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Rune Page 9

by Christopher Fowler


  — Via, Arthur, la situazione non era poi così brutta.

  — No? C'era una cosa ridicola laggiù. — Bryant indicò il lato del parco. — Un obelisco spaziale, lo "Skylon", alto novanta metri, sostenuto da cavi. Lo si vedeva a chilometri di distanza. I cinici dicevano che era come la Gran Bretagna dopo la guerra, stava in piedi senza mezzi di sostentamento visibili.

  — Ma sicuramente voleva essere un simbolo del nostro spirito indomito — ribattè May. — Una raffigurazione dell'indistrutti­bilità della nazione. Che fine ha fatto la passerella in cima agli al­beri?

  — È caduta.

  — Oh... E le altre costruzioni?

  — Hanno tenuto i pezzi che non sono crollati e li hanno usati per un parco dei divertimenti. Poi si è sfasciato anche quello e adesso starà finendo di andare in rovina chissà dove.

  May decise che era ora di indirizzare la conversazione verso argomenti più attuali. Cercò di assumere un tono indifferente. — Stavo pensando al nostro caso, al nostro uomo annegato, cercando di capire due cose.

  — Cosa ci faceva nell'insettario di notte.

  — Questa è una.

  — Perché si era barricato nel suo appartamento e l'aveva rico­struito.

  — Questa è l'altra.

  — Me lo stavo chiedendo prima che tu arrivassi. — Anche Bryant sembrava felice di cambiare argomento. — Il portiere non ci è stato di grande aiuto, vero?

  — Già, stando a quanto ha detto, Dell aveva il diritto di ri­strutturare l'appartamento. Era previsto dal contratto d'affitto. Nessuno poteva immaginare che le sue modifiche sarebbero sta­te radicali. Quel che è certo, è che Dell non aspettava visite.

  — Ti sbagli. Secondo me, stava cercando di tenere lontano qualcuno o qualcosa. Non si distrugge la propria casa se non si è pazzi o spaventati. A proposito, non sono approdato a nulla, allo zoo. Nessuno ha visto entrare Dell nell'insettario. Ci sono im­pronte di piedi sul muro esterno, e anche il guardiano ritiene che si sia arrampicato. La serratura della porta principale era stata forzata. La vetrina dei ragni èra rotta, e su parecchi frammenti di vetro ci sono le impronte di Dell. Ma se aveva intenzione di ucci­dersi, perché scegliere un metodo così grottesco?

  — Mi stai dicendo che non è stato commesso alcun crimine, a parte una semplice effrazione e un atto di vandalismo?

  — Pare di sì.

  Mentre camminavano, May estrasse alcuni fogli dalla tasca. — Il pezzo di cartoncino in mano a Dell, quello coi simboli... Ho controllato col computer, senza molta fortuna.

  — Ah ah! — Bryant rise. La sua teoria sull'inutilità della tec­nologia si era rivelata esatta.

  — Significa soltanto che i caratteri non appartengono a una lingua d'uso comune. Sto cercando di confrontarli con gli alfabe­ti arcaici, ma dobbiamo trovare un esperto.

  — Cioè, ci vuole qualcuno che lo faccia impiegando il vecchio sistema, guardando in un libro. Ah... — Bryant proseguì. May socchiuse gli occhi, fissando la schiena del collega.

  — C'è dell'altro. Dato che avevo già codificato i simboli su un disco, ho deciso di inserire tutti i dati riguardanti il caso in un programma speciale lan, di accedere ai file dei casi del mese scorso relativi a Londra Centro, e di avviare un riscontro.

  — Stai dicendo delle assurdità, John. Sto sentendo delle cose incomprensibili.

  May sospirò. — Ho chiesto al computer di vedere se qualcuno avesse registrato un caso che presentasse qualche analogia. Ecco cos'è saltato fuori. — Passò un foglio a Bryant.

  — David Coltis, ventisei anni, fedina penale lunga un metro, si uccide decapitandosi. Arthur Meadows, cinquantasette anni, nessun precedente penale, nemmeno una multa per divieto di so­sta, si uccide, e uccide altre tre persone, lanciando la propria au­to a velocità folle. Entrambi avevano in tasca pezzi di carta con simboli che corrispondono a quelli trovati addosso a Henry Dell.

  — Ma stai parlando di strani incidenti, John, di suicidi, non di omicidi.

  — Lo so. È questo il problema. Se hai un'ora libera, vorrei che venissi con me al negozio di Dell.

  — Non abbiamo già mandato là qualcuno? Il posto era pulito. Ho visto il rapporto.

  — I simboli di Dell erano stampati su un tipo particolare di carta patinata: il 250 gsm laminato. La usano per fare le coperti­ne delle videocassette. Dell aveva più di seicento titoli in nego­zio. Voglio esaminare le sue giacenze.

  Bryant alzò la testa di scatto. — Guido io.

  May lo fissò deciso. — Prenderemo il metro.

  Uscendo dalla stazione in una Finchley Road deserta, non ebbero difficoltà a trovare il posto che cercavano. Sarebbe sta­to impossibile sbagliare. Un fascio di tubi flessibili copriva il marciapiede allagato di fronte al negozio. L'edificio era stato sventrato dal fuoco. Dalle vetrine rotte usciva ancora il fumo, diffondendo nell'aria un odore acre di plastica bruciata. May si fece largo tra la folla e andò accanto a un pompiere, qualifican­dosi.

  — Che è successo? — gridò. — Quando è stato dato l'allar­me?

  — Circa un'ora fa. Tutto il fabbricato è danneggiato, ma pen­siamo che l'incendio sia scoppiato al pianterreno o nello scanti­nato. È lì che hanno visto le prime fiamme.

  — Cioè, nel negozio di materiale video?

  — Esattamente.

  May sapeva che il negozio era chiuso dalla morte del proprie­tario. Stando alla puzza di plastica che ristagnava nell'aria, non era ancora stato vuotato. — Quale può essere stata la causa? — chiese.

  — Elettrica, forse — rispose il pompiere. — Troppo presto per dirlo. Non siamo ancora scesi nello scantinato. Due dei miei uomini sono là dentro, adesso, a controllare in che stato sono le scale.

  May arretrò verso la piccola figura col cappello floscio. — Pa­re che siamo arrivati troppo tardi. I nostri ragazzi non hanno tro­vato nulla di sospetto quando hanno ispezionato il posto? Niente merce illegale? Dell non trattava pornografia, video osceni, roba del genere?

  — Non hanno scoperto nulla. Gli ho chiesto di registrare i no­mi di tutte le compagnie di distribuzione stampati sulle cassette, per potere effettuare un altro controllo.

  — Almeno, domani sapremo da dove cominciare.

  — Dovremmo dare un'occhiata dentro. — Bryant si avvicinò a uno dei pompieri che uscivano dal negozio e gli parlò per alcuni minuti. Infine chiamò May con un cenno. — Dicono che possia­mo andare se ci accompagna uno di loro.

  — Non toccate i muri — li avvertì la guida. — Scottano anco­ra.

  L'interno del negozio era incrostato di cenere nera, e sembra­va quasi informe quanto l'appartamento di Dell. Gli scaffali e i banchi erano stati completamente distrutti dall'incendio. Molta acqua gocciolava in modo inquietante dal soffitto, come se fosse­ro entrati in una caverna sotterranea.

  — Non troveremo nulla qui — disse May, a disagio. Il pavi­mento si muoveva sotto i suoi piedi formando pozze nere mefitiche. Il pompiere illuminò incerto la scala di fronte con la torcia elettrica.

  — Possiamo scendere? — chiese Bryant.

  — I gradini sono d'acciaio. Sono resistenti. Ma io non scende­rei. Il soffitto non sembra tanto stabile.

  Le parole del pompiere giunsero troppo tardi. Bryant si era già avviato. Nel seminterrato l'aria era più acre, e faceva brucia­re gli occhi. La torcia illuminò pareti di plastica nera fusa che penzolava in stalattiti mollicce.

  — È qui che tenevano il grosso della merce — disse Bryant. — Non è rimasto granché. Mi presti la lampada, per favore? — Proiettò il raggio luminoso sul pavimento allagato, poi avanzò tra le scaffalature d'acciaio.

  — Non dovrebbe allontanarsi, signor Bryant — lo avvertì il pompiere. — Quei pannelli del soffitto possono crollare da un momento all'altro.

  — Solo un minuto.

  Bryant si accovacciò alla base di uno scaffale in frantumi e tirò il riquadro bianco illuminato dalla pila. Alzando verso la luce il pezzo di carta fradicio, si ritrovò a fissare una serie di simboli familiari.

  — Vieni qui, John.» Altri simboli, identici a quelli trovati ad­dosso a Dell, Mea
dows e Coltis. — Si era voltato per esaminare meglio il foglio, quando un braccio annerito gli piombò sulla spalla. Urlando di paura, perse l'equilibrio e cadde a sedere nel­l'acqua, mentre il corpo bruciato tra gli scaffali ruzzolava in avanti.

  — Cristo, e questo da dove salta fuori? — fece il pompiere, ar­rivando accanto a Bryant. May lo seguì e si inginocchiò. La pla­stica delle scatole delle videocassette sciogliendosi era gocciolata sulla pelle del ragazzo aderendovi e coagulandosi. I capelli erano completamente bruciati. Gli aprirono la camicia bruciacchiata, strappandola, e sentirono il battito cardiaco.

  — Incredibile — disse il pompiere. — È ancora vivo. Per un pelo.

  — Perché non è asfissiato? — chiese Bryant.

  — Si era trascinato tra gli scaffali. — May indicò il punto dove si trovava il ragazzo poco prima. — C'è una ventola d'aspirazio­ne nel muro. L'ha tenuto in vita.

  — Speriamo di riuscirci anche noi — disse Bryant.

  15

  Enigma

  Janice Longbright si sedette alla scrivania, accavallò le gambe fa­sciate da un paio di calze di nylon con cucitura, e osservò John May che attraversava l'ufficio pieno di attività fermandosi a salutare i colleghi e a ritirare una grossa busta dalla giovane programmatrice asiatica china sul computer. La vivace cravatta gial­la di John era un gesto riguardoso. Janice l'aveva regalata all'azzimato detective l'ultima volta che avevano lavorato insieme.

  — Di solito non preparo il tè agli uomini — esordì al suo arri­vo. — Ma per te farò un'eccezione, oggi.

  — È il mio fascino, vero? — disse sorridendo May.

  — No, il ragazzo del tè è a casa con l'eczema varicoso. Arthur non si unisce a noi?

  — Il mio collega vuole condurre parte dell'indagine Dell da solo — rispose May, aprendo la busta. Aveva deciso di lasciare che Bryant facesse a modo suo, così se non altro l'amico si sa­rebbe concentrato sul caso e non avrebbe pensato al pensiona­mento. E poi, aveva lavorato col sergente Longbright in diverse indagini importanti in passato, e trovava molto gradevole il fatto che lei rifiutasse le soluzioni facili. Janice Longbright era benvo­luta dai colleghi, che però evitavano di socializzare con lei per via della sua lunga relazione con uno dei funzionali più duri del commissariato. Tutti parlavano delle sue ipotetiche notti infuo­cate con l'ispettore Ian Hargreave. La loro relazione era il segre­to di Pulcinella del corpo di polizia, eppure ogni mattina i due entravano furtivi nell'edificio arrivando da direzioni diverse, co­me se ignorassero davvero che gli altri sapevano benissimo che avevano trascorso la notte insieme.

  — Ho letto il dossier — disse Janice. — Dimmi cosa posso fa­re.

  May posò il contenuto della busta sulla scrivania di fronte a sé. — Mi servono dei collegamenti. Dobbiamo scoprire cos'hanno in comune un ladruncolo e un paio di rispettabili e agiati uomini d'affari. Controlla se Coltis o Meadows hanno acquistato o no­leggiato videotape nel negozio di Henry Dell. Esamina i loro precedenti e vedi se le loro strade possono essersi incrociate. Vo­glio anche che controlli tutte le aziende che fornivano regolar­mente nastri a Dell. Guarda se qualcuna è coinvolta in affari so­spetti. Bryant sta contattando un esperto di lingue esoteriche, di antiche scritture, un... come si dice?

  — Un paleografo.

  — Esatto. Gli mostrerà i geroglifici che abbiamo trovato nello scantinato di Dell. Sono praticamente identici a quelli trovati ad­dosso ai cadaveri, ma quelli li sta esaminando la scientifica. Dob­biamo stabilire la provenienza dei tre biglietti, e naturalmente sarebbe bello sapere cosa dicono. È meglio che tu ti tenga in con­tatto con Arthur per sapere se ci sono novità, ma ti avverto che ha il vizio irritante di lavorare a casa e di staccare il telefono.

  — Proverò a convincerlo a portare un cercapersone.

  — Scordatelo, ci ho già provato. L'ultimo gli è caduto nel ga­binetto prima che potesse servirsene. Mi ha assicurato che si è trattato di un incidente.

  Janice rise. — Non preoccuparti, troverò il modo di tenerlo d'occhio. Cosa sono, questi? — Indicò i tabulati sulla scrivania.

  — Un'altra cosa che mi ha lasciato perplesso. Ho esteso il con­fronto dati relativo ai decessi di Londra Centro in modo da co­prire gli ultimi due mesi, e ho attivato il programma. Ho pensato che se i nostri suicidi fossero stati collegati in qualche modo, avremmo potuto raccogliere altre prove studiando dei cosiddetti casi marginali. È saltata fuori una montagna di morti accidentali, e in nessun caso si è avuta finora la conferma di omicidio.

  — Credi che alcuni potrebbero essere collegati?

  — Così sembra. Se ci stessimo occupando di tre casi di omici­dio ben definiti, e non sono tre, perché il caso Meadows non è di nostra competenza, non sarebbe sorprendente trovare le prove che li colleghino. Ma ogni vittima è morta uccidendosi con le proprie mani! Insomma, Dell è morto avvelenato perché a quan­to pare è penetrato in uno zoo e ha infilato le zampe in una vetrinetta piena di ragni velenosi, santo cielo... A meno che qualcuno non l'abbia costretto a farlo minacciandolo con un'arma, il che sembra improbabile. Eppure deve entrarci un elemento esterno. Se Dell non stava cercando di proteggersi da qualcuno, perché si è murato in casa?

  — Hai ragione, non ha senso — convenne Janice. — Quante altre morti analoghe ha trovato, il computer?

  In risposta, May sollevò i tabulati e lasciò andare un'estremi­tà. Mentre Janice osservava meravigliata, i fogli perforati si sro­tolarono fino a toccare il pavimento.

  Arthur Bryant si strinse la sciarpa sul naso e bussò ancora. Sa­peva che c'era qualcuno in casa. Sentiva il dottore che cammina­va con passo pesante all'interno. Fuori si gelava. Non capiva per­ché Kirkpatrick si rifiutasse di farlo entrare. Bussò alla porta del seminterrato per la terza volta. Di colpo, una faccia grigia, scar­na, apparve sotto le tendine di rete di una finestra, poi sparì. Un attimo dopo il chiavistello scorse, e la porta si spalancò.

  — Mio caro amico, sono terribilmente dispiaciuto! Desolato! Rammaricato! — Il dottore strinse il braccio di Bryant con en­trambe le mani. — Che sorpresa! — E fece strada all'ospite.

  — Sono rimasto là fuori un secolo — borbottò Bryant. — Sia­mo sotto zero stamattina, o per caso non te n'eri accorto?

  — Non ho sentito nulla. Ascoltavo il Walkman. — Kirkpa­trick indicò la cuffia stereo attorno al collo scheletrico. L'interno buio del seminterrato era una grotta di Aladino letteraria che fungeva da appendice della sua mente. Libri di ogni genere, di­mensione e colore, erano ammucchiati qua e là nella stanza, co­me formazioni rocciose del Colorado. Le quattro pareti erano piene di scaffali stracolmi che sembravano assorbire la luce, dan­do un senso di claustrofobia.

  Il dottore liberò una poltrona, togliendo una pila di vecchi numeri di Scientific Review, e fece un cenno a Bryant. — Do­vresti prendere uno di questi aggeggi — disse, spegnendo il mi­nuscolo stereo personale. — Lo ascolto sempre quando sto la­vorando.

  Bryant fissò diffidente l'apparecchietto. — Immagino che un bel brano di Mendelssohn possa aiutare a concentrarsi — rico­nobbe.

  — Mendelssohn? Buon Dio, no! Musica heavy metal. Trovo che stimoli la circolazione. Meatloaf è sempre stato il mio grup­po preferito, Pipistrello infernale e via dicendo. Adesso mi piacciono molto i Def Leppard.

  Il dottor Raymond Kirkpatrick fece un largo sorriso, assumen­do un'aria decisamente folle. Alto, grigio, curvo, con addosso un vecchio maglione logoro, sembrava proprio coperto di polvere, anche se a un esame più accurato ci si accorgeva che era soltanto un'illusione appropriata. Il dottore ormai lasciava di rado il suo seminterrato ingombro. Era un'anima buona che viveva per lo studio della semantica, un esperto famoso in tutto il mondo per i suoi saggi sull'evoluzione dell'inglese moderno. Spesso la polizia si rivolgeva a lui quando non riusciva a decifrare le espressioni più recenti del gergo di strada.

  — Cosa posso fare per te? — chiese. — Sono sempre pronto ad aiutarvi, ragazzi, anche se naturalmente disapprovo l'istitu­zione della polizia in quanto espressione di un concetto totalita­rio. Dov'è l'altro? — Con una mano ossuta,
indicò un punto alla sinistra di Bryant.

  — L'altro, cosa? — chiese Bryant, perplesso.

  — La tua solita metà. Il tuo doppio. Viaggiate sempre in cop­pia. Come gemelli siamesi. Castore e Polluce.

  — Ah, ti riferisci a John, il mio collega. Sta seguendo una pi­sta sua. — Bryant estrasse dalla tasca del cappotto la pagina di geroglifici. — Mi serve la tua opinione. Io so solo che non si trat­ta di un alfabeto d'uso comune. — Passò il foglio a Kirkpatrick, che inforcò un paio d'occhiali spessi e lo studiò, sfiorando la car­ta col lungo naso.

  — Un rebus! Un enigma crittografico! Da sballo, per usare un'espressione gergale recente. — Kirkpatrick si avvicinò a una parete di libri e fece scorrere le dita sui dorsi, come se stesse leg­gendo i titoli in Braille. — Credo di avere qui qualcosa che forse potrà aiutarci.

  A fatica, estrasse un volume massiccio e lo posò sul tavolo con un tonfo. — Queste configurazioni sono molto antiche, antichis­sime. — Sfogliò il libro con disinvoltura, fermandosi a un parti­colare capitolo. Bryant si sporse in avanti, attento, mentre l'altro ricalcava meticoloso le righe fotocopiate con la punta della biro.

  — Presenta molte caratteristiche di una lingua antica. L'alfa­beto sembra etrusco, primo o secondo secolo avanti Cristo, im­magino, anche se la struttura della frase, ammesso che lo sia, non è affatto familiare.

  — Di che area stiamo parlando, geograficamente?

  — Gli etruschi vivevano nell'Italia settentrionale. — Il dottore esaminò di nuovo i caratteri, confrontando la pagina con il libro. — No, i caratteri sono etruschi ma la lingua è qualcos'altro, forse gotico. I goti non vivevano lontano, quindi è molto probabile. Non so, però... A me non sembra una lingua vera e propria. An­che senza tradurre i singoli caratteri, i gruppi di parole sembrano sbagliati, non equilibrati. E tutti questi angoli sono estremamen­te insoliti. I caratteri sono stati scritti da destra a sinistra, come avrai notato. — Bryant non l'aveva notato. — Questo si trova solo negli alfabeti più antichi, come l'ebraico. Sicuramente è an­teriore al cristianesimo.

 

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