by Dean Koontz
"Sono solo... sussurri. Non riesco a decifrarli. Ma si stanno... avvicinando... si fanno più forti. Si stanno avvicinando. Stanno salendo i gradini. E ora sono fortissimi!"
"Che cosa dicono?"
"Sussurri. Dappertutto."
"Che cosa dicono?"
''Niente. Non dicono niente."
"Ascolti attentamente."
"Non parlano con le parole."
"Chi sono? Chi sta sussurrando?"
"Oh, Gesù! Ascolta! Gesù!"
"Chi sono?"
"Non sono persone. No! No! Non sono persone!"
"Non sono persone quelle che stanno sussurrando?"
"Via! Falli andare via!"
"Perché si sta agitando?"
"Mi sono tutti addosso!"
"Non ha niente addosso."
"Sono dappertutto!"
"Non si alzi, Bruno. Aspetti..."
"Oh, mio Dio!"
"Bruno, si distenda sul divano."
"Gesù! Gesù! Gesù! Gesù!"
"Le ordino di sdraiarsi sul divano!"
"Gesù, aiutami! Aiutami!"
"Mi ascolti, Bruno. Lei..."
"Falli andare via! Falli andare via!"
"Bruno, va tutto bene. Si rilassi. Stanno andando via."
"No! Ce ne sono ancora di più! Ah! Ah! No!"
"Stanno andando via. I sussurri si fanno più deboli, più lontani. Stanno..."
"Più forti! Sono ancora più forti! Un ruggito di sussurri!"
"Si calmi. Si distenda e..."
"Si stanno infilando nel naso! Oh, Gesù! In bocca!"
"Bruno!"
Dal nastro uscì uno strano suono strozzato che si diffuse nella stanza.
Hilary si strinse le braccia attorno alle spalle. Lo studio le parve improvvisamente gelido.
Rudge spiegò: "E saltato giù dal divano ed è corso verso quell'angolo. Si è rannicchiato per terra coprendosi il viso con le mani."
Dal registratore continuava a uscire quello strano suono ansimante e tremante.
"Ma l'ha fatto uscire dal trance," disse Tony.
Rudge era pallido in volto. "All'inizio pensavo che sarebbe rimasto lì, nel suo sogno. Non mi era mai accaduta una cosa del genere. Sono molto bravo con la terapia ipnotica. Davvero. Ma temevo di averlo perso. C'è voluto un po' di tempo ma alla fine ha cominciato a riprendersi."
Il registratore continuava a diffondere mugolii e lamenti.
"Quello che sentite," proseguì Rudge, "è Frye che grida. Era talmente spaventato da avere la gola bloccata. Il terrore gli ha paralizzato la voce. Stava cercando di urlare ma la voce non gli usciva."
Joshua si alzò e spense il registratore con mano tremante. "Crede che sua madre lo chiudesse davvero in una stanza buia?"
"Sì," rispose Rudge.
"E che in quella stanza ci fosse qualcos'altro?"
"Sì."
"Qualcosa che produceva quei sussurri."
"Sì."
Joshua si passò una mano fra i folti capelli bianchi. "Ma, per l'amor del cielo, che cosa poteva essere, che cosa c'era in quella stanza?"
"Non lo so," sospirò Rudge. "Speravo di scoprirlo in un'altra seduta. Ma quella fu l'ultima volta che lo vidi."
A bordo del Cessna Skylane di Joshua, mentre si dirigevano verso Hollister, Tony disse: "Comincio a considerare questa faccenda in modo diverso."
"E cioè?" domandò Joshua.
"Be', all'inizio era tutto molto semplice: Hilary era la vittima e Frye il cattivo di turno. Ma ora... in un certo senso, forse anche Frye era una vittima."
"Capisco che cosa vuoi dire," intervenne Hilary. "Ascoltando quei nastri... be', mi spiace davvero per lui."
"È giusto dispiacersi per lui," ribattè Joshua, "ma non dimentichiamo che è maledettamente pericoloso."
"Ma non è morto?"
"Voi che cosa ne dite?"
Hilary aveva ambientato due scene di un suo precedente film a Hollister, quindi conosceva abbastanza bene il posto.
Apparentemente, Hollister assomigliava a centinaia di altre cittadine della California. C'erano strade deliziose e quartieri orribili. Case nuove e case vecchie. Palme e querce. Cespugli di oleandri. Era una delle zone più aride del paese e quindi sempre invasa dalla polvere, che si faceva particolarmente evidente quando iniziava a soffiare il vento.
Ciò che rendeva Hollister diversa dalle altre città era la terra su cui poggiava. Un'insieme di faglie. Molte località californiane erano costruite nei pressi di faglie geologiche che ogni tanto si agitavano dando origine a un terremoto. Ma Hollister non era appoggiata semplicemente su una di queste, bensì su una rara confluenza di oltre una decina di faglie, inclusa quella di Sant'Andrea.
Hollister era una città in perenne movimento: si registrava almeno un terremoto al giorno. Naturalmente, la maggior parte delle scosse telluriche erano dei gradini più bassi della scala Richter e la città non era mai stata rasa al suolo. Ma i marciapiedi erano pieni di pietre e fessure. Una strada poteva sprofondare il lunedì per rialzarsi il martedì e cedere definitivamente il mercoledì. Ogni tanto si registrava una serie di scosse di bassa entità che andava avanti per un paio d'ore, con qualche breve interruzione: ma ormai gli abitanti della zona non ci facevano più caso, come gli abitanti delle zone sciistiche e montane non prestano più attenzione alle bufere che al massimo possono portare qualche centimetro di neve. Nel corso dei decenni, naturalmente, il percorso di alcune strade di Hollister era stato modificato dalla terra in perenne movimento; i viali che una volta erano diritti avevano finito per avere qualche curva o, in alcuni casi, persino i tornanti. Nei negozi gli scaffali erano inclinati verso il muro oppure provvisti di speciali supporti per evitare che bottiglie e lattine cadessero a terra alla minima scossa tellurica. C'era gente che abitava in case che sprofondavano gradualmente nel terreno instabile, ma il processo era talmente lento da non creare allarmismi o paure, né tanto meno il desiderio di trovarsi un'altra sistemazione. Gli abitanti riparavano le crepe nei muri, abbassavano il livello delle porte e cercavano di aggiustare tutto alla bell'e meglio. Ogni tanto qualcuno decideva di aggiungere un locale alla propria casa, senza accorgersi che l'edificio poggiava su un lato della faglia e la nuova stanza su quello opposto. Con il passare del tempo il locale si sarebbe mosso con caparbia determinazione, verso nord, sud, est od ovest, in un lento ma inesorabile processo che si sarebbe concluso con il definitivo allontanamento dalla casa principale. Le fondamenta di alcuni edifici contenevano buchi di scolo e pozzi profondissimi; questi pozzi si allargavano senza tregua sotto il livello delle case e un giorno le avrebbero inghiottite, ma nel frattempo gli abitanti di Hollister conducevano una vita assolutamente normale. Molta gente sarebbe terrorizzata all'idea di vivere in una città dove, a detta degli stessi residenti, si poteva "andare a letto la sera ad ascoltare la terra che sussurrava fra sé e sé". Ma ormai da generazioni e generazioni, gli abitanti di Hollister affrontavano la vita con spirito ottimista, a volte difficile da conservare.
Era l'apice dell'ottimismo californiano.
Rita Yancy abitava in una casetta ad angolo con un enorme portico, in una strada tranquilla. Lungo il vialetto d'ingresso erano stati piantati fiori bianchi e gialli.
Joshua suonò il campanello. Hilary e Tony rimasero alle sue spalle.
Venne ad aprire una signora anziana, con i capelli grigi raccolti in uno chignon. Aveva il viso pieno di rughe e gli occhi azzurri limpidi e vivaci. Il sorriso era accattivante. Indossava un vestito da casa blu, uri grembiule bianco e un paio di scarpe decisamente fuori moda. Si asciugò le mani in uno strofinaccio e disse: "Sì?"
"Mrs Yancy?" domandò Joshua.
"Sono io."
"Mi chiamo Joshua Rhinehart."
La donna annuì. "Immaginavo che sarebbe venuto."
"Devo assolutamente parlarle."
"Mi sembra la classica persona che non si arrende facilmente. Anzi, che non si arrende mai."
"Sarei disposto a dormire qui fuori sotto il portico pur di ottenere quello per cui sono venuto."
L
ei sospirò. "Non sarà necessario. Dopo la sua telefonata di ieri, ho riflettuto molto sull'intera faccenda e sono giunta alla conclusione che lei non può farmi nulla. Proprio niente. Ho settantacinque anni e non credo che sbattano in galera gente della mia età. Quindi posso anche raccontarle come stanno le cose ed evitare così che lei continui a perseguitarmi."
Indietreggiò di un passo, spalancò la porta e li fece entrare.
Nell'attico della casa in cima alla collina, Bruno si svegliò urlando.
La stanza era buia. Le pile della torcia si erano scaricate completamente mentre dormiva.
Sussurri.
Dappertutto.
Sussurri appena accennati, sibilanti e cattivi.
Bruno cominciò a colpirsi il volto, il collo, il torace e le braccia nel tentativo di scacciare quelle cose disgustose che gli strisciavano addosso, e cadde dal letto. Sul pavimento sembravano esserci ancora più cose striscianti e sibilanti che sul letto: ce n'erano a migliaia e producevano quei terribili sussurri. Gemette e farfugliò parole senza senso, poi si mise una mano sul naso e sulla bocca per evitare che quelle cose disgustose si infilassero dentro di lui.
Luce.
Fili di luce.
Sottili fasci di luce fosforescente risaltavano sulla tappezzeria peraltro cupa della stanza. Non era una gran luce, ma era pur sempre meglio di niente.
Si precipitò verso quei deboli bagliori, allontanando quelle cose da sé, e si ritrovò davanti alla finestra. Era chiusa dalle imposte e la luce filtrava attraverso le sottili fessure. Con mani tremanti, Bruno cercò a tastoni la maniglia della finestra. Finalmente la trovò, ma non riuscì a muoverla: era bloccata.
Urlando e contorcendosi, tornò goffamente verso il letto, lo tastò e trovò la torcia che aveva appoggiato sul comodino. Si fece strada di nuovo verso la finestra e fracassò il vetro, usando la torcia come una mazza. Riuscì a individuare il gancio che teneva chiuse le imposte, vi infilò dentro una mano, armeggiò per un attimo con la parte arrugginita e finalmente riuscì ad aprire le persiane, scoppiando a piangere dalla gioia quando la luce inondò la stanza.
I sussurri svanirono.
Il salotto-buono di Rita Yancy, così come lo chiamava lei, rifuggendo da qualsiasi termine più moderno, era lo stereotipo del soggiorno nel quale le dolci, care vecchiette del suo stampo erano solite trascorrere gli anni del tramonto. Tendaggi in cinz. Pareti colme di quadri e quadretti con ricami fatti a mano e proverbi e poesiole circondati da minuscoli fiorellini: la perfetta immagine della buona volontà, del buonumore e del pessimo gusto. Tende guarnite di nappine. Sedie con lo schienale alto. Copie del Reader's Digest sparpagliate sul tavolino. Un cesto pieno di ferri e gomitoli. Un tappeto a fiori protetto da passatoie in tinta. Coperte lavorate a mano gettate sul divano. Un pendolo che ticchettava lontano.
Hilary e Tony si sedettero sul bordo del divano, quasi temessero di rovinare la coperta amorevolmente tessuta. Hilary notò che le innumerevoli cianfrusaglie e i soprammobili erano perfettamente lucidi, senza tracce di polvere. Aveva l'impressione che Rita Yancy sarebbe scattata a prendere uno straccio se solo qualcuno avesse sfiorato uno di quegli oggetti a lei tanto cari.
Joshua si accomodò sulla poltrona, appoggiando la testa e le braccia sul coprischienale.
Mrs Yancy si sistemò in quella che ovviamente era la sua sedia preferita: ormai sembrava che quell'oggetto le avesse trasmesso parte della sua personalità, ricevendo in cambio qualcosa da lei. Hilary si ritrovò a pensare a Mrs Yancy e a quella sedia che si trasformavano lentamente in un'unica creatura, organico-inorganica, con sei gambe e la pelle vellutata.
La donna prese una coperta blu e verde da uno sgabello e se l'avvolse intorno alle gambe.
Ci fu un attimo di assoluto silenzio durante il quale persino il pendolo parve bloccarsi, come se il tempo stesso si fosse fermato, come se fossero stati tutti congelati e trasportati insieme con la stanza su un pianeta lontano, per essere esposti nel locale museo di Antropologia Terrestre.
Fu Rita Yancy a rompere il silenzio e le sue parole distrussero l'immagine idilliaca che Hilary si era fatta di lei. "Bene, direi che è proprio inutile continuare a menare il can per l'aia. Non voglio perdere tutta la giornata per una faccenda così stupida. Vediamo di arrivare al punto. Volete sapere perché Bruno Frye mi dava cinquecento dollari al mese. Era il prezzo del silenzio. Mi pagava perché tenessi la bocca chiusa. Sua madre mi aveva pagato la stessa cifra ogni mese per quasi trentacinque anni e, alla sua morte, Bruno aveva iniziato a mandarmi gli assegni. Devo ammettere che mi ha lasciato di stucco. Al giorno d'oggi non è facile trovare un figlio disposto a pagare tutto quel denaro per proteggere la reputazione della madre, soprattutto dopo che questa ha tirato le cuoia. Ma lui ha pagato."
"Sta forse dicendo che ricattava Mr Frye e sua madre prima di lui?" domandò Tony, incredulo.
"Chiamatelo come vi pare. Prezzo del silenzio, ricatto o come più vi piace."
"A giudicare da quanto ci ha detto," proseguì Tony, "credo che per la legge si tratti di ricatto bell'e buono."
Rita Yancy gli sorrise. "E crede che quella parola mi preoccupi? Crede che mi faccia paura? Che mi faccia tremare tutta? Figliolo, lasci che le dica una cosa: in vita mia mi hanno accusato di cose ben peggiori. Vuole che usiamo la parola ricatto? Va bene, per me non ci sono problemi. Ricatto. Ecco fatto. Comunque la cosa non cambia. Ma ovviamente, se fosse così stupido da trascinare una povera, vecchia signora in tribunale, non userei più quella parola. Direi semplicemente che molti anni fa feci un grande favore a Katherine Frye e che lei insistette per ripagarmi con un assegno mensile. In fin dei conti non avete prove, no? E per questo che ho deciso di farmi pagare mensilmente. Voglio dire, in genere i ricattatori si fanno consegnare una grossa somma e poi scappano; ma in questo modo è molto facile rintracciarli. Chi sospetta invece di un ricattatore che accetta un modesto assegno mensile, quasi fosse un pagamento a rate?"
"Non abbiamo alcuna intenzione di portarla in tribunale," la rassicurò Joshua. "E non abbiamo il benché minimo interesse nel cercare di recuperare i soldi che le sono stati versati. Ci rendiamo conto che sarebbe inutile."
"Bene," disse Mrs Yancy. "Perché se solo ci provaste, lotterei con tutte le mie forze."
Raddrizzò la coperta.
Devo ricordarmi questa donna, nei minimi dettagli, pensò Hilary. Un giorno potrebbe diventare il personaggio di un grande film: la nonnina acida, corrotta e un po' decadente.
"Vogliamo solo qualche informazione," proseguì Joshua. "Abbiamo un problema con l'eredità che sta bloccando l'esecuzione del testamento. Ho bisogno di chiarire alcune questioni per poter procedere alla liquidazione finale. Ha detto che non vuole perdere tutta la giornata per una faccenda così stupida. Bene, io non voglio perdere mesi con l'eredità Frye. L'unico motivo per cui sono qui è che ho bisogno di qualche informazione per sistemare definitivamente questa mia stupida faccenda."
Mrs Yancy fìsso con durezza Joshua, Hilary e Tony. Aveva lo sguardo tagliente e indagatore. Alla fine annuì con aria soddisfatta, come se avesse letto nelle loro menti e avesse approvato ciò che vi era scritto. "Penso di potervi credere. D'accordo. Sparate le domande."
"Ovviamente," cominciò Joshua, "per prima cosa vorremmo sapere perché Katherine Frye e suo figlio le hanno pagato quasi duecentocinquantamila dollari negli ultimi quarant'anni."
"Per poterlo capire," rispose Mrs Yancy, "dovete conoscere un po' del mio passato. Vedete, da ragazza, durante la Grande Depressione, mi guardavo continuamente in giro alla ricerca di un lavoro che mi permettesse di sbarcare il lunario, ma mi rendevo conto che qualsiasi cosa avessi fatto, la mia vita sarebbe stata una miseria. Con qualsiasi lavoro a eccezione di uno. Capii che l'unico lavoro in grado di offrirmi un certo benessere era la professione più antica del mondo. A diciott'anni diventai una prostituta. Ai miei tempi le donne come me venivano chiamate 'di facili costumi'. Oggigiorno non sono necessari mezzi termini. Potete usare tutte le parolacce che volete." Scostò dal viso un ciuffo di capelli grigi sfuggito dallo chignon e se lo
infilò dietro l'orecchio. "Per quanto riguarda il sesso, il vecchio stuzzica-e-colpisci, come lo chiamavano ai miei tempi, è sorprendente vedere come sono cambiate le cose con il passare degli anni."
"Vuol dire che lei era davvero... una prostituta?" chiese Tony, dando voce alla sorpresa di Hilary.
"Ero una ragazza incredibilmente bella," rispose Mrs Yancy, piena di orgoglio. "Non ho mai lavorato per strada, nei bar, negli alberghi o in posti del genere. Lavoravo in una delle più belle ed eleganti case di San Francisco. Ci rivolgevamo esclusivamente a gente di classe, uomini della miglior specie. Non c'erano mai meno di dieci ragazze e a volte arrivavamo fino a quindici, ma ognuna di noi era incredibilmente raffinata e affascinante. Guadagnavo un mucchio di soldi, proprio come mi aspettavo, ma all'età di ventiquattro anni mi resi conto che avrei potuto guadagnare molto di più mettendomi in proprio invece di continuare a lavorare per gli altri. Così trovai una casa molto lussuosa e spesi tutti i miei risparmi per risistemarla. Poi organizzai una scuderia di ragazze deliziose e ben educate. Per trentasei anni, ho lavorato come madame, gestendo una casa davvero di classe. Mi sono ritirata dagli affari quindici anni fa, all'età di sessant'anni, perché volevo venire ad abitare qui a Hollister, vicino a mia figlia e a suo marito; sapete, volevo veder crescere i miei nipotini. I nipoti rendono la vecchiaia decisamente più piacevole di quanto mi aspettassi."
Hilary si appoggiò sul divano, senza più preoccuparsi di stropicciare le coperte.
Joshua esclamò: "E tutto molto affascinante, ma che cos'ha a che fare con Katherine Frye?"
"Suo padre veniva regolarmente da me a San Francisco," spiegò Rita Yancy.
"Leo Frye?"
"Sì. Un uomo molto strano. Non sono mai stata con lui. Non io personalmente. Dopo aver acquistato quella casa, difficilmente andavo a letto con i clienti; ero troppo occupata con l'organizzazione. Ma sentivo tutte le storie che raccontavano su di lui le mie ragazze. Sembrava un autentico bastardo di prima categoria. Amava le donne docili e obbedienti. Gli piaceva insultarle pesantemente mentre se le strapazzava. Era un tipo molto autoritario, non so se mi spiego. Amava fare cose piuttosto disgustose ed era disposto a pagare forti somme per avere il diritto di usare le mie ragazze. Comunque, nell'aprile del 1940, la figlia di Leo, Katherine, si presentò a casa mia. Non l'avevo mai conosciuta, non sapevo neppure che avesse una figlia. Ma lui le aveva raccontato di me. E l'aveva mandata da me in modo che potesse avere il bambino nella più assoluta segretezza."