Collected Works of Giovanni Boccaccio
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Novella prima
[I]
MASETTO DA LAMPORECCHIO si fa mutolo e diviene ortolano d’un manistero di donne, le quali tutte concorrono a giacersi con lui.
Bellissime donne, assai sono di quegli uomini e di quelle femine che si sono stolti, che credono troppo bene che, come ad una giovane è sopra il capo posta la benda bianca ed indosso messole la nera cocolla, che ella piú non sia femina né piú senta de’ feminili appetiti se non come se di pietra l’avesse fatta divenire il farla monaca: e se forse alcuna cosa contra questa lor credenza n’odono, cosí si turbano come se contra natura un grandissimo e scellerato male fosse stato commesso, non pensando né volendo avere rispetto a se medesimi, li quali la piena licenza di potere far quel che vogliono non può saziare, né ancora alle gran forze dell’ozio e della sollecitudine. E similmente sono ancora di quegli assai, che credono troppo bene che la zappa e la vanga e le grosse vivande ed i disagi tolgano del tutto a’ lavoratori della terra i concupiscibili appetiti e rendan loro d’intelletto e d’avvedimento grossissimi. Ma quanto tutti coloro che cosí credono sieno ingannati, mi piace, poi che la reina comandato me l’ha, non uscendo della proposta fattaci da lei, di farvene piú chiare con una piccola novelletta.
In queste nostre contrade fu ed è ancora un monistero di donne assai famoso di santitá, il quale io non nomerò per non diminuire in parte alcuna la fama sua; nel quale, non ha gran tempo, non essendovi allora piú che otto donne con una badessa, e tutte giovani, era un buono omicciuolo d’un loro bellissimo giardino ortolano, il quale, non contentandosi del salario, fatta la ragion sua col castaido delle donne, a Lamporecchio,
lá onde egli era, se ne tornò. Quivi tra gli altri che lietamente il raccolsono fu un giovane lavoratore forte e robusto, e secondo uomo di villa con bella persona, il cui nome era Masetto; e domandollo dove tanto tempo stato fosse. Il buono uomo, che Nuto aveva nome, gliele disse; il qual Masetto domandò, di che egli il monistero servisse. A cui Nuto rispose: — Io lavorava un lor giardino bello e grande, ed oltre a questo, andava alcuna volta al bosco per le legne, attigneva acqua e faceva cotali altri servigetti: ma le donne mi davano sí poco salario, che io non ne poteva appena pur pagare i calzari. Ed oltre a questo, elle son tutte giovani e parmi che elle abbiano il diavolo in corpo, ché non si può far cosa niuna al lor modo; anzi, quando io lavorava alcuna volta l’orto, l’una diceva: «Pon’ qui questo» e l’altra: «Pon’ qui quello» e l’altra mi toglieva la zappa di mano e dicea: «Questo non istá bene»; e davanmi tanta seccaggine, che io lasciava stare il lavorio ed uscivami dell’orto, sì che, tra per l’una cosa e per l’altra, io non vi volli star piú, e sonmene venuto. Anzi mi pregò il castaido loro, quando io me ne venni, che, se io n’avessi alcuno alle mani che fosse da ciò, che io gliele mandassi, ed io gliele promisi: ma tanto il faccia Iddio san delle reni, quanto io o ne procaccerò o ne gli manderò niuno. — A Masetto, udendo egli le parole di Nuto, venne nell’animo un disidèro si grande d’esser con queste monache, che tutto se ne struggeva, comprendendo per le parole di Nuto che a lui dovrebbe potere venir fatto di quello che egli disiderava. Ed avvisandosi che fatto non gli verrebbe se a Nuto ne dicesse niente, gli disse: — Deh! come ben facesti a venirtene! Che è uno uomo a star con femine? Egli sarebbe meglio star con diavoli: elle non sanno delle sette volte le sei quello che elle si vogliono elleno stesse. — Ma poi, partito il lor ragionare, cominciò Masetto a pensare che via dovesse tenere a dovere potere esser con loro; e conoscendo che egli sapeva ben fare quegli servigi che Nuto diceva, non dubitò di perder per quello, ma temette di non dovervi essere ricevuto per ciò che troppo era giovane ed appariscente. Per che, molte cose divisate seco, imaginò: — Il luogo è assai lontano di qui e niun mi vi conosce; se io so far vista d’esser mutolo, per certo io vi sarò ricevuto. — Ed in questa imaginazion fermatosi, con una sua scure in collo, senza dire ad alcuno dove s’andasse, in guisa d’un povero uomo se n’andò al monistero; dove pervenuto, entrò dentro e trovò per ventura il castaldo nella corte, al quale, faccendo suoi atti come i mutoli fanno, mostrò di domandargli mangiare per l’amor di Dio e che egli, se bisognasse, gli spezzerebbe delle legne. Il castaido gli die’ da mangiar volentieri: ed appresso questo, gli mise innanzi certi ceppi che Nuto non aveva potuti spezzare, li quali costui, che fortissimo era, in poca d’ora ebbe tutti spezzati. Il castaido, che bisogno avea d’andare al bosco, il menò seco, e quivi gli fece tagliar delle legne; poscia, messogli l’asino innanzi, con suoi cenni gli fece intendere che a casa ne le recasse. Costui il fece molto bene, per che il castaido a far fare certe bisogne che gli eran luogo, piú giorni vel tenne; de’ quali avvenne che uno la badessa il vide, e domandò il castaido chi egli fosse. Il quale le disse: — Madonna, questi è un povero uomo mutolo e sordo, il quale un dì questi dì ci venne per limosina, sì che io gli ho fatto bene, ed hogli fatte fare assai cose che bisogno c’erano. Se egli sapesse lavorare l’orto e volesseci rimanere, io mi credo che noi n’avremmo buon servigio, per ciò che egli ci bisogna, ed egli è forte e potrebbene l’uom fare ciò che volesse; ed oltre a questo, non vi bisognerebbe d’aver pensiero che egli motteggiasse queste vostre giovani. — A cui la badessa disse: — In fé di Dio, tu di’ il vero: sappi se egli sa lavorare ed ingégnati di ritenercelo; dagli qualche paio di scarpette, qualche cappuccio vecchio, e lusingalo, fagli vezzi, dagli ben da mangiare. — Il castaido disse di farlo. Masetto non era guari lontano, ma faccendo vista di spazzar la corte tutte queste parole udiva, e seco lieto diceva: — Se voi mi mettete costá entro, io vi lavorerò sì l’orto, che mai non vi fu cosí lavorato. — Ora, avendo il castaldo veduto che egli ottimamente sapeva lavorare e con cenni domandatolo se egli voleva star quivi, e costui con cenni rispostogli che far volea ciò che egli volesse, avendolo ricevuto, gl’impose che egli l’orto lavorasse e mostrògli quello che a fare avesse; poi andò per altre bisogne del monistero, e lui lasciò. Il quale lavorando l’un dí appresso l’altro, le monache incominciarono a dargli noia ed a metterlo in novelle, come spesse volte avviene che altri fa de’ mutoli, e dicevangli le piú scellerate parole del mondo, non credendo da lui essere intese: e la badessa, che forse estimava che egli cosí senza coda come senza favella fosse, di ciò poco o niente si curava. Or pure avvenne che costui un dí avendo lavorato molto e riposandosi, due giovanette monache che per lo giardino andavano s’appressarono lá dove egli era, e lui che sembiante facea di dormire cominciarono a riguardare. Per che l’una, che alquanto era piú baldanzosa, disse all’altra: — Se io credessi che tu mi tenessi credenza, io ti direi un pensiero che io ho avuto piú volte, il quale forse anche a te potrebbe giovare. — L’altra rispose: — Di’ sicuramente, ché per certo io noi dirò mai a persona. — Allora la baldanzosa incominciò: — Io non so se tu t’hai posto mente come noi siamo tenute strette, né che mai qua entro uomo alcuno osa entrare, se non il castaldo che è vecchio e questo mutolo: ed io ho piú volte a piú donne che a noi son venute udito dire che tutte l’altre dolcezze del mondo sono una beffa a rispetto di quella quando la femina usa con l’uomo. Per che io m’ho piú volte messo in animo, poi che con altrui non posso, di volere con questo mutolo provare se cosí è: ed egli è il miglior del mondo da ciò costui, ché, perché egli pur volesse, egli noi potrebbe né saprebbe ridire; tu vedi che egli è un cotal giovanaccio sciocco, cresciuto innanzi al senno. Volentieri udirei quello che a te ne pare. — Oimè ! — disse l’altra — che è quel che tu di’? Non sai tu che noi abbiamo promessa la virginitá nostra a Dio? — Oh! — disse colei — quante cose gli si promettono tutto il dí, che non se ne gli attiene niuna! Se noi gliele abbiam promessa, truovisi un’altra o dell’altre che gliele attengano. — A cui la compagna disse: — O se noi ingravidassimo, come andrebbe il fatto? — Quella allora disse: — Tu cominci ad aver pensiero del mal prima che egli ti venga; quando cotesto avvenisse, allora si vorrá pensare: egli ci avrá mille modi da fare, sí che mai non si saprá, pur che noi medesime noi diciamo. — Costei, udendo ciò, avendo giá maggior voglia che l’altra di provare che bestia fosse l’uomo, disse: — Or bene, come faremo? — A cui col
ei rispose: — Tu vedi che egli è in su la nona; io mi credo che le suore sieno tutte a dormire, se non noi; guatiamo per l’orto se persona c’è, e se egli non c’è persona, che abbiam noi a far se non a pigliarlo per mano e menarlo in questo capannetto, lá dove egli fugge l’acqua, e quivi l’una si stea dentro con lui e l’altra faccia la guardia? Egli è si sciocco, che egli s’acconcerá comunque noi vorremo. — Masetto udiva tutto questo ragionamento, e disposto ad ubidire, niuna cosa aspettava se non l’esser preso dall’una di loro. Queste, guardato ben per tutto e veggendo che da niuna parte potevano esser vedute, appressandosi quella che mosse avea le parole a Masetto, lui destò, ed egli incontanente si levò in piè; per che costei, con atti lusinghevoli presolo per la mano, ed egli faccendo cotali risa sciocche, il menò nel capannetto, dove Masetto senza farsi troppo invitare quel fece che ella volle. La quale, sí come leale compagna, avuto quel che volea, diede all’altra luogo, e Masetto, pur mostrandosi semplice, faceva il lor volere; per che, avanti che quindi si dipartissono, da una volta insú ciascuna provar volle come il mutolo sapeva cavalcare, e poi, seco spesse volte ragionando, dicevano che bene era cosí dolce cosa, e piú, come udito aveano: e prendendo a convenevoli ore tempo, col mutolo s’andavano a trastullare. Avvenne un giorno che una lor compagna, da una finestretta della sua cella di questo fatto avvedutasi, a due altre il mostrò: e prima tennero ragionamento insieme di doverle accusare alla badessa, poi, mutato consiglio e con loro accordatesi, partefici divennero del poder di Masetto; alle quali l’altre tre per diversi accidenti divenner compagne in vari tempi. Ultimamente la badessa, che ancora di queste cose non s’accorgea, andando un dí tutta sola per lo giardino, essendo il caldo grande, trovò Masetto, il quale di poca fatica il dí per lo troppo cavalcar della notte aveva assai, tutto disteso all’ombra d’un mandorlo dormirsi, ed avendogli il vento i panni dinanzi levati indietro, tutto stava scoperto. La qual cosa riguardando la donna e sola veggendosi, in quel medesimo appetito cadde che cadute erano le sue monacelle: e destato Masetto, seco nella sua camera nel menò, dove parecchi giorni, con gran querimonia dalle monache fatta che l’ortolano non venia a lavorar l’orto, il tenne, provando e riprovando quella dolcezza la quale essa prima all’altre solea biasimare. Ultimamente, della sua camera alla stanza di lui rimandatonelo, e molto spesso rivolendolo ed oltre a ciò piú che parte volendo da lui, non potendo Masetto sodisfare a tante, s’avvisò che il suo esser mutolo gli potrebbe, se piú stesse, in troppo gran danno resultare; e per ciò una notte, con la badessa essendo, rotto lo scilinguagnolo, cominciò a dire: — Madonna, io ho inteso che un gallo basta assai bene a diece galline, ma che diece uomini posson male o con fatica una femina sodisfare, dove a me ne convien servir nove; al che per cosa del mondo io non potrei durare, anzi sono io, per quello che infino a qui ho fatto, a tal venuto, che io non posso fare né poco né molto: e per ciò, o voi mi lasciate andar con Dio o voi a questa cosa trovate modo. — La donna, udendo costui parlare il quale ella teneva mutolo, tutta stordí, e disse: — Che è questo? Io credeva che tu fossi mutolo. — Madonna, — disse Masetto — io era ben cosí, ma non per natura, anzi per una infermitá che la favella mi tolse, e solamente da prima questa notte la mi sento essere restituita, di che io lodo Iddio quanto io posso. — La donna sel credette, e domandollo che volesse dir ciò, che egli a nove aveva a servire. Masetto le disse il fatto, il che la badessa udendo, s’accorse che monaca non avea che molto piú savia non fosse di lei; per che, come discreta, senza lasciar Masetto partire, dispose di voler con le sue monache trovar modo a questi fatti, acciò che da Masetto non fosse il monistero vituperato. Ed essendo di quei dí morto il lor castaido, di pari consentimento, apertosi tra tutte ciò che per addietro da tutte era stato fatto, con piacer di Masetto si ordinarono, che le genti circostanti credettero che, per le loro orazioni e per li meriti del santo in cui intitolato era il monistero, a Masetto, stato lungamente mutolo, la favella fosse restituita, e lui castaldo fecero: e per sí fatta maniera le sue fatiche partirono, che egli le potè comportare. Nelle quali, come che esso assai monachin generasse, pur sí discretamente procedette la cosa, che niente se ne sentí se non dopo la morte della badessa, essendo giá Masetto presso che vecchio e disideroso di tornarsi ricco a casa sua; la qual cosa saputa, di leggeri gli fece venir fatto. Cosí adunque Masetto vecchio, padre e ricco, senza aver fatica di nutricare i figliuoli o spesa di quegli, per lo suo avvedimento avendo saputo la sua giovanezza bene adoperare, donde con una scure in collo partito s’era, se ne tornò, affermando che cosí trattava Cristo chi gli poneva le corna sopra il cappello.
Novella seconda
[II]
UN PALLAFRENIEIE GIACE con la moglie d’Agilulf re, di che Agilulf tacitamente s’accorge; truovalo e tondelo; il tonduto tutti gli altri tonde, e cosí campa della mala ventura.
Essendo la fine venuta della novella di Filostrato, della quale erano alcuna volta un poco le donne arrossate ed alcuna altra se n’avean riso, piacque alla reina che Pampinea novellando seguisse; la quale con ridente viso incominciando disse:
Sono alcuni sì poco discreti nel voler pur mostrare di conoscere e di sentire quello che per loro non fa di sapere, che alcuna volta per questo, riprendendo i disavveduti difetti in altrui, si credono la lor vergogna scemare, lá dove essi l’accrescono in infinito: e che ciò sia vero nel suo contrario, mostrandovi l’astuzia d’un forse di minor valore tenuto che Masetto, nel senno d’un valoroso re, vaghe donne, intendo che per me vi sia dimostrato.
Agilulf, re de’ longobardi, sí come i suoi predecessori avevan fatto, in Pavia, cittá di Lombardia, fermò il solio del suo regno, avendo presa per moglie Teudelinga, rimasa vedova d’Auttari, re stato similmente de’ longobardi, la quale fu bellissima donna, savia ed onesta molto, ma male avventurata in amadore. Ed essendo alquanto per la vertú e per lo senno di questo re Agilulf le cose de’ longobardi prospere ed in quiete, addivenne che un pallafreniere della detta reina, uomo quanto a nazione di vilissima condizione, ma per altro da troppo piú che da cosí vil mestiere, e della persona bello e grande così come il re fosse, senza misura della reina s’innamorò: e per ciò che il suo basso stato non gli avea tolto che egli non conoscesse questo suo amore esser fuori d’ogni convenienza, sì come savio, a niuna persona il palesava né eziandio a lei con gli occhi ardiva di scoprirlo. E quantunque senza alcuna speranza vivesse di dover mai a lei piacere, pur seco si gloriava che in alta parte avesse allogati i suoi pensieri, e come colui che tutto ardeva in amoroso fuoco, studiosamente faceva, oltre ad ogni altro de’ suoi compagni, ogni cosa la qual credeva che alla reina dovesse piacere. Per che intervenia che la reina, dovendo cavalcare, piú volentieri il pallafreno da costui guardato cavalcava che alcuno altro; il che quando avveniva, costui in grandissima grazia sel reputava, e mai dalla staffa non le si partiva, beato tenendosi qualora pure i panni toccarle poteva. Ma come noi veggiamo assai sovente avvenire, quanto la speranza diventa minore, tanto l’amor maggior farsi, cosí in questo povero pallafreniere avvenia, intanto che gravissimo gli era il poter comportare il gran disio cosí nascoso come facea, non essendo da alcuna speranza aiutato; e piú volte seco, da questo amor non potendo disciogliersi, diliberò di morire. E pensando seco del modo, prese per partito di volere questa morte per cosa per la quale apparisse lui morire per l’amore che alla reina aveva portato e portava: e questa cosa propose di voler che tal fosse, che egli in essa tentasse la sua fortuna in potere o tutto o parte aver del suo disidèro. Né si fece a voler dir parole alla reina o a voler per lettere far sentire il suo amore, ché sapeva che invano o direbbe o scriverebbe, ma a voler provare se per ingegno con la reina giacer potesse: né altro ingegno né via c’era se non trovar modo come egli in persona del re, il quale sapea che del continuo con lei non giacea, potesse a lei pervenire e nella sua camera entrare. Per che, acciò che vedesse in che maniera ed in che abito il re, quando a lei andava, andasse, piú volte di notte in una gran sala del palagio del re, la quale in mezzo era tra la camera del re e quella della reina, si nascose: ed intra l’altre una notte vide il re uscire della sua camera inviluppato in un gr
an mantello ed aver dall’una mano un torchietto acceso e dall’altra una bacchetta, ed andare alla camera della reina e senza dire alcuna cosa percuotere una volta o due l’uscio della camera con quella bacchetta, ed incontanente essergli aperto e toltogli di mano il torchietto. La qual cosa veduta, e similmente vedutolo ritornare, pensò di cosí dover fare egli altressí: e trovato modo d’avere un mantello simile a quello che al re veduto avea ed un torchietto ed una mazzuola, e prima in una stufa lavatosi bene, acciò che non forse l’odor del letame la reina noiasse o la facesse accorgere dello ‘nganno, con queste cose, come usato era, nella gran sala si nascose. E sentendo che giá per tutto si dormia, e tempo parendogli o di dovere al suo disidèro dare effetto o di far via con alta cagione alla bramata morte, fatto con la pietra e con l’acciaio che seco portato avea un poco di fuoco, il suo torchietto accese, e chiuso ed avviluppato nel mantello se n’andò all’uscio della camera e due volte il percosse con la bacchetta. La camera da una cameriera tutta sonnacchiosa fu aperta, ed il lume preso ed occultato; laonde egli, senza alcuna cosa dire, dentro alla cortina trapassato e posato il mantello, se n’entrò nel letto irei quale la reina dormiva. Egli disiderosamente in braccio recatalasi, mostrandosi turbato, per ciò che costume del re esser sapea che, quando turbato era, niuna cosa voleva udire, senza dire alcuna cosa o senza essere a lui detta, piú volte carnalmente la reina conobbe. E come che grave gli paresse il partire, pur temendo non la troppa stanza gli fosse cagione di volgere l’avuto diletto in tristizia, si levò, e ripreso il suo mantello ed il lume, senza alcuna cosa dire se n’andò, e come piú tosto potè si tornò al letto suo. Nel quale appena ancora esser poteva, quando il re, levatosi, alla camera andò della reina, di che ella si maravigliò forte: ed essendo egli nel letto entrato e lietamente salutatala, ella, dalla sua letizia preso ardire, disse: — O signor mio, questa che novitá è stanotte? Voi vi partite pur testé da me, ed oltre l’usato modo di me avete preso piacere: e cosí tosto da capo ritornate? Guardate ciò che voi fate. — Il re, udendo queste parole, subitamente presunse, la reina da similitudine di costumi e di persona essere stata ingannata, ma come savio subitamente pensò, poi vide la reina accorta non se n’era, né alcuno altro, di non volernela fare accorgere; il che molti sciocchi non avrebbon fatto, ma avrebbon detto: — Io non ci fui io; chi fu colui che ci fu? come andò? chi ci venne? — Di che molte cose nate sarebbono, per le quali egli avrebbe a torto contristata la donna e datale materia di disiderare altra volta quello che giá sentito avea; e quello che tacendo niuna vergogna gli poteva tornare, parlando sarebbe vitupèro recato. Risposele adunque il re, piú nella mente che nel viso o che nelle parole turbato: — Donna, non vi sembro io uomo da poterci altra volta essere stato, ed ancora appresso questa tornarci? — A cui la donna rispose: — Signor mio, sì; ma tuttavia io vi priego che voi guardiate alla vostra salute. — Allora il re disse: — Ed egli mi piace di seguire il vostro consiglio, e questa volta senza darvi piú impaccio me ne vo’ tornare. — Ed avendo l’animo giá pieno d’ira e di maltalento per quello che vedeva gli era stato fatto, ripreso il suo mantello, s’uscí della camera e pensò di voler chetamente trovare chi questo avesse fatto, imaginando lui della casa dovere essere, e qualunque si fosse, non esser potuto di quella uscire. Preso adunque un piccolissimo lume in una lanternetta, se n’andò in una lunghissima casa che nel suo palagio era sopra le stalle de’ cavalli, nella quale quasi tutta la sua famiglia in diversi letti dormiva: ed estimando che, qualunque fosse colui che ciò fatto avesse che la donna diceva, non gli fosse potuto ancora il polso ed il battimento del cuore per lo durato affanno riposare, tacitamente, cominciato dall’un de’ capi della casa, a tutti cominciò ad andar toccando il petto, per sapere se gli battesse. Come che ciascuno altro dormisse forte, colui che con la reina stato era non dormiva ancora; per la qual cosa, veggendo venire il re ed avvisandosi ciò che esso cercando andava, forte cominciò a temere, tanto che sopra il battimento della fatica avuta la paura n’aggiunse un maggiore: ed avvisossi fermamente che, se il re di ciò s’avvedesse, senza indugio il farebbe morire. E come che varie cose gli andasser per lo pensiero di doversi fare, pur veggendo il re senza alcuna arme diliberò di far vista di dormire e d’attender quello che il re far dovesse. Avendone adunque il re molti cerchi né alcun trovandone il quale giudicasse essere stato desso, pervenne a costui, e trovandogli batter forte il cuore, seco disse: — Questi è desso. — Ma sí come colui che di ciò che fare intendeva niuna cosa voleva che si sentisse, niuna altra cosa gli fece se non che, con un paio di forficette le quali portate avea, gli tondé alquanto dall’una delle parti i capelli, li quali essi a quel tempo portavan lunghissimi, acciò che a quel segnale la mattina seguente il riconoscesse; e questo fatto, si dipartì e tornossi alla camera sua. Costui, che tutto ciò sentito avea, sí come colui che malizioso era, chiaramente s’avvisò perché cosí segnato era stato; laonde egli senza alcuno aspettar si levò, e trovato un paio di forficette, delle quali per avventura v’erano alcun paio per la stalla per lo servigio de’ cavalli, pianamente andando a quanti in quella casa ne giacevano, a tutti in simile maniera sopra l’orecchie tagliò i capelli, è ciò fatto, senza essere stato sentito, se ne tornò a dormire. Il re, levato la mattina, comandò che, avanti che le porti del palagio s’aprissono, tutta la sua famiglia gli venisse davanti; e cosí fu fatto. Li quali tutti, senza alcuna cosa in capo davanti standogli, esso cominciò a guardare per riconoscere il tonduto da lui: e veggendo la maggior parte di loro co’ capelli ad un medesimo modo tagliati, si maravigliò, e disse seco stesso: — Costui il quale io vo cercando, quantunque di bassa condizion sia, assai ben mostra d’essere d’alto senno. — Poi, veggendo che senza romore non poteva avere quel che egli cercava, disposto a non volere per piccola vendetta acquistar gran vergogna, con una sola parola d’ammonirlo e di mostrargli che avveduto se ne fosse gli piacque; ed a tutti rivolto disse: — Chi il fece nol faccia mai piú, ed andatevi con Dio. — Un altro gli avrebbe voluti far collare, martoriare, esaminare e domandare, e ciò faccendo avrebbe scoperto quello che ciascun dèe andar cercando di ricoprire: ed essendosi scoperto, ancora che intera vendetta n’avesse presa, non iscemata ma molto cresciuta n’avrebbe la sua vergogna e contaminata l’onestá della donna sua. Coloro che quella parola udirono si maravigliarono e lungamente tra sé esaminarono che avesse il re voluto per quella dire, ma niuno ve ne fu che la intendesse, se non colui solo a cui toccava. Il quale, sí come savio, mai, vivente il re, non la scoperse, né piú la sua vita in sì fatto atto commise alla fortuna.