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Sussurri

Page 52

by Dean Koontz


  "C'è una bella differenza tra il pagare una prostituta per soddisfare le proprie perversioni e il fatto di molestare la propria figlia," fece notare Joshua.

  "Però sappiamo che ha abusato per anni e ripetutamente di Katherine," suggerì Tony. "Per cui nella mente di Leo la differenza non era poi tanto grande. Con tutta probabilità riusciva a giustificare le molestie nei confronti delle ragazze di Mrs Yancy grazie ai soldi che sborsava per possederle anche se solo temporaneamente. Credo fosse un tipo con un forte senso della proprietà a cui aveva affibbiato una de­finizione estremamente 'liberale'. Sulla base di questa ideo­logia, avrebbe potuto giustificare anche gli abusi su Kathe­rine. Un uomo di questo genere pensa a un figlio come a un'altra delle sue proprietà. Gli uomini come lui dicono 'mio figlio', non 'mio figlio'. Per lui, Katherine rappresen­tava una cosa, un oggetto da utilizzare."

  "Sono felice di non aver mai conosciuto quel figlio di puttana," sbottò Joshua. "Se gli avessi stretto la mano, penso che mi sentirei sporco ancora oggi."

  "Il punto è," riprese Tony, "che Katherine, da bambina, era stata tenuta prigioniera in casa e obbligata a vivere una terrificante relazione con un uomo capace di tutto. Deve aver avuto pochissime possibilità di mantenere una certa stabilità mentale in quelle condizioni. Leo era un insensi­bile, un solitario, qualcosa di più di un semplice egoista con impulsi sessuali decisamente deviati. Non è solo possi­bile, ma è anche probabile che sia stato emotivamente di­sturbato. Anzi, potrebbe anche essere stato uno psicotico, completamente distaccato dalla realtà, ma abile nell'occul­tare la sua condizione. Esistono psicopatici in grado di con­trollare le proprie allucinazioni, di incanalare le energie lunatiche in atteggiamenti socialmente accettabili, di passare insomma per persone normali. Questo genere di persone sfoga la propria pazzia in un'area generalmente molto ristretta e privata. Nel caso di Leo, riusciva a scaricarsi un po' con le prostitute, ma perlopiù con Katherine. Dob­biamo pensare che non si è limitato ad abusare di lei fisicamente. Il suo desiderio andava oltre la sfera puramente ses­suale. Lui bramava il controllo assoluto. Dopo averla spezzata fisicamente, doveva cercare di romperla anche emoti­vamente, spiritualmente e mentalmente. Ecco perché, quando Katherine è arrivata da Mrs Yancy per mettere al mondo il figlio di suo padre, doveva aver ormai raggiunto lo stesso grado di pazzia di Leo. Ma forse aveva anche già imparato a nasconderlo agli occhi degli altri e a passare per una persona normale. Probabilmente ha perso il controllo con l'arrivo dei gemelli, ma nel giro di tre giorni è riuscita a recuperare l'equilibrio di sempre."

  "Ha perso il controllo anche in un'altra occasione," aggiunse Hilary mentre l'aereo passava in mezzo a un vortice di aria turbolenta.

  "Esatto," confermò Joshua. "Quando ha raccontato a Mrs Yancy di essere stata violentata dal demonio."

  "Se la mia teoria è esatta," riprese Tony, "Katherine deve essere stata soggetta a un'incredibile serie di cambia­menti dopo la nascita dei gemelli. Fluttuava da uno stato di psicosi a un altro ancora più grave. Le nuove allucinazioni spazzavano via l'ondata precedente. Nonostante gli abusi sessuali di suo padre, nonostante le torture fisiche ed emo­tive, nonostante il fatto di essere rimasta incinta e i dolori che le procuravano le guaine in cui si era stretta in tutti quei mesi per nascondere ciò che stava crescendo dentro di lei, era apparentemente riuscita a mantenere la calma. Chissà come, aveva conservato un aspetto normale. Ma quando sono nati i gemelli, quando si è resa conto che la storia di Mary Gunther non avrebbe più retto, la situazione è degenerata. Ha perso il controllo finché non si è convinta di essere stata violentata dal diavolo in persona. Da Mrs Yancy abbiamo saputo che Leo si interessava di occultismo. Katherine avrà sicuramente letto i libri di Leo. Deve aver saputo da qualche testo che è credenza comune rite­nere la membrana amniotica il marchio del demonio. E dal momento che i suoi figli erano venuti al mondo con questa membrana... be', ha iniziato a fantasticare. L'idea di essere stata la vittima innocente di una creatura del male era deci­samente molto affascinante e le dava la possibilità di non provare vergogna o sensi di colpa per aver partorito i figli del suo stesso padre. Avrebbe dovuto nasconderlo a tutti, ma se non altro non era obbligata a nasconderlo anche a se stessa. Non avrebbe più dovuto cercare una giustificazione. Nessuno avrebbe osato pensare che una donna tranquilla come lei sarebbe stata in grado di resistere alla potenza so­prannaturale del diavolo. Se si fosse convinta di essere stata violentata da un mostro, avrebbe potuto iniziare a conside­rarsi soltanto una vittima sfortunata e innocente."

  "Ma in realtà lo era già," sottolineò Hilary. "È stata la vittima di suo padre. È stato lui a obbligarla, non il contrario.

  "E vero," confermò Tony. "Ma è molto probabile che Leo abbia passato gran parte del suo tempo a farle il lavag­gio del cervello, nel tentativo di convincerla che la colpa di quell'insano rapporto era soltanto sua. Spesso i malati di mente hanno la tendenza a trasferire le proprie colpe sui fi­gli, per sfuggire al senso di colpa. E questo atteggiamento calza perfettamente con la personalità autoritaria di Leo."

  "Va bene," concesse Joshua mentre l'aereo proseguiva verso il cielo più tranquillo del nord. "Fino a questo punto posso anche essere d'accordo. Forse non è andata proprio così, ma ha una certa logica e può dare una svolta all'intera faccenda. Quindi, Katherine ha dato alla luce due gemelli, ha perso la ragione per tre giorni, poi è tornata in sé, grazie a una nuova fantasia, una nuova allucinazione. Convinta di essere stata violentata dal demonio, è stata capace di dimenticare che il vero colpevole era suo padre. È riuscita a dimenticare l'incesto e ha riguadagnato il rispetto per se stessa. Anzi, con tutta probabilità non si è mai sentita tanto bene in vita sua."

  "Esattamente," confermò Tony.

  Hilary s'intromise dicendo: "Mrs Yancy era l'unica per­sona a cui avesse raccontato dell'incesto, quindi, dopo essersi messa il cuore in pace con la nuova fantasia, non ha vi­sto l'ora di confidarle la sua 'verità'. Temeva di essere scam­biata per una peccatrice impenitente e intendeva mettere in chiaro di essere stata soltanto la vittima di qualcosa di so­prannaturale. Ecco perché ha continuato a parlarne."

  "Ma quando ha visto che Mrs Yancy non le credeva," proseguì Tony, "ha preferito tenere tutto per sé. Deve aver pensato che a quel punto nessuno le avrebbe creduto. Ma ormai non aveva più alcuna importanza, perché lei era con­vinta di conoscere la verità e la verità era il diavolo. Sa­rebbe stato un segreto ben più facile da mantenere, rispetto a quello di Leo."

  "Oltretutto Leo era morto da qualche settimana e non poteva più ricordarle ciò che aveva deciso di dimenticare," rincarò Hilary.

  Joshua lasciò per un breve istante i controlli dell'aereo per asciugarsi le mani sulla camicia. "Pensavo di essere troppo vecchio e cinico per provare qualsiasi tipo di rea­zione nei confronti di una storia dell'orrore come questa. Invece mi vengono ancora i sudori freddi. Ma c'è un altro particolare terribile, legato a quanto appena esposto da Hi­lary. Ormai Leo non era più presente a ricordarle quello che era successo, ma Katherine aveva bisogno di tenersi vi­cini i due gemelli per rafforzare le sue nuove convinzioni. I due figli rappresentavano la prova vivente della sua teoria e non avrebbe mai potuto darli in adozione."

  "Esattamente," esclamò Tony. "Il fatto di tenerli con sé l'aiutava a tenere in vita la sua fantasia. Quando guardava le due creature indubitabilmente umane e perfettamente sane, vedeva realmente qualche differenza nei loro organi sessuali, come aveva raccontato a Mrs Yancy. Le vedeva nella sua mente, le immaginava, per autofornirsi la prova che quelli erano davvero figli del demonio. I gemelli erano parte integrante della sua fantasia, decisamente più co­moda rispetto agli incubi che era stata costretta a vivere fino a quel momento."

  La mente di Hilary aveva preso a viaggiare più veloce­mente dell'aereo di Joshua. La sua eccitazione cresceva di pari passo con le considerazioni di Tony. "E allora Kathe­rine si è portata a casa i due gemelli, senza però smettere di tenere in piedi la storia di Mary Gunther. Ma certo! Per prima cosa, doveva pensare alla propria reputazione, ma c'era anche un'altra ragione, molto più importante del sempli
ce buon nome. Le psicosi hanno le proprie radici nell'in­conscio, ma, da quel che ne so, le fantasie che uno psico­tico usa per controbilanciare il tumulto interiore sono un prodotto della coscienza. Quindi... mentre Katherine cre­deva, a livello conscio, al demonio, nel più profondo di se stessa sapeva che se fosse tornata a St. Helena con i due gemelli, facendo crollare la storia di Mary Gunther, la gente avrebbe iniziato a sospettare che erano figli di Leo. E se avesse dovuto sopportare quell'affronto non sarebbe più stata capace di sostenere la fantasia del diavolo che la sua coscienza aveva fabbricato. Sarebbe ripiombata quindi nelle vecchie e tristi fantasie di un tempo. Ecco che allora, per conservare nella sua mente la teoria del diavolo, si è presentata in pubblico con un unico figlio. Ha dato lo stesso nome ai due bambini. Ne faceva uscire solo uno per volta. Li ha costretti a condurre un'unica esistenza in due."

  "E i due ragazzini hanno finito per considerarsi un'unica persona," concluse Tony.

  "Aspettate, aspettate," li interruppe Joshua. "Forse sono stati veramente capaci di vivere sotto un unico nome, sotto un'unica identità in pubblico. Anche se questo per me è de­cisamente troppo, cercherò di crederci. Ma sono sicuro che in privato sono stati individui ben distinti."

  "Forse no," azzardò Tony. "Abbiamo una prova in base alla quale si può ipotizzare che si considerassero... un'unica persona, divisa in due corpi."

  "Una prova? Quale?" domandò Joshua.

  "La lettera che ha trovato nella cassetta di sicurezza della banca di San Francisco. In quella lettera, Bruno aveva scritto di essere stato ammazzato a Los Angeles. Non ha detto che era stato ucciso suo fratello. Ha detto che lui era morto."

  "Non è possibile provare niente con quella lettera," ri­battè Joshua. "Era soltanto uno sproloquio, non aveva al­cun senso."

  "A modo suo, invece, aveva un senso," insistè Tony. "Dal punto di vista di Bruno ha molto senso se non pensa a suo fratello come a un essere ben distinto. Se considera il suo gemello come parte integrante di se stesso, come un'e­stensione del suo corpo e non come una persona umana di­versa da sé, la lettera ha una sua logica."

  Joshua scosse la testa. "Ancora non riesco a capire come sia possibile far credere a due persone di essere una sola."

  "In genere si sente parlare di casi di personalità scissa," spiegò Tony. "Il dottor Jekyll e Mr Hyde. La storia real­mente accaduta e raccontata nel libro I tre volti di Eva. Per non parlare di un altro libro dello stesso genere: Sybil. E stato un best seller qualche anno fa. La protagonista aveva addirittura sedici personalità ben distinte. Dunque, se ho fatto centro con la mia teoria sui gemelli Frye, il loro caso è esattamente opposto allo sdoppiamento di personalità. Non si sono scissi in sei, sette, otto menti diverse, ma, al contrario, si sono fusi psicologicamente in un'unica per­sona, e questo a causa della tremenda pressione esercitata dalla madre. Con tutta probabilità non è mai successo niente del genere e forse non succederà mai più, ma questo non esclude che possa essere andata così."

  "Per loro potrebbe essere stato di vitale importanza il fatto di sviluppare personalità assolutamente identiche, per potersi intercambiare nel mondo esterno," aggiunse Hilary. "Anche la minima differenza poteva significare il crollo to­tale della loro messinscena."

  "Ma come?" chiese Joshua. "Che cosa ha fatto Katherine ai suoi figli? Come può esserci riuscita?"

  "Probabilmente non lo sapremo mai con esattezza," ri­spose Hilary. "Ma avrei un paio di idee."

  "Anch'io," rincarò Tony. "Ma inizia prima tu."

  Nel pomeriggio inoltrato, la luce che filtrava dalle finestre dell'attico cominciò ad affievolirsi, modificando anche le proprie caratteristiche e riducendo sensibilmente l'am­piezza del suo fascio. Dagli angoli della stanza comincia­rono ad allungarsi le ombre.

  Mentre l'oscurità si insinuava strisciando, Bruno comin­ciò a temere di essere catturato dalle tenebre. Non poteva accendere la luce, semplicemente perché le lampade della casa non funzionavano. L'elettricità era stata staccata cin­que anni prima, quando sua madre era morta per la prima volta. Nemmeno la torcia poteva essergli di aiuto in quanto le batterie erano ormai scariche.

  Fissando il lavandino immerso nei giochi di ombre rosso-grigiastre, Bruno cercò di lottare contro il panico. In giro non aveva paura di restare al buio, perché comunque riusciva sempre a trovare un raggio di luce proveniente da qualche casa, dai lampioni stradali, dai fari delle auto, dalle stelle o dalla luna. Ma in una stanza priva di illumuiazione, i sussurri e le creature striscianti sarebbero ritornati e lui doveva assolutamente evitare quella doppia tortura.

  Candele.

  Sua madre teneva sempre un paio di scatole di candele nella dispensa della cucina. Le utilizzava in caso di black-out. Quasi certamente nella dispensa avrebbe trovato an­che dei fiammiferi, in una scatola di latta con il coperchio a pressione. Non aveva toccato niente quando se n'era an­dato; si era limitato a portare via alcuni oggetti personali e artistici che aveva comperato per la sua collezione.

  Si sporse in avanti per guardare la faccia dell'altro Bruno e poi disse: "Vado un attimo da basso."

  Gli occhi opachi e insanguinati continuarono a fissarlo.

  "Non starò via molto," lo rassicurò Bruno.

  L'altro Bruno non rispose.

  "Vado a procurarmi qualche candela per non restare completamente al buio," spiegò Bruno. "Resterò tranquillo qui da solo, mentre io vado via per qualche minuto?"

  L'altro Bruno rimase in silenzio.

  Bruno si diresse nell'angolo della stanza verso le scale che lo avrebbero condotto nella camera da letto del primo piano. I gradini erano sufficientemente illuminati dalla luce proveniente dall'attico. Ma quando Bruno aprì la porta al piano di sotto, rimase sconvolto dal buio che regnava nella camera.

  Le persiane.

  Quando si era svegliato quella mattina, aveva aperto le persiane dell'attico, ma nel resto della casa le finestre erano tutte sigillate. Non aveva osato aprirle. Era improbabile che le spie di Hilary-Katherine notassero un paio di per­siane aperte in mansarda, ma sarebbero sicuramente ac­corse se avesse spalancato le finestre di tutta la casa. Sem­brava di essere in un sepolcro, sprofondato nella notte eterna.

  Si fermò ai piedi delle scale e sbirciò nella camera buia, terrorizzato all'idea di avanzare e di sentire i sussurri.

  Nessun rumore.

  Nessun movimento.

  Prese in considerazione l'idea di tornare nell'attico. Ma così non avrebbe risolto il suo problema. Nel giro di qual­che ora sarebbe calata la sera e lui sarebbe rimasto nuova­mente senza una luce in grado di proteggerlo. Doveva pro­cedere verso la dispensa e trovare quelle candele.

  Suo malgrado, avanzò nella camera del primo piano, la­sciando aperta la porta delle scale da cui filtrava la pallida luce dell'attico. Due passi. Poi si fermò.

  In attesa.

  In ascolto.

  Nessun sussurro.

  Tolse la mano dalla maniglia e attraversò la camera di corsa, cercando di evitare i mobili.

  Nessun sussurro.

  Raggiunse un'altra porta e uscì nel corridoio del primo piano.

  Nessun sussurro.

  Per un breve istante, immerso nell'oscurità vellutata, non ricordò se le scale per scendere al pianterreno erano a destra o a sinistra. Poi tornò a orientarsi e svoltò a destra con le braccia allungate in avanti e le mani spalancate, in un atteggiamento simile a quello dei ciechi.

  Nessun sussurro.

  Per poco non cadde dalle scale. Il pavimento sprofondò all'improvviso e Bruno riuscì a salvarsi aggrappandosi alla ringhiera.

  Sussurri.

  Senza lasciare la ringhiera, sempre immerso nell'oscu­rità, trattenne il respiro e inclinò il capo.

  Sussurri.

  Alle spalle.

  Lo stavano rincorrendo.

  Lanciò un grido e vacillò giù per le scale. Perse il soste­gno della ringhiera, poi l'equilibrio, si sbracciò, inciampò e atterrò su un pianerottolo urtando il viso contro il tappeto ammuffito, mentre una fìtta di dolore gli attraversava la gamba sinistra. Solo una fìtta e poi l'intontimento della
carne. Sollevò la testa e udì i sussurri che si avvicinavano. Si rialzò, iniziò a piagnucolare per la paura, zoppicò giù per la seconda rampa e barcollò quando finalmente giunse al pianterreno. Si gettò un'occhiata alle spalle, fissando verso l'alto, nell'oscurità. Udì i sussurri che si stavano pre­cipitando verso di lui con un sibilo sempre crescente e urlò: "No! No!" Poi imboccò il corridoio che l'avrebbe condotto in cucina e tutt'a un tratto i sussurri erano ovunque: risuo­navano da ogni parte e c'erano anche quelle orribili cose striscianti, o quella cosa, oppure tante, non sapeva dire. Si precipitò verso la cucina, sbandando contro le pareti dei corridoi e scrollandosi di dosso le creature striscianti. In­fine si avventò sulla porta della cucina, che si spalancò di colpo. Procedette a tastoni localizzando prima i fornelli, poi i mobiletti e il lavandino finché non raggiunse la di­spensa, mentre le cose gli strisciavano addosso e i sussurri si facevano sempre più forti. Alla fine urlò a squarciagola, spalancò la porta della dispensa e venne assalito da un puzzo nauseabondo. Nonostante l'odore varcò la soglia, ma si rese conto che al buio non sarebbe riuscito a trovare le candele e i fiammiferi in mezzo a tutte le caraffe e i ba­rattoli. Allora tornò di corsa in cucina, senza smettere di urlare, di picchiarsi i vestiti, di sfregarsi la faccia per libe­rarsi delle cose che cercavano di infilarsi nel naso e nella bocca. Trovò la porta di servizio che conduceva sulla ve­randa del retro, armeggiò con i catenacci induriti, riuscì ad aprirli e spalancò l'uscio.

 

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