Collected Works of Giovanni Boccaccio
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Amor, s’io posso uscir de’ tuoi artigli,Ææappena creder possoÆæche alcuno altro uncin mai piú mi pigli.Ææ Io entrai giovanetta en la tua guerra,Ææquella credendo somma e dolce pace,Ææe ciascuna mia arme posi in terra,Ææcome sicuro chi si fida face;Æætu, disleal tiranno aspro e rapace,Æætosto mi fosti addossoÆæcon le tue armi e co’ crudel roncigli.Ææ Poi, circondata delle tue catene,Ææa quel che nacque per la morte mia,Ææpiena d’amare lagrime e di peneÆæpresa mi desti, ed hammi in sua balia;Ææed è sí cruda la sua signoria,Ææche giá mai non l’ha mossoÆæsospir né pianto alcun che m’assottigli.
Li prieghi miei tutti glien porta il vento:Æænullo n’ascolta né ne vuole udire;Ææper che ognora cresce il mio tormento,Ææonde ‘l viver m’è nòi né so morire;Æædeh! dolgati, signor, del mio languire;Ææfa’ tu quel ch’io non posso:Æædálmi legato dentro a’ tuoi vincigli.Ææ Se questo far non vuogli, almeno sciogliÆæi legami annodati da speranza;Æædeh! io ti priego, signor, che tu vogli:Ææché, se tu ‘l fai, ancor porto fidanzaÆædi tornar bella qual fu mia usanza,Ææed il dolor rimosso,Æædi bianchi fiori ornarmi e di vermigli.
Poi che con un sospiro assai pietoso Elissa ebbe alla sua canzon fatta fine, ancor che tutti si maravigliasser di tali parole, niuno per ciò ve n’ebbe che potesse avvisare che di cosí cantare le fosse cagione. Ma il re, che in buona tempera era, fatto chiamar Tindaro, gli comandò che fuori traesse la sua cornamusa, al suono della quale esso fece fare molte danze: ma essendo giá molta parte di notte passata, a ciascun disse che andasse a dormire.
Settima giornata
INTRODUZIONE
Novella PRIMA
Gianni Lotteringhi ode di notte toccar l’uscio suo; desta la moglie, ed ella gli fa accredere che egli è la fantasima; vanno ad incantare con una orazione, e il picchiar si rimane.
Novella seconda
Peronella mette un suo amante in un doglio, tornando il marito a casa; il quale avendo il marito venduto, ella dice che venduto l’ha ad uno che dentro v’è a vedere se saldo gli pare. Il quale saltatone fuori, il fa radere al marito, e poi portarsenelo a casa sua.
Novella terza
Frate Rinaldo si giace colla comare; truovalo il marito in camera con lei, e fannogli credere che egli incantava i vermini al figlioccio.
Novella quarta
Tofano chiude una notte fuor di casa la moglie, la quale, non potendo per prieghi rientrare, fa vista di gittarsi in un pozzo e gittavi una gran pietra. Tofano esce di casa e corre là, ed ella in casa le n’entra e serra lui di fuori, e sgridandolo il vitupera.
Novella quinta
Un geloso in forma di prete confessa la moglie, al quale ella dà a vedere che ama un prete che viene a lei ogni notte; di che mentre che il geloso nascostamente prende guardia all’uscio, la donna per lo tetto si fa venire un suo amante, e con lui si dimora.
Novella sesta
Madonna Isabella con Leonetto standosi, amata da un messer Lambertuccio, è da lui visitata; e tornando il marito di lei, messer Lambertuccio con un coltello in mano fuor di casa ne manda, e il marito di lei poi Leonetto accompagna.
Novella settima
Lodovico discuopre a madonna Beatrice l’amore il quale egli le porta; la qual manda Egano suo marito in un giardino in forma di sé, e con Lodovico si giace; il quale poi levatosi, va e bastona Egano nel giardino.
Novella ottava
Un diviene geloso della moglie, ed ella, legandosi uno spago al dito la notte, sente il suo amante venire a lei. Il marito se n’accorge, e mentre seguita l’amante, la donna mette in luogo di sé nel letto un’altra femina, la quale il marito batte e tagliale le trecce, e poi va per li fratelli di lei, li quali, trovando ciò non esser vero, gli dicono villania.
Novella nona
Lidia moglie di Nicostrato ama Pirro, il quale, acciò che credere il possa, le chiede tre cose, le quali ella gli fa tutte; e oltre a questo in presenza di Nicostrato si sollazza con lui, e a Nicostrato fa credere che non sia vero quello che ha veduto.
Novella decima
Due sanesi amano una donna comare dell’uno; muore il, compare e torna al compagno secondo la promessa fattagli, e raccontagli come di là si dimori.
Conclusione
Introduzione
FINISCE LA SESTA GIORNATA DEL DECAMERON; INCOMINCIA LA SETTIMA, NELLA QUALE, SOTTO IL REGGIMENTO DI DIONEO, SI RAGIONA DELLE BEFFE LE QUALI O PER AMORE O PER SALVAMENTO DI LORO LE DONNE HANNO GIÀ FATTE A’ LOR MARITI, SENZA ESSERSENE ESSI AVVEDUTI O NO.
OGNI STELLA ERA giá delle parti d’oriente fuggita, se non quella sola la qual noi chiamiamo Lucifero, che ancora luceva nella biancheggiante aurora, quando il siniscalco, levatosi, con una gran salmeria n’andò nella Valle delle donne per quivi disporre ogni cosa secondo l’ordine ed il comandamento avuto dal suo signore. Appresso alla quale andata non itette guari a levarsi il re, il quale lo strepito de’ caricanti e delle bestie aveva desto; e levatosi, fece le donne ed i giovani tutti parimente levare: né ancora spuntavano li raggi del sole ben bene, quando tutti entrarono in cammino. Né era ancora lor paruto alcuna volta tanto gaiamente cantar gli usignuoli e gli altri uccelli, quanto quella mattina pareva; da’ canti de’ quali accompagnati infino nella Valle delle donne n’andarono, dove da molti piú ricevuti, parve loro che essi della loro venuta si rallegrassero. Quivi intorniando quella e riprovveggendo tutta da capo, tanto parve loro piú bella che il dí passato, quanto l’ora del dí era piú alla bellezza di quella conforme. E poi che col buon vino e co’ confetti ebbero il digiun rotto, acciò che di canto non fossero dagli uccelli avanzati, cominciarono a cantare, e la valle insieme con essoloro, sempre quelle medesime canzoni dicendo che essi dicevano; alle quali tutti gli uccelli, quasi non volessono esser vinti, dolci e nuove note aggiugnevano. Ma poi che l’ora del mangiar fu venuta, messe le tavole sotto i vivaci allori e gli altri belli alberi, vicine al bel laghetto, come al re piacque, cosí andarono a sedere, e mangiando, i pesci notar vedean per lo lago a grandissime schiere; il che, come di riguardare, cosí talvolta dava cagione di ragionare. Ma poi che venuta fu la fine del desinare, e le vivande e le tavole furon rimosse, ancora piú lieti che prima cominciarono a cantare; quindi, essendo in piú luoghi per la piccola valle fatti letti, e tutti dal discreto siniscalco di sarge francesche e di capoletti intorniati e chiusi, con licenza del re, a cui piacque, si potè andare a dormire: e chi dormir non volle, degli altri loro diletti usati pigliar poteva a suo piacere. Ma venuta giá l’ora che tutti levati erano e tempo era da riducersi a novellare, come il re volle, non guari lontani al luogo dove mangiato aveano, fatti in su l’erba tappeti distendere e vicini al lago a seder postisi, comandò il re ad Emilia che cominciasse; la quale lietamente cosí cominciò a dir sorridendo:
Novella prima
[I]
GIANNI LOTTERINGHI ODE di notte toccar l’uscio suo; desta la moglie, ed ella gli fa accredere che egli è la fantasima; vanno ad incantare con una orazione, ed il picchiare si rimane.
Signor mio, a me sarebbe stato carissimo, quando stato fosse piacere a voi, che altra persona che io avesse a cosí bella materia come è quella di che parlar dobbiamo, dato cominciamento: ma poi che egli v’aggrada che io tutte l’altre assicuri, ed io il farò volentieri. Ed ingegnerommi, carissime donne, di dir cosa che vi possa essere utile nell’avvenire, per ciò che, se cosí son l’altre come io paurose, e massimamente della fantasima, la quale sallo Iddio che io non so che cosa si sia, né ancora alcuna trovai che il sapesse, come che tutte ne temiamo igualmente, a quella cacciar via quando da voi venisse, notando bene la mia novella, potrete una santa e buona orazione e molto a ciò valevole, apparare.
Egli fu giá in Firenze nella contrada di San Brancazio uno stamaiuolo il quale fu chiamato Gianni Lotteringhi, uomo piú avventurato nella sua arte che savio in altre cose, per ciò che, tenendo egli del semplice, era molto spesso fatto capitano de’
laudesi di Santa Maria Novella, ed aveva a ritenere la scuola loro, ed altri cosí fatti uficetti aveva assai sovente, di che egli da molto piú si teneva: e ciò gli avveniva per ciò che egli molto spesso, s�
� come agiato uomo, dava di buone pietanze a’ frati. Li quali, per ciò che qual calze e qual cappa e quale scapolare ne traevano spesso, gl’insegnavano di buone orazioni e davangli il paternostro in volgare e la canzone di santo Alesso ed il lamento di san Bernardo e la lauda di donna Matelda e cotali altri ciancioni, li quali egli avea molto cari, e tutti per la salute dell’anima sua gli si serbava molto diligentemente. Ora, aveva costui una bellissima donna e vaga per moglie, la quale ebbe nome monna Tessa e fu figliuola di Mannuccio dalla Cuculia, savia ed avveduta molto; la quale, conoscendo la simplicitá del marito, essendo innamorata di Federigo di Neri Pegolotti, il quale bello e fresco giovane era, ed egli di lei, ordinò con una sua fante che Federigo le venisse a parlare ad un luogo molto bello che il detto Gianni aveva in Camerata, al quale ella si stava tutta la state: e Gianni alcuna volta vi veniva a cenare e ad albergo, e la mattina se ne tornava a bottega e talora a’ laudesi suoi. Federigo, che ciò senza modo disiderava, preso tempo un dì che imposto gli fu, in sul vespro se n’andò lá su, e non venendovi la sera Gianni, a grande agio e con molto piacere cenò ed albergò con la donna: ed ella, standogli in braccio la notte, gl’insegnò da sei delle laude del suo marito. Ma non intendendo essa che questa fosse così l’ultima volta come stata era la prima, né Federigo altressi, acciò che ogni volta non convenisse che la fante avesse ad andar per lui, ordinarono insieme a questo modo, che egli ognidí, quando andasse o tornasse da un suo luogo che alquanto piú suso era, tenesse mente in una vigna la quale allato alla casa di lei era: ed egli vedrebbe un teschio d’asino in su un palo di quegli della vigna, il quale quando col muso vòlto vedesse verso Firenze, sicuramente e senza alcun fallo la sera, di notte, se ne venisse a lei, e se non trovasse l’uscio aperto, pianamente picchiasse tre volte, ed ella gli aprirebbe; e quando vedesse il muso del teschio vòlto verso Fiesole, non vi venisse, per ciò che Gianni vi sarebbe. Ed in questa maniera faccendo, molte volte insieme si ritrovarono: ma tra l’altre volte una avvenne che, dovendo Federigo cenare con monna Tessa, avendo ella fatti cuocere due grossi capponi, avvenne che Gianni, che venire non vi doveva, molto tardi vi venne. Di che la donna fu molto dolente, ed egli ed ella cenarono un poco di carne salata che da parte aveva fatta lessare: ed alla fante fece portare in una tovagliuola bianca i due capponi lessi e molte uova fresche ed un fiasco di buon vino in un suo giardino, nel quale andar si potea senza andar per la casa, e dove ella era usa di cenare con Federigo alcuna volta, e dissele che a piè d’un pesco che era allato ad un pratello quelle cose ponesse; e tanto fu il cruccio che ella ebbe, che ella non si ricordò di dire alla fante che tanto aspettasse che Federigo venisse, e dicessegli che Gianni v’era e che egli quelle cose dell’orto prendesse. Per che, andatisi ella e Gianni a letto, e similmente la fante, non istette guari che Federigo venne e toccò una volta pianamente la porta, la quale sì vicina alla camera era, che Gianni incontanente il sentì, e la donna altressì: ma acciò che Gianni nulla suspicar potesse di lei, di dormire fece sembianti. E stando un poco, Federigo picchiò la seconda volta; di che Gianni maravigliandosi, punzecchiò un poco la donna, e disse: — Tessa, odi tu quel che io? El pare che l’uscio nostro sia tócco. — La donna, che molto meglio di lui udito l’avea, fece vista di svegliarsi, e disse: — Come di’ ? eh? — Dico — disse Gianni — che el pare che l’uscio nostro sia tócco. — Disse la donna: — Tócco? Oimè! Gianni mio, or non sai tu quello che egli è? Egli è la fantasima, della quale io ho avuta a queste notti la maggior paura che mai s’avesse, tal che, come io sentita l’ho, ho messo il capo sotto né mai ho avuto ardir di trarlo fuori si è stato di chiaro. — Disse allora Gianni: — Va’, donna, non aver paura se ciò è, ché io dissi dianzi il Te lucis e la ‘ntemerata e tante altre buone orazioni, quando a letto ci andammo, ed anche segnai il letto di canto in canto al nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, che temere non ci bisogna: ché ella non ci può, per potere che ella abbia, nuocere. — La donna, acciò che Federigo per avventura altro sospetto non prendesse e con lei si turbasse, diliberò del tutto di doversi levare e di fargli sentire che Gianni v’era; e disse al marito: — Bene sta, tu di’ tue parole tu; io per me non mi terrò mai salva né sicura se noi non la ‘ncantiamo, poscia che tu ci se’. — Disse Gianni: — O come s’incanta ella? — Disse la donna: — Ben la so io incantare, ché l’altrieri, quando io andai a Fiesole alla perdonanza, una di quelle romite, che è, Gianni mio, pur la piú santa cosa che Iddio tel dica per me, veggendomene cosí paurosa, m’insegnò una santa e buona orazione, e disse che provata l’avea piú volte avanti che romita fosse, e sempre l’era giovato. Ma sallo Iddio che io non avrei mai avuto ardire d’andare sola a provarla: ma ora che tu ci se’, io vo’ che noi andiamo ad incantarla. — Gianni disse che molto gli piacea; e levatisi, se ne vennero ammenduni pianamente all’uscio, al quale ancor di fuori Federigo, giá sospettando, aspettava: e giunti quivi, disse la donna a Gianni: — Ora sputerai, quando io il ti dirò. — Disse Gianni: — Bene. — E la donna cominciò l’orazione, e disse: — Fantasima fantasima che di notte vai, a coda ritta ci venisti, a coda ritta te n’andrai; va’ nell’orto a piè del pesco grosso: troverai unto bisunto e cento cacherelli della gallina mia; pon’ bocca al fiasco e vatti via, e non far male né a me né a Gianni mio. — E cosí detto, disse al marito: — Sputa, Gianni! — E Gianni sputò: e Federigo, che di fuori era e questo udiva, giá di gelosia uscito, con tutta la malinconia aveva sì gran voglia di ridere, che scoppiava, e pianamente, quando Gianni sputava, diceva: — I denti. — La donna, poi che in questa guisa ebbe tre volte incantata la fantasima, a letto se ne tornò col marito. Federigo, che con lei di cenar s’aspettava, non avendo cenato ed avendo bene le parole dell’orazione intese, se n’andò nell’orto ed a piè del pesco grosso trovati i due capponi ed il vino e l’uova, a casa se ne gli portò e cenò a grande agio; e poi dell’altre volte ritrovandosi con la donna, molto di questa incantagione rise con essolei. Vera cosa è che alcuni dicono che la donna aveva ben vòlto il teschio dell’asino verso Fiesole, ma un lavoratore per la vigna passando v’aveva entro dato d’un bastone e fattol girare intorno intorno, ed era rimaso vólto verso Firenze, e per ciò Federigo, credendo esser chiamato, v’era venuto, e che la donna aveva fatta l’orazione in questa guisa: Fantasima fantasima, vatti con Dio, ché la testa dell’asino non volsi io, ma altri fu, che tristo il faccia Iddio: ed io son qui con Gianni mio»; per che andatosene, senza albergo e senza cena era rimaso. Ma una mia vicina, la quale è una donna molto vecchia, mi dice che l’una e l’altra fu vera, secondo che ella aveva, essendo fanciulla, saputo, ma che l’ultimo non a Gianni Lotteringhi era avvenuto, ma ad uno che si chiamò Gianni di Nello, che stava in Porta San Piero, non meno sufficiente lavaceci che fosse Gianni Lotteringhi. E per ciò, donne mie care, nella vostra elezione sta di tôrre qual piú vi piace delle due, o volete ammendune: elle hanno grandissima vertú a cosí fatte cose, come per esperienza avete udito; apparatele, e potravvi ancor giovare.
Novella seconda
[II]
PERONELLA METTE UN suo amante in un doglio, tornando il marito a casa; il quale avendo il marito venduto, ella dice che venduto l’ha ad uno che dentro v’è a vedere se saldo gli pare; il quale, saltatone fuori, il fa radere al marito e poi portarsenelo a casa sua.
Con grandissime risa fu la novella d’Emilia ascoltata e l’orazione per buona e per santa commendata da tutti; la quale alla sua fine venuta essendo, comandò il re a Filostrato che seguitasse, il quale incominciò:
Carissime donne mie, elle son tante le beffe che gli uomini vi fanno, e spezialmente i mariti, che, quando alcuna volta avviene che donna niuna alcuna al marito ne faccia, voi non dovreste solamente esser contente che ciò fosse avvenuto o di risaperlo o d’udirlo dire ad alcuno, ma il dovreste voi medesime andare dicendo per tutto, acciò che per gli uomini si conosca che, se essi sanno, e le donne, d’altra parte, anche sanno; il che altro che utile esser non vi può, per ciò che, quando alcun sa che altri sappia, egli non si mette troppo leggermente a volerlo ingannare. Chi dubita adunque che ciò che oggi intorno a questa materia diremo, essendo ris
aputo dagli uomini, non fosse lor grandissima cagione di raffrenamento al beffarvi, conoscendo che voi similmente, volendo, ne sapreste beffare? È adunque mia intenzion di dirvi ciò che una giovanetta, quantunque di bassa condizione fosse, quasi in un momento di tempo per salvezza di sé al marito facesse.