Jerusalem Delivered
Page 141
Voi, con la guida del nascente Sole,
Su per quell’erto moverete il piede:
Nè vi gravi il tardar; perocchè fora,
352 Se non la mattutina, infausta ogni ora.
XLV.
Ben col lume del dì, ch’anco riluce,
Insino al monte andar per voi potrassi.
Essi al congedo della nobil duce
356 Poser nel lido desiato i passi:
E ritrovar la via, ch’a lui conduce,
Agevol sì che i piè non ne fur lassi;
E quando v’arrivar, dall’Oceáno
360 Era il carro di Febo anco lontano.
XLVI.
Veggion che per dirupi, e fra ruine
S’ascende alla sua cima alta e superba:
E ch’è fin là di nevi e di pruine
364 Sparsa ogni strada: ivi ha poi fiori ed erba.
Presso al canuto mento il verde crine
Frondeggia: e ‘l ghiaccio fede ai giglj serba
Ed alle rose tenere; cotanto
368 Puote sovra natura arte d’incanto!
XLVII.
I duo’ guerrieri, in loco ermo e selvaggio
Chiuso d’ombre, fermarsi a piè del monte:
E come il Ciel rigò col novo raggio
372 Il Sol, dell’aurea luce eterno fonte;
Su su, gridaro entrambi, e ‘l lor viaggio
Ricominciar con voglie ardite e pronte.
Ma esce, non so donde, e s’attraversa
376 Fiera serpendo orribile e diversa.
XLVIII.
Innalza d’oro squallido squamose
Le creste e ‘l capo, e gonfia il collo d’ira:
Arde negli occhj; e le vie tutte ascose
380 Tien sotto il ventre; e tosco e fumo spira.
Or rientra in se stessa, or le nodose
Rote distende, e sè dopo sè tira.
Tal s’appresenta alla solita guarda;
384 Nè però de’ guerrieri i passi tarda.
XLIX.
Già Carlo il ferro stringe, e ‘l serpe assale:
Ma l’altro grida a lui: che fai? che tente?
Per isforzo di man, con arme tale,
388 Vincer avvisi il difensor serpente?
Egli scuote la verga aurea immortale,
Sicchè la belva il sibilar ne sente:
E impaurita al suon, fuggendo ratta,
392 Lascia quel varco libero, e s’appiatta.
L.
Più suso alquanto il passo a lor contende
Fero leon che rugge e torvo guata:
E i velli arrizza, e le caverne orrende
396 Della bocca vorace apre e dilata:
Si sferza con la coda, e l’ire accende.
Ma non è pria la verga a lui mostrata,
Ch’un secreto spavento al cor gli agghiaccia
400 Ogni nativo ardire, e in fuga il caccia.
LI.
Segue la coppia il suo cammin veloce;
Ma formidabile oste han già davante
Di guerrieri animai, varj di voce,
404 Varj di moto, e varj di sembiante.
Ciò che di mostruoso e di feroce
Erra fra ‘l Nilo e i termini d’Atlante,
Par quì tutto raccolto, e quante belve
408 L’Ercinia ha in sen, quante l’Ircane selve.
LII.
Ma pur sì fero esercito e sì grosso
Non vien che lor respinga, o lor resista:
Anzi (miracol novo!) in fuga è mosso
412 Da un picciol fischio, e da una breve vista.
La coppia omai vittoriosa il dosso
Della montagna, senza intoppo, acquista;
Se non se inquanto il gelido e l’alpino
416 Delle rigide vie tarda il cammino.
LIII.
Ma poi che già le nevi ebber varcate,
E superato il discosceso e l’erto;
Un bel tepido Ciel di dolce state
420 Trovaro, e ‘l pian sul monte ampio ed aperto.
Aure fresche maisempre ed odorate
Vi spiran con tenor stabile e certo:
Nè i fiati lor, siccome altrove suole,
424 Sopisce o desta, ivi girando, il Sole.
LIV.
Nè, come altrove suol, ghiaccj ed ardori,
Nubi e sereni a quelle piaggie alterna;
Ma il Ciel di candidissimi splendori
428 Sempre s’ammanta, e non s’infiamma o verna;
E nutre ai prati l’erba, all’erba i fiori,
Ai fior l’odor, l’ombra alle piante eterna.
Siede sul lago, e signoreggia intorno
432 I monti e i mari il bel palagio adorno.
LV.
I Cavalier per l’alta aspra salita
Sentiansi alquanto affaticati e lassi:
Onde ne gían per quella via fiorita
436 Lenti, or movendo ed or fermando i passi;
Quando ecco un fonte, che a bagnar gl’invita
Le asciutte labbra, alto cader da’ sassi
E da una larga vena, e con ben mille
440 Zampilletti spruzzar l’erbe di stille.
LVI.
Ma tutta insieme poi tra verdi sponde,
In profondo canal, l’acqua s’aduna:
E sotto l’ombra di perpetue fronde
444 Mormorando sen va gelida e bruna;
Ma trasparente sì che non asconde
Dell’imo letto suo vaghezza alcuna;
E sovra le sue rive alta s’estolle
448 L’erbetta, e vi fa seggio fresco e molle.
LVII.
Ecco il fonte del riso, ed ecco il rio
Che mortali periglj in se contiene.
Or quì tener a fren nostro desio,
452 Ed esser cauti molto a noi conviene.
Chiudiam l’orecchie al dolce canto e rio
Di queste del piacer false Sirene.
Così n’andar fin dove il fiume vago
456 Si spande in maggior letto, e forma un lago.
LVIII.
Quivi di cibi preziosa e cara
Apprestata è una mensa in su le rive:
E scherzando sen van per l’acqua chiara
460 Due donzellette garrule e lascive:
Ch’or si spruzzano il volto, or fanno a gara
Chi prima a un segno destinato arrive.
Si tuffano talora: e ‘l capo e ‘l dorso
464 Scoprono alfin dopo il celato corso.
LIX.
Mosser le natatrici ignude e belle
De’ duo’ guerrieri alquanto i duri petti;
Sicchè fermarsi a riguardarle: ed elle
468 Seguian pure i lor giochi, e i lor diletti.
Una intanto drizzossi, e le mammelle
E tutto ciò che più la vista alletti
Mostrò, dal seno insuso, aperto al Cielo:
472 E ‘l lago all’altre membra era un bel velo.
LX.
Qual mattutina stella esce dall’onde
Rugiadosa e stillante: o come fuore
Spuntò nascendo già dalle feconde
476 Spume dell’Ocean la Dea d’Amore;
Tale apparve costei: tal le sue bionde
Chiome stillavan cristallino umore.
Poi girò gli occhj, e pur allor s’infinse
480 Que’ duo’ vedere, e in se tutta si strinse.
LXI.
E ‘l crin, che in cima al capo avea raccolto
In un sol nodo, immantinente sciolse,
Che, lunghissimo in giù cadendo e folto,
484 D’un aureo manto i molli avorj involse.
O che vago spettacolo è lor tolto!
Ma non men vago fu chi loro il tolse.
Così dall’acque e da’ capelli ascosa
488 A lor si volse lieta e vergognosa.
LXII.
Rideva insieme, e insieme ella arrossia:
Ed era nel rossor più bello il riso,
E nel riso il rossor che le copria
492 Insino al ment
o il delicato viso.
Mosse la voce poi sì dolce e pia,
Che fora ciascun altro indi conquiso:
O fortunati peregrin, cui lice
496 Giungere in questa sede alma e felice!
LXIII.
Questo è il porto del mondo; e quì il ristoro
Delle sue noje, e quel piacer si sente
Che già sentì ne’ secoli dell’oro
500 L’antica e senza fren libera gente.
L’arme che sin a quì d’uopo vi foro,
Potete omai depor sicuramente,
E sacrarle in quest’ombra alla quiete:
504 Chè guerrieri quì sol d’Amor sarete.
LXIV.
E dolce campo di battaglia il letto
Fiavi, e l’erbetta morbida de’ prati.
Noi menerenvi anzi il regale aspetto
508 Di lei, che quì fa i servi suoi beati:
Che v’accorrà nel bel numero eletto
Di quei ch’alle sue gioje ha destinati.
Ma pria la polve in queste acque deporre
512 Vi piaccia, e ‘l cibo a quella mensa torre.
LXV.
L’una disse così: l’altra concorde
L’invito accompagnò d’atti e di sguardi,
Siccome al suon delle canore corde
516 S’accompagnano i passi or presti or tardi.
Ma i cavalieri hanno indurate e sorde
L’alme a que’ vezzi perfidi e bugiardi:
E il lusinghiero aspetto e il parlar dolce
520 Di fuor s’aggira, e solo i sensi molce.
LXVI.
E se di tal dolcezza entro trasfusa
Parte penétra, onde il desio germoglie;
Tosto ragion, nell’armi sue rinchiusa,
524 Sterpa e riseca le nascenti voglie.
L’una coppia riman vinta e delusa:
L’altra sen va, neppur congedo toglie.
Essi entrar nel palagio: esse nell’acque
528 Tuffarsi; a lor sì la repulsa spiacque.
Canto sedicesimo
ARGOMENTO.
Entrano i due guerrier nell’ampio tetto,
Ove in dolce prigion Rinaldo stassi:
E fan sì, ch’ei pien d’ira e di dispetto,
Move al partir di là con loro i passi.
Per ritenere il cavalier diletto,
Prega e piange la Maga; egli al fin vassi.
Essa per vendicare il suo gran duolo,
Strugge il palagio, e va per l’aria a volo.
CANTO DECIMOSESTO.
Tondo è il ricco edifizio, e nel più chiuso
Grembo di lui, ch’è quasi centro al giro,
Un giardin v’ha, ch’adorno è sovra l’uso
4 Di quanti più famosi unqua fioriro.
D’intorno inosservabile e confuso
Ordin di logge i Demon fabbri ordiro:
E tra le oblique vie di quel fallace
8 Ravvolgimento impenetrabil giace.
II.
Per l’entrata maggior (però che cento
L’ampio albergo n’avea) passar costoro.
Le porte quì d’effigiato argento
12 Su i cardini stridean di lucid’oro.
Fermar nelle figure il guardo intento:
Chè vinta la materia è dal lavoro.
Manca il parlar: di vivo altro non chiedi:
16 Nè manca questo ancor, se gli occhj credi.
III.
Mirasi quì, fra le Meonie ancelle,
Favoleggiar con la conocchia Alcide.
Se l’inferno espugnò, resse le stelle,
20 Or torce il fuso; Amor se ‘l guarda, e ride.
Mirasi Jole con la destra imbelle,
Per ischerno, trattar l’armi omicide:
E in dosso ha il cuojo del leon, che sembra
24 Ruvido troppo a sì tenere membra.
IV.
D’incontro è un mare; e di canuto flutto
Vedi spumanti i suoi cerulei campi.
Vedi nel mezzo un doppio ordine instrutto
28 Di navi, e d’arme: e uscir dall’arme i lampi.
D’oro fiammeggia l’onda: e par che tutto
D’incendio marzial Leucate avvampi.
Quinci Augusto i Romani, Antonio quindi
32 Trae l’Oriente, Egizj, Arabi, ed Indi.
V.
Svelte nuotar le Cicladi diresti
Per l’onde, e i monti coi gran monti urtarsi:
L’impeto è tanto, onde quei vanno e questi
36 Co’ legni torreggianti ad incontrarsi.
Già volar faci, e dardi: e già funesti
Vedi di nova strage i mari sparsi.
Ecco (nè punto ancor la pugna inchina)
40 Ecco fuggir la barbara Reina.
VI.
E fugge Antonio! e lasciar può la speme
Dell’imperio del mondo ov’egli aspira?
Non fugge no, non teme il fier non teme;
44 Ma segue lei che fugge, e seco il tira.
Vedresti lui simile ad uom che freme
D’amore, a un tempo, e di vergogna e d’ira,
Mirar alternamente or la crudele
48 Pugna ch’è in dubbio, or le fuggenti vele.
VII.
Nelle latébre poi del Nilo accolto
Attender pare in grembo a lei la morte:
E nel piacer d’un bel leggiadro volto
52 Sembra che il duro fato egli conforte.
Di cotai segni variato e scolto
Era il metallo delle regie porte.
I due guerrier, poichè dal vago obbietto
56 Rivolser gli occhj, entrar nel dubbio tetto.
VIII.
Qual Meandro fra rive oblique e incerte
Scherza, e con dubbio corso or cala or monta:
Queste acque ai fonti, e quelle al mar converte:
60 E mentre ei vien, sè che ritorna, affronta:
Tali, e più inestricabili conserte
Son queste vie: ma il libro in se le impronta:
Il libro, don del Mago; e d’esse in modo
64 Parla, che le risolve, e spiega il nodo.
IX.
Poichè lasciar gli avviluppati calli,
In lieto aspetto il bel giardin s’aperse.
Acque stagnanti, mobili cristalli,
68 Fior varj e varie piante, erbe diverse,
Apriche collinette, ombrose valli,
Selve e spelonche in una vista offerse:
E quel che il bello, e il caro accresce all’opre,
72 L’arte che tutto fa, nulla si scopre.
X.
Stimi (sì misto il culto è col negletto)
Sol naturali e gli ornamenti, e i siti.
Di natura arte par, che per diletto
76 L’imitatrice sua scherzando imiti.
L’aura, non ch’altro, è della Maga effetto,
L’aura che rende gli alberi fioriti:
Co’ fiori eterni eterno il frutto dura,
80 E mentre spunta l’un, l’altro matura.
XI.
Nel tronco istesso, e tra l’istessa foglia
Sovra il nascente fico invecchia il fico.
Pendono a un ramo, un con dorata spoglia,
84 L’altro con verde, il novo e il pomo antico.
Lussureggiante serpe alto, e germoglia
La torta vite, ov’è più l’orto apríco:
Quì l’uva ha in fiori acerba, e quì d’or l’have
88 E di pirópo, e già di nettar grave.
XII.
Vezzosi augelli infra le verdi fronde
Temprano a prova lascivette note.
Mormora l’aura, e fa le foglie e l’onde
92 Garrir, che variamente ella percote:
Quando taccion gli augelli, alto risponde;
Quando cantan gli augei, più lieve scote:
Sia caso od arte, or accompagna ed ora
96 Alterna i versi lor la musica ora.
XIII.
Vola fra gli altri un che le pium
e ha sparte
Di color varj, ed ha purpureo il rostro;
E lingua snoda in guisa larga, e parte
100 La voce sì, ch’assembra il sermon nostro:
Quest’ivi allor continuò con arte
Tanta il parlar, che fu mirabil mostro.
Tacquero gli altri ad ascoltarlo intenti,
104 E fermaro i susurri in aria i venti.
XIV.
Deh mira (egli cantò) spuntar la rosa
Dal verde suo modesta e verginella;
Che mezzo aperta ancora, e mezzo ascosa,
108 Quanto si mostra men, tanto è più bella.
Ecco poi nudo il sen già baldanzosa
Dispiega: ecco poi langue, e non par quella,
Quella non par che desiata innanti
112 Fu da mille donzelle e mille amanti.
XV.
Così trapassa al trapassar d’un giorno
Della vita mortale il fiore, e ‘l verde:
Nè perchè faccia indietro April ritorno,
116 Si rinfiora ella mai, nè si rinverde.
Cogliam la rosa in sul mattino adorno
Di questo dì, chè tosto il seren perde:
Cogliam d’Amor la rosa: amiamo or quando
120 Esser si puote riamato amando.
XVI.
Tacque, e concorde degli augelli il coro,
Quasi approvando, il canto indi ripiglia;
Raddoppian le colombe i bacj loro:
124 Ogni animal d’amar si riconsiglia:
Par che la dura quercia, e ‘l casto alloro,
E tutta la frondosa ampia famiglia,
Par che la terra e l’acqua, e formi e spiri
128 Dolcissimi d’Amor sensi e sospiri.
XVII.
Fra melodia sì tenera, e fra tante
Vaghezze allettatrici e lusinghiere
Va quella coppia; e rigida e costante
132 Se stessa indura ai vezzi del piacere.
Ecco tra fronde e fronde il guardo innante
Penetra, e vede, o pargli di vedere:
Vede pur certo il vago, e la diletta,
136 Ch’egli è in grembo alla donna, essa all’erbetta.
XVIII.
Ella dinanzi al petto ha il vel diviso,
E il crin sparge incomposto al vento estivo.
Langue per vezzo: e ‘l suo infiammato viso
140 Fan biancheggiando i bei sudor più vivo.
Qual raggio in onda, le scintilla un riso
Negli umidi occhj tremulo e lascivo.
Sovra lui pende: ed ei nel grembo molle
144 Le posa il capo, e ‘l volto al volto attolle.
XIX.
E i famelici sguardi avidamente
In lei pascendo, or si consuma e strugge.
S’inchina, e i dolci bacj ella sovente
148 Liba or dagli occhj, e dalle labbra or sugge:
Ed in quel punto ei sospirar si sente
Profondo sì, che pensi, or l’alma fugge
E in lei trapassa peregrina. Ascosi
152 Mirano i due guerrier gli atti amorosi.
XX.