Collected Works of Giovanni Boccaccio
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TEODORO, INNAMORATO DELLA Violante figliuola di messere Amerigo suo signore, la ‘ngravida ed è alle forche condannato; alle quali frustandosi essendo menato, dal padre riconosciuto e prosciolto, prende per moglie la Violante.
Le donne, le quali tutte temendo stavan sospese ad udire se i due amanti fossero arsi, udendogli scampati, lodando Iddio, tutte si rallegrarono; e la reina, udita la fine, alla Lauretta lo ‘ncarico impose della seguente; la quale lietamente prese a dire:
Bellissime donne, al tempo che il buon re Guiglielmo la Cicilia reggeva, era nell’isola un gentile uomo chiamato messere Amerigo Abate da Trapani, il quale, tra gli altri ben temporali, era di figliuoli assai ben fornito; per che, avendo di servidori bisogno e venendo galee di corsari genovesi di Levante, li quali costeggiando l’Erminia molti fanciulli avevan presi, di quegli, credendogli turchi, alcun comperò, tra’ quali, quantunque tutti gli altri paressero pastori, n’era uno il quale gentilesco e di migliore aspetto che alcuno altro pareva, ed era chiamato Teodoro. Il quale, crescendo, come che egli a guisa di servo trattato fosse, nella casa, piú co’ figliuoli di messere Amerigo si crebbe: e traendo piú alla natura di lui che all’accidente, cominciò ad esser costumato e di bella maniera, intanto che egli piaceva sí a messere Amerigo, che egli il fece franco; e credendo che turchio fosse, il fe’ battezzare e chiamar Pietro, e sopra i suoi fatti il fece il maggiore, molto di lui confidandosi. Come gli altri figliuoli di messere Amerigo, cosí similmente crebbe una sua figliuola chiamata Violante, bella e dilicata giovane, la quale, soprattenendola il padre a maritare, s’innamorò per ventura di Pietro: ed amandolo e faccendo de’ suoi costumi e delle sue opere grande stima, pur si vergognava di discoprirgliele. Ma Amore questa fatica le tolse, per ciò che, avendo Pietro piú volte cautamente guatatala, sí s’era di lei innamorato, che bene alcun non sentiva se non quanto la vedea: ma forte temea non di questo alcun s’accorgesse, GIORNATA QUINTA parendogli far men che bene; di che la giovane, che volentier lui vedeva, s’avvide, e per dargli piú sicurtá, contentissima, sí come era, se ne mostrava. Ed in questo dimorarono assai, non attentandosi di dire l’uno all’altro alcuna cosa, quantunque molto ciascuno il disiderasse. Ma mentre che essi cosí parimente nell’amorose fiamme accesi ardevano, la fortuna, come se diliberato avesse questo voler che fosse, loro trovò via da cacciare la temorosa paura che gl’impediva. Aveva messere Amerigo, fuor di Trapani forse un miglio, un suo molto bel luogo, al quale la donna sua con la figliuola e con altre femine e donne era usata sovente d’andare per via di diporto; dove essendo, un giorno che era il caldo grande, andate, ed avendo seco menato Pietro e quivi dimorando, avvenne, sí come noi veggiamo talvolta di state avvenire, che subitamente il cielo si chiuse d’oscuri nuvoli, per la qual cosa la donna con la sua compagnia, acciò che il malvagio tempo non le cogliesse quivi, si misero in via per tornare in Trapani, ed andavanne ratti quanto potevano. Ma Pietro, che giovane era, e la fanciulla similemente, avanzavano nell’andare la madre di lei e l’altre compagne assai, forse non meno da amor sospinti che da paura di tempo; ed essendo giá tanto entrati innanzi alla donna ed agli altri, che appena si vedevano, avvenne che dopo molti tuoni subitamente una gragnuola grossissima e spessa cominciò a venire, la quale la donna con la sua compagnia fuggí in casa d’un lavoratore. Pietro e la giovane, non avendo piú presto rifugio, se n’entrarono in una chiesetta antica e quasi tutta caduta, nella quale persona non dimorava, ed in quella sotto un poco di tetto che ancora rimaso v’era, si ristrinsono ammenduni: e costrinsegli la necessitá del poco coperto a toccarsi insieme. Il qual toccamento fu cagione di rassicurare un poco gli animi ad aprire gli amorosi disii; e prima cominciò Pietro a dire: — Or volesse Iddio che mai, dovendo io stare come io sto, questa grandine non ristesse! — E la giovane disse: — Ben mi sarebbe caro! — E da queste parole vennero a pigliarsi per mano e strignersi, e da questo ad abbracciarsi e poi a basciarsi, grandinando tuttavia: ed acciò che io ogni particella non racconti, il tempo non si racconciò prima che essi, l’ultime dilettazioni d’amor conosciate, a dover segretamente l’un dell’altro aver piacere ebbero ordine dato. Il tempo malvagio cessò, ed all’entrar della cittá, che vicina era, aspettata la donna, con lei a casa se ne tornarono. Quivi alcuna volta, con assai discreto ordine e segreto, con gran consolazione insieme si ritrovarono; e si andò la bisogna, che la giovane ingravidò, il che molto fu ed all’uno ed all’altro discaro; per che ella molte arti usò per dovere contro al corso della natura disgravidare, né mai le potè venir fatto. Per la qual cosa Pietro, della vita di se medesimo temendo, diliberato di fuggirsi, gliele disse; la quale udendolo disse: — Se tu ti parti, senza alcun fallo io m’ucciderò. — A cui Pietro, che molto l’amava, disse: — Come vuoi tu, donna mia, che io qui dimori? La tua gravidezza scoprirá il fallo nostro; a te fia perdonato leggermente, ma io misero sarò colui a cui del tuo peccato e del mio converrá portare la pena. — Al quale la giovane disse: — Pietro, il mio peccato si saprá bene, ma sii certo che il tuo, se tu noi dirai, non si saprá mai. — Pietro allora disse: — Poi che tu cosí mi prometti, io starò: ma pensa d’osservarlomi. — La giovane, che quanto piú potuto aveva, la sua pregnezza tenuta aveva nascosa, veggendo, per lo crescer che il corpo iacea, piú non poterla nascondere, con grandissimo pianto un dì il manifestò alla madre, lei per la sua salute pregando. La donna, dolente senza misura, le disse una gran villania e da lei volle sapere come andata fosse la cosa. La giovane, acciò che a Pietro non fosse fatto male, compose una sua favola, in altre forme la veritá rivolgendo. La donna la si credette, e per celare il difetto della figliuola ad una lor possessione ne la mandò. Quivi, sopravvenuto il tempo del partorire, gridando la giovane come le donne fanno, non avvisandosi la madre di lei che quivi messere Amerigo, che quasi mai usato non era, dovesse venire, avvenne che, tornando egli da uccellare e passando lunghesso la camera dove la figliuola gridava, maravigliandosi, subitamente entrò dentro e domandò che questo fosse. La donna, veggendo il marito sopravvenuto, dolente levatasi, ciò che alla figliuola era intervenuto gli raccontò: ma egli, men presto a creder che la donna non era stata, disse ciò non dovere esser vero, che ella non sapesse di cui gravida fosse, e per ciò del tutto il voleva sapere, e dicendolo, essa potrebbe la sua grazia racquistare; se non, pensasse, senza alcuna misericordia, di morire. La donna s’ingegnò, in quanto poteva, di dover fare stare contento il marito a quello che ella aveva detto, ma ciò era niente: egli, salito in furore, con la spada ignuda in mano sopra la figliuola corse, la quale, mentre la madre di lei il padre teneva in parole, aveva un figliuol maschio partorito, e disse: — O tu manifesta di cui questo parto si generasse, o tu morrai senza indugio. — La giovane, la morte temendo, rotta la promessa fatta a Pietro, ciò che tra lui e lei stato era tutto aperse; il che udendo il cavaliere e fieramente divenuto fellone, appena d’ucciderla si ritenne: ma poi che quello che l’ira gli apparecchiava detto l’ebbe, rimontato a cavallo, a Trapani se ne venne e ad uno messer Currado, che per lo re v’era capitano, la ‘ngiuria fattagli da Pietro contatagli, subitamente, non guardandosene egli, il fe’ pigliare: e messolo al martorio, ogni cosa fatta confessò. Ed essendo dopo alcun dí dal capitano condannato che per la terra frustato fosse e poi appiccato per la gola, acciò che una medesima ora togliesse di terra i due amanti ed il lor figliuolo, messere Amerigo, al quale per avere a morte condotto Pietro non era l’ira uscita, mise veleno in un nappo con vino, e quello diede ad un suo famigliare ed un coltello ignudo con esso, e disse: — Va’ con queste due cose alla Violante e sí le di’ da mia parte che prestamente prenda qual vuole l’una di queste due morti, o del veleno o del ferro: se non che io, nel cospetto di quanti cittadini ci ha, la farò ardere sí come ella ha meritato; e fatto questo, piglierai il figliuolo pochi di fa da lei partorito, e percossogli il capo al muro, il gitta a mangiare a’ cani. — Data dal fiero padre questa crudel sentenza contro alla figliuola ed al nepote, il famigliare, piú a male che a ben disposto, andò via. Pietro condannato, essendo da’ famigliari menato alle forche frustando, passò, sí come a color che la brigata guidavano piacque, davanti ad uno a
lbergo dove tre nobili uomini d’Erminia erano, li quali dal re d’Erminia a Roma ambasciadori eran mandati a trattar col papa di grandissime cose per un passaggio che far si dovea, quivi smontati per rinfrescarsi e riposarsi alcun dì, e molto stati onorati da’ nobili uomini di Trapani e spezialmente da messere Amerigo. Costoro, sentendo passare coloro che Pietro menavano, vennero ad una finestra a vedere. Era Pietro dalla cintura insú tutto ignudo e con le mani legate di dietro, il quale riguardando l’un de’ tre ambasciadori, che uomo antico era e di grande autoritá, nominato Fineo, gli vide nel petto una gran macchia di vermiglio, non tinta ma naturalmente nella pelle infissa, a guisa che quelle sono che le donne qua chiamano «rose»; la qual veduta, subitamente nella memoria gli corse un suo figliuolo, il quale, giá erano quindici anni passati, da’ corsari gli era stato sopra la marina di Laiazzo tolto, né mai n’aveva potuta saper novella. E considerando l’etá del cattivello che frustato era, avvisò, se vivo fosse il suo figliuolo, dovere di cotale etá essere di quale colui pareva: e cominciò a suspicar per quel segno, non costui desso fosse, e pensossi, se desso fosse, lui ancora doversi del nome suo e di quel del padre e della lingua ermina ricordare; per che, come gli fu vicino, chiamò: — O Teodoro! — La qual voce Pietro udendo, subitamente levò il capo; al quale Fineo in ermino parlando disse: — Onde fosti e cui figliuolo? — Li sergenti che il menavano, per reverenza del valente uomo, il fermarono, sì che Pietro rispose: — Io fui d’Erminia, figliuolo d’uno che ebbe nome Fineo, qua piccol fanciul trasportato da non so che gente. — Il che Fineo udendo, certissimamente conobbe lui essere il figliuolo che perduto avea; per che, piagnendo, co’ suoi compagni discese giuso e lui tra tutti i sergenti corse ad abbracciare, e gittatogli addosso un mantello d’un ricchissimo drappo che indosso avea, pregò colui che a guastare il menava che gli piacesse d’attender tanto, quivi, che di doverlo rimenare gli venisse il comandamento. Colui rispose che l’attenderebbe volentieri. Aveva giá Fineo saputa la cagione per che costui era menato a morire, sí come la fama l’aveva portata per tutto; per che prestamente co’ suoi compagni e con la loro famiglia n’andò a messer Currado e si gli disse: — Messere, colui il quale voi mandate a morir come servo è libero uomo e mio figliuolo, ed è presto di tôrre per moglie colei la qual si dice che della sua virginitá ha privata: e però piacciavi di tanto indugiare l’esecuzione che saper si possa se ella lui vuol per marito, acciò che contro alla legge, dove ella il voglia, non vi troviate aver fatto. — Messer Currado, udendo colui esser figliuolo di Fineo, si maravigliò; e vergognatosi alquanto del peccato della fortuna, confessato quello esser vero che diceva Fineo, prestamente il fe’ ritornare a casa, e per messere Amerigo mandò, e queste cose gli disse. Messere Amerigo, che giá credeva la figliuola ed il nepote esser morti, fu il piú dolente uom del mondo di ciò che fatto avea, conoscendo che, dove morta non fosse, si poteva molto bene ogni cosa stata emendare: ma nondimeno mandò correndo lá dove la figliuola era, acciò che, se fatto non fosse il suo comandamento, non si facesse. Colui che andò, trovò il famigliare stato da messere Amerigo mandato, che, avendole il coltello ed il veleno posto innanzi, perché ella cosí tosto non eleggeva, le diceva villania e volevala costrignere di pigliar l’uno: ma udito il comandamento del suo signore, lasciata star lei, a lui se ne ritornò e gli disse come stava l’opera. Di che messere Amerigo contento, andatosene lá dove Fineo era, quasi piagnendo, come seppe il meglio, di ciò che intervenuto era si scusò e domandonne perdono, affermando, sé, dove Teodoro la sua figliuola per moglie volesse, esser molto contento di dargliele. Fineo ricevette le scuse volentieri, e rispose: — Io intendo che mio figliuolo la vostra figliuola prenda; e dove egli non volesse, vada innanzi la sentenza letta di lui. — Essendo adunque e Fineo e messere Amerigo in concordia, lá ove Teodoro era ancora tutto pauroso della morte, e lieto d’avere il padre ritrovato, il domandarono intorno a questa cosa del suo volere. Teodoro, udendo che la Violante, dove egli volesse, sua moglie sarebbe, tanta fu la sua letizia, che d’inferno gli parve saltare in paradiso: e disse che questo gli sarebbe grandissima grazia, dove a ciascun di lor piacesse. Mandossi adunque alla giovane a sentire del suo volere; la quale, udendo ciò che di Teodoro era avvenuto ed era per avvenire, dove piú dolorosa che altra femina la morte aspettava, dopo molto, alquanta di fede prestando alle parole, un poco si rallegrò, e rispose che, se ella il suo disidèro di ciò seguisse, niuna cosa piú lieta le poteva avvenire che d’esser moglie di Teodoro: ma tuttavia farebbe quello che il padre le comandasse. Cosí adunque in concordia fatta sposare la giovane, festa si fece grandissima con sommo piacere di tutti i cittadini. La giovane, confortandosi e faccendo nudrire il suo piccol figliuolo, dopo non molto tempo ritornò piú bella che mai; e levata del parto, e davanti a Fineo, la cui tornata da Roma s’aspettò, venuta, quella reverenza gli fece che a padre: ed egli, forte contento di sí bella nuora, con grandissima festa ed allegrezza fatte fare le lor nozze, in luogo di figliuola la ricevette e poi sempre la tenne; e dopo alquanti dí il suo figliuolo e lei ed il suo piccol nepote, montati in galea, seco ne menò a Laiazzo, dove con riposo e con pace de’ due amanti, quanto la vita lor durò, dimorarono.
Novella ottava
[VIII]
NASTAGIO DEGLI ONESTI, amando una de’ Traversari, spende le sue ricchezze senza essere amato; vassene, pregato da’suoi, a Chiassi; quivi vede cacciare ad un cavaliere una giovane ed ucciderla, e divorarla da due cani; invita i parenti suoi e quella donna amata da lui ad un desinare, la quale vede questa medesima giovane sbranare, e temendo di simile avvenimento prende per marito Nastagio.
Come la Lauretta si tacque, cosí, per comandamento della reina, cominciò Filomena:
Amabili donne, come in noi è la pietá commendata, cosí ancora in noi è dalla divina giustizia rigidamente la crudeltá vendicata, il che acciò che io vi dimostri e materia vi dèa di cacciarla del tutto da voi, mi piace di dirvi una novella non meno di compassion piena che dilettevole.
In Ravenna, antichissima cittá di Romagna, furon giá assai nobili e gentili uomini, tra’ quali un giovane chiamato Nastagio
degli Onesti, per la morte del padre di lui e d’un suo zio, senza stima rimase ricchissimo; il quale, sí come de’ giovani avviene, essendo senza moglie, s’innamorò d’una figliuola di messer Paolo Traversaro, giovane troppo piú nobile che esso non era, prendendo speranza con le sue opere di doverla trarre ad amar lui. Le quali, quantunque grandissime, belle e laudevoli fossero, non solamente non gli giovavano, anzi pareva che gli nocessero, tanto cruda e dura e salvatica gli si mostrava la giovanetta amata, forse per la sua singular bellezza o per la sua nobiltá sí altiera e disdegnosa divenuta, che né egli né cosa che gli piacesse, le piaceva, la qual cosa era tanto a Nastagio gravosa a comportare, che per dolore piú volte, dopo essersi doluto, gli venne in disidèro d’uccidersi; poi, pur tenendosene, molte volte si mise in cuore di doverla del tutto lasciare stare, o se potesse, d’averla in odio come ella aveva lui. Ma invano tal proponimento prendeva, per ciò che pareva che quanto piú la speranza mancava, tanto piú multiplicasse il suo amore. Perseverando adunque il giovane e nell’amare e nello spendere smisuratamente, parve a certi suoi amici e parenti che egli sé ed il suo avere parimente fosse per consumare; per la qual cosa piú volte il pregarono e consigliarono che si dovesse di Ravenna partire ed in alcuno altro luogo per alquanto tempo andare a dimorare, per ciò che, cosí faccendo, scemerebbe l’amore e le spese. Di questo consiglio piú volte fece beffe Nastagio: ma pure, essendo da loro sollecitato, non potendo tanto dir di no, disse di farlo, e fatto fare un grande apparecchiamento come se in Francia o in Ispagna o in alcuno altro luogo lontano andar volesse, montato a cavallo e da’ suoi molti amici accompagnato, di Ravenna uscí ed andossene ad un luogo fuor di Ravenna forse tre miglia, che si chiama Chiassi, e quivi fatti venir padiglioni e trabacche, disse a color che accompagnato l’aveano che starsi volea e che essi a Ravenna se ne tornassono. Attendatosi adunque quivi Nastagio, cominciò a fare la piú bella vita e la piú magnifica che mai si facesse, or questi ed or quegli altri invitando a cena ed a desinare, come usato s’era
. Ora, avvenne che, venendo quasi all’entrata di maggio, essendo un bellissimo tempo, ed egli entrato in pensiero della sua crudel donna, comandato a tutta la sua famiglia che solo il lasciassero, per piú poter pensare a suo piacere, piede innanzi piè se medesimo trasportò, pensando, infino nella pigneta. Ed essendo giá passata presso che la quinta ora del giorno, ed esso bene un mezzo miglio per la pigneta entrato, non ricordandosi di mangiare né d’altra cosa, subitamente gli parve udire un grandissimo pianto e guai altissimi messi da una donna; per che, rotto il suo dolce pensiero, alzò il capo per veder che fosse, e maravigliossi nella pigneta veggendosi: ed oltre a ciò, davanti guardandosi, vide venire per dn boschetto assai folto d’albuscelli e di pruni, correndo verso il luogo dove egli era, una bellissima giovane ignuda, scapigliata e tutta graffiata dalle frasche e da’ pruni, piagnendo e gridando forte mercé; ed oltre a questo, le vide a’ fianchi due grandi e fieri mastini, li quali duramente appresso correndole, spesse volte crudelmente dove la giugnevano la mordevano, e dietro a lei vide venire sopra un corsier nero un cavalier bruno, forte nel viso crucciato, con uno stocco in mano, lei di morte con parole spaventevoli e villane minacciando. Questa cosa ad una ora maraviglia e spavento gli mise nell’animo, ed ultimamente compassione della sventurata donna, dalla qual nacque disidèro di liberarla da sí fatta angoscia e morte, se el potesse. Ma senza arme trovandosi, ricorse a prendere un ramo d’albero in luogo di bastone e cominciò a farsi incontro a’ cani e contro al cavaliere. Ma il cavaliere che questo vide, gli gridò di lontano: — Nastagio, non t’impacciare, lascia fare a’ cani ed a me quello che questa malvagia femina ha meritato. — E cosí dicendo, i cani, presa forte la giovane ne’ fianchi, la fermarono, ed il cavaliere sopraggiunto smontò da cavallo; al quale Nastagio avvicinatosi, disse: — Io non so chi tu ti se’ che me cosí conosci, ma tanto ti dico, che gran viltá è d’un cavaliere armato volere uccidere una femina ignuda ed averle i cani alle coste messí come se ella fosse una fiera salvatica; io per certo la difenderò quanto io potrò. — Il cavaliere allora disse: — Nastagio, io fui d’una medesima terra teco, ed eri tu ancora piccol fanciullo quando io, il quale fui chiamato messer Guido degli Anastagi, era troppo piú innamorato di costei che tu ora non se’ di quella de’ Traversari: e per la sua fierezza e crudeltá andò sì la mia sciagura, che io un dì, con questo stocco il quale tu mi vedi in mano, come disperato m’uccisi, e sono alle pene eternali dannato. Né stette poi guari di tempo, che costei, la qual della mia morte fu lieta oltre misura, morì, e per lo peccato della sua crudeltá e della letizia avuta de’ miei tormenti, non pentendosene, come colei che non credeva in ciò aver peccato ma meritato, similmente fu ed è dannata alle pene del ninferno; nel quale come ella discese, cosí ne fu, ed a lei ed a me, per pena dato, a lei di fuggirmi davanti ed a me, che giá cotanto l’amai, di seguitarla come mortal nemica, non come amata donna: e quante volte io la giungo, tante con questo stocco col quale io uccisi me, uccido lei ed aprola per ischiena, e quel cuor duro e freddo nel qual mai né amor né pietá poterono entrare, con l’altre interiora insieme, sí come tu vedrai incontanente, le caccio di corpo, e dolle mangiare a questi cani. Né sta poi grande spazio, che ella, sí come la giustizia e la potenza di Dio vuole, come se morta non fosse stata, risurge e da capo incomincia la dolorosa fugga, ed i cani ed io a seguitarla; ed avviene che ogni venerdí in su questa ora io la giungo qui, e qui ne fo lo strazio che vedrai: e gli altri di non credere che noi riposiamo, ma giungola in altri luoghi ne’ quali ella crudelmente contro a me pensò o operò; ed essendole d’amante divenuto nemico, come tu vedi, la mi conviene in questa guisa tanti anni seguitar quanti mesi ella fu contro a me crudele. Adunque, lasciami la divina giustizia mandare ad esecuzione, né ti volere opporre a quello a che tu non potresti contrastare. — Nastagio, udendo queste parole, tutto timido divenuto e quasi non avendo pelo addosso che arricciato non fosse, tirandosi addietro e riguardando alla misera giovane, cominciò pauroso ad aspettare quello che facesse il cavaliere; il quale, finito il suo ragionare, a guisa d’un cane rabbioso, con lo stocco in mano corse addosso alla giovane la quale, inginocchiata e da’ due mastini tenuta forte, gli gridava mercé, ed a quella con tutta sua forza diede per mezzo il petto e passolla dall’altra parte. Il qual colpo come la giovane ebbe ricevuto, cosí cadde boccone, sempre piagnendo e gridando: ed il cavaliere, messo mano ad un coltello, quella aprí nelle reni, e fuori trattone il cuore ed ogni altra cosa da torno, a’ due mastini il gittò, li quali affamatissimi incontanente il mangiarono; né stette guari, che la giovane, quasi niuna di queste cose stata fosse, subitamente si levò in piè e cominciò a fuggire verso il mare, ed i cani appresso di lei sempre lacerandola, ed il cavaliere, rimontato a cavallo e ripreso il suo stocco, la cominciò a seguitare: ed in piccola ora si dileguarono in maniera, che piú Nastagio non gli potè vedere. Il quale, avendo queste cose vedute, gran pezza stette tra pietoso e pauroso, e dopo alquanto gli venne nella mente, questa cosa dovergli molto poter valere, poi che ogni venerdí avvenia; per che, segnato il luogo, a’ suoi famigliari se ne tornò, ed appresso, quando gli parve, mandato per piú suoi parenti ed amici, disse loro: — Voi m’avete lungo tempo stimolato che io d’amare questa mia nemica mi rimanga e ponga fine al mio spendere: ed io son presto di farlo, dove voi una grazia m’impetriate, la quale è questa, che venerdí che viene voi facciate sí che messer Paolo Traversaro e la moglie e la figliuola e tutte le donne lor parenti, ed altre chi vi piacerá, qui sieno a desinar meco. Quello per che io questo voglia, voi il vedrete allora. — A costor parve questa assai piccola cosa a dover fare: ed a Ravenna tornati, quando tempo fu, coloro invitarono li quali Nastagio voleva, e come che dura cosa fosse il potervi menare la giovane da Nastagio amata, pur v’andò con l’altre insieme. Nastagio fece magnificamente apprestar da mangiare, e fece le tavole mettere sotto i pini dintorno a quel luogo dove veduto aveva lo strazio della crudel donna: e fatti metter gli uomini e le donne a tavola, si ordinò, che appunto la giovane amata da lui fu posta a seder di rimpetto al luogo dove doveva il fatto intervenire. Essendo adunque giá venuta l’ultima vivanda, ed il romor disperato della cacciata giovane da tutti fu cominciato ad udire; di che maravigliandosi forte ciascuno e domandando che ciò fosse, e niuno sappiendol dire, levatisi tutti diritti e riguardando che ciò potesse essere, videro la dolente giovane ed il cavaliere ed i cani, né guari stette che essi tutti furon quivi tra loro. Il romore fu fatto grande ed a’ cani ed al cavaliere, e molti per aiutare la giovane si fecero innanzi, ma il cavaliere, parlando loro come a Nastagio aveva parlato, non solamente gli fece indietro tirare, ma tutti gli spaventò e riempié di maraviglia: e faccendo quello che altra volta aveva fatto, quante donne v’aveva; ché ve n’aveva assai che parenti erano state e della dolente giovane e del cavaliere, e che si ricordavano dell’amore e della morte di lui; tutte cosí miseramente piagnevano come se a se medesime quello avesser veduto fare. La qual cosa al suo termine fornita, ed andata via la donna ed il cavaliere, mise costoro che ciò veduto aveano in molti e vari ragionamenti: ma tra gli altri che piú di spavento ebbero, fu la crudel giovane da Nastagio amata, la quale ogni cosa distintamente veduta avea ed udita, e conosciuto che a sé piú che ad altra persona che vi fosse queste cose toccavano, ricordandosi della crudeltá sempre da lei usata verso Nastagio; per che giá le parea fuggire dinanzi da lui adirato ed avere i mastini a’ fianchi. E tanta fu la paura che di questo le nacque, che, acciò che questo a lei non avvenisse, prima tempo non si vide, il quale quella medesima sera prestato le fu, che ella, avendo l’odio in amor tramutato, una sua fida cameriera segretamente a Nastagio mandò, la quale da parte di lei il pregò che gli dovesse piacere d’andare a lei, per ciò che ella era presta di far tutto ciò che fosse piacer di lui. Alla qual Nastagio fece rispondere che questo gli era a grado molto, ma che, dove le piacesse, con onor di lei voleva il suo piacere, e questo era sposandola per moglie. La giovane, la qual sapeva che da altrui che da lei rimaso non era che moglie di Nastagio stata non fosse, gli fece risponder che le piacea; per che, essendo ella medesima la messaggera, al padre ed alla madre disse che era contenta d�
��essere sposa di Nastagio, di che essi furon contenti molto: e la domenica seguente Nastagio sposatala e fatte le sue nozze, con lei piú tempo lietamente visse. E non fu questa paura cagione solamente di questo bene, anzi sí tutte le ravignane donne paurose ne divennero, che sempre poi troppo piú arrendevoli a’ piaceri degli uomini furono che prima state non erano.