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Rune

Page 17

by Christopher Fowler


  — Molto probabile. Comunque, le rune continuano a esistere nella nostra società come corrente nascosta, tendenza occulta. Guarda le figure e le scritte murali urbane... pura identificazione tribale. I ragazzi che oggi bombardano i muri di simboli comples­si non usano curve. Solo angoli. Le rune continuano a vivere. Nel corso dei secoli, riescono sempre a riaffiorare, e sarà sempre così.

  — Devo chiederti altri appunti sull'argomento — disse Bryant. — Trascrivi tutto quello che mi hai raccontato oggi. Vo­glio preparare un profilo psicologico della persona o delle perso­ne che stiamo cercando.

  — Se posso rendermi utile, volentieri — rispose Kirkpatrick, riponendo il macabro volumetto nella custodia. — Non invidio il tuo compito.

  — Raccogliere e confrontare dati non è difficile, basta lavora­re con metodo — disse Bryant, sistemando i propri appunti.

  — Non mi riferivo a questo. Intendevo dire che non sarà facile convincere qualcuno a prenderti sul serio. Non ti stai più occu­pando soltanto di una lingua antica, stai tirando in ballo anche la sfera dell'occulto.

  — In tutta franchezza, amico mio, preferirei tirare in ballo l'occulto piuttosto che interrogare alcuni membri del Fronte Na­zionale, cosa che farò adesso. Grazie dell'aiuto.

  Osservando il detective che attraversava la grande sala, Kirk­patrick si rese conto di essersi dimenticato di dire a Bryant come le rune fossero state tramandate di generazione in generazione. Ritenendolo un particolare di scarsa importanza, archiviò l'in­formazione in un cantuccio della mente e tornò a immergersi nel­la letteratura mondiale.

  25

  Documentazione del male

  Harry intendeva alzarsi presto sabato mattina e fare una passeg­giata terapeutica nei prati verdi umidi di Hampstead Heat. Si era ripromesso di valutare le varie alternative possibili, di rimet­tere in qualche modo la sua vita su un binario normale. Ma quando si svegliò sentendo il picchiettio della pioggia sui vetri della camera da letto, la sua decisione si affievolì. Gli avveni­menti delle ultime due settimane avevano esaurito le sue riserve di energia. Fino a poco tempo prima, Harry si era sempre senti­to sicuro, perfino compiaciuto, della traiettoria della propria esi­stenza. Adesso era come se qualche maligna forza estranea aves­se assunto il controllo e stesse togliendo le barriere protettive a una a una. Harry stava pensando a questo, quando squillò il te­lefono. Era Grace, piena di brio, che come al solito parlava troppo in fretta.

  — Harry, so che non avrai nessunissima voglia di sentire la mia voce sabato mattina a quest'ora...

  A quest'ora? Harry guardò la sveglia e gemette. Le sette e mezzo.

  — Ma se non facciamo qualcosa... Insomma, continui a dirlo, facciamo qualcosa, però non combiniamo nulla.

  — Buongiorno, Grace.

  — Hai già parlato Con quelli della odel? E non dovevamo in­trufolarci nell'ufficio di Brian Lack? È stata tua l'idea, non mia.

  — Adesso riattacco.

  — Guai a te se riattacchi!

  Harry stava per riappendere, poi decise che era inutile. Tanto, Grace avrebbe ritelefonato. — Ascolta, adesso non so cosa cavo­lo faccio. Non sono nemmeno sicuro di essere ancora sano di mente. Sono diventato una specie di calamità mortale.

  — È per questo che ti ho chiamato, per aiutarti.

  — D'accordo, allora cerca di capire cosa può avere scoperto Beth Cleveland riguardo mio padre prima di morire.

  — Pensi che si sia uccisa perché aveva scoperto qualcosa?

  — Secondo te, perché una donna sana di mente si sarebbe fer­mata in mezzo ai binari con un treno in arrivo a gran velocità? Ti viene in mente qualche altro motivo?

  — Sì. Forse era completamente sconvolta per la morte di Willie, e nessuno se n'è reso conto.

  — Possibile. Senti, ti richiamo dopo.

  — Aspetta. Dove vai? Ti infili ancora a letto?

  — No. Vado dal gioielliere.

  Quando Harry arrivò il negozietto di Regent Street stava aprendo. Era il tipo di negozio pubblicizzato nelle riviste distri­buite sugli aerei, con le vetrine piene di ninnoli costosi di pessimo gusto, cuccioli pechinesi d'argento che si rotolavano giocherello­ni sulla schiena, galeoni d'oro che affrontavano minuscoli mari di ottone lucido, ballerine diamantate che scimmiottavano pose alla Degas con simboli dell'American Express appesi al collo. La por­ta era chiusa; bisognava suonare un campanello per entrare.

  Era impossibile non riconoscere subito il signor Nahree. I gesti precisi e meticolosi delle mani, mentre sistemava un paio di teie­re stile georgiano in una vetrinetta, ricordavano moltissimo i mo­vimenti della madre. Quando girò il volto scarno, Harry capì da­gli occhi che aveva trascorso parecchie notti insonni. Si rendeva conto che la sua presenza era importuna, ma c'erano diverse do­mande che non potevano aspettare.

  — Signor Nahree, sono Harry Buckingham. Ho saputo del tragico incidente occorso a sua madre. Vorrei che le dicesse che mi dispiace moltissimo. Come sta? — Il banco che li separava lo costrinse ad alzare la voce. Tese la mano, dubbioso, e rimase sor­preso quando il signor Nahree gliela strinse.

  — Il signor Buckingham, sì. Mia madre mi ha parlato della sua visita. Sta come ci si può aspettare che stia una persona nelle sue condizioni. — Il giovane distolse lo sguardo, incerto. Era chiaro che era al corrente del ruolo di Harry nella vicenda, ma stando al suo atteggiamento non sembrava incline ai giudizi av­ventati. — Il dottore ha poche speranze che riacquisti la vista. Ma glielo avrà già detto, suppongo.

  — Può raccontarmi cos'è successo? — chiese Harry. — Il dottor Clarke è stato molto vago.

  — Ho trovato la porta sbarrata. Sono riuscito a entrare for­zando una finestra. Mia madre era appena cosciente. Le ho al­zato la testa e ho visto gli occhi... non dimenticherò mai quegli attimi. Anche adesso, non riesco a guardarla in faccia, è troppo per me. Ieri le ho chiesto il perché di un gesto così terribile. Mi ha risposto che l'ha fatto per via del pezzo di carta che le aveva dato suo padre.

  — Aspetti: di che pezzo di carta si tratta?

  — Ha detto che conteneva una delle Preghiere del Diavolo. — Vedendo l'espressione allarmata di Harry, Nahree alzò una ma­no per tranquillizzarlo. — Mia madre ha sempre avuto un'immaginazione feconda. Appartiene al vecchio mondo. La sua vita è popolata di spiriti e demoni. Le usanze inglesi non significano granché per lei.

  Harry cominciava a capirla. Trasse un respiro. — Ha ancora il pezzo di carta?

  — Purtroppo, no. L'ha bruciato, come si è bruciata gli occhi.

  — L'ha detto alla polizia?

  — Non li riguarda.

  — Mi perdoni se glielo chiedo ma, secondo lei, perché sua madre si è prodotta una lesione così tremenda?

  — Aveva paura di vedere — rispose calmo il giovane.

  — Vedere, cosa? I suoi spiriti e i suoi demoni?

  — Speravo che potesse dirmelo lei, signor Buckingham. — Era chiaramente una conversazione penosa per Nahree; il suo tono garbato stava vacillando. Abbassò la voce mentre un cliente passava accanto a loro. — Signor Buckingham, non credo che suo padre sia responsabile di questa disgrazia. Tuttavia, ha infila­to qualcosa in tasca a mia madre, un biglietto che l'ha terrorizza­ta quando lo ha letto. L'ha terrorizzata a tal punto che lei ha agi­to come ha agito per evitare danni maggiori.

  — Pensava di vedere qualcosa che l'avrebbe fatta morire?

  — Così sembra. Non voglio essere scortese, ma credo che non abbiamo più nulla da dirci. — Nahree tornò a girarsi verso la vetrinetta e le teiere d'argento da sistemare.

  — Non crede che dovremmo scoprire perché sua madre si è comportata in quel modo? — chiese Harry, seccato dalla placidità del giovane.

  — Gli psicologi glielo chiederanno quando si sarà ristabilita. Non capiranno nulla. Mia madre era in uno stato d'animo adatto per commettere una simile violenza — disse Nahree, senza vol­tarsi. — Ci voleva solo qualcosa che la scatenasse.

  — Intende dire che ha riconosciuto quello che ha visto, qua­lunque cosa fosse?

  — Signor Buckingham, mia madre è una vec
chia signora che vede presagi e segni premonitori in tutto quello che la circonda. Questa volta è stata tanto sfortunata da vedere una cosa che per lei era terribilmente reale e logica. — Nahree chiuse la vetrinetta con un gesto più brusco del necessario. — Ora, per favore, vor­rei che se ne andasse.

  — È dabbasso da un'ora, ormai. Secondo me, sta comincian­do ad andare fuori di testa. — Frank Drake incuneò la cornetta sotto il mento mentre strappava un altro pezzo di pagina dal giornale. — Fa la guardia alla sua preziosa raccolta, mentre io mi occupo dei vecchi incontinenti che sporcano e mettono in disor­dine la sala di lettura, e cerco di impedire che gli studenti se la svignino con l'intera biblioteca di consultazione nascosta sotto il golfino. — Si stava formando una coda al banco di registrazione dei libri in prestito. La aiutante del sabato non si era fatta viva. — Devo andare. Non so cosa faccia, laggiù.

  Nello scantinato della biblioteca, Dorothy avvertiva il peso spaventoso delle parole attorno a lei. Era come se la mole del pensiero racchiuso lì dentro avesse creato una gravita artificiale nella stanza. Anche se sentiva sulla pelle l'umidità opprimente che macchiava le pagine dei vecchi tomi, Dorothy non riusciva ad andarsene. Lì c'erano pensieri degni di finire al rogo, idee talmente pericolose che con la loro semplice trascrizione aveva­no causato sofferenze indicibili. L'allestimento di quella raccolta era costato parecchie vite umane. Teorie che avevano il proprio seme in un certo volume erano state coltivate in un altro volume decenni dopo, e in seguito avevano generato il loro frutto venefi­co in manoscritti dettagliati. La collezione, completata dalla ma­dre di Dorothy negli ultimi giorni di vita, adesso era in rovina, abbandonata, e i suoi segreti rimanevano tali.

  Ma era giusto che fosse così.

  Perché anche se la raccolta appariva come un ammasso inno­cuo di dati esoterici al lettore occasionale, allo studioso serio ri­velava un universo di crudeltà, per la semplice ragione che era perfetta nella sua completezza. Non erano necessari ulteriori stu­di, bastava un esame accurato dei libri tra quelle pareti. La loro conoscenza, una volta compresa appieno e applicata, avrebbe prodotto risultati talmente tenebrosi che nessuna luce avrebbe più penetrato il vuoto. Quella biblioteca poteva uccidere. Su questo, Dorothy non aveva alcun dubbio. Aveva letto molte del­le opere stipate in quegli scaffali ammuffiti, ma non tutte. Sua madre le aveva proibito di accostarsi a libri di un certo tipo.

  E c'erano volumi da cui Dorothy stava volentieri alla larga. Ricordava fin troppo bene le visite in biblioteca della sua infan­zia, quando, tormentata dai sensi di colpa, aveva sfogliato i do­cumenti proibiti. Ricordava soprattutto un volume che tracciava un parallelo tra le pratiche di un'antica setta di alchimisti e certi eccessi commessi nei campi di concentramento nazisti. Se pensa­va a quelle pagine, sentiva ancora un rigurgito acre di bile in go­la.

  L'argomento della raccolta era il male, la sua genealogia, la sua diffusione, e i rimedi per combatterlo. I libri non erano mal­vagi di per sé; erano una semplice documentazione. Sotto questo aspetto, Dorothy era ben più di una bibliotecaria. Era una custo­de. Restia a distruggere quella miniera di informazioni accumu­late grazie a un lavoro minuzioso, era l'unica barriera tra l'ener­gia indicibile racchiusa in quelle conoscenze e gli sciocchi che abitavano il mondo.

  Adesso, però, avvertiva un cambiamento nelle persone che la circondavano quotidianamente. Le minuscole trasformazioni predette da tempo dalla collezione stavano verificandosi a poco a poco. Mentre il secolo stava per terminare, Dorothy percepiva il manifestarsi di certe circostanze, dalle predizioni allarmate della stampa, dai segni premonitori dei notiziari televisivi. S'avvicina­va il momento in cui sarebbe stato necessario ricorrere alla colle­zione sotterranea per contrastare il male e far sì che si ritorcesse contro se stesso.

  Dorothy provava sempre una sensazione spiacevole alla bocca dello stomaco quando si accostava ai libri proibiti. In certe sere, la stanza sembrava viva. Quel giorno, scendendo l'ultimo gradi­no della scala dello scantinato, era stata assalita da un'ondata di nausea. Fissò le corsie buie, chiedendosi se sarebbe stata abba­stanza forte per evocare il potere che contenevano, sapendo che sarebbe giunto il momento in cui non avrebbe avuto altra scelta.

  Forse sarebbe riuscita a farsi aiutare da qualcuno. Frank era troppo debole, troppo scettico; sarebbe solo stato d'intralcio e avrebbe rischiato inutilmente. Ci voleva una figura autorevole, che fosse in grado di convincere la gente, e che l'aiutasse a scon­giurare la catastrofe imminente. Era già stato fatto in passato, anche se lei non era ancora nata all'epoca.

  Spense la lampadina e risalì alla svelta le scale: aveva deciso di fare un giro di reclutamento. La corruzione stava espandendo­si come l'umidità che macchiava i muri del seminterrato. Ci vole­va una mente più salda della sua, e un corpo più robusto, per sgominare il male alla radice.

  26

  Mentalità criminale

  Daily Telegraph

  Sabato 25 aprile

  I SUICIDI NELLA CAPITALE

  RAGGIUNGONO UNA PUNTA RECORD

  A Londra, secondo una nuova indagine svolta per conto di esper­ti di psicologia dell'Ufficio Analisi Sanitarie di Londra Centro, il numero di suicidi è in aumento, e la cifra sembra destinata a sali­re ulteriormente. "Un aumento tra i mesi di gennaio e marzo è comune" dice il dottor Marwan Al-Khafaji. "Durante i mesi più freddi e bui, sono più numerose le persone in cura per sindromi depressive, ma di solito, con l'arrivo della primavera, il fenome­no tende ad attenuarsi. Quest'anno, però, abbiamo registrato un aumento allarmante dei decessi, specialmente nel settore imprenditoriale." Questo fatto è sorprendente, data la presenza di fatto­ri economici positivi quali una sterlina forte e gli alti livelli d'e­sportazione. Normalmente, i colletti bianchi sono soggetti a sintomatologie da stress più dei lavoratori manuali.

  GLI HAMBURGER

  POSSONO FAR PERDERE

  LA VOGLIA DI VIVERE

  Mentre i medici non sanno spiegare questo cambiamento, il de­putato conservatore di Richmond, Michael McFee, sostiene che la dieta scadente sia l'unica responsabile del fenomeno, soprat­tutto per i livelli glicemici determinati da certi modelli alimentari della classe lavoratrice, che comprendono un'elevata percentuale di cibi non genuini e poco salutari. Secondo il signor McFee, i fast-food potrebbero aiutare a combattere la depressione inse­rendo "messaggi allegri d'incoraggiamento" nei contenitori dei loro hamburger.

  (Segue a pag 17)

  Brian Lack stava evitando le sue telefonate.

  Harry lasciò l'ennesimo messaggio sulla segreteria telefonica di Lack, chiedendo un incontro, prima di andare al funerale di Eden. Era la seconda volta che entrava in un cimitero, quel me­se, rifletté cupo. E c'era ancora la cremazione di Beth.

  Date le strane circostanze della morte, e l'interesse insaziabile del pubblico per il macabro, parecchi membri della stampa si erano mescolati ai curiosi dietro la chiesa, in attesa di cogliere un'osservazione indiscreta di qualche parente o conoscente della defunta. Harry guardò sopra le loro teste e osservò i vortici di nubi che scorrevano bassi nel cielo preparandosi a rovesciare scrosci di pioggia: le condizioni atmosferiche adatte, mancate purtroppo in occasione del funerale di suo padre.

  Tenendosi in testa al gruppo riunito attorno alla fossa, Harry riuscì a individuare i genitori di Eden, piccoli e scuri, italiani for­se; la faccia della madre era quasi nascosta da un grande fazzo­letto bianco. Il giovane che usciva con Eden stava un po' discosto dai familiari, e ne sosteneva gli sguardi gelidi con fare sprezzan­te. Il suo giubbotto di pelle nera e i jeans neri attillati erano un po' troppo all'ultima moda anche lì, e perciò offendevano. Dal­l'espressione afflitta del padre si intuiva in qualche modo che a suo avviso la figlia era morta perché aveva frequentato Dexter. Harry alzò i tacchi, turbato dall'atmosfera di acrimonia in cui si stava svolgendo la sepoltura.

  In un sermone sconnesso, infarcito più che altro di banalità astratte, il parroco non aveva fatto alcun accenno alla passione sartoriale di Eden. Evidentemente, non ne aveva letto il profi­lo. Anche adesso, stava parlando di nuovo del fondo per la co­struzi
one di una moderna sala parrocchiale. Harry se ne andò disgustato, passando accanto alla figura discreta di John May, che annotò debitamente la partenza anticipata sul proprio tac­cuino.

  L'agenzia finalmente gli aveva procurato un'altra auto. A giu­dicare dall'aspetto, la Ford Granada grigia con la portiera de­stra ammaccata era stata scelta come punizione per le sue nu­merose assenze dall'ufficio. Mentre si concentrava per non la­sciar spegnere il motore tossicchiante nel traffico intenso, Harry decise di andare nel West End e di passare a dare un'occhiata agli uffici della Instant Image, a controllare se per caso Brian Lack fosse là.

  Wardour Street era velata di acquerugiola e intasata di veicoli. Nell'atrio della ditta le luci erano accese, così Harry parcheggiò la macchina, infilandosi nell'unico spazio disponibile e imprecan­do quando strisciò con la fiancata contro un recipiente per i rifiuti in cemento. Provò a pensare a una scusa plausibile per quella visita. La reception era deserta. Harry stava cercando una guida telefonica interna, quando Brian Lack apparve all'improvviso in fondo alla scala che conduceva al resto dell'edificio. Harry lo bloccò mentre apriva la porta di vetro dell'ingresso. Brian si girò e fissò l'assalitore, con aria colpevole e spaventata.

  Il suo aspetto aveva subito una trasformazione notevole. I tratti del viso sembravano meno marcati, la pelle era olivastra e floscia. Sotto gli occhi c'erano due borse violacee da inson­nia. Aveva perfino smesso di preoccuparsi della pettinatura elaborata che di solito gli mascherava la pelata. Dalla borsa riempita alla rinfusa che teneva sotto il braccio spuntavano fa­sci di carte.

  — Ah, Brian! Proprio la persona che cercavo — esordì Har­ry, sforzandosi di ostentare un sorriso disarmante. — Novità ri­guardo la fusione?

  Brian liberò il braccio con uno strattone e si accinse ad al­lontanarsi. — Come sarebbe a dire, novità? — S'incamminò lun­go il marciapiede, ma Harry lo afferrò e lo spinse nell'entrata buia di un negozio.

 

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