Sussurri

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Sussurri Page 34

by Dean Koontz


  "Legittima difesa," sottolineò Tony.

  "Non ne ho mai dubitato," assicurò Goldfield. "Da un punto di vista professionale, difficilmente Miss Thomas avrebbe potuto aggredire quell'uomo e uscirne vittoriosa. Era enorme. Si sarebbe sbarazzato di lei come fosse stata una bambola di pezza." Goldfield tornò a guardare Hilary. "In base al rapporto sul delitto e agli articoli apparsi sui giornali, pare che Frye l'abbia aggredita senza rendersi conto che lei aveva un coltello."

  "Esatto. Pensava fossi disarmata."

  Goldfield annuì. "Deve essere per forza così. Conside­rando la differenza di peso quella era la sua unica possibi­lità di difendersi senza rimanere gravemente ferita. Voglio dire, i bicipiti, i tricipiti e gli avambracci di quell'uomo erano davvero incredibili. Dieci o quindici anni fa, avrebbe potuto partecipare con successo a una gara di body building. E stata davvero fortunata, Miss Thomas. Se non l'a­vesse colto di sorpresa, avrebbe potuto spezzarla in due. E intendo letteralmente in due. Senza fare fatica." Scosse la testa, ancora impressionato dalla forza di Frye. "Che cosa volevate chiedermi su di lui?"

  Tony lanciò un'occhiata a Hilary che si strinse nelle spalle. "Ora che siamo qui, sembra abbastanza inutile."

  Goldfield osservò prima l'uno poi l'altra con un sorriso incoraggiante e un'espressione curiosa dipinta sul viso.

  Tony si schiarì la voce. "Sono d'accordo con Hilary. Sembra inutile... ora che l'abbiamo conosciuta."

  "Siete arrivati qui con un'aria incredibilmente misteriosa," proseguì Goldfìeld. "Avete risvegliato la mia curio­sità. Non potete lasciarmi così sulle spine."

  "Bene," cominciò Tony, "siamo venuti qui per scoprire se l'autopsia era stata effettuata."

  Goldfìeld non riusciva a capire. "Ma lo sapevate già. Agnes, la segretaria del primario, sicuramente vi avrà detto..."

  "Volevamo sentirlo da lei," lo interruppe Hilary.

  "Continuo a non capire."

  "Sapevamo che era stato steso un rapporto sull'auto­psia," continuò Tony. "Ma non sapevamo se il lavoro era stato effettivamente compiuto."

  "Ma ora che l'abbiamo conosciuta," si precipitò ad ag­giungere Hilary, "non abbiamo più dubbi."

  Goldfield piegò la testa da un lato. "Volete dire... pensa­vate che avessi preparato un rapporto fasullo senza pren­dermi la briga di sezionare il cadavere?" Non sembrava of­feso, solo stupito.

  "Pensavamo ci potesse essere una remota possibilità," ammise Tony. "Per quanto assurda."

  "Non in questa giurisdizione," sbottò Goldfield. "Il capo è un vecchio figlio di puttana. Ci tiene tutti in riga. Se uno di noi non svolgesse il suo lavoro, il vecchio lo distrugge­rebbe." Il tono affettuoso di Goldfield nascondeva ovvia­mente una profonda ammirazione per il primario.

  Hilary domandò con un filo di voce: "Allora secondo lei non c'è alcun dubbio che Bruno Frye fosse... morto?"

  Goldfield spalancò gli occhi come se la donna gli avesse chiesto di mettersi a testa in giù per recitare una poesia. "Morto? Ma certo che era morto!"

  "Ha effettuato un'autopsia completa?" proseguì Tony.

  "Sì. L'ho tagliato..." Goldfield si bloccò, riflettendo per un paio di secondi, e poi proseguì: "No. Non si è trattato di un'autopsia completa nel senso che intendete voi. Le sin­gole parti del corpo non sono state sezionate. Quel giorno c'era un sacco di lavoro. Molti cadaveri. Eravamo a corto di personale e comunque non c'era bisogno di aprire com­pletamente il corpo di Frye. La coltellata nell'addome era stata fatale. Era inutile sezionare il torace per controllare il cuore. Non avremmo scoperto niente di diverso pesando i singoli organi e frugando all'interno del cranio. L'ho esa­minato accuratamente all'esterno e poi ho controllato le due ferite, per stabilire la loro entità e per assicurarmi che la morte fosse dovuta ad almeno una di loro. Se non fosse stato accoltellato a casa sua, mentre cercava di aggredirla... se le circostanze della sua morte fossero state meno chiare, sicuramente avrei fatto qualcosa di più. Ma era ovvio che in questo caso non avrebbero intrapreso azioni penali. Ol­tretutto, ero assolutamente sicuro che fosse stata la ferita all'addome a ucciderlo."

  "Non è possibile che fosse solo in coma profondo quando l'ha esaminato?" domandò Hilary.

  "In coma? Mio Dio, no! Cristo, no!" Goldfield si alzò e prese a passeggiare nervosamente nella minuscola stanza. "Ho controllato il polso, la respirazione, le pupille e per­fino le onde cerebrali di Frye. Quell'uomo era indiscutibil­mente morto, Miss Thomas." Si avvicinò al tavolo e li os­servò. "Morto stecchito. Quando l'ho esaminato, nel suo corpo non c'era sangue sufficiente neppure per una crea­tura minuscola. Era livido e questo significa che il sangue rimasto nei tessuti si era depositato nel punto inferiore del corpo. In questo caso occorre considerare la posizione in cui si trovava quando è morto: in quei punti la carne era gonfia e rossa. Sarebbe stato impossibile sbagliarsi."

  Tony si alzò. "Mi spiace di averle fatto perdere tempo, dottor Goldfield."

  "E mi spiace di aver insinuato che potesse aver svolto male il suo lavoro," aggiunse Hilary.

  "Coraggio," esclamò Goldfield. "Non potete andarvene così. Di che cosa si tratta?"

  Hilary incrociò lo sguardo di Tony. Entrambi sembra­vano riluttanti a discutere di morti viventi con un medico.

  "Forza," li incoraggiò Goldfield. "Non mi sembrate due mattacchioni. Siete venuti qui per una ragione ben pre­cisa."

  Tony spiegò: "La scorsa notte qualcuno si è introdotto in casa di Hilary e ha cercato di ucciderla. Quell'uomo asso­migliava in modo impressionante a Bruno Frye."

  "Parlate seriamente?" lo interruppe Goldfield.

  "Oh, sì," intervenne Hilary. "Molto seriamente."

  "E avete pensato..."

  "Sì."

  "Mio Dio, dev'essere stato uno choc vederlo e pensare che fosse tornato!" proruppe Goldfield. "Tutto quel che posso dirvi è che la somiglianzà è solo fortuita. Perché Frye è morto. Non ho mai visto nessuno più morto di lui."

  Ringraziarono Goldfield per il tempo che gli avevano fatto perdere e la pazienza dimostrata e il medico li accom­pagnò verso l'uscita.

  Tony si fermò davanti alla scrivania della segretaria per chiederle il nome dell'impresa di pompe funebri che aveva ritirato il corpo di Frye.

  La donna controllò nello schedario e disse: "Era la Angels' Hill."

  Hilary prese nota dell'indirizzo.

  Goldfield esclamò: "Non penserete ancora..."

  "No," lo interruppe Tony, "ma, d'altra parte, non pos­siamo tralasciare alcuna pista. Almeno, questo è quanto mi hanno insegnato all'accademia di polizia."

  Goldfield scosse la testa e li osservò mentre si allontana­vano.

  Hilary rimase nella jeep mentre Tony si recava a parlare con l'impresario delle pompe funebri di Angels' Hill che si era occupato del corpo di Bruno Frye. Sapevano che avrebbe ottenuto le informazioni in modo più semplice e rapido se si fosse presentato da solo e avesse usato il distin­tivo della polizia di Los Angeles.

  La Angels' Hill era una fiorente società con una flotta di carri funebri, dodici cappelle e un nutrito staff di medici. Anche in ufficio, l'illuminazione era discreta e rilassante, i colori sobri e le pareti tappezzate di soffici tessuti murali. L'arredamento era stato studiato per suggerire un timore reverenziale nei confronti del mistero della morte, anche se Tony ebbe l'impressione che comunicasse in modo lam­pante la redditività del giro di affari legato ai funerali.

  La centralinista era una graziosa biondina con una gonna grigia e una camicetta color bruciato. La voce era dolce e suadente, ma non conteneva la benché minima traccia di sensualità o di provocazione. Era una voce istruita a dovere e ormai abituata a offrire conforto, consolazione, rispetto e genuino interessamento. Tony si chiese se la donna usasse lo stesso tono gelido e funereo quando incitava l'amante a letto e a quel pensiero si sentì rabbrividire.

  La biondina trovò la cartella di Bruno Frye e il nome del tecnico che si era occupato del suo corpo. "Sam Hardesty. Credo che Sam sia in una delle stanze di preparazione. Ab­biamo un paio di nuovi arrivati," spiegò, come se lavorasse in un ospedale invece che in
un'impresa di pompe funebri. "Vedrò se può dedicarle qualche minuto. Non so a che punto sia con il trattamento. Se riesce a liberarsi, potrà in­contrarlo nella sala riservata al personale."

  Poi accompagnò Tony nella saletta, un locale piccolo ma piacevole. Lungo le pareti erano state appoggiate comode sedie. C'erano molti portaceneri e giornali di tutti i tipi. Una macchinetta per il caffè. Un distributore di bibite. Un pannello coperto di appunti e foglietti.

  Tony stava sfogliando una copia ciclostilata del Giornale di Angels' Hill quando Sam Hardesty uscì da una delle stanze di preparazione. Assomigliava vagamente a un mec­canico: indossava una tuta bianca spiegazzata e nelle tasche aveva una miriade di piccoli utensili. Tony preferiva non sapere a che cosa servissero. Hardesty aveva quasi trent'anni, capelli lunghi e lineamenti aguzzi.

  "Investigatore Clemenza?"

  "Sì."

  Hardesty tese la mano e Tony gliela strinse seppure con riluttanza, immaginando quel che aveva appena toccato.

  "Suzy mi ha detto che voleva parlarmi." La voce di Har­desty era stata impostata dallo stesso insegnante che si era occupato della segretaria.

  Tony proseguì: "So che è stato lei a preparare il corpo di Bruno Frye prima che venisse spedito a Santa Rosa, gio­vedì scorso."

  "Esatto. Collaboriamo con un'impresa di pompe funebri di St. Helena."

  "Le spiace dirmi esattamente che cos'ha fatto con il ca­davere dopo averlo prelevato all'obitorio?"

  Hardesty lo guardò con aria incuriosita. "Be', l'abbiamo portato qui per sottoporlo al trattamento."

  "Non vi siete fermati lungo la strada?"

  "No."

  "Da quando vi è stato consegnato fino a quando l'avete lasciato all'aeroporto, il cadavere è mai rimasto da solo?"

  "Da solo? Forse per un paio di minuti. Abbiamo dovuto fare in fretta perché dovevamo caricare il cadavere sul volo di venerdì pomeriggio. Senta, le spiace dirmi di che cosa si tratta? Che cosa sta cercando?"

  "Non ne sono ancora sicuro," rispose Tony, "ma forse lo scoprirò con qualche domanda. L'avete imbalsamato?"

  "Certo. Era necessario perché dovevano trasportarlo con un mezzo pubblico. La legge richiede che un cadavere sia svuotato e imbalsamato prima di trasferirlo su un mezzo pubblico."

  "Svuotato?" si stupì Tony.

  "Temo non sia un argomento molto divertente," si scusò Hardesty. "L'intestino, lo stomaco e altri organi rappresen­tano un grave problema per noi. Queste parti del corpo tendono a deteriorarsi molto più rapidamente degli altri tessuti. Per evitare odori sgradevoli e imbarazzanti accu­muli di gas e per garantire una perfetta conservazione del corpo dopo la sepoltura, è necessario togliere quanti più organi possibile. Usiamo uno speciale strumento telesco­pico con un gancio retrattile all'estremità. Lo infiliamo nel­l'orifizio anale e..."

  Tony si sentì impallidire e alzò rapidamente una mano per bloccare Hardesty.

  "Grazie. Penso proprio di non avere bisogno d'altro. Ha reso l'idea."

  "L'avevo avvertita che non sarebbe stato divertente."

  "Già," ammise Tony. Sentiva qualcosa in fondo alla gola. Provò a liberarsi con un colpo di tosse, ma era sem­pre lì. Probabilmente sarebbe passato solo uscendo da quel posto. "Bene," esclamò rivolgendosi a Hardesty, "credo che mi abbia detto tutto quello che volevo sapere."

  Hardesty aggrottò le sopracciglia e riprese: "Non so che cosa stia cercando, ma c'era qualcosa di strano collegato a quel Frye."

  "E sarebbe?"

  "È accaduto due giorni dopo aver spedito il defunto a Santa Rosa. Era domenica pomeriggio, l'altro ieri. Ha chia­mato un tizio chiedendo di parlare con il tecnico che si era occupato di Bruno Frye. Io ero qui, perché i miei giorni li­beri sono il mercoledì e il giovedì, così ho preso la chia­mata. Era molto arrabbiato. Mi ha accusato di aver ese­guito un pessimo lavoro sul defunto. E non era vero. Ho fatto del mio meglio, considerando le circostanze. Il corpo era rimasto sotto il sole per parecchie ore e poi era stato congelato. Per non parlare delle ferite e delle incisioni del coroner. Lasci che glielo dica, Mr Clemenza, il cadavere non era in buone condizioni quando è arrivato qui. Cioè, insomma, non si poteva certo pretendere che sembrasse vivo. Oltretutto, io non mi sono occupato del trucco per­ché ci ha pensato l'impresa di pompe funebri di St. Helena. Ho cercato di spiegare al tizio al telefono che non era colpa mia, ma quello non mi ha neanche lasciato parlare."

  "Le ha detto come si chiamava?" domandò Tony.

  "No. Era sempre più arrabbiato. Continuava a urlare, a piangere, comportandosi come un pazzo. Era davvero di­sperato. Ho pensato che fosse un parente del defunto, di­strutto dal dolore. E per questo che ho portato pazienza. Ma poi è letteralmente impazzito e mi ha urlato che lui era Bruno Frye."

  "Che cosa?"

  "Sì. Ha detto che lui era Bruno Frye e che un giorno sa­rebbe venuto qui e mi avrebbe ammazzato per punirmi per quello che gli avevo fatto."

  "Che cos'altro ha detto?"

  "Nient'altro. Appena ha iniziato con quelle scemenze ho capito che era un pazzo e ho riattaccato."

  Era come se a Tony avessero iniettato dell'acqua ghiac­ciata nelle vene: si sentiva completamente raggelato.

  Sam Hardesty si rese conto che era rimasto sconcertato. "Qualcosa non va?"

  "Mi stavo chiedendo se tre persone bastano per giustifi­care l'isteria collettiva."

  "Come?"

  "Quel tipo aveva forse una voce un po' strana?"

  "Come fa a saperlo?"

  "Era una voce molto profonda?"

  "Era simile a un brontolio."

  "Aveva forse un tono gracchiante?"

  "Proprio così. Lo conosce?"

  "Temo di sì."

  "Chi è?"

  "Se glielo dicessi, non mi crederebbe."

  "Proviamo," lo incitò Hardesty.

  Tony scosse la testa. "Mi dispiace. E una faccenda riser­vata."

  Hardesty appariva deluso; il sorriso che aveva stampato in volto scomparve.

  "Bene, Mr Hardesty, lei mi è stato di grande aiuto. Gra­zie per avermi dedicato un po' del suo tempo."

  Hardesty si strinse nelle spalle.

  "Non è niente."

  Invece è qualcosa, pensò Tony. Qualcosa di importante. Anche se non so che cosa possa significare.

  Uscirono dalla sala e si avviarono in direzioni opposte. Dopo pochi passi, Tony si voltò ed esclamò: "Mr Harde­sty?"

  Hardesty si fermò e lo fissò. "Sì?"

  "Le spiace se le faccio una domanda personale?"

  "Dica pure."

  "Come mai ha deciso di svolgere... questo tipo di la­voro?"

  "Mio zio era un impresario di pompe funebri."

  "Capisco."

  "Era un tipo molto divertente. Soprattutto con i bam­bini. Adorava i bambini. Volevo essere come lui," spiegò Hardesty. "Avevo sempre l'impressione che lo zio Alex fosse a conoscenza di qualche terribile e importantissimo segreto. Sapeva fare una valanga di giochi di prestigio, ma c'era qualcos'altro. Ho sempre pensato che il suo lavoro fosse magico, soprattutto perché mi aveva insegnato qual­cosa che solo lui conosceva."

  "E ha scoperto il suo segreto?"

  "Sì," rispose Hardesty. "Credo di sì."

  "Può svelarlo anche a me?"

  "Certo. Lo zio Alex aveva capito, e anch'io me ne sono reso conto, che bisogna trattare i morti con lo stesso ri­spetto e lo stesso impegno offerto ai vivi. Non è possibile cancellarli dalla propria mente, seppellirli e dimenticarli per sempre. Ciò che ci hanno insegnato da vivi rimane con noi. Tutto quello che hanno fatto per noi è stampato nella nostra mente e continua a influenzarci e a modificarci. Ed è proprio per questo che anche noi influenziamo le persone che continueranno a vivere quando noi saremo morti. E come dire che in realtà i morti non muoiono mai. Conti­nuano ad andare avanti. Era questo il grande segreto dello zio Alex: anche i morti sono persone."

  Tony lo guardò per un attimo, senza sapere cosa dire. Poi la domanda gli uscì spontanea: "Lei è un uomo reli­gioso, Mr Hardesty?"

  "Non lo ero quando ho iniziato questo lavoro," rispose. "Ma ora s�
�. Decisamente."

  "Sì, immagino di sì."

  Tony uscì, si mise al volante della jeep e chiuse la por­tiera. Hilary sbottò: "Allora? Ha imbalsamato Frye?"

  "Peggio."

  "Peggio in che senso?"

  "Non ti farà piacere saperlo."

  Le riferì della telefonata che Hardesty aveva ricevuto da un tizio che affermava di essere Bruno Frye.

  "Ah," esclamò. "Lasciamo perdere la psicosi collettiva. Questa è una prova!"

  "Una prova di che cosa? Che Frye è vivo? Non può es­sere vivo. Tralasciando i particolari più disgustosi, è stato comunque imbalsamato. Nessuno può sopravvivere a un coma profondo con le vene e le arterie piene di liquido per l'imbalsamazione invece del sangue."

  "Ma almeno quella telefonata dimostra che sta succe­dendo qualcosa di strano."

  "Non proprio," la corresse Tony.

  "Non puoi parlarne al tuo capitano?"

  "È inutile. Harry Lubbock direbbe che è semplicemente la telefonata di un pazzo."

  "Ma la voce!"

  "Non sarebbe sufficiente per convincere Harry."

  Hilary sospirò. "E adesso?"

  "Dobbiamo riflettere," rispose Tony. "Dobbiamo esami­nare la situazione da ogni possibile angolazione per vedere se abbiamo tralasciato qualcosa."

  "Non possiamo pensare mentre mangiamo?" domandò. "Sto morendo di fame."

  "Che cosa ti piacerebbe?"

  "Dal momento che non siamo molto presentabili, sugge­rirei un posticino buio e tranquillo."

  "Come per esempio il Casey's Bar?"

  "Perfetto."

  Mentre si dirigevano verso Westwood, Tony ripensò a Hardesty e a come, in effetti, i morti non fossero del tutto morti.

  Bruno Frye si distese nel retro del furgone Dodge e cercò di dormire.

  Il furgone non era lo stesso con cui era arrivato a Los Angeles la settimana prima. Quel veicolo era stato seque­strato dalla polizia ed era poi stato rivendicato da un rap­presentante di Joshua Rhinehart, esecutore testamentario di Frye e responsabile della corretta liquidazione dei suoi beni. Il secondo furgone non era grigio ma blu scuro con righe bianche. Frye l'aveva pagato in contanti il giorno prima da un rivenditore Dodge alla periferia di San Francisco. Era un'auto stupenda.

 

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