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Sussurri Page 49

by Dean Koontz


  Joshua spalancò gli occhi. "Il bambino?"

  "Era incinta."

  "Bruno era suo figlio?"

  "E Mary Gunther?" domandò Hilary.

  "Non è mai esistita alcuna Mary Gunther," rispose la donna. "Era solo una copertura montata da Katherine e Leo."

  "Lo sapevo!" esclamò Tony. "Troppo semplice. Era dan­natamente troppo semplice."

  "A St. Helena nessuno sapeva che era incinta," proseguì Rita Yancy. "Indossava sempre parecchi busti. Non avete idea di come si conciasse quella povera ragazza. Era orri­bile. Da quando aveva saltato le mestruazioni, prima an­cora che iniziasse a ingrossarsi, aveva cominciato a indos­sare panciere sempre più strette, poi era arrivata addirittura a metterne una sopra l'altra. E si lasciava praticamente mo­rire di fame, nel tentativo di non mettere su peso. E un mi­racolo che non abbia abortito o che non sia morta lei stessa."

  "E lei l'ha accettata in casa?" chiese Tony.

  "Non voglio certo fingere di averlo fatto per pura bontà d'animo," disse Mrs Yancy. "Non sopporto le vecchiette oneste e rispettabili, come quelle che vedo quando vado al circolo della parrocchia per il bridge. Katherine non mi ha commosso o roba del genere. E non l'ho accolta perché sentivo di essere in dovere nei confronti di suo padre. Non gli dovevo proprio un bel niente. Con tutto quello che avevo sentito dire su di lui dalle mie ragazze, non mi pia­ceva neanche un po'. Ed era già morto da sei settimane quando è arrivata Katherine. L'ho accolta per un unico motivo ed è inutile raccontare storie. Aveva con sé tremila dollari per le spese di vitto, alloggio e per l'onorario del medico. A quell'epoca era decisamente una bella sommetta."

  Joshua scosse la testa. "Non riesco a capire. Aveva la fama di essere fredda e distaccata e sembrava che gli uo­mini non le interessassero. Nessuno ha mai sospettato che avesse un amante. Chi era il padre del nascituro?"

  "Leo," rispose Mrs Yancy.

  "Oh, mio Dio," mormorò Hilary.

  "Ne è sicura?" domandò Joshua.

  "Assolutamente," proseguì la donna. "Si è divertito con la figlia fin da quando la piccola aveva quattro anni. Da bambina, la obbligava a praticare del sesso orale. Più tardi, quando è cresciuta, quell'uomo le ha fatto di tutto. Di tutto.

  Bruno aveva sperato che un buon sonno potesse schiarirgli le idee ed eliminare la confusione e il senso di disorienta­mento che lo avevano perseguitato nel corso della notte e nelle prime ore del mattino. Ma, in piedi davanti alla fine­stra rotta, sotto i tiepidi raggi del sole di ottobre, non era più padrone di se stesso di quanto lo fosse stato sei ore prima. La mente era un turbinio di pensieri caotici, dubbi, domande e paure; ricordi piacevoli e orribili intrecciati come vermi; immagini mentali che si allungavano e si mo­dificavano come pozze di mercurio.

  Sapeva benissimo che cosa c'era che non andava. Era solo. Completamente solo. Era soltanto un uomo a metà. Strappato a metà. Ecco che cosa c'era che non andava. Da quando l'altra metà di sé era stata uccisa, si era sentito sem­pre più nervoso, sempre più insicuro. Non possedeva più le risorse di cui disponeva quando entrambe le parti erano in vita. E ora, mentre cercava di procedere a fatica come una persona a metà, si rese conto che non ce l'avrebbe fatta: persino il più insignificante dei problemi appariva insor­montabile.

  Si allontanò dalla finestra e barcollò fino al letto. Si ingi­nocchiò accanto a esso e appoggiò la testa sul cadavere.

  "Di' qualcosa. Dimmi qualcosa. Aiutami a capire quello che devo fare. Ti prego. Ti prego, aiutami."

  Ma il Bruno morto non aveva nulla da dire a quello che era ancora vivo.

  Il salotto-buono di Mrs Yancy. Il ticchettio dell'orologio.

  Un gatto bianco attraversò il locale e balzò in grembo alla donna.

  "Come fa a sapere che Leo molestava Katherine?" chiese Joshua. "Sicuramente non è stato lui a parlargliene."

  "Infatti non è stato lui," rispose Mrs Yancy. "Ma l'ha fatto Katherine. Era in uno stato pietoso. Praticamente im­pazzita. Aveva sperato che suo padre la portasse da me quando fosse venuto il momento del parto, ma poi lui era morto. Si era ritrovata sola e terrorizzata. Con tutto quello che aveva fatto a se stessa, con le panciere e la dieta, il parto si presentava estremamente difficile. Chiamai il me­dico che si occupava dei controlli settimanali delle mie ra­gazze perché sapevo che sarebbe stato discreto e si sarebbe occupato del caso senza fare troppe domande. Era sicuro che il bambino sarebbe nato morto e anche Katherine aveva ben poche probabilità di sopravvivere. Il travaglio fu terribile e andò avanti per quattordici ore. Non ho mai vi­sto nessuno sopportare il dolore come lei. Perlopiù deli­rava, ma, nei pochi momenti di lucidità, era talmente di­sperata da volermi raccontare ciò che suo padre le aveva fatto. Credo volesse sentirsi a posto con la coscienza, sem­brava avesse paura di morire con quel segreto. Così mi trattò come se fossi stata un prete pronto ad accogliere la sua confessione. Suo padre l'aveva obbligata a soddisfarlo con del sesso orale subito dopo la morte della madre. Quando si trasferirono nella casa sulla collina, che imma­gino essere piuttosto isolata, lui decise di farla diventare la sua schiava del sesso. Quando Katherine raggiunse una certa età, il padre iniziò a prendere qualche precauzione, ma poi, con il passare del tempo, devono aver commesso un errore e lei si è ritrovata incinta."

  Hilary provò l'impulso di afferrare la coperta appoggiata sul divano e di stringersela addosso per eliminare i brividi che le attraversavano il corpo. Nonostante le botte, le inti­midazioni a livello emotivo e la tortura fisica e psichica sof­ferte durante gli anni trascorsi con Earl ed Emma, sapeva di essere stata fortunata a sfuggire agli abusi sessuali. Era convinta che Earl fosse impotente; probabilmente era stata questa sua incapacità a salvarla dal degrado più bieco. Per­lomeno le era stato risparmiato quell'atroce incubo. Katherine Frye, invece, aveva conosciuto una sorte ben peggiore e Hilary si sentì improvvisamente vicina a quella donna.

  Tony sembrò avvertire ciò che le stava passando per la mente. Le prese la mano e gliela strinse nel tentativo di ras­sicurarla.

  Mrs Yancy accarezzò il gatto che faceva le fusa, visibil­mente soddisfatto.

  "C'è una cosa che non capisco," intervenne Joshua. "Perché Leo non ha mandato Katherine da lei appena ha saputo che stava per avere un bambino? Perché non le ha chiesto di organizzare un aborto per la figlia? Sicuramente lei sarebbe stata in grado di farlo."

  "Oh, certo," rispose Mrs Yancy. "Con il mio lavoro era necessario conoscere medici in grado di sistemare cose del genere. Leo avrebbe potuto rivolgersi a me. Non so esatta­mente perché non l'abbia fatto, ma immagino che fosse perché sperava che Katherine avesse una bella bambina."

  "Non riesco a seguirla," bofonchiò Joshua.

  "Ma è ovvio!" sbottò Mrs Yancy continuando ad accarez­zare il gatto sotto il mento. "Se avesse avuto una nipote, nel giro di pochi anni avrebbe iniziato ad approfittare an­che di lei, esattamente come aveva fatto con Katherine. Ne avrebbe avute due. Un piccolo harem personale."

  Incapace di ottenere una risposta dal suo altro sé, Bruno si alzò e gironzolò distrattamente per l'enorme stanza, solle­vando la polvere dal pavimento che roteò nel fascio di luce biancastra proveniente dalla finestra.

  Alla fine notò un paio di manubri di circa venticinque chili ciascuno. Facevano parte del complicato set di pesi che aveva usato quotidianamente, sei giorni la settimana, dai dodici ai trentacinque anni. La maggior parte degli at­trezzi, le sbarre, i manubri più pesanti e la panca, erano nel seminterrato. Ma aveva sempre tenuto in camera un paio di manubri da utilizzare per qualche esercizio con i bicipiti e i tricipiti e scacciare così la noia.

  Raccolse i pesi e cominciò a lavorare. Le sue enormi spalle e le possenti braccia ritrovarono ben presto il ritmo a cui erano abituate e Bruno iniziò a sudare copiosamente.

  Ventotto anni prima, quando aveva espresso per la prima volta il desiderio di praticare del body building, sua madre aveva pensato che fosse un'ottima idea. Gli este­nuanti e violenti esercizi con i pesi l'avrebbero aiutato a bruciare l'energia sessuale che iniziava a crearsi in lui, negli anni della pubertà. Dal momento che non os
ava mostrare il suo pene diabolico a una ragazza, gli allenamenti l'avreb­bero tenuto occupato e avrebbero eccitato la sua immagi­nazione come avrebbe potuto fare il sesso. Katherine aveva approvato la sua scelta.

  Poi, quando aveva iniziato a sviluppare muscoli possenti e a trasformarsi in uno splendido atleta, Katherine aveva ri­flettuto sull'opportunità di farlo diventare tanto prestante. Nel timore che tale forza potesse ripercuotersi su di lei, aveva cercato di dissuaderlo dalla pratica del body build­ing. Ma quando lui era scoppiato a piangere, pregandola di lasciarlo continuare, si era resa conto che non aveva nulla da temere.

  Come aveva potuto pensare una cosa simile? si chiese Bruno sollevando i pesi fino alle spalle e poi abbassandoli lentamente. Non si era resa conto che sarebbe sempre stata comunque più forte di lui? Dopotutto, lei possedeva la chiave della porta sottoterra. Aveva il potere di aprire quella porta e di mandarlo in quella fossa scura. Nono­stante la forza di bicipiti e tricipiti, lei sarebbe sempre stata più forte, fino a quando avesse avuto quella chiave.

  Era stato proprio allora, mentre il suo corpo cominciava a svilupparsi, che lei gli aveva rivelato per la prima volta la sua capacità di ritornare dal regno dei morti. Voleva avvi­sarlo che, anche dopo morta, avrebbe continuato a vegliare su di lui e aveva giurato che sarebbe tornata per punirlo nel caso si fosse comportato male o non si fosse preoccu­pato di nascondere la sua eredità demoniaca alle altre persone. L'aveva avvertito migliaia di volte che se fosse stato cattivo e l'avesse costretta a ritornare dalla tomba, lei l'a­vrebbe gettato nel buco scavato nella terra chiudendolo li dentro per sempre.

  Ma a quel punto, continuando con gli esercizi nell'attico polveroso, Bruno si chiese se le minacce di Katherine non fossero prive di senso. Possedeva davvero poteri sopranna­turali? Era davvero in grado di tornare dalla tomba? O gli aveva semplicemente mentito? Forse lo aveva fatto perché aveva paura di lui? Aveva paura che diventasse forte e po­tesse spezzarle l'osso del collo? O forse la storia della tomba era un fragile tentativo di sopravvivere di fronte a lui, che stava diventando ogni giorno più forte e avrebbe potuto ucciderla, liberandosi per sempre di lei?

  Queste domande gli affiorarono alla mente, ma non era in grado di soppesarle con sufficiente attenzione per tro­vare delle risposte adeguate. Questi pensieri scollegati gli fluttuavano come scariche di corrente nel cervello ormai in corto circuito. I dubbi svanivano appena affioravano alla coscienza.

  Le paure che nascevano in lui, invece, non svanivano ma perduravano, vivaci e confuse, nei meandri oscuri della sua mente. Ripensò a Hilary-Katherine, l'ultima resurrezione, e si ricordò che doveva trovarla.

  Prima che lei trovasse lui.

  Iniziò a tremare.

  Lasciò cadere un manubrio di colpo. Poi anche l'altro. Le assi del pavimento scricchiolarono.

  "Quella puttana," disse, pieno di rabbia e di paura.

  Il gatto continuò a leccare la mano di Mrs Yancy mentre lei spiegava: "Leo e Katherine avevano inventato una storia complessa per spiegare l'esistenza del bambino. Non vole­vano ammettere che fosse di Katherine. In tal caso, avreb­bero dovuto puntare il dito verso un responsabile, un gio­vane pretendente. Ma lei non aveva pretendenti. Il vecchio non voleva che nessuno la toccasse. Solo lui poteva farlo. Mi viene la pelle d'oca. Che razza di uomo può approfit­tare della sua stessa creatura? E quel bastardo aveva ini­ziato quando lei aveva soltanto quattro anni! Non aveva nemmeno l'età per capire quello che stava succedendo." Mrs Yancy scosse il capo con rabbia mista a tristezza. "Come fa un adulto a eccitarsi con una bambina? Se fossi io a fare le leggi, gli uomini di quel genere dovrebbero essere castrati, o anche peggio. Anzi, decisamente peggio. E una cosa che mi disgusta."

  Joshua domandò: "Perché non hanno finto che Kathe­rine fosse stata violentata da un contadino stagionale o da un forestiero? Non avrebbero dovuto mandare in galera un innocente per convalidare una storia del genere. Avrebbero potuto fornire alla polizia una descrizione completamente inventata. E anche nel caso in cui avessero trovato qual­cuno che corrispondeva alla descrizione, un povero cristo senza un alibi... be', Katherine avrebbe sempre potuto dire che non era stato lui. Non sarebbe stato necessario accu­sare ingiustamente qualcuno."

  "Esatto," intervenne Tony. "La maggior parte dei casi di violenza non viene mai risolta. La polizia si sarebbe addirit­tura sorpresa se Katherine avesse identificato effettiva­mente qualcuno."

  "Comunque riesco a capire perché non volesse sostenere di essere stata violentata," disse Hilary. "Avrebbe dovuto sopportare umiliazioni e situazioni imbarazzanti per il resto della sua vita. Molta gente crede che una donna venga vio­lentata perché in realtà è quello che desidera."

  "Lo so benissimo," ammise Joshua. "Continuo a ripetere che i miei simili sono idioti, stupidi e buffoni. Vi ricordate? Ma St. Helena è sempre stata una città piuttosto aperta. La gente non avrebbe biasimato Katherine per essere stata violentata. O almeno, la maggior parte non l'avrebbe fatto. Sicuramente avrebbe avuto a che fare con qualche indivi­duo un po' crudele e sarebbe potuta venire a trovarsi un po' in imbarazzo, ma con il passare del tempo tutti le avrebbero dimostrato comprensione. E comunque sarebbe stato decisamente più semplice che inventare la storia di Mary Gunther e mantenere il segreto per il resto della vita."

  Il gatto si rigirò fra le braccia di Mrs Yancy che si mise ad accarezzargli la pancia.

  "Leo non voleva che collegassero la gravidanza a un vio­lentatore perché in tal caso sarebbero intervenuti gli sbirri," spiegò Mrs Yancy. "Leo aveva un grande rispetto per i poliziotti. Era un tipo autoritario. Era convinto che gli sbirri fossero incredibilmente in gamba e temeva che potessero fiutare qualcosa di strano nell'eventuale storia di violenza subita da Katherine. Non voleva attirare l'atten­zione su di sé, non certo un'attenzione di quel tipo. Aveva un terrore folle che gli sbirri scoprissero la verità. Non vo­leva rischiare di finire in galera per molestie a una bambina e incesto."

  "Gliel'ha detto Katherine?" domandò Hilary.

  "Esatto. Come vi ho già spiegato, aveva vissuto per tutta la vita con la vergogna per gli abusi di Leo e quando capì che sarebbe potuta morire di parto, decise di raccontare a qualcuno quello che aveva passato. Leo sarebbe stato salvo se Katherine fosse riuscita a tenere nascosta la gravidanza, ingannando tutti a St. Helena. A quel punto avrebbero fatto passare il bambino come figlio illegittimo di una sfor­tunata amica di Katherine."

  "Così è stato suo padre a obbligarla a indossare le pan­ciere," mormorò Hilary, provando un'incredibile pena per Katherine Frye. "L'ha costretta a quella tortura per proteg­gere se stesso. E stata un'idea sua."

  "Sì," rispose Mrs Yancy. "Non è mai riuscita ad avere la meglio su di lui. Ha sempre fatto tutto quello che le diceva. E anche quella volta, fu esattamente lo stesso. Accettò di mettersi tutti quei busti e di seguire quella dieta anche se soffriva le pene dell'inferno. Ma aveva troppa paura a disobbedirgli. E non c'è da stupirsi se consideriamo il fatto che per più di vent'anni ha abusato di lei."

  "Ma è andata al college," disse Tony. "Non è stato un tentativo di ottenere una certa indipendenza?"

  "No," riprese Mrs Yancy. "Il college è stata un'idea di Leo. Nel 1937, trascorse sei o sette mesi in Europa per vendere i suoi ultimi possedimenti nel vecchio continente. Stava per scoppiare la seconda guerra mondiale e non vo­leva che rimanessero beni congelati laggiù. Non voleva nemmeno portare Katherine con sé. Immagino avesse in­tenzione di unire il lavoro al piacere. Aveva un incredibi­le appetito sessuale. E ho sentito dire che alcuni bordelli europei sono in grado di offrire le peggiori sconcerie, pro­prio del tipo che lo eccitavano. Quel vecchio porco. Ka­therine gli sarebbe stata d'impiccio. Così decise che sa­rebbe andata al college mentre lui era lontano e la spedì a San Francisco, presso una famiglia che conosceva. Ave­vano una società che distribuiva vino, birra e liquori nella zona della baia e commercializzavano anche i prodotti della Shade Tree."

  Joshua esclamò: "Ha corso un bel rischio, lasciandola sola per tanto tempo."

  "Lui non la pensava in questo modo," proseguì Mrs Yancy. "E dimostrò
di avere ragione. Nei mesi trascorsi senza di lui, Katherine non cercò mai di liberarsi dalla sua schiavitù. Non raccontò a nessuno quello che le faceva il padre. Non prese neppure in considerazione la possibilità di parlarne con qualcuno. Ormai era distrutta. Una schiava. Direi che questa è la parola giusta. Era un'autentica schiava. Una schiava a livello mentale ed emotivo. Quando Leo tornò dall'Europa, le fece abbandonare il college, la ri­portò con sé a St. Helena e lei non oppose resistenza. Non poteva opporre resistenza: non sapeva come fare."

  Il pendolo suonò le ore. Due tocchi cadenzati che rie­cheggiarono sommessamente nel salotto.

  Joshua era seduto sul bordo della poltrona. Scivolò in­dietro e riappoggiò la testa sul coprischienàle. Era pallido e aveva le occhiaie. La folta chioma bianca si era appiattita e sembrava senza vita. Hilary ebbe l'impressione che fosse decisamente invecchiato rispetto a quando l'aveva cono­sciuto. Sembrava distrutto.

  Sapeva come si sentiva. La storia della famiglia Frye era un terribile esempio di quanto l'uomo potesse essere inumano. E più si addentravano nei meandri di quella follia, più si sentivano sconcertati. Il cuore non poteva che sob­balzare e cedere a ogni raccapricciante scoperta.

  Come se stesse parlando a se stesso, nel tentativo di fare ordine nella mente, Joshua mormorò: "Così tornarono a St. Helena e ripresero la loro relazione rivoltante da dove l'a­vevano interrotta. Poi commisero un errore e lei rimase in­cinta. E nessuno a St. Helena sospettò mai niente."

  Tony sbottò: "È incredibile. Di solito le bugie semplici sono le migliori perché impediscono di commettere passi falsi. Invece la storia di Mary Gunther era incredibilmente complicata! Roba da veri equilibristi. Hanno dovuto tenere in aria decine di palle per volta, ma se la sono cavata senza intoppi, direi."

 

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