Book Read Free

Rune

Page 26

by Christopher Fowler


  Frenando piuttosto imbarazzato accanto a una splendida Osprey verde scuro, Harry prese la borsa da viaggio e s'incammi­nò verso quello che presumeva fosse l'ingresso principale.

  La cameriera che aprì la porta aveva la grazia e la carnagione di una suora. S'inchinò e si scostò subito per lasciarlo entrare, come se fosse stata rimproverata per non averlo fatto in occasio­ni precedenti.

  — Il signor Carmody è in riunione con i colleghi in questo mo­mento, signore — disse, con voce appena più alta di un sussurro. — La signora Carmody è nello studio.

  Harry non aveva considerato la presenza della moglie del ma­gnate. Seguendo la cameriera, osservò con avversione le pareti tetre rivestite di pannelli. Anche se i pochi mobili e arredi del­l'atrio sembravano in armonia con la data di costruzione del­l'edificio, il carattere spoglio dell'ambiente suggeriva che ci fosse in corso un'operazione su vasta scala di cessione di beni. Il Matrimonio alla moda di Hogarth decorava una parete, ma delle sei incisioni erano rimaste solo le ultime tre. La loro rappresentazio­ne di una relazione disonesta, della morte e di un bambino defor­me sifilitico, senza il beneficio esplicativo delle prime tre stampe, conferiva un'atmosfera macabra al corridoio.

  La signora Carmody lo aspettava al centro dello studio enor­me, isolata in mezzo a un grande tappeto cinese. Sembrava sor­presa di trovarsi lì, come se fosse stata trasportata all'improvviso in quel luogo, e contribuiva a dare quell'impressione guardando­si attorno con occhi grandi quanto quelli di un lemure, cercando apparentemente qualche indizio che le permettesse di orizzontar­si. Ancora più pallida e minuta della cameriera, e senza posse­derne la grazia, lo accolse alzando un braccio esile e rigido.

  Harry strinse la mano fredda e si presentò. La signora Carmo­dy sorrise nervosa. — Lei dev'essere il signore dell'agenzia pub­blicitaria — disse. Al che, Harry si domandò se l'avesse saputo da Daniel o se l'avesse capito dal suo abbigliamento. — Mio ma­rito terminerà tra poco la prima parte del programma. Se intanto desidera vedere la sua stanza... — Con quella voce così flebile e quell'aspetto così smunto sembrava che rischiasse di svanire completamente. Harry immaginò la storia del matrimonio. Lei era l'aristocratica che aveva sposato il magnate, la padrona di ca­sa orgogliosa della propria splendida dimora solitària, che adesso viveva lì rassegnata, espropriata, all'ombra del consorte.

  — Purtroppo abbiamo dovuto sistemarla nella Ivanhoe — dis­se, scomparendo dietro un angolo in cima alle scale come un fan­tasma esorcizzato. — È piuttosto esposta agli spifferi, ma tutte le altre stanze sono occupate. — Raggiunsero l'estremità di un lun­go corridoio di parquet ed entrarono in una stanza gelida con le finestre che vibravano.

  — Abbiamo qualche problema con la caldaia, ma dovremmo risolverlo entro questa sera. C'è un citofono collegato alla cuci­na, se dovesse avere bisogno di qualcosa. — Con un sorriso ete­reo, svanì discreta, volatilizzandosi forse nei pannelli di legno.

  Rimasto solo, Harry si sedette sul letto duro e osservò il respi­ro che si condensava nell'aria. Anche lì, l'arredamento ridotto all'essenziale sembrava la rimanenza invenduta di un'asta per reperire fondi. Carmody era multimilionario. Perché vendere i mobili? Non aveva senso. Da un punto del pianterreno, giunse il suono di una voce monotona che snocciolava statistiche con precisione cabalistica. Via via che i minuti passavano in quella stan­za, la sicurezza di Harry diminuiva sempre più. Con dita intirizzi­te, aprì la lampo della borsa da viaggio e cominciò a disfare il bagaglio.

  38

  Volo celestiale

  — Sono sicuro che sarai lieto di sapere che non si è trattato di un infarto — disse May, drizzandosi sui cuscini. — A quanto pare, ho avuto un attacco di angina.

  — Non cambia nulla. Uccidono tutti e due, alla fine. Bisogna riconoscerlo, sei male in arnese. — Bryant aspirò forte col naso mentre staccava l'ultimo acino. — Non hai dell'uva senza semi? Mi si infilano sotto la dentiera.

  In fondo, May sapeva già che non doveva aspettarsi nessuna compassione dal collega. — Significa solo che non posso fare sforzi e che dovrei evitare lo stress per un po', se ci tieni a saper­lo.

  Bryant si guardò attorno, cercando qualcos'altro da mangiare.

  — Questa è proprio buffa, considerato il tuo lavoro. In pratica ti stanno dicendo: "Cerca di non morire". Questo medicastro ti ha detto quanto tempo dovrai rimanere qui?

  — Qualche giorno. Devono fare degli esami.

  — Il che significa una settimana. Esami, eh? Brutto segno, sembra.

  — È la prassi, nient'altro.

  — Dicono sempre così. A che ore si pranza?

  — Tra una decina di minuti. Tu non puoi mangiare, però. È solo per i pazienti.

  — Tanto sarà robaccia. Carne trita e gelatina di frutta. Danno sempre del cibo schifoso dopo un infarto.

  — Non è stato un maledetto infarto, Cristo! — gridò May. Pa­recchi visitatori nella corsia si girarono.

  — Così va meglio — ridacchiò Bryant. — Almeno, adesso hai le guance un po' colorite. O stai migliorando o stai avendo una ricaduta. Ho dato disposizioni perché ti portino un computer. Stanno provvedendo ora. — Era una saggia mossa psicologica. Bryant sapeva benissimo che May diventava insopportabile quando era ammalato e si annoiava. Probabilmente, il lavoro avrebbe accelerato la sua guarigione più dell'ozio.

  — E poi, sai — aggiunse con indifferenza — ho bisogno che tu esamini una cosa.

  — Cosa?

  — L'archivio riservato della odel.

  — È come chiedermi di controllare i'ibm. Perché quella socie­tà?

  — Be', mentre tu eri occupato a lasciar scappare i ladri con le prove, il tuo computer finalmente ha trovato qualcosa di utile. Una discrepanza nella contabilità di Henry Dell. Un prelievo non registrato dal conto della sua azienda, fatto poco prima che morisse. Ora, senz'altro ricorderai che nel suo magazzino c'era­no parecchie cassette senza etichetta, andate tutte distrutte nel­l'incendio.

  — Allora?

  — Ho pensato, be', forse intendeva riprodurre del materiale video abusivamente. Altrimenti, perché tenere in magazzino tanti nastri vergini?

  — Dunque era un pirata delle videocassette. Non è esatta­mente un reato da pena capitale.

  — Dell ha comprato quei nastri illegalmente. Parecchi. Altri­menti, avrebbe registrato l'acquisto, no? Partendo da questo presupposto, ho fatto analizzare i resti della sua agenda dai ra­gazzi della scientifica. Indovina cos'hanno scoperto?

  — Forza, stupiscimi.

  — Dell ha pagato un certo David Coltis. Non ti suggerisce nul­la?

  — Il ladro d'auto morto. Continua.

  — Nello stesso tempo, abbiamo finito di rintracciare i prece­denti datori di lavoro di Coltis. Nel periodo dell'affare con Dell, Coltis lavorava per la odel. Poi l'hanno licenziato. Perché? Da loro non lo sapremo di certo. La odel è nel settore delle comu­nicazioni, e in parte si occupa di...

  — Produzione di videotape.

  — Esatto. Ora, a me questa odel non suggeriva niente, a Janice sì. Questa società continua a saltar fuori nel suo dossier "in­cidenti mortali"... mai direttamente coinvolta, intendiamoci, ma quasi sempre defilata ai margini. Posso lasciarti l'incarico di pro­seguire l'indagine da qui?

  — Certamente — rispose May, lieto di poter lavorare stando a letto. — Come diavolo sei riuscito a procurarti l'archivio riserva­to della odel?

  — Non ci sono ancora riuscito — disse Bryant. — Ma spero di riuscirci entro stasera.

  La porta si aprì, e un inserviente spinse all'interno un carrello con un grosso computer.

  — Ecco qua — fece allegro Bryant, alzandosi. — Cerca di non spegnere qualche rene artificiale mentre giochi con questo ag­geggio

  Frank Drake pagò il taxi e mise la borsa a tracolla, incammi­nandosi verso l'ingresso del terminal. Era la cosa migliore che potesse fare, ne era certo. Ritirando il biglietto al banco della British Airways, controllò il tabellone delle partenze e vide che il volo era in orario. Imbarco tra venti minuti, diceva, amster­dam 109, cancello 21. A un altro ban
co, una ragazza gli chie­se se preferisse i fumatori o i non-fumatori. Eh? In che senso? Altrettanto sconcertata dalla domanda, l'impiegata smise di ri­volgergli un sorriso smagliante. Gli assegnò un numero di posto, e gli chiese la borsa. No, non doveva toccarla, le spiegò Frank. Benissimo, poteva metterla nell'apposito scomparto in alto o te­nerla sotto il sedile, disse la ragazza, riprendendo a sorridere, e gli augurò buon viaggio. Frank salì lentamente al bar.

  Aveva la mente confusa. Sembrava che riuscisse a conservare un barlume di logica nei propri pensieri solo contando in conti­nuazione da uno a cento. Poi cercò di ricordare i nomi dei sovra­ni d'Inghilterra, le cose che si trovavano in un'aia, i nomi dei vin­citori del derby, le squadre di cricket, i libri della Bibbia, qualsiasi cosa pur di tenere a bada gli altri pensieri... quelli antichi, oscuri, alieni. Sedette in un angolo con la tazza di caffè, sforzan­dosi di controllare il tremito delle mani per non rovesciarlo, cer­cando di ricordare gli avvenimenti della giornata.

  Non aveva richiamato Grace. Non era andato in biblioteca. Era tornato in cucina ed era rimasto là diverse ore, incapace di muoversi dalla sedia perché qualcosa, una cosa, stava tentando di penetrargli nella mente, di espellere la logica e la ragione e la luce e di sostituirle con sentimenti così irrazionali, così folli, che se li avesse accettati la sua mente fragile si sarebbe spaccata co­me vetro surriscaldato.

  Via via che le ore trascorrevano lente, era diventato sempre più doloroso respingere la pazzia, ma la sua paura di farla entra­re era aumentata ancor di più. A poco a poco, aveva scoperto che certi pensieri riuscivano a tenerla a bada, elenchi meccanici, nozioni sparse accumulate negli anni che potevano essere ripetu­te come una litania effimera.

  Era stato allora che aveva avuto l'idea. Forse avrebbe potuto levarsi i demoni dalla mente uscendo dal loro raggio d'azione... presumendo che irradiassero da un'unica fonte.

  Durante la telefonata alla compagnia aerea, per poco non li aveva lasciati entrare. Leggere i dati della carta di credito era stato difficile, ma grazie al cielo non impossibile. Non sapeva cosa avesse messo nella borsa, non ricordava se avesse preso un biglietto d'andata o d'andata e ritorno. Il tassista aveva parlato per tutto il tragitto, tra code e incroci bloccati. Frank non avrebbe risposto nemmeno potendo. Non sapeva perché avesse scelto Amsterdam, era la prima cosa che gli era venuta in mente, meglio di quello che avrebbe potuto insinuarsi nel suo cer­vello se avesse allentato il controllo per un attimo: divinità della terra, bestie pagane, sorte dal terreno semidecomposte ma an­cora vive. Doveva alzarsi al di sopra degli dei della terra, ecco la soluzione, lasciare i pagani per il firmamento e librarsi verso le stelle.

  L'altoparlante diede l'annuncio. Volo per Amsterdam... im­barcarsi... portarsi al cancello... Bene, non gli sarebbe successo nulla, sarebbe stato al sicuro.

  Al controllo una nera massiccia aprì il suo bagaglio a mano e corrugò la fronte, mostrandogli l'apertura della borsa con un'e­spressione interrogativa, così Frank fu costretto a interrompere la concentrazione e a seguire lo sguardo della donna. Vide un panno di spugna da bagno e uno spazzolino, banconote e mone­te, un crocifisso e uno specchio con la cornice dorata. Incapace di rispondere, si strinse nelle spalle e sorrise, mentre la nera scuoteva lentamente il capo e richiudeva la borsa.

  Dalle vetrate della sala d'aspetto vide il Boeing 757 illuminato, fumante nella notte limpida, che attendeva il carico umano. La fila di passeggeri avanzò piano verso due hostess che cominciarono a controllare le carte d'imbarco. Se avesse lasciato entrare i demoni adesso, avrebbe messo in pericolo la vita delle persone attorno a lui. Cominciò a contare per due, da uno a cento.

  Perché aveva portato lo specchio? Pensava di notare qualche cambiamento visibile in se stesso, se si fosse lasciato dominare dai suoi demoni? Forse lo specchio serviva a rassicurarlo che il mondo reale, quella dura dimensione esteriore di luci e acciaio e carne, non veniva alterato dalla sua paranoia.

  Appena oltre il portello dell'aereo, una donna dall'aria matro­nale, probabilmente un'assistente anziana, gli sorrise e controllò la sua carta d'imbarco, indicandogli il lato opposto della cabina. Frank si sforzò di seguire le indicazioni, cercando di non muove­re le labbra mentre invertiva il conto, da cento a uno. Il suo po­sto era in una fila di tre, all'interno, sul corridoio, al centro dell'aereo. La borsa gli cadde dalla spalla e finì sul pavimento con un rumore secco, acuto. Lo specchio: doveva essersi rotto.

  Lo specchio era la sua garanzia della realtà immutata. Se si era rotto, non sarebbe più stato in grado di capire se le creature pa­gane del suo subcosciente fossero state liberate in un mondo ignaro. I portelli della cabina vennero chiusi. Allacciando la cin­tura, Frank Drake pregò, non per la propria salvezza, ma per l'incolumità delle persone attorno a lui.

  La riunione era stata sospesa per un rinfresco. Mentre Harry aspettava, seduto nel salotto deserto, la porta in fondo alla stan­za si aprì e apparve Daniel Carmody, circondato da uomini d'af­fari che discutevano. L'entourage comprendeva due giapponesi, alcuni americani, un africano in sgargiante costume nazionale, e parecchi tedeschi. In coda al gruppo, qualcuno stava parlando in francese. Tutti erano chiaramente entusiasti per qualcosa.

  — Harry. — Carmody andò verso di lui allargando le braccia. — Sono contento che abbia potuto unirsi a noi. Conoscerà tutti a tempo debito, quindi non si preoccupi troppo di ricordare i no­mi. Sono certo che non troverà il programma di questa sera trop­po impegnativo. Riprenderemo tra venti minuti, per circa un'o­ra. Poi avremo il tempo di cambiarci per la cena. Domani comin­ceremo a lavorare sul serio.

  Gli scoccò il suo famoso sorriso prima di spostarsi. Indossava un abito di seta nero con una camicia scura senza colletto, una tenuta che gli conferiva un aspetto decisamente troppo cupo. La coda di cavallo era trattenuta da un raffinato fermaglio d'argen­to, un particolare che sottolineava l'atmosfera cerimoniosa della serata. Mentre Carmody guidava gli ospiti a un tavolo su cui era­no disposti dei secchielli di champagne, Harry decise di parlare il meno possibile e di ascoltare tutto finché non fosse riuscito a sco­prire il rango e l'ordine gerarchico di quelle persone. Sorseggian­do dal calice, si aggirò lentamente tra gli ospiti.

  — ...naturalmente, il problema più arduo che dobbiamo supe­rare è convincere la gente ad accettare il commento redazionale, una forza guida per così dire...

  — ...non approvo l'inculcazione delle informazioni nei bambi­ni, ma ora che i consigli dei genitori contano così poco, il nucleo famigliare deve essere rinforzato e protetto dalle forze esterne...

  — ...benissimo, ma quando Daniel dice che il sistema funzio­nerà a dovere in meno di due anni, si riferisce solo a una parte di esso...

  — ...a questo punto, è difficile dire se la tecnologia procederà di pari passo con il concetto...

  Dietro Harry, un uomo calvo e occhialuto stava discutendo animatamente con un connazionale. Il suo tedesco gutturale e le mani gesticolanti evocavano un'immagine prebellica che da tem­po aveva perso la propria efficacia essendo diventata un cliché. Di colpo, passarono dal tedesco all'inglese.

  — ...millenovecentotrentatré, ma allora solo il Volkischer Beobachter ha visto chiaramente la situazione...

  Harry aveva sentito parlare dal padre del famigerato giornale di destra. L'Osservatore del Popolo era stato regolarmente stig­matizzato per il suo antisemitismo. Sempre più inquieto, si al­lontanò e accettò un altro bicchiere da una cameriera che passa­va. Alla sua destra, un inglese anziano stava dissertando sullo stato della televisione britannica in tempi di deregulation.

  Alcuni minuti dopo, Carmody cominciò a guidare di nuovo i presenti nella stanza da cui erano usciti. Harry fu fatto accomo­dare tra un tedesco e una italiana con una massa di capelli neri tinti e una scollatura allarmante. Sul grande tavolo da pranzo di palissandro al centro della sala c'erano bloc-notes, matite e ca­raffe di acqua ghiacciata. Harry estrasse il proprio taccuino e lo aprì a una pagina vuota; non voleva essere bollato come l'unico che non prendeva appunti.

  — Signore e signori — esordì Carmody quando tutti furono seduti. — No
terete che nel nostro gruppo abbiamo un nuovo membro per questa riunione. Harry Buckingham lavora presso l'agenzia pubblicitaria che abbiamo appena scelto per le nostre campagne, anche se aggiungo subito che questa sera non si trova qui in veste di pubblicitario.

  Certo che no rifletté Harry. Sono qui per il mio discorso impul­sivo, e perché sono sopravvissuto. Tra loro, presumibilmente, c'era un tacito accordo: quello che Harry avrebbe sentito duran­te il weekend lo riguardava privatamente più che professionalmente.

  — Forse la signorina Mariposo vorrà farci un breve riassunto degli argomenti trattati finora. — Carmody, com'era ovvio, si se­dette a capotavola, e la florida italiana accanto a Harry si alzò per rivolgersi al gruppo.

  — Bene, prima abbiamo discusso della fondazione della odel tre anni fa — iniziò con un accento marcato, allungando esagera­tamente le parole — e di come sia stato trovato un sistema che fungesse da schema, da piano per la conduzione di questa socie­tà. Ho avuto il privilegio di lavorare con Daniel come capo delle operazioni internazionali da quel periodo.

  Poiché Carmody aveva accettato la carica di amministratore delegato della odel solo tre mesi prima, Harry immaginò che la donna si riferisse al proprio ruolo dirigenziale in una delle altre aziende del magnate.

  — È stato Daniel a farmi conoscere il sistema runico. Si trat­ta, come abbiamo spiegato ai nostri colleghi, di un'antica arte che, impiegata correttamente, può avere una notevole validità nel mondo della finanza contemporanea. — S'interruppe e con­sultò gli appunti. — Daniel ha spiegato ai nostri amici come questo sistema operi da secoli. Abbiamo inoltre discusso della tuu...

  — Thule Gesellschaft — disse pacato Carmody.

  — Grazie. E anche della... Deutsches Ahnemerbe... — Car­mody sorrise sentendo la sua pronuncia. — E di come i nazisti abbiano usato questa organizzazione occulta per sfruttare il po­tere delle rune. Abbiamo quindi esaminato il loro cattivo uso di tale potere nel tentativo di controllare le masse.

 

‹ Prev