Rune

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Rune Page 12

by Christopher Fowler


  — Scommetto che ha collegato quel gatto allo stereo — disse Frank, mentre lasciavano il caseggiato. — Forse gli ha inserito un microchip nella testa e lo controlla col telecomando della tivù.

  — L'onestà di Edna come spiritista era nota in tutta la zona sud di Londra durante la guerra — disse Dorothy. — Ha localiz­zato dei bambini sotto le macerie delle case bombardate. Ha riu­nito diverse famiglie. Non avrei dovuto portarti con me.

  Frank scosse il capo. — La vecchia Edna aveva ragione, non sono un credente. Satana che torna sulla terra! Le buone inten­zioni di Edna non si discutono. Ti ha detto proprio quello che vo­levi sentire.

  Dorothy era seccata. Erano andati dalla medium soprattutto per Frank. — La scorsa settimana ti sei chiesto se i tuoi suicidi avessero trovato il modo di attirare l'Angelo della Morte — gli rammentò.

  — Sì, ma non intendevo dirlo in senso letterale...

  — E adesso ecco che una terza persona...

  — Tutt'altro che disinteressata...

  — Ci dice che sta accadendo proprio questo.

  — Via, Dorothy, è nel suo interesse promuovere queste... forze. Giova ai suoi affari.

  — Non si fa pagare per le sue prestazioni. Hai visto.

  — Scommetto che i clienti le portano dei regali. Scommetto che le portano dei gatti, così può esercitarsi a imbalsamarli. Tas­sidermia sonora. Potrebbe scrivere un libro sull'argomento.

  Continuarono a discutere fino all'arrivo dell'autobus.

  Doveva distruggere la cassetta contenuta nella scatola. Aveva le istruzioni impresse in mente. Beth Cleveland aprì il colletto della camicetta e si asciugò il sudore con un fazzoletto. Aveva chiamato Harry a casa, ma non avevano risposto. Non poteva ri­schiare di dirlo a nessun altro. Se solo non avesse guardato in quella dannata cassetta... ma, no, la sua curiosità non le aveva permesso di lasciar stare.

  Ferma al centro della stanza, si domandò cosa diavolo fare a questo punto. Fuori c'era buio. Il vento scagliava scrosci di piog­gia contro le finestre. Ora Beth capiva perché Willie fosse mor­to. E perché tanti altri dovessero morire. Harry era in grave pe­ricolo. In ufficio avevano detto che era uscito. Era andato da qualche parte, ma doVe? Beth si passò il palmo della mano sulla fronte che le pulsava. Non poteva lasciargli un messaggio. Trop­po rischioso. Non ci si poteva fidare di nessuno. E poi, adesso lei aveva le sue istruzioni da seguire.

  Beth Cleveland possedeva una mente risoluta, logica. All'ini­zio cercò di opporsi agli ordini, ma tutto divenne molto più facile non appena si rese conto che era inutile lottare. L'importante, adesso, era distruggere la busta e il suo contenuto. Ma come? Nell'acromatismo progressivo dei suoi pensieri, un piano illogico cominciò a formarsi. Mentre si infilava un impermeabile, Beth obbedì alla follia che le stava invadendo la mente, e col pacchet­to sotto il braccio uscì in strada.

  La pioggia aveva reso sdrucciolevole il pendio erboso, ed era difficile mantenere l'equilibrio. Beth cercò di affondare i tacchi nel terreno mentre saliva, ma parecchie volte cadde pesantemen­te. La pioggia le martellava la schiena, ma ormai le rimaneva so­lo un breve tratto d'arrampicata.

  Alcuni minuti dopo, coperta di fango, raggiunse la sommità. Bene, qual era il posto migliore? si chiese. Avanzando con cau­tela sulle traversine di cemento, arrivò all'intersezione di parec­chie linee. Dietro c'erano le luci della stazione di King Cross. Di fronte, i binari si perdevano nell'oscurità, linee parallele che convergevano.

  Beth s'inginocchiò sulla ghiaia bagnata e ascoltò il rimbombo delle rotaie. Il treno notturno stava lasciando la stazione accele­rando, procedendo lungo quel binario, diretto probabilmente in Scozia. Beth si preparò a estrarre il pacchetto dalla tasca del­l'impermeabile e a metterlo su una rotaia. La cassetta doveva es­sere di plastica; si sarebbe spaccata facilmente. Ma quel sistema avrebbe garantito davvero la distruzione completa e definitiva del contenuto della busta? E se le vibrazioni avessero fatto scivo­lare la busta dalla rotaia qualche attimo prima che le ruote d'ac­ciaio vi passassero sopra? C'era un'unica soluzione: doveva te­nerla ferma lei. Cadde in ginocchio sui cristalli di granito taglien­ti tra le traversine, senza badare agli stinchi che cominciarono a lacerarsi e a sanguinarle. Doveva essere certa che il pacchetto venisse sbriciolato. Dalla risonanza metallica dei binari capì che il treno si stava avvicinando. Era a meno di mezzo chilometro da lei, e procedeva a grande velocità. Una fila di finestrini serpeg­giò descrivendo una curva. Beth tornò a concentrarsi sul proprio compito.

  Ma, tastando nell'impermeabile, si accorse che il pacchetto era scomparso.

  Dov'era? Quando l'aveva sentito addosso a sé l'ultima volta? Possibile che le fosse caduto da qualche parte? Alla recinzione? Sul pendio? Cercò di alzarsi, rendendosi conto che il treno stava piombando su di lei a una velocità impressionante. L'aria stessa venne spinta da parte, mozzando il respiro nella gola contratta di Beth, mentre la sagoma immensa del mostro meccanico si apriva un varco nella notte avanzando verso di lei, nascondendo le stel­le.

  Il treno superò sferragliando gli scambi, come un serpente spettrale che calava sulla preda, e Beth Cleveland centrò la car­rozza di testa con uno schiocco secco che si perse nel fragore del­le ruote. Fu tranciata in tre pezzi. La metà superiore del corpo venne scagliata a trecento metri dal binario, mentre i passeggeri sonnecchiavano sui loro giornali, partecipando involontariamen­te a un'esecuzione meccanizzata.

  La busta era nascosta nell'erba alta vicino alle rotaie, dov'era caduta qualche minuto prima. La videocassetta era scivolata fuo­ri e, mentre la pioggia cadeva più fitta, la scritta a mano sull'eti­chetta venne cancellata e le gocce d'inchiostro furono assorbite dal terreno fradicio.

  18

  Problemi col sangue

  Harry guardò l'orologio sopra l'insegna di uscita. Le otto e un quarto. Si girò sulla poltroncina e osservò gli skinhead sballati e sorridenti che mettevano delle lattine di birra vuote sul bracciolo dietro di lui.

  — Dove diavolo li trovano, questi tipi? — chiese. — Non si re­spira quasi, qui dentro, per l'odore di droga. Ho cose più impor­tanti da fare stasera, che vedermi... qual è il titolo?

  — Olocausto cannibalico e Sputo sulla tua tomba. Poiché sei un pubblicitario, sono certa che li troverai interessanti da un punto di vista sociologico.

  — In altre parole, sono film orribili.

  — Se volevi uno spettacolo normale, potevamo andare a un cinema tradizionale nel West End.

  — Grace, non vado al cinema, tradizionale o meno, da quan­do posso permettermi di cenare fuori, invece. — Alcuni minuti dopo che Hilary aveva annullato l'appuntamento, Grace aveva telefonato proponendogli di incontrarsi. Harry aveva accettato, titubante, e adesso si trovavano in un cineclub cadente di King Cross che Grace frequentava durante la settimana.

  — Questa tua "ragazza" ti sta evitando, è evidente — disse Grace, leggendogli nel pensiero. — Ho l'impressione che abbia trovato qualcun altro. Dimenticala. Non vale la pena di prender­sela. — Gli infilò la mano sotto il braccio, mentre le luci sul sof­fitto scrostato cominciavano a spegnersi.

  — Non capisci. Tra me e Hilary c'è qualcosa di molto speciale. Se non lo coltiviamo, sai cosa succederà?

  — Certo. Lei si stuferà.

  Harry sospirò e si appoggiò allo schienale del sedile rigido, mentre si apriva il sipario. I titoli di Olocausto cannibalico appar­vero sullo schermo.

  — Comunque, è evidente che voi due non andate a letto insie­me — mormorò Grace.

  — Non sono affari... perché dici questo?

  — Una donna le capisce certe cose.

  Lui la guardò scettico. — Sai, io non ti considero una donna — le confessò. — Datti un'occhiata.

  — Cos'ha che non va il mio aspetto?

  — È così... — Harry cercò la parola. — Severo. Strambo. La gente ti fissa in modo strano quando passi.

  — Cioè, non corrispondo alla tua idea di femminilità — sbot­tò Grace, rabbiosa. — Non mi infilo vestiti aderenti fatti apposta per provocare un'erezione al maschio medio. Sempre la stessa st
oria. Non appena le donne cominciano a pensare con la loro te­sta, gli uomini le accusano di essere delle stronze castranti.

  — Io non sto accusando...

  Grace scartò una tavoletta di cioccolato e la sgranocchiò scon­solata, fissando lo schermo. — Forse per te sarà una sorpresa scoprirlo — sibilò all'improvviso — ma alcune di noi sono in gra­do di scegliere il loro modo di vivere senza lasciarsi imporre le ul­time mode passeggere. Ho di meglio da fare, che stare a preoc­cuparmi dell'efficacia del mio sapone in polvere.

  Un uomo seduto davanti a loro si voltò e li zittì. — Smettila. Non è il caso di arrabbiarsi tanto — le disse Harry, sorridendo. — Mi piace la tua compagnia. E sono d'accordo con te. Ora che hai scoperto che il mondo è un posto schifoso, forse puoi comin­ciare a godertelo.

  Rivolse la propria attenzione al film, e per il quarto d'ora suc­cessivo rimase in silenzio, ipnotizzato. Grace cominciò a chieder­si se avesse scelto lo spettacolo adatto, dal momento che lui era un principiante in fatto di film dell'orrore. Sullo schermo, un in­digeno staccò la testa a un coccodrillo, squarciò con la lama la pancia dell'animale, scoprendo lembi di carne rossa, quindi strappò una manciata di budella. Nonostante il buio, Grace vide che il suo compagno era sbiancato in viso.

  — Harry, stai bene?

  L'indigeno stava masticando l'intestino del coccodrillo. Ap­parvero altri membri della tribù, e cominciarono a infilare le ma­ni nell'ammasso sanguinolento di organi interni. La faccia di Harry assunse il colorito della carta paraffinata. Quando uno sfortunato esploratore fu fatto a pezzi e divorato dai cannibali, Harry si alzò e si avviò all'uscita della sala.

  Fuori, una foschia gelida ristagnava nelle vie. Harry infilò le mani in tasca e respirò profondamente. — Devo mangiare qual­cosa — disse, mentre s'incamminavano. Un camion dei pompieri e due auto della polizia bloccavano l'ingresso della stazione di King Cross; le loro luci rotanti lampeggiavano nell'aria nebbio­sa.

  — Non immaginavo che avresti reagito così — disse Grace. — Guarda, sta succedendo qualcosa alla stazione. — Indicò l'al­tro lato della strada. Dei poliziotti stavano transennando l'acces­so a una banchina.

  — Ho dei problemi col sangue.

  — Davvero? Dovevi dirmelo.

  — Di solito svengo. È una cosa psicologica, niente di serio.

  — Sei fortunato che non ci siamo fermati per la scena della ca­strazione. Quella è dura da digerire.

  Nelle sale al neon attorno a loro, giovani in fuga giocavano i loro ultimi spiccioli. Grace lo condusse in uno squallido snack bar con un'insegna di plastica gialla: "Cypriana".

  — Vorresti dire che l'hai già visto? Perché guardi certe cose? Cos'hai che non va?

  — Sono film dove calcano la mano all'eccesso, lo ammetto, però sono più stimolanti, più provocatori, di una serata televisiva media. — Grace ordinò caffè e baklava per due.

  — Per la maggior parte della gente, la televisione va benissi­mo — disse Harry, sulla difensiva. — Perché tutto dovrebbe es­sere provocazione? — Si asciugò la fronte con un kleenex appallottolato.

  — Per ricordarci che siamo vivi — rispose Grace. — Troppa gente ha bisogno di essere pungolata per svegliarsi. — Addentò il baklava e lasciò che lo sciroppo zuccherino le colasse sul men­to. — Allora, cosa facciamo riguardo la faccenda di tuo padre?

  Harry non si aspettava quella domanda. — L'offerta di Slattery scade stanotte, e non ho trovato una sola ragione valida per ri­fiutare. Forse era una pista sbagliata, dopo tutto.

  — Ti capisco, se sei sospettoso. C'è qualcosa che dà i brividi nel comportamento delle multinazionali che assorbono le piccole aziende. Non lo fanno per i motivi giusti.

  — Non essere ingenua. — Harry terminò il suo caffè. — Le multinazionali ci sono e continueranno a esserci. È tutta una questione di distribuzione. Più sbocchi, nuovi mercati, ecco cosa vogliono tutti. Pensi che stiano esagerando adesso? Non abbia­mo ancora visto nulla. Lo sapevi che l'anno scorso la gec ha avuto un giro d'affari di circa quarantacinque miliardi di dollari? Hanno dei contratti con la difesa che valgono almeno nove mi­liardi di dollari. Possiedono la rete televisiva statunitense di mag­gior successo, e si stanno espandendo a livello internazionale nel campo delle comunicazioni. Ti sembra sinistro, questo? Se pensavi che il futuro significasse una scelta più ampia, spiegami co­me mai ci sono soltanto due grandi catene di distribuzione libra­ria in America. — Scosse la testa, stancamente. — Tutti criticano l'etica della McDonald, però continuano a fare la coda al banco per prendere un hamburger e una coca.

  — Perché non c'è altra scelta.

  — Sbagliato. Ci sono più alternative di prima... ma sai una co­sa? Sono tutte uguali. Stiamo semplificando il nostro comporta­mento, il nostro modo di pensare. La vita è più facile, così, ed è questo che vuole la gente. Qualcosa di diverso? E chi ne ha biso­gno? Un hamburger e una coca, è un pasto che non delude mai.

  Grace allungò il braccio sul tavolo e gli prese la mano. — Sai, Harry, a volte sembri proprio me. Forse abbiamo più cose in co­mune di quel che pensi. — Si strinse nelle spalle. — Allora, qual è la nostra prossima mossa?

  — Potrei telefonare ancora all'indiana, alla signora Nahree. Può darsi che si sia ricordata qualcos'altro.

  — Almeno, è un punto di partenza. — Si alzarono dal tavolo e s'incamminarono verso la cabina telefonica più vicina.

  19

  La natura degli incidenti

  Mercoledì mattina, Harry arrivò all'agenzia e scoprì che i suoi colleghi erano già rinchiusi nella sala riunioni con Darren Sharpe.

  Cominciava ad avere la sensazione che lo stessero escludendo da qualche cambiamento importante nella struttura della socie­tà. Il suo capodipartimento non gli aveva rivelato alcun particolare della riunione, e a Harry non restò che sedersi nel proprio ufficio e aspettare che la seduta terminasse. Nell'anticamera de­serta, Eden batteva a macchina delle relazioni, con scarso impe­gno.

  La sera prima, dopo avere telefonato alla signora Nahree sen­za ottenere risposta, Harry era salito su un taxi alla stazione della metropolitana, lasciando opportunamente in sospeso Grace... e la tensione sessuale che si era creata tra loro. Pensando alla mos­sa successiva, sfogliò distratto i tabloid.

  DONNA DECAPITATA DAL TRENO

  Ieri sera, i viaggiatori diretti a nord sull'espresso delle 7,35 parti­to da King Cross hanno assistito inorriditi a un terribile incidente quando il convoglio di otto carrozze su cui viaggiavano ha travol­to una figura ferma in mezzo al binario. La vittima, una donna elegante sulla cinquantina, è stata tranciata in due malgrado il tentativo di frenata del macchinista. Il corpo è stato identificato come quello della signora Elizabeth Cleveland di Hackney, Lon­dra Est. Il macchinista ha negato che l'espresso stesse superando il limite di velocità dopo aver lasciato la stazione. Apparente­mente, la signora Cleveland si è suicidata arrampicandosi sul ter­rapieno a lato dei binari e aspettando il transito del treno. Gli amici dicono che a causa di un lutto recente la poveretta si trovava in uno stato di grave depressione e turbamento. Non si sospet­ta un atto criminoso.

  Deputato chiede misure di sicurezza più efficaci in impianti del­le Fer. Brit. Segue a pagina 12

  Harry rimase sconvolto. Non riusciva a connettere, per cui les­se il breve articolo una seconda volta. Cosa poteva avere spinto una donna tanto ragionevole a comportarsi così? D'accordo, la conosceva appena... ma, possibile che si fosse sbagliato tanto sul suo conto? "Era in uno stato di grave depressione e turbamento" avevano commentato gli amici. Chi erano quelle persone? Che Beth stesse prendendo qualche medicina?

  Gli sembrava di stare entrando in una specie di universo alter­nativo dove gli avvenimenti di ogni giorno assumevano nuovi aspetti grotteschi. Di una cosa era certo. La morte di Beth Cle­veland era collegata a quella di suo padre, e c'era una connessio­ne tra le due morti e la vendita della Instant Image. Forse c'en­trava addirittura il pazzo che gli aveva rubato l'auto.

  Harry era sicuro che presto avrebbero smascherato il complot­to. Dopo tutto, il termine
massimo di Carmody era stato supera­to a mezzanotte.

  Il balcone dell'appartamento di Arthur Bryant a Battersea da­va sulla distesa erbosa color verde oliva del parco e sul fiume. Fu lì che John May e Janice Longbright trovarono il loro collega che si crogiolava al pallido sole pomeridiano. Circondato da piante in vaso di ogni genere, Bryant era steso su una vecchia sdraio a righe, e dormiva sodo.

  Attraversando con passo leggero il salotto, Janice allungò una mano oltre la portafinestra e gli diede un paio di colpetti sulla spalla. Bryant battè le palpebre come una tartaruga che sbucasse alla luce, poi si girò accigliato verso i colleghi.

  — Che ore sono? Chi vi ha fatti entrare? Non si può stare in pace? — Si drizzò sulla sdraio, seccato per l'intrusione.

  — Sono le tre e mezzo, la tua padrona di casa ci ha dato la chiave, e no, non può! stare in pace finché il contribuente britan­nico paga — rispose May.

  — Alma darebbe la chiave di questo appartamento anche a degli evasi — brontolò Bryant. — È perché sono indietro con l'affitto. — All'irritazione subentrò una richiesta di comprensio­ne. — Non è giusto. Sono vecchio. I vecchi ridiventano bambini. Hanno bisogno di un sonnellino durante la giornata. Sii buono e levati di torno per un po'. Fai una passeggiata nel parco per un'o­ra.

  — Dobbiamo parlarti, Arthur — disse Janice. — C'è stato uno sviluppo nel caso Dell. Preparerò del tè.

  — Ah, così va meglio — disse Bryant, rasserenandosi di col­po. — Potresti imparare un po' di buone maniere da lei, John. Janice sa come comportarsi con uno giunto al crepuscolo.

  — Possiamo lasciar perdere la solfa della senilità, eh? — sbot­tò May. — Non imbrogli nessuno. — Esaminò una delle piante sul balcone. — Immagino che tu sappia di avere qui una pianta di marijuana.

  — No! — esclamò Bryant, sinceramente scioccato. — Qual è?

  May socchiuse gli occhi, sospettoso, e indicò una pianta alta a cui mancavano diversi piccioli. — Pare che le foglie siano state colte di recente. Dovresti vergognarti.

 

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