Sussurri

Home > Thriller > Sussurri > Page 24
Sussurri Page 24

by Dean Koontz


  "Pensavo avresti avuto problemi a comunicare con lui."

  "Oh, no. Abbiamo molti interessi in comune."

  "E cioè?"

  "Per esempio il baseball."

  "È vero! Mi ero dimenticato che ti piaceva."

  "Sono una fanatica."

  "E così avete parlato di baseball per tutta la sera."

  "Oh no. Abbiamo chiacchierato anche di molte altre cose. Di film..."

  "Film? Vuoi dire che Frank è un appassionato di ci­nema?"

  "Conosce a memoria tutte le battute dei vecchi film di Bogart. Ne abbiamo anche recitate alcune insieme."

  "Sono tre mesi che gli parlo di film e non ha mai aperto bocca."

  "E parecchio che non va al cinema, ma questa sera ce lo porto."

  "Uscite di nuovo?"

  "Sì. Ti ho chiamato per ringraziarti. Sei stato carino a farmelo conoscere."

  "Sono o non sono un mago nel combinare gli appunta­menti?"

  "Volevo inoltre dirti che se anche non dovesse accadere nulla fra noi, cercherò di essere gentile con lui. Mi ha rac­contato di Wilma. Che storia schifosa! Mi rendo conto che è stato un duro colpo per lui e non mi piace che venga fe­rito un'altra volta."

  Tony era sbalordito. "Ti ha raccontato di Wilma la prima volta che siete usciti?"

  "Mi ha confessato che di solito non riesce a parlarne, ma poi tu gli hai fatto capire molte cose."

  "Io?"

  "Dopo che lo hai aiutato ad accettare ciò che è successo, riesce a parlarne senza soffrire."

  "Mi sono limitato a stare ad ascoltarlo quando ha vuo­tato il sacco."

  "Pensa che tu sia un tipo veramente in gamba."

  "Frank sì che sa giudicare le persone, non trovi?"

  Più tardi, contento per l'ottima impressione che Frank aveva fatto a Janet Yamada e sperando nell'evoluzione della sua storia con Hilary, Tony si diresse verso Westwood. Hilary lo stava aspettando: uscì di casa mentre lui entrava nel vialetto d'ingresso. Era deliziosa con un paio di pantaloni neri, una camicetta azzurra e una leggera giacca di velluto. Quando le aprì la portiera, Hilary gli diede un rapido bacio sulla guancia e Tony avvertì una fresca fra­granza al limone.

  Sarebbe stata una splendida giornata.

  Stravolto dopo una notte insonne, trascorsa con Helen Virtillion, Avril Tannerton tornò da Santa Rosa poco prima delle dieci di domenica.

  Non guardò dentro la bara.

  Tannerton si recò con Gary Olmstead al cimitero per preparare la tomba per la cerimonia del pomeriggio. Mon­tarono la struttura che sarebbe stata utilizzata per calare la bara sotto terra e con i fiori e l'erba cercarono di rendere la tomba il meno spettrale possibile.

  Alle 12.30 Tannerton usò una pelle di daino per togliere la polvere e le impronte dalla bara di ottone di Bruno Frye. Passando la mano sugli spigoli smussati della cassa, ripensò allo stupendo seno di Helen Virtillion.

  Non guardò dentro la bara.

  All'una Tannerton e Olmstead caricarono la cassa sul carro funebre.

  Nessuno guardò dentro la bara.

  Alle 13.30 si diressero verso il Napa County Memorial Park. Joshua Rhinehart e pochi altri conoscenti seguirono con le loro macchine. Considerando il fatto che si trattava del funerale di un uomo ricco e influente, il corteo funebre era incredibilmente ridotto.

  Era una giornata fresca e luminosa. Gli alberi ad alto fu­sto proiettavano l'ombra sulla strada e il carro funebre at­traversò strisce di luce e ombra.

  Al cimitero, la cassa venne appoggiata su un'imbracatura sopra la tomba e una quindicina di persone si raggnippa­rono per ascoltare il breve servizio funebre. Gary Olmstead si appostò vicino alla pulsantiera, nascosta dai fiori, colle­gata all'imbracatura che avrebbe calato la bara nella fossa. Avril era davanti alla tomba e leggeva alcuni versi. Joshua Rhinehart era accanto a lui. Le altre persone erano dispo­ste ai lati della tomba. C'erano alcuni viticoltori con le mogli. Avevano venduto i loro raccolti alla cantina di Bruno Frye e consideravano la loro presenza al funerale come un obbligo sociale. Per lo stesso motivo erano intervenuti an­che i dirigenti dello Shade Tree Vineyards con le rispettive mogli. Nessuno versò una lacrima.

  E nessuno ebbe l'opportunità o il desiderio di guardare dentro la bara.

  Tannerton finì di leggere. Lanciò un'occhiata a Gary Olmstead e annuì.

  Olmstead premette un bottone. Il piccolo motore elet­trico iniziò a ronzare. La bara venne calata lentamente nella terra.

  Hilary non ricordava di essersi mai divertita tanto come du­rante la prima giornata trascorsa interamente con Tony Clemenza.

  Andarono a pranzo allo Yamashiro Skyroom, sulle col­line di Hollywood. Il cibo non era eccezionale, anzi piutto­sto banale, ma l'atmosfera e la splendida posizione lo ren­devano perfetto per una cena o un pranzo diverso dal so­lito. Il ristorante era stato costruito in un autentico palazzo giapponese che in passato era appartenuto a una ricca fami­glia. Era circondato da quattro ettari di giardini ornamen­tali perfettamente curati. Dal punto più alto, si godeva una vista impareggiabile dell'intera città di Los Angeles. La giornata era talmente limpida che Hilary riuscì a scorgere persino Long Beach e Palo Verde.

  Dopo pranzo, raggiunsero Griffith Park. Per circa un'ora gironzolarono per lo zoo di Los Angeles, dando da mangiare agli orsi mentre Tony si esibiva in esilaranti imi­tazioni dei versi degli animali. In seguito decisero di visi­tare una speciale mostra di ologrammi nell'Osservatorio di Griffith Park.

  Più tardi si avventurarono lungo la Melrose Avenue, gironzolando fra i negozi di antiquariato senza comprare nulla ma curiosando qua e là e scambiando quattro chiac­chiere con i proprietari.

  All'ora dell'aperitivo, si diressero a Tonga Lei per un Mai Tais.

  Rimasero a lungo a osservare il sole che si tuffava nell'o­ceano e le onde che si frangevano ritmicamente sulla spiaggia.

  Sebbene Hilary vivesse a Los Angeles già da parecchio tempo, il suo mondo era sempre ruotato attorno al proprio lavoro, alla casa, alle rose, al lavoro, agli studi cinematogra­fici, al lavoro, ai pochi ristoranti eleganti nei quali la gente dello spettacolo si ritrovava per discutere di affari. Non era mai stata allo Yamashiro Skyroom, allo zoo, allo show de­gli ologrammi, nelle botteghe di antiquariato o a Tonga Lei. Per lei era tutto nuovo. Le sembrava di essere una turi­sta o, meglio ancora, una prigioniera appena rilasciata dopo una condanna lunghissima trascorsa nel più assoluto isolamento.

  Ma non erano solo i luoghi visitati a rendere tanto spe­ciale quella giornata. Non sarebbero stati altrettanto inte­ressanti e divertenti se ad accompagnarla non ci fosse stato Tony. Era così affascinante, così sagace e così pieno di energie da rendere ancora più radiosa quella giornata.

  Dopo aver sorseggiato lentamente un paio di Mai Tais, si ritrovarono con una fame da lupi. Si diressero verso San Fernando Valley per cenare al Mel's Landing, un altro lo­cale di cui Hilary non aveva mai sentito parlare. Il Mel's era un ristorantino senza troppe pretese e dai prezzi acces­sibili dove si mangiava il pesce migliore che Hilary avesse mai assaggiato.

  Mentre divoravano frutti di mare enormi, iniziarono a discutere dei vari locali nei quali erano soliti recarsi a cena: Hilary scoprì che Tony ne conosceva molti più di lei. Hi­lary non andava oltre quei pochi ristoranti di lusso dove si recavano gli attori e i pezzi grossi dell'industria cinematografica. Le trattorie fuori mano, i caffè seminascosti che servivano le specialità della casa e i ristorantini a condu­zione familiare con i loro piatti semplici ma deliziosi sem­bravano rappresentare un altro aspetto della città che non si era mai presa la briga di conoscere. Si rese conto di essere diventata ricca senza assaporare la gioia e la libertà che tale ricchezza poteva offrirle.

  Mangiarono troppi frutti di mare, troppi crostacei e troppi gamberi. E bevvero anche troppo vino bianco.

  Considerando l'enorme quantità di cibo divorato, Hilary fu sorpresa nel notare che erano riusciti comunque a chiac­chierare. Non avevano mai smesso di parlare. Normal­mente, era piuttosto riservata quando usciva con un uomo per la prima volta, ma con Tony era diverso. Voleva sapere che c
osa ne pensava lui di una valanga di argomenti: da Mork e Mindy al dramma shakespeariano, dalla politica al­l'arte. Gente, cani, religione, architettura, sport, Bach, moda, cibo, femminismo, cartoni animati del sabato... sem­brava fosse di vitale importanza conoscere la sua opinione su quelle e altre mille questioni. E non vedeva l'ora di spie­gargli ciò che pensava lei per sapere che cosa ne pensava lui: alla fine gli comunicò quello che pensava avesse pen­sato dei suoi pensieri. Continuarono a parlare ininterrotta­mente, come se qualcuno li avesse informati che Dio avrebbe reso tutti gli uomini sordi e muti allo spuntare del sole. Hilary era ubriaca, ma non tanto per il vino, quanto per l'intimità e la spontaneità che trasparivano da quella conversazione; era intossicata da tutte quelle parole, da quella micidiale pozione alla quale non si era ancora abi­tuata.

  Quando giunsero davanti a casa e decisero di fermarsi per il bicchiere della staffa, Hilary ebbe la certezza che avrebbero finito per fare l'amore. Lo desiderava moltissimo e il solo pensiero di stringerlo a sé la riempì di eccitazione. E sapeva che anche lui la desiderava: glielo si leggeva negli occhi. Ma per il momento erano stracolmi di cibo e Hilary ritenne più opportuno versare un po' di crema di menta e ghiaccio per entrambi.

  Si erano appena seduti quando squillò il telefono.

  "Oh, no!" esclamò.

  "Ti ha richiamato dopo l'altra notte?"

  "No."

  "E stamattina?"

  "No."

  "Forse non è lui."

  Andarono entrambi verso il telefono.

  Hilary esitò un attimo, poi sollevò la cornetta. "Pronto?"

  Silenzio.

  "Maledizione!" urlò, sbattendo con tale forza il ricevi­tore da temere di averlo rotto.

  "Non devi innervosirti."

  "Non ci riesco," mormorò.

  "È solo un verme schifoso che non sa come trattare le donne. Ne ho visti tanti. Se avesse la possibilità di stare con una donna, se una donna gli si offrisse su un piatto d'ar­gento, scapperebbe via terrorizzato."

  "Comunque mi fa paura."

  "Non è pericoloso. Torniamo sul divano. Siediti. Cerca di dimenticarlo."

  Si rimisero sul divano e sorseggiarono la crema di menta in silenzio per un paio di minuti.

  Poi Hilary borbottò: "Dannazione."

  "Domani pomeriggio avrai il numero nuovo. E a quel punto non potrà più darti fastidio."

  "Ma mi ha rovinato la serata. Ero così contenta."

  "Io lo sono ancora."

  "È solo che... speravo in qualcos'altro oltre a un bic­chiere accanto al camino."

  Tony la fissò. "Davvero?"

  "Tu no?"

  Tony le regalò un sorriso speciale: non era solo la particolare configurazione della bocca, ma includeva il viso nel suo insieme e gli occhi scuri ed espressivi. Era il sorriso più spon­taneo e decisamente più affascinante che avesse mai visto. Lui la punzecchiò: "Devo ammettere che anch'io speravo di assaggiare qualcosa di più della crema di menta."

  "Dannato telefono."

  Tony si chinò e la baciò. Lei socchiuse le labbra e per un dolcissimo attimo le lingue si sfiorarono. Tony si allontanò e la guardò accarezzandole delicatamente il viso. "Forse siamo ancora dell'umore giusto."

  "E se il telefono squilla di nuovo?"

  "Non succederà."

  La baciò sugli occhi, poi sulle labbra e le appoggiò una mano sul seno.

  Hilary si distese e lui fece altrettanto. Lei gli mise una mano sul braccio e avvertì la massa dei muscoli sotto la ca­micia.

  Continuando a baciarla, Tony le accarezzò il collo con la punta delle dita e iniziò a sbottonarle la camicetta.

  Hilary sfiorò la sua coscia muscolosa. Era così forte. Fece scivolare la mano e sentì la sua erezione, calda e dura come l'acciaio. Lo immaginò mentre entrava dentro di lei, spingendosi sempre più in fondo, e fu pervasa da un bri­vido di piacere.

  Lui avvertì la sua eccitazione e si fermò un attimo ad ac­carezzare dolcemente il rigonfiamento del seno che sbu­cava dalla camicetta sbottonata. Le dita sembravano la­sciare una traccia gelida sulla sua pelle infuocata: Hilary as­saporò quella sensazione piacevole quanto il suo tocco deli­cato.

  Il telefono squillò.

  "Fai finta di niente," suggerì Tony.

  Lei cercò di seguire il suo consiglio. Gli mise le braccia al collo e si distese sul divano attirandolo a sé. Lo baciò con passione, stringendo le labbra contro le sue, leccando e mordicchiando.

  Il telefono continuava a suonare.

  "Dannazione!"

  Si misero a sedere.

  I trilli continuavano a risuonare nella casa.

  Hilary si alzò.

  "Non farlo," disse Tony. "Parlargli non è servito. Lascia che me ne occupi io e vediamo che cosa succede."

  Si alzò e andò verso il telefono. Sollevò il ricevitore e non disse nulla. Si limitò ad ascoltare.

  Hilary capì dalla sua espressione che l'altro non stava parlando. Tony era deciso a resistere. Guardò l'orologio.

  Passarono trenta secondi. Un minuto. Due minuti.

  La prova di resistenza ingaggiata dai due uomini ricor­dava vagamente un gioco per bambini, ma non c'era niente di infantile in quella storia. Faceva venire i brividi. Hilary aveva la pelle d'oca.

  Due minuti e mezzo.

  Sembravano un'eternità.

  Alla fine, Tony depose il ricevitore. "Ha riappeso."

  "Senza dire nulla?"

  "Neanche una parola. Ma ha riattaccato per primo e credo sia importante. Ho pensato che non avrebbe gradito la stessa medicina che cercava di somministrare a te. Crede di poterti spaventare. Ma tu ti aspetti la chiamata e ti limiti ad ascoltarlo, come fa lui. All'inizio crede che tu sia solo gentile ed è sicuro di potercela fare. Ma se continui a rima­nere in silenzio, si chiede se per caso non hai in mente qualcosa. Forse hai il telefono sotto controllo? Forse la po­lizia sta cercando di localizzare la chiamata? Sei proprio tu che rispondi al telefono? Inizia a pensare a queste cose, si spaventa e riappende."

  "Lui ha paura? Be', è confortante," mormorò.

  "Non credo che abbia il coraggio di richiamare. Almeno non prima di domani. Ma sarà troppo tardi, perché avrai già cambiato numero."

  "Comunque, non sarò tranquilla fino a quando quelli del telefono non avranno finito."

  Tony allargò le braccia e lei si lasciò stringere. Si bacia­rono di nuovo.

  Era ancora incredibilmente bello, dolce e piacevole, ma mancava la passione irrefrenabile che li aveva assaliti poco prima. Entrambi si resero conto dolorosamente della diffe­renza.

  Ritornarono sul divano ma solo per finire la crema di menta e per parlare. Alle 12.30, Tony decise di tornare a casa. Si erano comunque accordati per trascorrere il fine settimana successivo in giro per musei. Sabato sarebbero andati al Norton Simon Museum di Pasadena per ammi­rare i quadri degli espressionisti tedeschi e gli arazzi del Ri­nascimento. Domenica si sarebbero recati al J. Paul Getty Museum, che vantava una delle collezioni più ricche del mondo. Naturalmente, fra un museo e l'altro, avrebbero gustato una valanga di buon cibo, avrebbero chiacchierato di mille cose e, lo speravano ardentemente, avrebbero ri­preso da dove avevano interrotto.

  Davanti alla porta, mentre Tony stava per andarsene, Hilary si rese improvvisamente conto che non avrebbe sop­portato di rimanere cinque giorni senza vederlo.

  "Che cosa ne dici di mercoledì?"

  "Per che cosa?"

  "Hai impegni per cena?"

  "Oh, probabilmente mi farò un paio di uova che stanno diventando vecchie nel frigorifero."

  "Sono micidiali per il colesterolo."

  "E forse toglierò la muffa dal pane e mi farò un toast. E dovrei anche finire il succo di frutta che ho comprato due settimane fa."

  "Povero caro."

  "E la vita dello scapolo."

  "Non posso permettere che mangi ùóva vecchie e pane ammuffito. Soprattutto considerando il fatto che sono bra­vissima a preparare filetti di sogliola con insalata mista."

  "Una cenetta leggera ma deliziosa," commentò.

  "Non vorrai
forse trovarti con la pancia strapiena e gli occhi pesanti!"

  "Non si sa mai che cosa può succedere dopo."

  Hilary fece una smorfia. "Esatto."

  "Ci vediamo mercoledì."

  "Alle sette?"

  "Sette in punto."

  Si scambiarono un ultimo bacio e poi lui si allontanò nel vento freddo della notte.

  Mezz'ora più tardi, distesa sul letto, Hilary sentì il corpo che le doleva per la frustrazione. Aveva il seno gonfio e teso e desiderava ardentemente che le mani di Tony glielo massaggiassero dolcemente. Chiuse gli occhi e le parve di avvertire le sue labbra sui capezzoli induriti. Il ventre ebbe un fremito mentre Hilary immaginava le braccia possenti di Tony che la stringevano e il suo corpo che si muoveva len­tamente dentro di lei. Si sentiva bagnata, calda e piena di desiderio. Si rigirò nel letto per più di un'ora, poi decise di alzarsi e di prendere un tranquillante.

  Mentre il sonno stava per avere il sopravvento, intavolò una conversazione alquanto confusa con se stessa.

  Mi sto innamorando?

  - No. Certo che no.

  Forse. Forse sì.

  - No. L'amore è pericoloso.

  Forse con lui funzionerà.

  - Ricordati Earl ed Emma.

  Tony è diverso.

  - Tu hai voglia. Tutto qui. Hai solo voglia.

  Anche questo è vero.

  Si addormentò e sognò. Alcuni sogni le parvero dorati ma leggermente confusi. In uno di questi era nuda con Tony, distesa in un prato la cui erba ricordava le piume di un uccello. Il prato era posto sulla sommità di una roccia e il vento caldo era più limpido dei raggi del sole, più forte della corrente elettrica e più trasparente di qualsiasi altra cosa al mondo.

  Ma ebbe anche qualche incubo. In uno si ritrovò nel vecchio appartamento di Chicago proprio mentre le pareti le si stringevano addosso. Alzò lo sguardo e vide che il sof­fitto era scomparso. C'erano invece Earl ed Emma che la fissavano, con le facce enormi e una smorfia sulle labbra, mentre le pareti cercavano di schiacciarla. Quando aprì la porta per fuggire dall'appartamento, si imbattè in un gigan­tesco scarafaggio, un insetto mostruoso più grande di lei che aveva tutta l'intenzione di volerla mangiare viva.

 

‹ Prev