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Sussurri

Page 32

by Dean Koontz


  "Lasciami stare, dannazione!"

  "Ripeti quello che ha detto."

  "Me ne andrò in un albergo e poi risolverò questa fac­cenda a modo mio."

  "Voglio che tu mi ripeta tutto quello che ha detto."

  "Non puoi fare niente per fermarmi," ruggì. "E ora la­sciami andare."

  Tony alzò la voce per farsi sentire. "Devo sapere quello che ha detto sui vampiri, maledizione!"

  I loro occhi si incontrarono. Hilary sembrò riconoscere la paura e la confusione nello sguardo di Tony e smise di divincolarsi. "Che cosa c'è di così importante?"

  "La faccenda dei vampiri."

  "Perché?"

  "Pare che Frye fosse ossessionato dalle scienze occulte."

  "E tu come lo sai?"

  "Abbiamo trovato alcuni oggetti nel suo furgone."

  "Che tipo di oggetti?"

  "Non ricordo esattamente. Un mazzo di tarocchi. Una tavoletta per comunicare con i morti, una decina di crocefissi..."

  "Sui giornali non hanno scritto niente."

  "Non abbiamo informato la stampa. E comunque, quando abbiamo fatto l'inventario degli oggetti rinvenuti nel furgone, i giornali avevano già pubblicato l'intera vicenda e i giornalisti erano già giunti alla conclusione. Non era un caso particolarmente succulento e nessuno aveva interesse a riproporlo nei giorni successivi. Ma la­scia che ti spieghi che cos'altro abbiamo trovato. Sacchettini pieni di aglio attaccati alle portiere. Due picchetti di legno molto appuntiti. Una mezza dozzina di libri sui vampiri, sugli zombie e sulle altre specie dei cosiddetti 'morti viventi'."

  Hilary rabbrividì. "Ha detto che mi avrebbe strappato il cuore e che lo avrebbe trafitto con un picchetto."

  "Cristo."

  "Voleva anche strapparmi gli occhi, affinchè non vedessi più la strada del ritorno. Ha detto proprio così. Sono le sue esatte parole. Temeva che potessi ritornare dal regno dei morti dopo che mi aveva ucciso. Era completamente pazzo. Eppure lui è tornato dalla tomba, non è vero?" Si mise a ri­dere, in modo quasi isterico. "Voleva tagliarmi le mani per non farmi più tornare."

  Tony si sentì gelare: quell'uomo era stato a un passo dal mettere in pratica le proprie minacce.

  "Era lui," insistè Hilary. "Non capisci? Era Frye."

  "Non poteva essere truccato?"

  "Che cosa?"

  "Non poteva trattarsi di qualcuno truccato in modo da assomigliare a Frye?"

  "E chi mai avrebbe fatto una cosa del genere?"

  "Non lo so."

  "Che cosa ci avrebbe guadagnato?"

  "Non lo so."

  "Mi accusavi di arrampicarmi sui vetri. Be', tu stai fa­cendo anche peggio. Stai blaterando stupidaggini senza senso."

  "Ma non poteva essere qualcun altro truccato come lui?" ripetè Tony.

  "Impossibile. Da vicino, non c'è trucco che tenga. E il corpo era quello di Frye. Stessa altezza e stesso peso. Stessa struttura. Stessi muscoli."

  "Ma se fosse stato qualcuno truccato, in grado di imitare la voce di Frye..."

  "Sarebbe tutto più semplice, vero?" lo aggredì lei. "La tua versione, per quanto bizzarra e inspiegabile, è più facile da accettare della mia storia del morto vivente. Ma hai ac­cennato alla sua voce e qui la tua teoria non regge. Nes­suno potrebbe imitare quella voce. Oh, un bravo imitatore potrebbe riprodurre il tono basso, la cadenza, e l'accento, ma non quell'orribile suono gracchiante e stridente. Può parlare così solo chi ha una malformazione alla laringe op­pure le corde vocali troppo tirate. Probabilmente Frye è nato con qualche difetto alla laringe. Oppure è rimasto fe­rito alla gola quando era bambino. Magari tutt'e due le cose. A ogni modo, è stato Bruno Frye a parlarmi, e non qualcuno che gli assomigliava. Scommetterei fino all'ul­timo centesimo."

  Tony non era più tanto sicuro che Hilary fosse in preda a una crisi isterica o in stato confusionale. Aveva lo sguardo attento e si esprimeva con frasi decise. Sembrava una donna completamente padrona di se stessa.

  "Ma Frye è morto," obiettò Tony.

  "Era qui."

  "Ma com'è possibile?"

  "È proprio quello che intendo scoprire."

  Tony si ritrovò a passeggiare in un meandro del proprio cervello, pieno di eventi assolutamente impossibili. Gli parve di ricordare qualcosa relativo a una storia di Sher­lock Holmes. Holmes aveva spiegato a Watson che, dopo aver eliminato tutte le possibilità a eccezione di una, l'ul­tima rimasta, per quanto assurda o improbabile, deve corri­spondere alla verità.

  Forse l'impossibile era possibile?

  Un morto poteva camminare?

  Ripensò all'impiegabile legame fra le minacce dell'assali­tore e gli oggetti trovati nel furgone di Bruno Frye. Ri­pensò a Sherlock Holmes e alla fine disse: "Va bene."

  "Va bene che cosa?" domandò Hilary.

  "Va bene, forse era Frye."

  "Era lui."

  "Forse... in qualche modo... Dio solo sa come... forse è sopravvissuto a quelle pugnalate. Sembra assolutamente impossibile, ma non posso escluderlo."

  "Quale concessione!" sbottò Hilary. Era ancora arrab­biata e non l'avrebbe perdonato facilmente.

  Si allontanò da lui ed entrò in camera.

  Lui la seguì.

  Si sentiva un po' stupido. Sherlock Holmes non aveva parlato di quello che si provava una volta giunti alla con­clusione che niente era impossibile.

  Hilary prese una valigia dall'armadio, l'appoggiò sul letto e iniziò a riempirla di vestiti.

  Tony si avvicinò al telefono e alzò il ricevitore. "Non c'è la linea. Deve aver tagliato i fili. Dovremo usare il telefono dei vicini per riferire quanto è successo."

  "Non ho intenzione di dire niente."

  "Non preoccuparti. Ora tutto è diverso. Sosterrò la tua tesi."

  "E troppo tardi," ribatté aspramente.

  "Che cosa vuoi dire?"

  Hilary non rispose. Afferrò una camicia con tale forza da far cadere la gruccia.

  "Spero che tu non abbia davvero intenzione di nasconderti in un albergo e di assumere investigatori privati."

  "Oh, certo. E esattamente quello che voglio fare," sbottò lei, piegando la camicetta.

  "Ma ho detto che ti credo."

  "E io ho detto che è troppo tardi. Ormai è troppo tardi."

  "Perché rendi tutto così difficile?"

  Hilary non rispose. Appoggiò la camicetta nella valigia e ritornò all'armadio per prendere altri vestiti.

  "Ascolta," proseguì Tony, "mi sono limitato a esprimere qualche ragionevole dubbio. I dubbi che avrebbe avuto chiunque in una situazione come questa. Insomma, gli stessi che avresti sollevato tu se io ti avessi detto di aver vi­sto un morto che camminava. Se fossi stato al tuo posto, mi sarei aspettato un certo scetticismo e non mi sarei arrab­biato con te. Si può sapere perché te la sei presa tanto?"

  Hilary ritornò verso il letto con un paio di camicette e iniziò a piegarle. Parlò senza nemmeno guardare Tony. "Io mi fidavo di te... mi fidavo ciecamente."

  "Non ho tradito la tua fiducia."

  "Sei come tutti gli altri."

  "Quello che è successo a casa mia non ha rappresentato niente di speciale?"

  Lei non disse nulla.

  "Vuoi farmi credere che quello che hai provato questa notte, non solo con il corpo, ma anche con il cuore e con la testa, è quello che provi normalmente con tutti gli uo­mini?"

  Hilary cercò di non ascoltarlo. Si concentrò su quello che stava facendo, sistemò la seconda camicetta nella vali­gia e iniziò a piegare la terza. Ma le tremavano le mani.

  "Be', per me è stato qualcosa di speciale," proseguì Tony con aria decisa. "E stato perfetto. Meglio di quanto ci si possa aspettare. E non mi riferisco solo al sesso. Il fatto di stare insieme. Di condividere qualcosa. Mi sei entrata den­tro come nessun'altra donna è mai riuscita a fare. Quando te ne sei andata, stanotte, ti sei appropriata di una parte di me, un pezzetto del mio cuore, qualcosa di vitale. Per il re­sto della mia vita, mi sentirò completo solo quando sarò con te. Quindi, se credi che ti lascerò andare via così, ti sbagli di grosso. Sono disposto a tutto pur di tener
ti con me, Hilary."

  Lei aveva smesso di piegare la camicetta. Era rimasta ferma e immobile, con lo sguardo sulla valigia.

  In quel momento, Tony avrebbe dato tutto l'oro del mondo pur di conoscere i suoi pensieri.

  "Ti amo," le sussurrò.

  Senza distogliere lo sguardo, lei rispose con voce tre­mante: "La gente mantiene forse gli impegni? Mantiene forse le promesse? Promesse di questo tipo? Quando qual­cuno dice: 'ti amo' pensi ci creda davvero? I miei genitori si sussurravano tenere parole d'amore e due minuti dopo mi picchiavano a sangue. E io a chi dovrei credere? A te? E per­ché mai? Non finirà forse in modo doloroso? Non finisce sempre così? Preferisco stare da sola. Sono in grado di pren­dermi cura di me stessa. Starò benissimo. Non voglio rima­nere ferita un'altra volta. Sono stanca di essere ferita. Danna­tamente stanca! Non voglio prendermi un impegno e correre dei rischi. Non posso. Non ce la faccio."

  Tony l'afferrò per le spalle e la costrinse a guardarlo ne­gli occhi. Hilary aveva le labbra che tremavano e gli occhi pieni di lacrime, che riuscì tuttavia a trattenere.

  "Tu provi gli stessi sentimenti per me," mormorò Tony. "Lo so. Lo sento. Ne sono sicuro. Tu non mi stai rifiutando perché ho dubitato della tua storia. Questo non c'entra as­solutamente. Vuoi rifiutarmi perché ti stai innamorando e ne sei terrorizzata. Terrorizzata per colpa dei tuoi genitori. Per colpa di quello che ti hanno fatto, per tutte le botte che hai preso, e per una valanga di altre ragioni che non mi hai ancora spiegato. Vuoi fuggire dai tuoi sentimenti per­ché la tua infanzia ti ha distrutto a livello emotivo. Ma tu mi ami. Mi ami davvero. E lo sai anche tu."

  Hilary non riusciva a parlare. Si limitò a scuotere la te­sta: no, no, no.

  "Non dirmi che non è vero," proseguì Tony. "Abbiamo bisogno l'uno dell'altra, Hilary. Io ho bisogno di te perché per tutta la vita ho avuto paura di rischiare con le cose: il denaro, la carriera, l'arte. Sono sempre stato disposto nei confronti delle persone, pronto a stabilire nuove relazioni, ma non ho mai saputo modificare le circostanze. Con te, grazie a te, per la prima volta, provo il desiderio di allonta­narmi, seppure cautamente, dalla sicurezza dello stipendio fisso da poliziotto. E ora, quando penso seriamente a gua­dagnarmi da vivere dipingendo, non mi sento più in colpa, come una volta. Non sento più le prediche di mio padre sul denaro, sulla responsabilità e sulla crudeltà del destino, come succedeva prima. Se penso alla vita dell'artista, non rivivo più automaticamente le crisi finanziarie che la mia famiglia ha dovuto sopportare, quando non avevamo abba­stanza da mangiare e rischiavamo di restare senza nem­meno un tetto. Finalmente sono riuscito a gettarmi tutto dietro le spalle. Non sono ancora sufficientemente forte per mollare il lavoro e buttarmi. Mio Dio, no. Non ancora. Ma, grazie a te, riesco a immaginarmi nelle vesti di un pit­tore, e riesco a farlo seriamente, anche se fino a una setti­mana fa mi sembrava assolutamente impossibile."

  Hilary aveva il volto rigato di lacrime. "Sei così bravo," mormorò. "Sei un artista meravigliosamente sensibile."

  "E tu hai bisogno di me proprio come io ne ho di te," continuò Tony. "Senza di me, continueresti a rinchiuderti nel tuo guscio, sempre di più. E saresti sempre più sola e amareggiata. Hai sempre osato rischiare con le cose, il de­naro e la tua carriera. Ma non te la sei mai sentita di ri­schiare con le persone. Vedi? Siamo diametralmente oppo­sti. Ma ci completiamo. Abbiamo parecchie cose da inse­gnare l'uno all'altra. Possiamo aiutarci a crescere. E come se ognuno di noi fosse solo una persona a metà: e ora ab­biamo trovato la parte mancante. Io sono tuo. Tu sei mia. E una vita che brancoliamo nel buio, cercandoci disperata­mente.''

  Hilary lasciò cadere la camicetta gialla che stava per ri­porre nella valigia e gli gettò le braccia al collo.

  Tony l'abbracciò, baciandole le labbra salate di lacrime.

  Per un paio di minuti rimasero stretti l'uno all'altra. Nessuno dei due riusciva a parlare.

  Alla fine Tony mormorò: "Guardami negli occhi."

  Lei alzò la testa.

  "Hai gli occhi così scuri," sussurrò lei.

  "Dimmelo."

  "Dirti che cosa?"

  "Quello che voglio sentire."

  Lo baciò agli angoli della bocca.

  "Dimmelo," ripetè.

  "Io... ti amo."

  "Di nuovo."

  "Ti amo, Tony. Davvero."

  "Era così difficile?"

  "Sì. Per me lo era."

  "Se continuerai a ripeterlo, sarà sempre più facile."

  "Cercherò di fare molta pratica," mormorò Hilary.

  Stava ridendo e piangendo allo stesso tempo.

  Tony avvertì una strana sensazione al petto, come se fosse sul punto di esplodere per la gioia. Nonostante la notte insonne, si sentiva completamente sveglio, pieno di energia e consapevole di avere fra le braccia una donna davvero speciale: il suo calore, il corpo sinuoso, la pelle morbida, lo spirito vivace, il profumo appena accennato e l'odore della sua pelle e dei suoi capelli lo rendevano pieno di vita.

  "Ora che ci siamo trovati, tutto andrà bene," esclamò Tony.

  "No, almeno fino a quando non risolveremo il caso di Bruno Frye. O chiunque sia. Qualunque cosa sia. Non sarò tranquilla fino a quando non sapremo che è morto e se­polto, una volta per tutte."

  "Se resteremo uniti," proseguì Tony, "ne usciremo sani e salvi. Non riuscirà a mettere le mani su di te fino a quando ci sarò io nei dintorni. Te lo prometto."

  "E io ti credo. Comunque... mi fa paura."

  "Non devi."

  "Non posso farci niente. E, a ogni modo, credo sia giu­sto avere paura di lui."

  Tony pensò allo scempio del piano inferiore, ai picchetti appuntiti e ai sacchettini pieni di aglio che avevano trovato nel furgone di Frye e decise che Hilary aveva ragione. Era giusto avere paura di Bruno Frye.

  Un morto che camminava?

  Hilary rabbrividì e Tony provò un senso di inquietudine.

  PARTE SECONDA

  I vivi e i morti viventi

  Il bene sussurra.

  Il male grida.

  Proverbio tibetano

  Il bene grida.

  Il male sussurra.

  Proverbio balinese

  5

  Martedì mattina, per la seconda volta in otto giorni, la terra tremò a Los Angeles. A Cal Tech venne registrata una scossa di ventitré secondi, di 4,6 gradi della scala Richter.

  Il sisma non arrecò seri danni e molti abitanti si diverti­rono a inventare barzellette per sdrammatizzare l'evento. Ne circolava una sugli arabi: avevano provocato il terre­moto per impossessarsi di parte della California e ottenere così un risarcimento per i debiti petroliferi. E quella sera, alla televisione, Johnny Carson avrebbe raccontato che era stata Dolly Parton a provocare il terremoto saltando giù dal letto. Quelli che erano arrivati in città da poco, tutta­via, non ci trovarono niente da ridere; erano convinti che non sarebbero mai riusciti a prendere un terremoto così alla leggera. In realtà, nel giro di pochi mesi, anche loro avrebbero cominciato a scherzarci sopra.

  Fino al terremoto con la "T" maiuscola.

  Era l'inconscia paura del grande sisma che portava i cali­forniani a ridicolizzare le scosse minori. Se si fossero soffer­mati a riflettere sulla possibilità di un vero cataclisma, con la terra che si spalancava sotto i piedi, sarebbero rimasti pa­ralizzati dalla paura. La vita doveva andare avanti nono­stante il rischio. Dopotutto, la terra poteva starsene tran­quilla per un centinaio d'anni, magari per sempre. Il freddo gelido delle zone orientali provocava più morti dei terremoti californiani. Vivere in Florida, battuta dagli ura­gani, o nelle pianure del Midwest, spesso investite dai tornado, era pericoloso quanto decidere di stabilirsi sulla fa­glia di Sant'Andrea. Considerando che ogni nazione del pianeta cercava di accaparrarsi le migliori armi nucleari, la furia della terra appariva quasi sminuita se paragonata alla rabbia degli uomini. Per scongiurare la minaccia di un ter­remoto, i californiani preferivano scherzare, trovando qual­cosa di divertente nell'eventuale disastro, come se il suolo instabile non avesse alcun effetto su di loro.

  Ma quel martedì, com
e sempre quando la terra tremava, molte più persone superarono i limiti di velocità per cor­rere in ufficio, oppure dalla propria famiglia, dagli amici o dagli amanti; nessuno di loro si rese comunque conto di vi­vere in modo più frenetico rispetto alla giornata di lunedì. In un giorno simile, molti più mariti avrebbero chiesto il divorzio. E molte più mogli avrebbero lasciato i propri ma­riti. Molti giovani avrebbero deciso di sposarsi. Un numero incredibile di giocatori avrebbe organizzato un fine setti­mana a Las Vegas e le prostitute avrebbero concluso affari d'oro. E, molto probabilmente, si sarebbe registrato un forte aumento nell'attività sessuale fra i coniugi, gli amanti e i ragazzini ingenui alle prime, goffe esperienze. Non esi­stevano prove inconfutabili a suffragio del legame esistente fra l'aspetto erotico e l'attività sismica. Ma nel corso degli anni i sociologi e gli psicologi del comportamento avevano osservato i gorilla, gli scimpanzè e gli orangutan negli zoo e registrato un aumento anomalo di accoppiamenti frenetici nelle ore immediatamente successive ai terremoti di forte e media intensità. Era logico concludere che, almeno a li­vello di organi riproduttivi, l'uomo non fosse poi molto lontano dai cugini ospitati nello zoo.

  La maggior parte dei californiani affermavano con aria di sufficienza di essersi ormai abituati a vivere in una zona si­smica, ma in realtà, a loro insaputa, la tensione psicologica continuava a forgiarli e modificarli. Il terrore della catastrofe incombente era un sussurro onnipresente che dava voce al­l'inconscio, un sussurro influente che agiva sul loro compor­tamento più di quanto immaginassero.

  Naturalmente, era solo uno dei tanti sussurri...

  Hilary non fu sorpresa dalla reazione della polizia nei con­fronti della sua storia e cercò di non innervosirsi.

  Tony aveva chiamato la Centrale usando il telefono di un vicino e nel giro di cinque minuti, trentacinque minuti prima del terremoto, giunsero a casa di Hilary due agenti in uniforme. Con il tipico atteggiamento distaccato e leggermente annoiato dei poliziotti, riportarono diligente­mente la sua versione dell'incidente, individuando il punto da cui era entrato l'aggressore (di nuovo una finestra dello studio), prepararono l'inventario degli oggetti danneggiati in soggiorno e in sala da pranzo e raccolsero tutte le infor­mazioni necessarie per il rapporto. Hilary spiegò che l'assa­litore indossava i guanti e quindi gli agenti non si preoccu­parono di chiamare un tecnico del laboratorio per rilevare le impronte digitali.

 

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