma è più facile cavare un ragno da un buco che convincerlo a parlare dei suoi quadri."
"Sono un dilettante," replicò Tony. "Non c'è niente di più noioso di un dilettante che parla in continuazione della sua fantomatica 'arte'."
"Quel dipinto non è opera di un dilettante," puntualizzò Michael.
"Decisamente no," rincarò Hilary.
"Siete miei amici," continuò Tony, "ed è logico che esageriate con i complimenti. Ma nessuno di voi è un critico d'arte."
"Ha vinto due premi," confidò Michael a Hilary.
"Premi?" domandò Hilary a Tony.
"Niente di importante."
"Entrambe le volte è risultato il migliore," continuò Michael.
"Di che mostre si trattava?" chiese Hilary.
"Niente di serio," tergiversò Tony.
"Sogna di guadagnarsi da vivere con i suoi quadri," spiegò Michael, "ma non fa niente di concreto."
"Perché è solo un sogno," si schermì Tony. "Sarei uno stupido se pensassi di poter campare facendo il pittore."
"In realtà non ci ha mai provato," mormorò Michael rivolgendosi a Hilary.
"Un pittore non può contare su uno stipendio fisso," continuò Tony. "E nemmeno sull'assistenza sanitaria o sulla pensione."
"Ma se riesci a vendere anche solo due quadri al mese, a metà del loro valore reale, guadagni comunque più di quello che prendi come poliziotto," affermò Michael.
"E se non vendo niente per un mese oppure per sei mesi, chi paga l'affitto?"
Rivolgendosi a Hilary, Michael continuò: "Il suo appartamento è stracolmo di quadri. È seduto su una fortuna, ma non farà mai niente per sfruttarla."
"Sta esagerando," fu il commento di Tony.
"Ah, ci rinuncio!" esclamò Michael. "Forse lei riuscirà a farlo ragionare, Hilary." Mentre si allontanava dal loro tavolo, ripetè: "Ventuno."
"Ventitré," replicò Tony.
Più tardi, mentre tornavano a casa, Hilary suggerì: "Ma perché non provi almeno a portare alcuni dei tuoi quadri in una galleria per vedere se accettano di venderli?"
"Non lo farebbero."
"Almeno potresti tentare."
"Hilary, non sono abbastanza bravo."
"Quel dipinto è stupendo."
"C'è una bella differenza fra un murale per un ristorante e la vera arte."
"Quel dipinto è un'opera d'arte."
"Ti ricordo nuovamente che non sei un'esperta."
"Acquisto quadri non solo per mio diletto, ma anche come investimento."
"Con l'aiuto del direttore di una galleria per quanto riguarda l'investimento?" domandò.
"Esatto. Wyant Stevens a Beverly Hills."
"Allora l'esperto è lui, non tu."
"Perché non gli mostri qualcuno dei tuoi quadri?"
"Non soppor
to le sconfitte."
"Scommetto che non li rifiuterebbe."
"Non potremmo parlare d'altro?"
"Perché?"
"Mi sto annoiando."
"Sei testardo."
"E annoiato."
"Di che cosa vorresti parlare?"
"Be', per esempio si potrebbe decidere se è il caso che mi fermi da te per un bicchiere di brandy."
"Ti andrebbe di bere un brandy?"
"Cognac?"
"È l'unica cosa che ho."
"Che marca?"
"Remy Martin."
"Il migliore." Sorrise. "Ma, caspita, non so. E terribilmente tardi."
"Se non entri, dovrò bere da sola." Quella schermaglia la divertiva.
"Non posso lasciarti bere da sola."
"E il primo passo verso l'alcolismo."
"È vero."
"Se non entri a bere qualcosa con me, sarà come iniziarmi sulla strada del vizio e della perdizione."
"Non potrei mai perdonarmelo."
Un quarto d'ora dopo erano seduti l'uno accanto all'altra sul divano, di fronte al camino, sorseggiando il Remy Martin.
Hilary si sentiva la testa leggera, non per il cognac ma per il fatto di essere accanto a lui: si chiedeva se avrebbero finito con il fare l'amore. Non era mai andata a letto con un uomo al primo appuntamento. In genere, prima di farsi coinvolgere in una storia, studiava e valutava l'altro per settimane, a volte anche per mesi. Più di una volta, la sua perenne indecisione le aveva fatto perdere uomini che avrebbero potuto essere amanti stupendi e ottimi amici. Ma dopo una sola serata trascorsa con Tony Clemenza si sentiva perfettamente a suo agio. Era incredibilmente attraente. Alto. Scuro di carnagione. Una bellezza selvaggia. Possedeva l'autorità e la sicurezza di un poliziotto, ma era dolce. Sorprendentemente dolce. E sensibile. Era passato molto tempo dall'ultima volta in cui si era lasciata accarezzare e possedere, da quando aveva condiviso il piacere con un'altra persona. Come aveva potuto lasciar trascorrere tutto quel tempo? Immaginava di essere fra le sue braccia, nuda sotto di lui. Mentre si lasciava andare a quelle fantasie, si rese conto che probabilmente anche la mente di Tony era occupata dagli stessi, dolci pensieri.
Il telefono squillò.
"Maledizione!" esclamò Hilary.
"Qualcuno che non hai voglia di sentire?"
Hilary si girò a guardare il telefono, appoggiato su un angolo della scrivania. Continuava a squillare.
"Hilary?"
"Scommetto che è lui."
"Lui chi?"
"Continuo a ricevere quelle telefonate..."
Il suono stridente riempiva l'aria.
"Quali telefonate?"
"Da un paio di giorni, il telefono squilla, ma dall'altra parte nessuno risponde. E già successo sei o sette volte."
"E non dice niente?"
"Si limita ad ascoltare. Penso sia qualche squilibrato montato dalla notizia apparsa sui giornali a proposito di Frye."
Il suono insistente le fece digrignare i denti.
Si alzò e si avvicinò al telefono.
Tony la seguì. "Il tuo numero è sull'elenco?"
"La prossima settimana me ne daranno uno nuovo che non comparirà sull'elenco."
Raggiunsero la scrivania e rimasero a fissare il telefono. Continuava a squillare.
"È lui. Ne sono sicura. Nessun altro lo farebbe suonare così a lungo."
Tony afferrò la cornetta. "Pronto!"
Non rispose nessuno.
"Casa Thomas," esclamò Tony. "Parla l'investigatore Clemenza."
Clic.
Tony riappese il ricevitore. "Ha riattaccato. Forse l'ho spaventato una volta per tutte."
"Lo spero."
"Comunque sia, è meglio che il tuo numero non compaia più sull'elenco telefonico."
"Oh, non ho alcuna intenzione di cambiare idea." "Lunedì mattina chiamerò immediatamente la compagnia telefonica e li informerò che la polizia di Los Angeles gradirebbe un lavoro veloce."
"Puoi farlo?"
"Certo."
"Grazie, Tony." Si raggomitolò su se stessa. Aveva freddo.
"Cerca di stare tranquilla," le raccomandò Tony. "Secondo le statistiche, i maniaci che si divertono a spaventare le persone con le telefonate non vanno mai oltre. In genere si accontentano della telefonata. Di solito non sono tipi violenti."
"Di solito?" .
"Quasi mai."
Hilary abbozzò un sorriso. "Non è un gran che."
Con la telefonata era svanita ogni probabilità di finire la serata nello stesso letto. Non era più dell'umore giusto e Tony se ne accorse.
"Vuoi che mi fermi ancora un po', nel caso richiamasse?"
"Sei molto gentile, ma immagino che tu abbia ragione. Non è pericoloso. Se lo fosse, non si sarebbe limitato a telefonare. A ogni modo l'hai spaventato. Probabilmente pensa che la polizia sia qui ad aspettarlo."
"Hai riavuto la tua pistola?"
Lei annuì. "Ieri sono andata in città a compilare il modulo che avrei dovuto presentare quando mi sono trasferita. Se il tipo della telefonata si fa vedere, posso farlo secco legalmente."
"Non penso proprio che ti disturberà ancora, almeno per questa notte."
"Certo, hai ragione."
Per la prima volta in tutta la serata, si sentirono leggermente imbarazzati.
"Be', è meglio che vada."
"Sì, è tardi."
"Grazie per il cognac."
"Grazie per la stupenda cena."
Sulla porta, le chiese: "Che cosa fai domani sera?"
Stava per mentirgli, quando si ricordò di come si era sentita, seduta accanto a lui sul divano. Ripensò anche alle parole di Wally Topelis e al pericolo di diventare un'eremita. Sorrise e rispose: "Sono libera."
"Ottimo. Che cosa ti piacerebbe fare?"
"Quello che vuoi."
Tony riflette un attimo. "E se passassimo insieme tutta la giornata?"
"Be'... perché no?"
"Cominceremo con un bel pranzetto. Passo a prenderti a mezzogiorno."
"Ti aspetto."
Le pose un bacio leggero e affettuoso sulle labbra. "A domani," la salutò.
"A domani."
Lo guardò allontanarsi, poi chiuse la porta.
Il corpo di Bruno Frye rimase solo e senza sorveglianza al Forever View per tutta la giornata di sabato.
Venerdì notte, dopo che Joshua Rhinehart se n'era andato, Avril Tannerton e Gary Olmstead avevano trasferito la salma in un'altra bara, un modello placcato in ottone con l'interno in velluto e seta. Avevano fatto scivolare il corpo in una veste bianca per la sepoltura, gli avevano messo le braccia lungo i fianchi e lo avevano coperto fino a metà torace con una leggera trapunta di velluto bianco. Viste le pessime condizioni, Tannerton non aveva voluto perdere tempo nel tentativo di rendere presentabile la salma. Gary Olmstead trovava abbietto e irrispettoso seppellire un corpo senza un minimo di trucco ma Tannerton lo convinse che anche i cosmetici avrebbero potuto fare ben poco per il viso ormai contratto di Bruno Frye.
"E inoltre," aveva aggiunto Tannerton, "tu e io saremo le ultime persone a vederlo. Dopo che l'avremo sigillata, questa bara non verrà mai più aperta."
Alle 21.45 di venerdì, chiusero e sigillarono il coperchio della cassa. Poi Olmstead se ne andò a casa dalla moglie e dal figlio, mentre Avril salì al primo piano: abitava sopra le camere mortuarie.
Sabato mattina di buon'ora Tannerton partì per Santa Rosa, con la sua Lincoln grigio metallizzato. Si portò una borsa per la notte, in quanto non aveva intenzione di tornare prima di domenica mattina alle dieci. Il funerale di Bruno Frye era l'unica cosa di cui dovesse occuparsi in quei giorni. Dato che nessuno sarebbe venuto a vegliare la salma, non c'era motivo che rimanesse al Forever View; era sufficiente che fosse presente per il rito funebre di domenica.
A Santa Rosa lo aspettava l'ultima di una lunga lista di amanti: Avril amava cambiare. Si chiamava Helen Virtillion. Era una bella donna, sulla trentina, magra, ben curata, con un prorompente seno ben sodo che Avril trovava irresistibile.
Molte donne erano attratte da Avril Tannerton, soprattutto per il lavoro che svolgeva. Naturalmente alcune fuggivano quando scoprivano che gestiva un'impresa di pompe funebri, ma molte altre rimanevano affascinate ed eccitate di fronte a quella strana professione.
Avril capiva che cosa lo rendeva desiderabile. Quando un uomo ha a che fare con i cadaveri, parte del mistero della morte gli penetra nelle ossa. Nonostante le lentiggini, l'aspetto da ragazzino, il sorriso disarmante, il senso dello humour e la grande affabilità, alcune donne lo trovavano misterioso ed enigmatico. Inconsciamente, pensavano che non sarebbero morte fino a quando fossero rimaste fra le sue braccia, come se i suoi servigi ai defunti potessero dispensare lui e chi gli stava vicino dalla fine inevitabile. Quell'atavica fantasia era simile alla segreta speranza di molte ragazze che sposano un medico perché sono inconsciamente convinte che il marito le possa, proteggere da tutte le malattie del mondo.
Perciò, per tutta la giornata di sabato, il corpo di Bruno Frye rimase solo, mentre Avril Tannerton faceva l'amore con Helen Virtillion a Santa Rosa.
Domenica mattina, due ore prima dell'alba, ci fu un improvviso trambusto alle pompe funebri, ma Tannerton non era presente per accorgersene.
Le luci del laboratorio si accesero improvvisamente, ma Tannerton non era là per vederle.
Il sigillo della bara venne spezzato e il coperchio gettato via. La sala si riempì di grida di rabbia e di dolore, ma Tannerton non era là per udirle.
Domenica mattina, verso le dieci, mentre Tony era in cucina a bere un bicchiere di succo di pompelmo, squillò il telefono. Era Janet Yamada, la donna che era uscita con Frank Howard la sera precedente.
"Com'è andata?" domandò Tony.
"Splendidamente, una serata meravigliosa."
"Davvero?"
"Certo. È uno zuccherino."
"Frank è uno zuccherino?"
"Avevi detto che era un tipo freddo, distante, ma non è affatto vero." -
"Ah no?"
"Ed è così romantico."
"Frank?"
"E chi, se no?"
"Frank Howard è romantico?"
"Oggigiorno non esistono più uomini con l'animo sensibile," continuò Janet. "A volte penso che il romanticismo e la cavalleria siano stati gettati dalla finestra quando hanno avuto inizio la rivoluzione sessuale e il movimento femminista. Invece Frank ti aiuta a infilarti il cappotto, ti apre la porta e ti scosta la sedia per farti accomodare. Mi ha persino portato un mazzo di rose. Sono stupende."