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Collected Works of Giovanni Boccaccio

Page 482

by Giovanni Boccaccio


  Quand’ è nel mezzogiorno a fronte a fronte,

  E fonte è oggi quella nominata

  Intorno a quella Diana ancor si volse

  Essere, e molte Ninfe vi raccolse....

  Incominciò la Dea la sua concione alle Ninfe compagne, esortandole al disprezzo e alla fuga degli uomini ed alla vita celibe, solitaria ed occupata nella caccia di Belve. Africo, che languiva d’ amore per Mensola una delle Ninfe fra quelle più vistosa dell’ altre, udendo nascoso tali consigli l’ andava ricercando col cupido sguardo, e non avendola potuta scoprire ne ivi ne altrove già lasso e sbigottito:

  E verso Fiesol volto piaggia a piaggia

  Giudato dall’ amor ne già pensoso,

  Cercando la sua amante aspra e selvaggia,

  Che faceva lui star maninconioso;

  Ma pria che mezzo miglio passat’ haggia

  Ad un luogo perviene assai nascoso,

  Dove una valle due monti divide

  Quivi udi cantar Ninfe, e poi le vide.

  Perchè senza iscoprisse s’ appressava

  Tanto che vidde donde uscia quel canto

  Vidde tre Ninfe, che ognuna cantava

  L’ una era ritta e l’ altre due in un canto

  A un acquitrin, che il fiossato menava

  Sedieno elle e lor gambe vidde al quanto,

  Chi si lavavano i pie bianchi e belli

  Con lor cantavan li dimolti uccelli.

  Incontratosi Africo presso l’ acquitrino, che per la valle scorrea interrogò le Ninfe per sapere qualche nuova di Mensola diloro compagna, ma veggendosi elleno scoperte dal pastorello piene di vergogna fuggirono senza darli risposta, esso le segue, nè le puote raggiungere e finalmente disperato.

  Verso la casa sua prese la via.

  Giunge tardi alla magione e inganna Calimena e Girafone suoi genitori sopra il motivo del suo ritardo; il tenero padre finse non avvedersi della passione del figlio ed esortollo a fuggire l’ amore delle Ninfe come pericoloso, adducendoli in esemplo la vendetta presa da Diana con Mugnone suo genitore trasmutato in fiume per un tale delitto. Non curò il giovane gli avvertimenti del vecchio, nè l’ esempio del nonno, e non avendo non che sfogata neppure sopita la sua fiamma per mezzo dei disprezzi istessi e delle repulse di Mensola che lo fuggiva, ma prendendo augurio di poter sodisfare le pazze brame dal sacrifizio fatto a Venere, che gli comparve scoprendoli la maniera d’ ingannare la sua Ninfa ritrosa risolve di tutto azzardare per sodisfazione di sua follia. Prende ancor esso le spoglie e le divise di Ninfa, e trovata Mensola con la comitiva delle altre ingannandole tutte et infingendosi verginella si mette con esse a tirar dardi e a saettar per giuoco. Delusa Mensola scorre i boschi ed i monti di Fiesole con chi le tende le più terribili insidie.

  Elle eran già tanto giù per lo colle

  Gite, che eran vicine a quella valle

  Che due monti divide ——

  Non furon guari le Ninfe oltre andate

  Che trovaron due Ninfe tutte ignude

  Che in un pelago d’ acque erano entrate

  Dove l’ un monte con l’ altro si chiude

  E giunte li s’ ebber le gonne alzate

  E tutte quante entrar nell acque crude.

  Ove ora risiedeva il pelagaccio sotto il Convento dei P. Pi della Doccia in questo bagno il giovanetto Africo in abito di Ninfa immersosi in compagnia di Mensola tradì la semplicità della verginella e la lasciò di se incinta. Fugge ella per la vergogna di tanto oltraggio e per l’ inganno del garzoncello; smania e paventa per lo timore di Diana, talchè avría detto di lei l’ Ariosto:

  Di selva in selva timida s’ en vola

  E di paura freme e di sospetto,

  E ad ogui sterpo, che passando tocca

  Esser le pare alla gran Diva in bocca.

  Erivoltandosi contro l’ insidiatore affermato che

  Tra l’ invita e natural furore

  A spiegar l’ unghie a insanguinar le labbia

  Amor la intenerisce e la ritira

  Affrico a rimirare in mezzo all’ ira.

  Prevasse all’ odio al furore e alla paura l’ amore talmente che promesse Mensola al pastorello di ritornare in quel luogo

  Affrico se ne va inverso del piano

  Mensola al Monte su pel colle tira,

  Molto pensosa col suo dardo in mano

  E del mal fatto forte ne sospira...

  Cosi passò del gran mente la cima716

  E poi scendendo giu per quella costa

  Laddove il sol perquote quando prima

  Si leva e che a Oriente e contrapposta

  E secondo che il mio avviso stima

  Era la sua caverna in quella posta,

  Forse a un trar d’ arco sopra il fiumicello

  Che a piè vi corre un grosso ruscello.

  A qual precipizio non conduce un forsennato amore! Tornò più volte Africo all ingannevole luogo insidioso; ma si trovò più volte deluso ancor esso dalla sua Ninfa, che non vi comparve; sicchè vinto infine dalla disperazione di rivederla,

  E pervenuto a piede del vallone

  E sopra all acque del fossato gito.

  Disperato e pien di furore si trafisse col proprio dardo: dicendo

  Io me ne vo all inferno angoscioso

  E tu, fiume, terrai il nome mio

  E manifesterai lo doloroso

  Caso, ch’ è occorso si crudele e rio

  A chiunque ti vedrà si sanguinoso

  Correre, o lasso, del mio sangue tinto

  Paleserai dove amor m’ ha sospinto.

  L’ infelice garzone cadde morto nell’ acqua, e quella

  Dal sangue tinta si divenne rossa,

  Facea quel fiume siccome fa ancora

  Di se due parti alquanto giù più basso.

  Presso alla maggior riviera, de cui era situata la casa di Girafone, sicchè l’ onda che scorrea sanguinosa scuopri all’ infelice padre la disgrazia del figlio; Mensola poi per lo peccato, e lo timor di Diana e delle Ninfe sue compagne nascosa e palpitante aspettava l’ ora del parto; partori finalmente; ma in quel tempo appunto, che la Dea Cacciatrice essendo tornata a Fiesole e ne suoi contorni a rivedere le sue seguaci fra le quali non avendo ritrovata Mensola piena d’ ira e sospetto la ricercava. Mensola occultò il piccolo figlio in una macchia fra i pruni (onde Pruneo fu chiamato) e si dette alia fuga; ma per il vagito del bambinello avendo scoperto Diana il di lei delitto; gridò

  Tu non potrai fuggir le mie saette

  Se l’ arco tiro o sciocca peccatrice

  Mensola già per questo non ristette

  Ma fugge quanto puote alia pendice,

  E giunta al fiume dentro vi si mette

  Per valicarlo, na Diana dice

  Certe parole e al fiume le manda

  E che ritenga Mensola comanda.

  La sventurata era già in mezzo all’ acque

  Quand ella i piè venir meno sentia

  E quivi siccome a Diana piacque

  Mensola in acqua allor si convertia

  E poi sempre in quel fiume si giacque

  Il nome suo, che ancora tuttavia

  Per lei quel fiume Mensola è chiamato

  Or v’ ho del suo principio raccontato.

  Dopo seguito l’ atroce caso e l’ orribile metamorfosi prese Diana quel piccolo pargoletto, che per essere stato trovato tra i pruni, Pruneo fu chiamato, e lo consegnò a Sinidechia scaltra vecchia ed informata del tutto abitante in quei contorni, che dopo lo condusse a Girafone e Calimena suoi avi, ai quale l’ affido con gran premura, essi l’ educarono con sommo amore e attenzione.

  Passo allora Atlante in questa parte

  D’ Europa con infinita gente

  Atlante fece allora fare

  Una Città, che Fiesole chiamossi....

  E tutti gli abitanti del paese

  Atlante gli volle alla Cittade

  Girafon quando questo fatto intese

  Tosto n’ andò con bona volontade

  E menò seco il piacente, il cortese

  Pruneo, etc. etc.

  Piacque fuor di misura Girafone ad Atlante perlochè
lo dichiarò suo consigliere ed al giovane Pruneo dilui nipote:

  Atlante gli pose tanto amore,

  Veggendo ch’ era si savio e valente,

  Che Siniscalco il fe con grande onore

  Sopra la terra, e sopra la sua gente,

  E di tutto il paese guidatore,

  Ed ei guidava si piacevolmente

  Che da tutti era amato e benveduto

  Tanto dava ad ogn’ uno il suo dovuto

  E gia più di venticinqu’ anni avea

  Quando Atlante gli diè per mogliera

  Una fanciulla, la qual Tironea

  Era il suo nome e figliola si era

  D’ un gran Baron, che con seco tenea

  E dielli tutta ancor quella riviera

  Che è in mezzo tra Mensola e Mugnone,

  E questa fù la dote del garzone.

  Pruneo fe far dalla Chiesa a Maiano

  Un po di sopra un nobil casamento

  D’ onde ei vedeva tutto quanto il piano,

  Et afforzollo d’ ogui guernimento,

  E quel paese ch’ era molto strano

  Tosto dimentico siccome sento, etc. etc.

  Morirono dopo gli avi suoi Girafone e Calimena e Pruneo avendo avuti da sua moglie Tironea dieci figlinoli tutti gli accoppiò con vantaggioso Imeneo sicchè:

  In molte genti questa schiatta crebbe

  E sempre furon a Fiesol cittadini

  Grandi e possenti sopra i lor vicini.

  Morto Pruneo con grandissimo duolo

  Di tutta la Città fu seppellito,

  Così rimase a ciascun suo figliuolo

  Tutto il paese libero e spedito,

  Che Atlante donato avea a lui solo,

  E bene l’ ebbon tra lor dipartito

  E sempre poi le schiatte di costoro

  Signoreggiaron questo territoro.

  Narrati gli amore, i casi, e le seguite trasformazione di Africo e Mensola, rappresentate nel Ninfale di Giovanni Boccaccio senza ricercare quello che abbia voluto indicare nel favoloso racconto noterò i luoghi descritti dal medesimo. Osservo che Diana colle sue seguaci conduce a tenere assemblea.

  Intorno ad una bella e chiara fonte

  Di fresche erbette e di fiori intorniata,

  La quale ancor dimora appiè del monte

  Ceceri in quella parte, che il sol guata

  Quand’ è nel mezzodi a fronte a fronte,

  E Fonte è oggi quella nominata, etc. etc.

  Questa fonte è l’ istessa chiamata modernamente Fonte all’ erta, a piè e nel base di Monte Ceceri situata a Mezzogiorno e sotto la Villa dei Signori Pitti Gaddi, della qual fontana ora non se ne veggono che le scomposte mura, le rovine ed i vestigi nella pubblica strada al principio della costa; ma vivono persone, che mi hanno assicurato che circa all’ anno 1710 ne fu deviata l’ acqua procedente dal vivaio un po superiore alla medesima e dall’ unione di quelle, che vi concorrevano d’ altrove perchè infrigidiva i terreni sottoposti e noceva alle piante e alle raccolte dell istesso podere. Al tempo del nostro Boccaccio (chiamerò da qui avanti con tal nome benchè di suo padre il nostro Mo Giovanni) io trovo che questo podere con case, vivaio etc., esistente alla fine del piano di S. Gervasio fu venduto nel 5 Giugno 1370 per rogito di Sigre Ristoro di Jacopo da Figline, da Giovanni di Agostino degli Asini a Messer Bonifazio Lupo Marchese di Soragona e Cavaliere Parmigiano, che in quel tempo fu ascritto alla fiorentina cittadinanza, il quale spinto da lodevole pietà e grata riconoscenza alla repubblica fiorentina ottenne dalla medesima fino sotto li 23 Dicembre 1377 come attesta l’ Ammirato nel Libro decimo terzo, di poter fondare lo Spedale in Via S. Gallo di detta città chiamato appunto di Bonifazio dal nome de sì pio e grato benefattore; fu posto questo Spedale nel luogo comprato sino ne 2 Febbraio 1309 da Messer Giovanni del già Migliore dè Chiaramontesi di Firenze per edificare il Monastero e Convento di S. Maria a Querceto per rogito di Ser Benedetto di Maestro Martino come si vede dall’ Archivio dell’ Arcivescovado e dagli spogli del Migliore, le quale Monache vi tornarono e vi si trovavano ancora nell’ anno della peste del 1348 come per i rogiti di Ser Lando di Ubaldino da Pesciola del 4 Maggio 1336, e di Ser Benvenuto di Cerreto Maggio del dì 24 Marzo 1346, e d’ altri si riscontra, e dopo molto tempo Eugenio Quarto uni ed assegnò al predetto Spedale il detto monastero e Monache di Querceto quivi contigue come dallo Zibaldone di No. 90 Del Migliore a 127 e 202 nella Magliabechiana si può vedere. Ecco scoperto il luogo ove declamava Diana (ma senza frutto) se riguardo a Mensola che all’ altre Ninfe di quei contorni, poiche io osservo, che tutti quei villeggianti s’ imparentavano e sposavano le zittelle dei villeggianti vicini. Partito Africo dalla fonte predetta salendo verso Fiesole, traversando la costa formata da più effetti della Casa Albizi, Covoni, Asini ed altre posti tanto nel popolo della Canonica, che della Badia di Fiesole e di S. Gervasio dei quali per non tediare non produrrò i Contratti ritrovati, quali Poderi tutti si denominano Monte negli antichi Istrumenti per essere situati sul poggio ove risiede in oggi il Convento di S. Domenico. E dopo tal viaggio giunse il pastorello alla Valle formata da questo giogo dè Colli di Fiesole; e da quelle degli altri di Maiano sotto la Doccia, chiamata nel Decamerone la Valle delle Donne di cui in seguito ragioneremo. Le acque delle superiori piagge che scorrevano, formavano gli acquitrini, quali si univano e davano l’ origine al fiume d’ Affrico ed in uno di questi acquitrini vidde il pastorelle le Ninfe lavarsi le piante, e che s’ involarono da lui tostochè lo scopersero; onde afflitto e turbato scese verso la pianura di detta Valle e tornò alla sua magione. Venere lo speranza, egli si traveste da Ninfa cerca di Mensola, la ritrova, gira con essa verso le cime del Monte di Fiesole saettando per giuoco, ritorna al pelago sotto la Doccia nella valle vede le Ninfe che si bagnavano s’ immerge ancor esso con la compagna nelle acque, e quivi principiano le comuni sciagure. Questo luogo pare, che sia devenuto cosi famoso nell’ antichità e nei tempi del nostro Boccaccio da potere aver comunicata la denominazione agli stessi fondi di terreni che lo compongono, o perchè fosse ivi seguito qualche accidente che avesse dato luogo al favoloso poema, o perchè la favola istessa sia stata forse adattata al luogo medesimo. Infatti io ritrovo nei rogiti di Ser Roberto di Talento da Fiesole del 27 Novembre 1347 e del 28 Maggio 1352 descritto un podere di Tuccio del già Diedi de Falconieri posto verso Ponente e perciò nel popolo della Canonica di Fiesole con Case etc. chiamato il Bagno allo Scopetino, ed in quelli di Ser Giovanni Bencini da Montaione si vede una reciproca donazione fra Andreola, figlia del già Carlo dei Pazzi, e Vedova di Piero di Cione Ridolfi e Carlo Pazzi suo fratello, di più luoghi, fra i quali si trova un podere nel popolo di S. Martino a Maiano luogo detto la Valle al Bagno, fino sotto di II Luglio 1343. Di più nel libro F Primo a ć 76 della Gabella dei Contratti si osserva nè dì II Dicembre 1349 per rogito di Ser Francesco di Bruno di Vico Dal Pozzo, che Ma Dolce figlia di Mannino e Vedova di Bindo Buonaveri (famiglia molto illustre di Firenze) vendè a Ma Simona Pinzochera di S. Maria Novella, e Sorella di Cenni di Giotto, ma non del pittore, per fiorini 500 d’ oro un podere etc., posto nel popolo di S. Martino a Maiano luogo detto la Valle del Bagno in Affrico. Nel Decamerone veggo descritta dal Boccaccio questa medesima Valle, e che la medesima adunanza d’ acque in essa valle, che due “di quelle montagnette divideva, e cadeva giù per balzi di pietra viva, e cadendo facea un rumore a udire assai dilettevole, e sprizzando parea da lungi ariento vivo, che d’ alcuna cosa premutta minutamente sprizzasse; e come giù al piccol pian pervenire, così quivi in un bel canaletto raccolta infino al mezzo del piano velocissima discorreva ed ivi faceva un piccol laghetto quale talvolta per modo di vivaio fanno ne lor giardini i Cittadini che di ciò hanno destro.” Il podere con casa etc., etc., posto nel popolo di S. Martino a Maiano che gode di presente la Signora Berzichelli, Vedova del già Signor Barone Agostino Del Nero, nella Valle d’ Ameto e delle Donne, e presso addove s’ unisce il poggio della Doccia con quel di Maiano, si chiama il Vivaio, e più Vivaietti e Acquitrini si trovano in quella valle sovrabbondante di acque, le quali dettero varie denominazioni ad esse allusive di luoghi circonvicini
, e credo, che il detto luogo sia il medesimo, che donò una volta Ma Andreola de’ Pazzi al suo fratello, e dipoi pervenuto in Ma Dolce, Vedova del Bonavieri, lo vendè alla figlia di Giotto suddetto, situato d’ appresso all’ altro del Falconieri. Quest’ effetto acquistarono i Signori Del Nero del Sigr Jacopo del Feo nel 1568 in cui era passato nel 1559 dal Sigr Niccolo di Filippo Valori, e questo lo avea descritto in suo conto alla Decima del 1498 nel Gonfalone delle Chiavi a 176. Questo Jacopo di Feo di Savona ebbe per moglie Caterina Sforza de’ Duchi di Milano naturale, Vedova Girolamo Riario Signore di Forlì e poi rimaritata a Gio. di Pier Francesco de’ Medici e Nonna percio di Cosimo I Gran Duca di Toscana. Mensola intimorita varca il poggio in cui risiede Maiano e si nasconde nel suo refugio sotto le cave in faccia a Levante ed al piano di Novoli presso del Fiume, Affrico all’ incontro scende verso la pianura, e dopo esser tornato e ritornato poi vesso del pelago disperato per non avere rintracciata la Ninfa si trafigge col proprio dardo vicino alla magione di Girafone suo padre posta sul ramo maggiore, uno chiamato Affrico e l’ altro Affricuzzo, che poi s’ uniscono insieme formandone il suo fiume presso allo sbocco della valle predetta. Altro per ora non resta da notarsi sopra la Topografia del racconto, poichè nato il figlio Pruneo e trasmutata da Diana in pena del delitto nel fiume che porta il suo nome, Mensola sua Madre, e dalla disperazione il padre in quello d’ Affrico, fu chiamato dipoi questo pargoletto Pruneo dall’ essere stato scoperto fra i pruni dalla Dea. Nel corso degli anni comparve a Fiesole Atlante ed edificò quella Città, ed a questo fanciullo, già fatto adulto, diede per moglie Tironea, e per dote tutto il paese collocato fra il Fiume Mensola e quel di Mugnone.

  APPENDIX IV

  THE ACROSTIC OF THE AMOROSA VISIONE DEDICATING THE POEM TO FIAMMETTA

  This acrostic consists of three ballate composed by reading the first letters of the first verses of each terzina throughout the poem.

  I

  Mirabil cosa forse la presente

  Vision vi parrà, donna gentile,

  A riguardar, sì per lo novo stile

  Sì per la fantasia ch’ è nella mente.

  Rimirandovi un dì subitamente

  Bella, leggiadra et in abit’ umile,

  In volontà mi venne con sottile

 

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