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Collected Works of Giovanni Boccaccio

Page 335

by Giovanni Boccaccio


  Novella seconda

  [II]

  LEVASI UNA BADESSA in fretta ed al buio per trovare una sua monaca, a lei accusata, col suo amante nel letto; ed essendo con lei un prete, credendosi il saltero de’ veli aver posto in capo, le brache del prete vi si pose; le quali veggendo l’accusata, e fattanela accorgere, fu diliberata, ed ebbe agio di starsi col suo amante.

  Giá si tacea Filomena, ed il senno della donna a tôrsi da dosso coloro li quali amar non volea da tutti era stato commendato, e cosí in contrario, non amor ma pazzia era stata tenuta da tutti l’ardita presunzion degli amanti, quando la reina ad Elissa vezzosamente disse: — Elissa, segui. — La qual prestamente incominciò:

  Carissime donne, saviamente si seppe madonna Francesca, come detto è, liberar dalla noia sua: ma una giovane monaca, aiutandola la fortuna, sé da un soprastante pericolo leggiadramente parlando diliberò. E come voi sapete, assai sono li quali, essendo stoltissimi, maestri degli altri si fanno e gastigatori, li quali, sí come voi potrete comprendere per la mia novella, la fortuna alcuna volta e meritamente vitupera: e ciò addivenne alla badessa sotto la cui obedienza era la monaca della quale debbo dire.

  Sapere adunque dovete, in Lombardia essere un famosissimo monistero di santitá e di religione, nel quale, tra l’altre donne monache che v’erano, v’era una giovane di sangue nobile e di maravigliosa bellezza dotata, la quale, Isabetta chiamata, essendo un di ad un suo parente alla grata venuta, d’un bel giovane che con lui era s’innamorò: ed esso, lei veggendo bellissima, giá il suo disidèro avendo con gli occhi concetto, similmente di lei s’accese, e non senza gran pena di ciascuno questo amore un gran tempo senza frutto sostennero. Ultimamente, essendone ciascuno sollecito, venne al giovane veduta una via da potere alla sua monaca occultissimamente andare; di che ella contentandosi, non una volta ma molte, con gran piacer di ciascuno, la visitò. Ma continuandosi questo, avvenne una notte che egli da una delle donne di lá entro fu veduto, senza avvedersene o egli o ella, dall’Isabetta partirsi ed andarsene: il che costei con alquante altre comunicò. E prima ebber consiglio d’accusarla alla badessa, la quale madonna Usimbalda ebbe nome, buona e santa donna secondo l’oppinion delle donne monache e di chiunque la conoscea; poi pensarono, acciò che la negazione non avesse luogo, di volerla far cogliere col giovane alla badessa, e cosí taciutesi, tra sé le vigilie e le guardie segretamente partirono per incoglier costei. Or, non guardandosi l’Isabetta da questo né alcuna cosa sappiendone, avvenne che ella una notte vel fece venire; il che tantosto sepper quelle che a ciò badavano. Le quali, quando a lor parve tempo, essendo giá buona pezza di notte, in due si divisero, ed una parte se ne mise a guardia dell’uscio della cella dell’Isabetta ed un’altra n’andò correndo alla camera della badessa, e picchiando l’uscio, a lei che giá rispondeva, dissero: — Su, madonna, levatevi tosto, che noi abbiam trovato che l’Isabetta ha un giovane nella cella. — Era quella notte la badessa accompagnata d’un prete il quale ella spesse volte in una cassa si faceva venire; la quale, udendo questo, temendo non forse le monache per troppa fretta o troppo volonterose tanto l’uscio sospignessero, che egli s’aprisse, spacciatamente si levò suso, e come il meglio seppe, si vestí al buio, e credendosi tórre certi veli piegati li quali in capo portano e chiamangli «il saltero», le venner tolte le brache del prete: e tanta fu la fretta, che senza avvedersene, in luogo del saltero, le si gittò in capo, ed uscí fuori e prestamente l’uscio si riserrò dietro, dicendo: — Dove è questa maladetta da Dio? — E con l’altre, che si focose e sí attente erano a dover far trovare in fallo l’Isabetta, che di cosa che la badessa in capo avesse non s’avvedieno, giunse all’uscio della cella, e quello, dall’altre aiutata, pinse in terra: ed entrate dentro, nel letto trovarono i due amanti abbracciati, li quali, da cosí subito soprapprendimento storditi, non sappiendo che farsi, stettero fermi. La giovane fu incontanente dall’altre monache presa, e per comandamento della badessa, menata in capitolo. Il giovane s’era rimaso, e vestitosi, aspettava di veder che fine la cosa avesse, con intenzione di fare un mal giuoco a quante giugnerne potesse, se alla sua giovane novitá niuna fosse fatta, e di lei menarne con seco. La badessa, postasi a sedere in capitolo, in presenza di tutte le monache, le quali solamente alla colpevole riguardavano, incominciò a dirle la maggior villania che mai a femina fosse detta, sí come a colei la quale la santitá, l’onestá e la buona fama del monistero con le sue sconce e vituperevoli opere, se di fuor si sapesse, contaminate avea: e dietro alla villania aggiugnea gravissime minacce. La giovane, vergognosa e timida, sí come colpevole, non sapeva che si rispondere, ma tacendo, di sé metteva compassion nell’altre. E multiplicando pur la badessa in novelle, venne alla giovane alzato il viso e veduto ciò che la badessa aveva in capo e gli usulieri che di qua e di lá pendevano; di che ella, avvisando ciò che era, tutta rassicurata, disse: — Madonna, se Iddio v’aiuti, annodatevi la cuffia e poscia mi dite ciò che voi volete. — La badessa, che non la ‘ntendeva, disse: — Che cuffia, rea femina? Ora hai tu viso da motteggiare? Parti egli aver fatta cosa che i motti ci abbian luogo? — Allora la giovane un’altra volta disse: — Madonna, io vi priego che voi v’annodiate la cuffia; poi dite a me ciò che vi piace. — Laonde molte delle monache levarono il viso al capo della badessa, ed ella similmente ponendovisi le mani, s’accorsero perché l’Isabetta cosí diceva; di che la badessa, avvedutasi del suo medesimo fallo e veggendo che da tutte veduto era né aveva ricoperta, mutò sermone, ed in tutta altra guisa che fatto non aveva, cominciò a parlare, e conchiudendo venne, impossibile essere il potersi dagli stimoli della carne difendere: e per ciò chetamente, come infino a quel di fatto s’era, disse che ciascuna si desse buon tempo quando potesse. E liberata la giovane, col suo prete si tornò a dormire, e l’Isabetta col suo amante, il qual poi molte volte, in dispetto di quelle che di lei avevano invidia, vi fe’ venire; l’altre che senza amante erano, come seppero il meglio, segretamente procacciaron lor ventura.

  Novella terza

  [III]

  MAESTRO SIMONE AD istanza di Bruno e di Buffalmacco e di Nello fa credere a Calandrino che egli è pregno; il quale per medicine dá a’ predetti capponi e denari, e guerisce senza partorire.

  Poi che Elissa ebbe la sua novella finita, essendo da tutti rendute grazie a Dio che la giovane monaca aveva con lieta uscita tratta de’ morsi dell’invidiose compagne, la reina a Filostrato comandò che seguitasse; il quale, senza piú comandamento aspettare, incominciò:

  Bellissime donne, lo scostumato giudice marchigiano di cui ieri vi novellai, mi trasse di bocca una novella di Calandrino la quale io era per dirvi: e per ciò che ciò che di lui si ragiona non può altro che multiplicar la festa, benché di lui e de’ suoi compagni assai ragionato si sia, ancor pur quella che ieri aveva in animo vi dirò. Mostrato e di sopra assai chiaro chi Calandrin fosse e gli altri de’ quali in questa novella ragionar debbo, e per ciò, senza piú dirne, dico che egli avvenne che una zia di Calandrin si morí e lasciògli dugento lire di piccioli contanti; per la qual cosa Calandrino cominciò a dire che egli voleva comperare un podere, e con quanti sensali aveva in Firenze, come se da spendere avesse avuti diecemilia fiorin d’oro, teneva mercato, il qual sempre si guastava quando al prezzo del poder domandato si perveniva. Bruno e Buffalmacco, che queste cose sapevano, gli avean piú volte detto che egli farebbe il meglio a goderglisi con loro insieme, che andar comperando terra come se egli avesse avuto a far pallottole: ma, non che a questo, essi non l’aveano mai potuto conducere che egli loro una volta desse mangiare. Per che un dí dolendosene, ed essendo a ciò sopravvenuto un lor compagno che aveva nome Nello, dipintore, diliberâr tutti e tre di dover trovar modo da ugnersi il grifo alle spese di Calandrino: e senza troppo indugio darvi, avendo tra sé ordinato quello che a fare avessero, la seguente mattina, appostato quando Calandrino di casa uscisse, non essendo egli guari andato, gli si fece incontro Nello e disse: — Buon dí, Calandrino. — Calandrino gli rispose che Iddio gli desse il buon dí ed il buono anno. Appresso questo, Nello, rattenutosi un poco, lo ‘ncominciò a guardar nel viso; a cui Calandrino disse: �
�� Che guati tu? — E Nello disse a lui: — Haiti tu sentita stanotte cosa niuna? Tu non mi par’desso. — Calandrino incontanente cominciò a dubitare, e disse: — Oimè! come? che ti pare egli che io abbia? — Disse Nello: — Deh! io noi dico per ciò: ma tu mi pari tutto cambiato; fia forse altro — e lasciollo andare. Calandrino tutto sospettoso, non sentendosi per ciò cosa del mondo, andò avanti. Ma Buffalmacco, che guari non era lontano, veggendol partito da Nello, gli si fece incontro, e salutatolo, il domandò se egli si sentisse niente. Calandrino rispose: — Io non so, pur testé mi diceva Nello che io gli pareva tutto cambiato; potrebbe egli essere che io avessi nulla? — Disse Buffalmacco: — Sí, potrestú aver cavelle, non che nulla: tu par’ mezzo morto. — A Calandrino pareva giá aver la febbre: ed ecco Bruno sopravvenne, e prima che altro dicesse, disse: — Calandrino, che viso è quello? El par che tu sii morto: che ti senti tu? — Calandrino, udendo ciascun di costoro cosí dire, per certissimo ebbe seco medesimo d’esser malato, e tutto sgomentato gli domandò: — Che fo? — Disse Bruno: — A me pare che tu te ne torni a casa e vaditene in sul letto e facciti ben coprire, e che tu mandi il segnal tuo al maestro Simone, che è cosi nostra cosa come tu sai. Egli ti dirá incontanente ciò che tu avrai a fare, e noi ne verrem teco: e se bisognerá far cosa niuna, noi la faremo. — E con loro aggiuntosi Nello, con Calandrino se ne tornarono a casa sua: ed egli entratosene tutto affaticato nella camera, disse alla moglie: — Vieni e cuoprimi bene, ché io mi sento un gran male. — Essendo adunque a giacer posto, il suo segnale per una fanticella mandò al maestro Simone, il quale allora a bottega stava in Mercato Vecchio alla ‘nsegna del mellone. E Bruno disse a’ compagni: — Voi vi rimarrete qui con lui, ed io voglio andare a sapere che il medico dirá, e se bisogno sará, a menarloci. — Calandrino allora disse: — Deh! sí, compagno mio, vavvi e sappimi ridire come il fatto sta, ché io mi sento non so che dentro. — Bruno, andatosene al maestro Simone, vi fu prima che la fanticella che il segno portava, ed ebbe informato maestro Simon del fatto; per che, venuta la fanticella ed il maestro veduto il segno, disse alla fanticella: — Vattene e di’ a Calandrino che egli si tenga ben caldo, ed io verrò a lui incontanente e dirògli ciò che egli ha e ciò che egli avrá a fare. — La fanticella cosí rapportò: né stette guari che il medico e Brun vennero, e postoglisi il medico a sedere allato, gl’incominciò a toccare il polso, e dopo alquanto, essendo ivi presente la moglie, disse: — Vedi, Calandrino, a parlarti come ad amico, tu non hai altro male se non che tu se’ pregno. — Come Calandrino udí questo, dolorosamente cominciò a gridare ed a dire: — Oimè! Tessa, questo m’hai fatto tu, che non vuogli stare altro che di sopra; io il ti diceva bene! — La donna, che assai onesta persona era, udendo cosí dire al marito, tutta di vergogna arrossò, ed abbassata la fronte, senza risponder parola s’uscí della camera. Calandrino, continuando il suo ramarichio, diceva: — Oimè, tristo me! come farò io? Come partorirò io questo figliuolo? Onde uscirá egli? Ben veggio che io son morto per la rabbia di questa mia moglie, che tanto la faccia Iddio trista quanto io voglio esser lieto; ma cosí fossi io sano come io non sono, ché io mi leverei e dare’le tante busse, che io la romperei tutta, avvegna che egli mi stea molto bene, ché io non la doveva mai lasciar salir di sopra: ma per certo, se io scampo di questa, ella se ne potrá ben prima morir di voglia. — Bruno e Buffalmacco e Nello avevano sí gran voglia di ridere, che scoppiavano, udendo le parole di Calandrino, ma pur se ne tenevano: ma il maestro Scimmione rideva si squaccheratamente, che tutti i denti gli si sarebber potuti trarre. Ma pure, a lungo andare, raccomandandosi Calandrino al medico e pregandolo che in questo gli dovesse dar consiglio ed aiuto, gli disse il maestro: — Calandrino, io non voglio che tu ti sgomenti, ché, lodato sia Iddio, noi ci siamo sí tosto accorti del fatto, che con poca fatica ed in pochi dí ti dilibererò: ma conviensi un poco spendere. — Disse Calandrino: — Oimè! maestro mio, sí, per l’amor di Dio; io ho qui da dugento lire di che io volea comperare un podere: se tutti bisognano, tutti gli togliete, pur che io non abbia a partorire, ché io non so come io mi facessi; ché io odo fare alle femine un sí gran rornore quando son per partorire, con tutto che elle abbiano buon cotal grande donde farlo, che io credo, se io avessi quel dolore, che io mi morrei prima che io partorissi. — Disse il medico: — Non aver pensiero: io ti farò fare una certa bevanda stillata molto buona e molto piacevole a bere, che in tre mattine risolverá ogni cosa, e rimarrai piú sano che pesce; ma farai che tu sii poscia savio, e piú non incappi in queste sciocchezze. Ora, ci bisogna per quella acqua tre paia di buon capponi e grossi, e per altre cose che bisognano darai ad un di costoro cinque lire di piccioli, che le comperi, e fara’mi ogni cosa recare alla bottega: ed io, al nome di Dio, domattina ti manderò di quel beveraggio stillato, e comincera’ne a bere un buon bicchier grande per volta. — Calandrino, udito questo, disse: — Maestro mio, ciò siane in voi. — E date cinque lire a Bruno e denari per tre paia di capponi, il pregò che in suo servigio in queste cose durasse fatica. Il medico, partitosi, gli fece fare un poco di chiarea, e mandògliele. Bruno, comperati i capponi ed altre cose necessarie al godere, insieme col medico e co’ compagni suoi gli si mangiò. Calandrino bevve tre mattine della chiarea: ed il medico venne da lui, ed i suoi compagni; e toccatogli il polso, gli disse: — Calandrino, tu se’ guerito senza fallo, e però sicuramente oggimai va’ a fare ogni tuo fatto, né per questo star piú in casa. — Calandrino lieto, levatosi, s’andò a fare i fatti suoi, lodando molto, ovunque con persona a parlar s’avveniva, la bella cura che di lui il maestro Simone aveva fatta, d’averlo fatto in tre di senza alcuna pena spregnare; e Bruno e Buffalmacco e Nello rimaser contenti d’aver con ingegni saputa schernire l’avarizia di Calandrino, quantunque monna Tessa, avveggendosene, molto col marito ne brontolasse.

 

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