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Rune

Page 7

by Christopher Fowler


  Inginocchiatasi, cominciò a pregare, poi, in preda a un orrore crescente, vide spegnere tutte le candele da una mano invisibile. Di fronte ai suoi occhi terrorizzati, l'immagine di Cristo sulla sommità del piccolo sacrario si sciolse e si spezzò, sostituita da qualcosa di ancora più antico e molto meno confortante.

  Harry vuotò stancamente la valigetta sul letto e cominciò a or­dinare le scartoffie accumulate durante la settimana. Il suo ap­partamento occupava la metà inferiore di una casa vittoriana a schiera in una zona elegante di Highgate. Dalle finestre della ca­mera da letto si godeva un'ampia, splendida vista della città, il che spiegava agli ospiti invitati a pranzo come mai quelle quattro stanze fossero costate una cifra astronomica. La tinta predomi­nante era il grigio spento executive pubblicitario fin de siècle, e naturalmente non mancavano le lampade alogene nero opache da pavimento. Era un look da rinnovare entro un anno o giù di lì, prima che passasse di moda. Lo squallido bagno monocromo con le sue imposte di legno nere sembrava adatto a essere usato esclusivamente negli spot delle lamette da barba. La camera da letto, dove Harry sedeva in mutande, soffriva di un male estetico analogo, il trionfo transitorio dello stile sul comfort.

  Harry studiò senza entusiasmo i nuovi sondaggi relativi al pro­getto di lancio della bibita gasata alla frutta. La sua attenzione si spostò dai tabulati delle reazioni dei consumatori ai ricordi del padre. La temibile Beth Cleveland era passata a consegnare al­cune lettere e fotografie che Willie, a quanto pare, aveva desti­nato al figlio. La donna non aveva voluto varcare la soglia dell'appartamento, e aveva cercato una scusa qualsiasi per andarse­ne. Comunque, era stata gentile a disturbarsi, pensò Harry.

  La maggior parte delle fotografie non le vedeva da anni. Pa­recchie non le aveva mai viste. Erano foto scattate verso la fine degli anni Cinquanta, e mostravano tempi felici per la famiglia Buckingham: gite in moto e sidecar nel Kent, sua nonna che rac­coglieva luppolo durante le vacanze, suo padre e sua madre ab­bracciati, seduti all'esterno di un pub di campagna, più affiatati di quanto ricordasse di avere mai visto da bambino. Harry ricor­dava solo il periodo violento successivo, le aspre recriminazioni e le liti a tavola l'anno prima che sua madre morisse. Infilò le foto in una busta e la chiuse nella scrivania.

  Le lettere spiegavano pochissimo. Tenerle in mano faceva un certo effetto, comunicavano qualcosa, anche se il loro contenuto non rivelava granché. La calligrafia era nitida e minuta; i fogli erano piegati meticolosamente per entrare con la massima preci­sione in ogni busta. Riflettevano l'attenzione esasperante di Willie per i minimi dettagli. Harry ripose anche quelle.

  Inutile. Bisognava fare qualcosa. Sì, decise che avrebbe fatto un salto dal collega di suo padre nel weekend, per vedere se Brian Lack potesse far luce sul comportamento del vecchio. Grace gli aveva chiesto se poteva accompagnarlo. Doveva telefonar­le? Dopo un attimo di riflessione, decise di no. L'ultima cosa di cui aveva bisogno adesso era mettersi a frequentare una... estra­nea. Sarebbe stato molto meglio scusarsi con Hilary invitandola a cena la sera successiva, anche se era convinto che la frustrazio­ne accumulata trascorrendo parecchie ore con lei ben presto si sarebbe rivelata eccessiva per i suoi genitali.

  Per Hilary, il sesso sicuro equivaleva a un taxi prenotato per le undici. Riferendosi all'atto sessuale in termini biologici, costrin­geva Harry a pensare a lei con lo stesso distacco con cui guardava le annunciatrici televisive. Il fascino del profumo di Hilary a po­co a poco veniva spento dall'odore acre del disinfettante.

  Harry spinse giù dal letto la valigetta, ripromettendosi di ini­ziare a studiare i sondaggi la mattina dopo di buon'ora. Mentre spegneva la lampada e si appoggiava al cuscino, la faccia di suo padre riapparve ostinata.

  Sei considerato un uomo intelligente, no? gli disse. Scoprimi, prima che sia troppo tardi.

  La signora Nahree era assediata dai demoni.

  Non li vedeva ancora, però sapeva che erano intorno a lei. Il sacrario giaceva sul pavimento della cucina, ridotto in mille pez­zi, l'ultima candela gocciolante stava per soccombere all'oscuri­tà. Con gli occhi chiusi, si alzò e cercò a tastoni lo stipite della porta. Doveva ignorare il rumore e cercare di pensare. Se non avesse esaminato il biglietto del signor Buckingham, adesso non sarebbe stata maledetta. Di conseguenza, se non avesse guarda­to i demoni, loro l'avrebbero lasciata in pace. Doveva impedire ai propri occhi di vedere. I demoni avrebbero preteso un sacrifi­cio per andarsene.

  Suo figlio Rasheed lavorava per un gioielliere. Nel tempo libe­ro, guadagnava qualche soldo extra riparando spille e catenine d'oro, sistemando fermagli e incastonando pietre preziose. Tene­va i suoi attrezzi sopra l'armadio nella stanza per gli ospiti. Era l'unico modo. La signora Nahree doveva trovarli senza aprire gli occhi.

  Inserire il saldatore fu la parte più difficile. Trovò la presa di corrente strisciando sul pavimento e facendo scorrere la mano sul battiscopa. Attorno a lei si levò il vento assordante delle mille voci maligne di creature immonde che si muovevano nell'aria congestionata. Cercarono di schiuderle le palpebre, di costrin­gerla a fissare i loro lineamenti disgustosi, ma lei resistette. Le avrebbe sconfitte.

  C'era un unico modo di scoprire se il saldatore fosse abbastan­za caldo: provarlo sul dorso della mano. Gridò quando la carne sfrigolò, ma la sua voce si perse nel chiacchierio sommesso dei diavoli. Due attimi di sofferenza, nient'altro. Le ferite si sareb­bero cauterizzate. Era l'unico sistema.

  Alzò il saldatore e premette la punta rovente sulla palpebra, forandola, penetrando nella cornea dell'occhio destro. Dopo la sensazione iniziale scioccante di dolore, non sentì più nulla. To­gliendo il ferro sfrigolante e appiccicoso dalla cavità orbitale, ri­petè l'operazione con l'occhio sinistro. Questa volta il dolore sbocciò come un fiore avvelenato. Le mani fragili della donna strinsero l'impugnatura del saldatore e ne conficcarono la punta nell'orbita, finché la poveretta non ebbe la sensazione che il cer­vello stesse per esploderle.

  Solo allora si rese conto che stava gridando, molto forte. Men­tre sveniva e si accasciava sul pavimento, il saldatore le scivolò di mano e cadde contro la tenda della camera, sciogliendone le fibre con la stessa rapidità con cui l'aveva privata dell'impaccio della vista.

  12

  Angeli morti

  Venerdì mattina, Giace si alzò presto. Scesa dal letto, staccò il manifesto sgargiante che pubblicizzava Faster Pussycat, Kill Kill! di Russ Meyer e lo sostituì con un poster di Morti e sepolti di Dan O'Bannon, coprendo ancora le macchie di umidità che con­tinuavano a formarsi sulla tappezzeria sopra il letto. L'apparta­mento era in condizioni pietose, ma non sarebbe riuscita a persuadere il padrone di casa a pagare le riparazioni necessarie; al­meno, prima di provarci doveva pagare l'affitto arretrato. Smon­tò dalla sedia e la spinse di nuovo nell'angolo. Annusò l'aria, sospettosa, poi mandò il cane in corridoio.

  Si avvicinava il weekend e lei non aveva nessun programma: peggio, non aveva nemmeno abbastanza soldi per permettersi di andare al cinema. Forse potrei chiamare Harry e spillargli qualche sterlina, anche se non sembrava tanto entusiasta quando mi ha vista dopo il funerale pensò. Doveva ammettere che lo trovava attraente... un fascino un po' mellifluo, il suo. Era evidente che lui non era a corto di soldi. A giudicare dall'aspetto, non era mai stato su un autobus e non doveva stirarsi i vestiti da solo.

  Grace arrotolò il poster staccato e lo gettò sotto il letto. Harry non portava la fede. Chissà se aveva la ragazza? Probabilmente era il tipo d'uomo a cui piaceva farsi vedere in compagnia di una bionda emaciata con una pronuncia strascicata kensingtoniana e la bocca piena di ponti dentari detraibili dalle tasse. Come ci si poteva fidare a uscire con un uomo che si guadagnava da vivere gonfiando i pregi dei prodotti? Trascorreva la sua vita rinforzan­do modelli di ruolo e stereotipi. Chissà se diceva mai la verità, o se mentiva anche a se stesso? Cavolo, forse dovrei cercare di salvargli l'anima rifletté Grace, sistemando il copriletto. Per quel che ne sa, io potrei essere la sua ultima possibilità. Forse il nostro incontro era predestinato. Uno scintillio particolare le brillò negli occhi. Sedette sul letto, chiese
il numero di Harry al servizio in­formazioni telefoniche, quindi si affrettò a chiamarlo.

  Harry rispose al terzo squillo. No, rispose incredulo, non pote­va cenare con lei quella sera. Ma lei si rendeva conto che erano le sette e mezzo di mattina? D'accordo, era turbata per le tristi circostanze che li accomunavano, però lui non vedeva per quale motivo dovessero frequentarsi ancora.

  — Chiamami Grace, possiamo darci del tu — disse la ragazza.

  — Va bene, Grace. Ma non posso cenare con te. A parte il re­sto, ho un'amica.

  — Meglio che essere sposati.

  — Per te, forse. Be', addio...

  — Sai, non puoi sfuggire al destino.

  — Cosa?

  — Forse era destino che c'incontrassimo.

  — E mio padre è dovuto morire per questo? Bel modo di otte­nere un appuntamento galante, Grace. Addio.

  Sarà più dura del previsto pensò Grace. Riattaccò, si rilassò sul letto, mordicchiandosi un'unghia. Sarebbe stato arduo far brec­cia nel suo cuore.

  Ma anche molto divertente.

  Come ogni mattina, Dorothy Huxley prese l'autobus per an­dare al lavoro e si mise a guardare fuori dal finestrino, immersa nei propri pensieri. Come la canzone dei Beatles, si domandò se ci fosse ancora bisogno di lei a sessantaquattro anni. Fisicamen­te, era sana e forte. Era lo spirito che stava indebolendosi. Ave­va una mente indagatrice, troppo per il suo bene, ma più cose scopriva del mondo in cui viveva, più cose leggeva sui giornali e vedeva alla tv, meno desiderava far parte di quel mondo. La bi­blioteca rimaneva la sua vera casa, ben più dell'appartamento che sua figlia l'aveva spinta a prendere. Era troppo moderno, troppo luminoso e arieggiato. Le finestre dal telaio d'alluminio inghiottivano la luce del sole e la proiettavano in riquadri roventi sulla moquette, contro le pareti, come se volessero ingannarla facendole credere che l'edificio si trovasse sulla costa spagnola e non a Londra. I libri avvizzivano e morivano nello sfolgorio di tanto vetro. Dorothy preferiva ritirarsi a studiare nei recessi muffosi della biblioteca. Lì i rilegati invecchiavano con dignità, proprio come lei.

  Una volta sua figlia le aveva chiesto se credesse in Dio. Non in Dio, le aveva risposto Dorothy, nessuna singola divinità aveva il diritto di monopolizzare la fede: negli Dei, credeva, in molti Dei. Sconcertata, sua figlia le aveva battuto sulla mano, rassicurante, ed era tornata in Australia con la nuova famiglia, a cuoce­re al sole. Non c'erano ombre di dubbio nella sua vita. E Dorothy continuava a vivere sola, cercando qualcosa che la convin­cesse della presenza di uno schema nella sua esistenza.

  Di notte, mentre la lampada del comodino teneva a bada l'o­scurità, sistemata comodamente sui cuscini studiava i misteri eleusini e orfici, quelli dei Rosacroce e del Tempio di Salomone. Ma le uniche cose che trovava erano semplici frammenti di indizi stuzzicanti, sepolti nei rituali di religioni dimenticate, nascosti sotto gli abbellimenti dell'esperienza soprannaturale. La sua ri­cerca procedeva tra minuscole scintille di illuminazione, sprazzi di chiarezza che formavano gli stessi contorni riscontrabili sulla mappa del paradosso e delle probabilità di Frank Drake. Le cro­ci fatte a penna sui fogli di carta millimetrata di Frank rivelavano che anche la sua ricerca era incompleta; per ora, non disponeva­no di elementi sufficienti per trarre conclusioni concrete. Un giorno, forse, tra le pagine dei suoi amati libri, Dorothy sarebbe arrivata a capire la natura e la necessità della vera fede.

  — Buongiorno, Frank.

  Passò accanto alla scrivania ingombra del giovane collega, la­sciando cadere una copia dell'Independent sul ripiano. — Sei in anticipo. — La biblioteca avrebbe aperto tra venti minuti.

  — Ho aggiornato il dossier. — Frank aggrottò le ciglia dietro gli occhiali, osservandola. — Piove?

  — Appena iniziato. C'è una notizia per te a pagina quattro. Caffè?

  — Grazie. — Frank aprì il giornale e individuò il trafiletto. — È solo l'identificazione di un uomo annegato — disse deluso. — Questa settimana sarà impossibile trovare una notizia più sensazionale di quella del tizio che si è tuffato nel Tamigi con la sua Ja­guar. Questa è troppo normale.

  — Non proprio — replicò Dorothy. — Dice che è annegato nel canale a Camden. L'acqua è bassissima là, non è il posto adatto per cercare di suicidarsi.

  — Si può annegare in tre centimetri d'acqua.

  — Sì, però questo sembra più un omicidio. — Dorothy tornò con le tazze, osservando Frank che ritagliava per bene l'articoletto, lo incollava su un pezzo di cartoncino e lo aggiungeva agli al­tri, come un bambino che riempisse un album di ricordi. — Hai già cominciato a scrivere qualcosa? — gli chiese.

  — Questione di pochi giorni. Non appena avrò finito di racco­gliere i dati. Il guaio è che, a quanto pare, ogni volta che apro un giornale saltano fuori nuovi casi. Un vero diluvio. Guarda qui. — Frank spiegò un foglio di carta millimetrata e glielo mostrò. — Scotland Yard ha appena diramato qualche cifra. — Dorothy si sistemò gli occhiali e osservò il grafico multicolore.

  — Più di un terzo degli omicidi commessi l'anno scorso in In­ghilterra e in Galles sono avvenuti per accoltellamento. Il venti­cinque per cento degli altri decessi è stato provocato da strango­lamenti o soffocamenti. Poi, in ordine decrescente, abbiamo i corpi contundenti, le percosse, le armi da fuoco, gli incendi, gli annegamenti e infine gli avvelenamenti.

  — Alla faccia di Agatha Christie.

  — Eh?

  — Ha sempre prediletto l'avvelenamento. Immagino che sia troppo individuabile oggigiorno. Nessuno dei suoi assassini riu­scirebbe a farla franca, adesso.

  Frank non la sentì nemmeno. Si stava infervorando.

  — Settecento omicidi in Gran Bretagna l'anno scorso. Novan­ta in Scozia. Più di cento a Londra. Ma la percentuale di gran lunga maggiore è stata nell'Inghilterra centroccidentale. Nell'ar­co di tempo a partire dall'inizio dell'anno, le cifre sono quasi rad­doppiate rispetto allo scorso anno. Perché mai?

  — Non lo so. Ci sono parecchi angeli morti.

  — Cosa intendi dire?

  Dorothy gli sorrise. — Dicono che ogni volta che viene stron­cata una vita, un angelo muore. Il numero di morti violente de­v'essere più elevato nelle aree dove la densità della popolazione è particolarmente alta, per via dei redditi bassi, della disoccupa­zione eccetera eccetera. Lo sapevi che ci sono sette livelli diversi di violenza?

  Frank alzò lo sguardo dal grafico.

  — Sono determinati da cambiamenti della situazione sociale e finanziaria. C'è una violenza che si verifica a causa di una priva­zione di base... il bisogno di respirare, di mangiare, di continua­re a vivere. All'altra estremità della scala c'è un tipo di crudeltà molto sottile e raffinata, come quella sviluppata e praticata da certe religioni. Ci sono molti esempi documentati.

  Frank la fissò, sorpreso. — Mi preoccupano le informazioni che ti porti in testa.

  — Si accumulano nel corso degli anni. — Dorothy abbozzò un sorriso, battendosi su una tempia. — La mia mente è un ricetta­colo di informazioni superflue, proprio come questo posto. Non saranno mai di grande utilità. Forse torneranno utili i libri che stanno in cantina.

  — Ah, già, la cantina. Quand'è che rivedremo le tue amiche della Congrega di Camden Town? — C'era una sfumatura garbata di derisione nella voce di Frank. Dorothy ignorò la domanda.

  Quella mattina, aprendo la porta a un pubblico apatico, av­vertì un vago sprazzo di apprensione, e si chiese se sarebbe mai stata invitata a impiegare le conoscenze esoteriche immagazzina­te nella biblioteca della sua mente.

  Dave Coltis aveva ricevuto parecchie minacce di morte nei suoi ventisei anni di vita, ma mai una del genere. La rigirò tra le mani tatuate, osservandola, cercando di decifrare i caratteri.

  Chi erano i suoi nemici attuali? Pensò alle persone che si era inimicato maggiormente negli ultimi tempi. C'era l'entraineuse del club di Mayfair: aveva smesso subito di frequentarla dopo che lei gli aveva prestato dei soldi. C'era la vecchia checca della sauna di St.Martin's Lane, che lui aveva ricattato, e che adesso si rifiutava di pagare. E c'era il s
uo ex complice: Dave lo aveva evi­tato da quando era fallita la truffa computerizzata a cui avevano dedicato tanto tempo.

  Ma... no, non poteva trattarsi di uno di loro. Il suo ex socio era ancora detenuto a Parkhurst, e la calligrafia sulla busta era troppo sofisticata per appartenere a uno degli altri due. Dave non aveva dato il suo nuovo indirizzo a nessuno, eppure il mit­tente aveva scritto perfino il codice postale, cosa che Dave dove­va ancora scoprire.

  Appallottolò la busta e la gettò. Poi infilò il foglio coperto di strani geroglifici nella tasca della giacca, per studiarlo in seguito. Doveva lavorare, adesso.

  Da mezz'ora stava cercando un'auto da rubare. Stava aspet­tando una decappottabile, preferibilmente una delle nuove bmw. Se non fosse riuscito a trovarne una ad Hampstead, tanto valeva che cambiasse mestiere.

  Venerdì mattina le strade di Hampstead erano piene di donne benestanti che compravano sottane. Un tempo i negozi vendeva­no quaglie, finocchi e kiwi. Ora vendevano abbigliamento. Gli uomini che non avevano ancora raggiunto l'ufficio comperavano gel per capelli, scarpe, i giornali del mattino. Dave si mangiuc­chiò le unghie, appoggiato a un albero, guardandoli passare. Os­servò il cielo cupo. Stava cominciando a piovere.

  Una donna dai capelli crespi che indossava un giaccone verde imbottito chiamò la prole nell'ingresso di un negozio gridando all'improvviso: — Jonquil! Tarquin! Mami è adirata! — Dave si girò a fissarla. Le stronze come quella non sapevano nulla della vita. Chissà se aveva qualcosa che valesse la pena di rubare? Erano tutte uguali, quelle persone. I loro soldi erano sempre "impegnati". Eccole là, in fondo alla discesa, in coda davanti alla gastronomia, col portafoglio in mano e il pezzo di plastica pronto. Dave arricciò le labbra in un sorriso sarcastico. Si davano un sacco di arie, ma perlopiù erano senza un soldo. Al verde. Fottu­te merde... ci stava anche la rima. Dovevano pagare l'ipoteca sulla tana nel Norfolk, e coi quattrini rimasti riuscivano a mala­pena a iscrivere la piccola Jocasta alla scuola privata. Era fortu­nata che lui non avesse bisogno di denaro, oggi.

 

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